Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-02-07, n. 202301272

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-02-07, n. 202301272
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301272
Data del deposito : 7 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/02/2023

N. 01272/2023REG.PROV.COLL.

N. 04389/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4389 del 2022, proposto dal sig. -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avv. A M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno n. 6;

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , ed il Comando Legione Carabinieri Calabria, in persona del Comandante pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

sig. -OMISSIS-non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione prima, del 14 marzo -OMISSIS- resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa e del Comando Legione Carabinieri Calabria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il cons. Francesco Guarracino e udito per la parte appellante l’avv. A M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza del 14 marzo -OMISSIS- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione prima, respingeva il ricorso, integrato da motivi aggiunti, col quale il sig. -OMISSIS- luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, aveva impugnato la sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per mesi quattro con conseguente detrazione di anzianità comminatagli per aver riportato sul memoriale del servizio e sul modello SUP2 un numero di ore di lavoro straordinario sovradimensionate rispetto a quelle effettivamente svolte, con ingiusto profitto di euro 562,06 lorde.

Avverso la suddetta sentenza il ricorrente ha proposto appello, cui hanno resistito il Ministero della difesa e il Comando Legione Carabinieri Calabria con atto di forma.

L’appellante ha rinunciato all’istanza di sospensione dell’esecutività della decisione appellata, presentata in via incidentale.

Alla pubblica udienza del 17 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – E’ appellata la sentenza con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria ha respinto la domanda d’annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per mesi quattro con conseguente detrazione di anzianità comminata all’odierno appellante, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri all’epoca dei fatti Comandante di Sezione Radiomobile, per aver riportato sul memoriale del servizio e sul modello SUP2 un numero di ore di lavoro straordinario maggiore rispetto a quelle effettivamente svolte, conseguendone un ingiusto profitto di euro 562,06 lorde.

2. – L’appello è affidato a cinque motivi.

3. – Col primo motivo l’appellante si duole che il T.A.R. abbia respinto il motivo di ricorso sulla necessità, ai sensi dell’art. 1393, co. 1, terzo periodo, c.o.m., di sospendere il procedimento disciplinare nelle more del procedimento penale instaurato per i medesimi fatti e contesta l’assunto per cui la condotta illecita non sarebbe stata commessa nell’esercizio delle funzioni ovvero in adempimento di obblighi o doveri di servizio. Lamenta, altresì, l’omessa considerazione in sentenza della valutazione espressa da questo Consiglio di Stato nel giudizio d’appello sull’ordinanza cautelare di prime cure nel senso che « l’ampia formula dell’art. 1393 c.o.m. … non consente prima facie di escludere la fattispecie di reato contestata all’appellato (“truffa aggravata continuata”) siccome perpetrata, secondo l’accusa, nell’espletamento dei propri compiti di pubblico ufficiale » (C.d.S., sez. II, ord., 23 settembre 2021 n. 5180).

3.1 – Il motivo è infondato.

3.2 – I rapporti fra il procedimento disciplinare e il procedimento penale sono disciplinati dall’art. 1393 c.o.m., come da ultimo sostituito dall’art. 4, co. 1, lett. t), del D.lgs. 26 aprile 2016, n. 91, il quale stabilisce:

« Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall’impiego di cui all’articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare ».

3.3 – Questo Consiglio si è più volte espresso sull’interpretazione di queste disposizioni indicandone la ratio e le finalità in termini che il Collegio condivide e fa propri.

In particolare, con riferimento all’eccezione alla norma generale che sancisce l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al processo penale costituita dall’ipotesi in cui il procedimento disciplinare riguardi “ atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio ” (art. 1393 cit., terzo periodo), si è precisato che si tratta dei casi in cui l’addebito disciplinare riguarda atti del servizio concretanti diretta esecuzione dei compiti d’ufficio, mentre sono estranee alla previsione le condotte penalmente illecite tenute in occasione del servizio, ma in violazione dei relativi doveri ( ex ceteris , C.d.S., sez. II, 25 luglio 2022, n. 6534;
id., 14 luglio 2022, n. 6024), vale a dire le condotte che non sono poste in essere nello svolgimento delle funzioni di istituto, in adempimento di obblighi e doveri di servizio, ma più semplicemente occasionate dallo svolgimento di compiti d’istituto ( ex aliis , C.d.S., sez. IV, 27 gennaio 2020, n. 657).

Al riguardo, si è chiarito (C.d.S., sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1672) che:

« In questa ipotesi, il legislatore intende evitare che la “sovrapposizione” di diverse qualificazioni giuridiche del medesimo fatto (il quale può, sotto diversi parametri, contemporaneamente costituire – in via potenziale - sia illecito penale sia illecito disciplinare) porti l’amministrazione ad una valutazione “viziata” del fatto medesimo, potendo essa ritenerlo un profilo, per così dire, connesso e dunque giustificato dal dovere d’ufficio, laddove invece l’accertamento in sede penale e la riconosciuta penale responsabilità del militare recidono il “legame” ipotizzabile tra svolgimento della funzione e atti o comportamenti che – così diversamente contestualizzati – ben possono configurare illecito disciplinare.

Anche in questa ipotesi, dunque, il legislatore intende evitare l’instaurazione di procedimenti disciplinari il cui esito provvedimentale potrebbe essere viziato per difetto di motivazione, ovvero essere basato (nel caso di esito disciplinare assolutorio) su una ritenuta attinenza dell’atto o della condotta ad un dovere di servizio, che, invece, potrebbe essere escluso in sede penale.

In questo senso, deve, dunque, essere precisato quanto considerato dalla sentenza impugnata, laddove essa afferma che “il presupposto della sospensione del procedimento disciplinare è la coincidenza tra fatto per il quale si procede in sede penale e fatto addebitato in sede disciplinare”, con la conseguenza che – laddove tale coincidenza vi sia – il procedimento disciplinare andrebbe sempre sospeso.

In realtà, occorre precisare:

- in primo luogo, che il problema dei rapporti tra i due procedimenti intanto si pone proprio in quanto vi sia “coincidenza” del fatto, posto che, in presenza di fatti diversi, non vi sarebbero nemmeno “interferenze” o “sovrapposizioni” tra i due procedimenti;

- in secondo luogo, che, nelle ipotesi considerate dall’art. 1393 il fatto è sempre lo stesso, ma esso è astrattamente idoneo ad integrare – riguardato sotto diverse angolazioni – sia un illecito penale che un illecito disciplinare.

Non è la “coincidenza” del fatto, dunque, che giustifica l’applicazione della sospensione (essendo tale coincidenza, come si è detto, il presupposto stesso dell’intervento normativo), ma le ipotesi – che presuppongono l’unicità del fatto - indicate dall’art. 1393 e per le ragioni emergenti da una interpretazione (sia letterale che logico-giuridica) delle norme in esame.

Ciò che occorre, invece, ulteriormente precisare è che questa “sovrapposizione” di qualificazioni giuridiche del medesimo fatto (in sede penale e in sede disciplinare), che si ha nella seconda delle ipotesi sopra rappresentate, è configurabile, per espressa previsione di legge, solo nei casi in cui atti o comportamenti del militare siano commessi non solo “nello svolgimento delle funzioni”, ma siano altresì caratterizzati dall’ “adempimento di obblighi e doveri di servizio”.

Non è, dunque, sufficiente che l’atto o il comportamento tenuto dal militare sia stato commesso “nello svolgimento delle funzioni” (il che renderebbe paradossalmente ex se necessaria la sospensione del procedimento disciplinare in tutti i casi in cui il fatto integri un reato cd. “proprio”), ma che tale atto o comportamento sia stato commesso, nell’ambito non solo nello svolgimento delle funzioni, ma anche in adempimento di obblighi e doveri di servizio.

Il che porta quasi automaticamente ad escludere dalle ipotesi in cui l’art. 1393 indica la necessità della sospensione del procedimento penale tutti quei fatti che - integrando in sede penale reati la commissione dei quali implica una cesura del rapporto di immedesimazione organica o comunque la riferibilità dei medesimi allo svolgimento della funzione o del servizio pubblico (ad esempio, concussione, peculato, etc.) - non possono pertanto riferirsi ad un “adempimento di obblighi e doveri di servizio” ».

3.4 – A questi principi si è esattamente attenuto il giudice di primo grado allorché ha escluso che nel caso di specie, dove la condotta sanzionata (l’aver riportato più volte, tra il 17 e il 28 agosto 2020, sul memoriale di servizio e sul modello SUP2 un numero di ore di lavoro straordinario maggiore di quello effettivo) non può riferirsi all’adempimento di obblighi e doveri di servizio, occorresse sospendere il procedimento disciplinare sino all’esito del giudizio penale, né la correttezza delle sue conclusioni può essere vanificata dal fatto di non essersi confrontato in via espressa e diretta con le sommarie e provvisorie considerazioni emerse nella fase cautelare di appello.

4. – Col secondo motivo di gravame l’appellante sostiene che il T.A.R. sarebbe incorso in errore nell’escludere la sussistenza dei presupposti per la sospensione del procedimento disciplinare, nelle more della definizione del giudizio penale, anche con riferimento alla particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al ricorrente e all’assenza di sufficienti elementi conoscitivi ai fini della valutazione disciplinare, che, in base al secondo periodo dell’art. 1393 c.o.m., integrano l’altra eccezione al principio generale dell’autonomia del procedimento disciplinare.

Ciò in quanto l’amministrazione non avrebbe disposto di elementi conoscitivi sufficienti per poter irrogare la sanzione disciplinare della sospensione cautelare dall’impiego per quattro mesi, in quanto i militari dell’Arma sentiti nel corso del procedimento disciplinare avrebbero confermato che nel periodo contestato l’odierno appellante era in servizio, sicché lo straordinario annotato nel memoriale di servizio sarebbe giustificato.

4.1 – Il motivo è infondato.

4.2 – L’invocata eccezione al principio di autonomia del procedimento disciplinare rispetto al giudizio penale è, stavolta, quella che impone la sospensione del primo sino all’esito del secondo qualora il fatto addebitato rivesta maggiore gravità (cioè sia passibile di consegna di rigore o di sanzione di stato) e il suo accertamento rivesta particolare complessità, vale a dire sia complesso al punto tale che gli strumenti propri della inchiesta disciplinare non siano sufficienti (C.d.S., sez. IV, 22 marzo 2021, n. 2428), ovvero l’amministrazione non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare.

Nella specie non ricorre la prima evenienza, esaurendosi gli accertamenti, originati da controlli a campione sugli straordinari dei dipendenti, nell’esame di documentazione in possesso o acquisita dall’Amministrazione (memoriali di servizio, immagini registrate da videocamere di sorveglianza, etc.) e nell’audizione di persone informate dei fatti, senza necessità d’indagini di particolare complessità;
non ricorre neppure la seconda evenienza, essendo stato raccolto ampio materiale probatorio del quale l’appellante, a ben vedere, contesta piuttosto l’interpretazione e la valutazione, poiché (come pure nel quarto motivo d’appello) non sostiene che non fosse sufficiente ai fini della valutazione disciplinare, bensì che gli elementi raccolti e, segnatamente, le deposizioni rese e le memorie acquisite avrebbero confermato che, nel periodo contestato, stava svolgendo attività di servizio.

5. – La critica rivolta alla sentenza di primo grado col terzo motivo d’appello riguarda l’esame del motivo di ricorso concernente la pretesa estinzione del procedimento disciplinare per inattività.

Sostiene l’appellante che il T.A.R. avrebbe erroneamente esaminato il motivo facendo riferimento, anziché al comma 4 dell’art. 1392 c.o.m., alla norma di cui al comma 3 del medesimo articolo, la cui violazione però non sarebbe stata mai dedotta in primo grado, e adduce, nel senso della fondatezza della censura promossa nel giudizio di prime cure, che l’amministrazione avrebbe avviato il procedimento, con la contestazione degli addebiti, soltanto il 29 gennaio 2021, pur avendo contezza dei fatti sin dalla comunicazione del 15 ottobre 2020, effettuata dal Comando regionale alle Procure della Repubblica di -OMISSIS- e -OMISSIS-, concernente l’ipotesi di reato a suo carico per truffa aggravata e continuata per aver annotato sul memoriale di servizio ore di lavoro straordinario non svolto.

5.1 – Il motivo è infondato.

5.2 – Nel corrispondente motivo del ricorso di primo grado (pag. 8) l’appellante aveva dedotto la violazione dell’art. 1393, comma 4, c.o.m., il quale prevede che « il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall’ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta », facendo riferimento però, ora come allora, al tempo trascorso tra la conoscenza del fatto (15 ottobre 2020) e l’avvio del procedimento disciplinare (29 gennaio 2021).

Correttamente, dunque, il T.A.R. ha negato (nei punti da 14.2 a 14.4 della motivazione) che si fosse verificata la denunziata violazione dell’art. 1393, comma 4, c.o.m. escludendo che il potere disciplinare fosse andato perento alla stregua della norma invocata (cioè per inerzia protratta oltre novanta giorni dall’ultimo atto di procedura) alla luce delle cadenze temporali degli atti di procedura compiuti (il 27 gennaio 2021 l’inchiesta formale;
il 29 gennaio 2021 la contestazione disciplinare;
il 24 marzo 2021 la proposta di irrogazione della sanzione;
il 18 maggio 2021 la sanzione disciplinare) con una cronologia rimasta incontestata anche in questa sede.

Non vi è stato, dunque, alcun travisamento della censura ed è solo per compiutezza di esame, in ragione della ambiguità della formulazione del motivo di ricorso, che il T.A.R. ha poi aggiunto:

« 14.5- Per completezza, qualora – come pure potrebbe evincersi dalle argomentazioni a base della censura – il ricorrente avesse inteso contestare la tempistica dell’avvio del procedimento disciplinare, dettata dal comma 3 del medesimo art. 1392 C.O.M., l’esito non muterebbe, dal momento che, come osservato in giurisprudenza “Il termine dell’art. 1392 comma 3, d.lgs. n. 66/2010 si riferisce all’ipotesi in cui il procedimento disciplinare sia instaurato a seguito di procedimento penale e non anche all’ipotesi - quale quella di specie - in cui l’Amministrazione eserciti il potere disciplinare in pendenza del procedimento penale (che, nelle more del procedimento disciplinare, si è concluso con l’archiviazione)” (T.A.R. Campania, -OMISSIS-, Sez. VI, 4.3.2021, n.1493) ».

Conclusione quest’ultima che, nel merito, non ha incontrato critica nel ricorso d’appello.

6. – Col quarto motivo l’appellante lamenta che la sentenza gravata avrebbe di fatto obliato il contenuto del quarto motivo del ricorso di primo grado per cui le dichiarazioni rese dai militari sentiti nel procedimento disciplinare dimostrerebbero che le ore di lavoro straordinario annotate erano pienamente giustificate. Sul punto il T.A.R. avrebbe taciuto del tutto (« non spende neanche una parola »), sicché quel motivo è riproposto pressoché testualmente nell’appello.

6.1 – Il motivo è infondato.

6.2 – Non corrisponde al vero che il primo giudice abbia omesso di valutare la censura proposta dal ricorrente nel quarto motivo d’impugnazione, che ha, invece, esaminato e respinto motivatamente, e le ragioni del suo convincimento, per come esposte in sentenza, non hanno trovato alcuna specifica critica nella presente sede (dove l’appellante, contraddicendo nei fatti l’assunto che il motivo non era stato esaminato, si è limitato a dire, a pag. 15 dell’appello, che « la ricostruzione offerta dalla sentenza gravata è del tutto erronea » senza spiegarne il perché).

Il T.A.R. ha infatti osservato:

« 15- Con il quarto motivo il ricorrente deduce eccesso di potere sotto plurimi profili.

In particolare, rileva che nei vari pomeriggi dei giorni oggetto di accertamento, egli, allontanandosi dalla sede di servizio, ha svolto attività dinamiche di osservazione controllo e pedinamento nella località di -OMISSIS-, a confine tra gli abitati di -OMISSIS- e -OMISSIS-, per riscontrare delle notizie apprese da una fonte confidenziale circa il possibile transito di un carico di stupefacente, oggetto tra l’altro di attenzione investigativa anche da parte del Commissario di P.S. di -OMISSIS-, servizi dei quali, pur non documentati con ordini di servizio, erano a conoscenza il Brig.Ca.q.s.-OMISSIS-, il V.Brig. -OMISSIS-e l’App.Sc. -OMISSIS-i quali erano stati sentiti nel corso procedimento disciplinare.

Analogamente è stato sentito anche il responsabile della squadra di polizia giudiziaria del Commissariato di P.S. di -OMISSIS-, Ispettore -OMISSIS- con il quale il ricorrente si è confrontato per chiarire questioni di servizio relative al periodo d’interesse, i quali hanno confermato che il ricorrente nel periodo oggetto di accertamento stava svolgendo la propria attività di servizio, ragion per cui il lavoro straordinario contestato era pienamente giustificato.

15.1- Il motivo è infondato per le ragioni riportate in sede di scrutinio del secondo motivo di ricorso e alle quali ci si riporta.

15.2- Come già osservato, infatti, dalla disamina dell’escussione dei testi, non è dato evincere dei riscontri certi ed idonei a corroborare gli elementi fattuali posti dal ricorrente a sua discolpa in sede disciplinare, nel senso di inferire che lo stesso fosse effettivamente in servizio negli orari pomeridiani compatibili con le attestazioni di servizio relativi ai giorni oggetto di procedimento disciplinare. A motivo di ciò le determinazioni dell’Amministrazione sfuggono alle suddette censure del ricorrente ».

7. – Il quinto e ultimo motivo di appello investe il capo della sentenza riguardante i motivi aggiunti con cui in primo grado l’appellante aveva impugnato il provvedimento di decurtazione dell’anzianità per illegittimità derivata, siccome basato sulla sanzione disciplinare oggetto del ricorso introduttivo, senza addurre anche vizi propri.

Col motivo in esame egli sostiene che alla fondatezza dell’appello sul capo riguardante il ricorso introduttivo debba seguire, in riforma della gravata sentenza, l’accoglimento pure dei motivi aggiunti.

Poiché i motivi di appello sul rigetto del ricorso principale meritano invece d’essere respinti, per le ragioni già dette, ne consegue il rigetto anche del quinto motivo.

8. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello dev’essere respinto.

9. – Le spese del grado possono essere compensate in considerazione della natura meramente formale della resistenza della parte vittoriosa in giudizio.

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