Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-01-21, n. 201300322

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-01-21, n. 201300322
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300322
Data del deposito : 21 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02804/2012 REG.RIC.

N. 00322/2013REG.PROV.COLL.

N. 02804/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2804 del 2012, proposto da:
H S.a.s. di Tobaldini Maria Cristina, rappresentata e difesa dagli avv. G S, E F, L M, con domicilio eletto presso L M in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

contro

R N, rappresentato e difeso dagli avv. A R, D I, con domicilio eletto presso D I in Roma, corso Vittorio Emanuele II,18;

nei confronti di

Comune di Legnago in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. S Gata, Mario Bertolissi, con domicilio eletto presso S Gata in Roma, via di Monte Fiore 22;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – Venezia - Sezione II n. 01778/2011, resa tra le parti, concernente un permesso di costruire.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di R N e di Comune di Legnago;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2012 il Cons. G V e uditi per le parti gli avvocati Andrea Reggio d'Aci (su delega di L M), A R e S Gata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il TAR Veneto, con la sentenza in epigrafe indicata, ha annullato, in accoglimento delle doglianze della signora R N, originaria ricorrente, due titoli edilizi - rilasciati dal Comune di Legnano in favore della società H s.a.s, proprietaria di un lotto confinante - con i quali è stato autorizzato un intervento di ristrutturazione ed ampliamento di un preesistente fabbricato ubicato in viale regina Margherita 20.

La società citata aveva acquistato il lotto de quo (avente una superficie di 623 m²) nel corso del 2008, divenendo in tal modo proprietaria pure di un risalente fabbricato ivi costruito, avente un volume complessivo di 1231,78 m³.

Con il primo permesso di costruire (2009/0078 del 22 maggio 2009) il Comune ha consentito la totale demolizione del predetto fabbricato e la sua successiva ricostruzione con ampliamento fino ad un volume complessivo di 1.808,17 m³ sulla base di un indice volumetrico di zona di 3 m³/ m².

Con il secondo permesso di costruire (2009/0714 del 28 ottobre 2010) la citata società è stata in seguito autorizzata ad incrementare la volumetria dell'edificio ricostruito, in applicazione dell'articolo 2 della legge regionale Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (c.d. piano casa), fino a raggiungere un volume finale pari a 2154,34 m³.

I citati permessi sono stati impugnati dalla signora R N, che ha tra l'altro lamentato l'eccesso di volumetria realizzato dalla società H s.a.s., avuto riguardo al precedente asservimento di parte della superficie del lotto di proprietà della medesima, ad altra costruzione.

La ricorrente ha in specie rilevato, come ricordato dallo stesso TAR Veneto nella sentenza gravata, che " parte dell'area, su cui è stata autorizzata la costruzione, era in origine inclusa in un'unica proprietà ripartita tra due mappali, di superficie complessiva pari a metri quadri 757, appartenenti a tale V P, e sulla quale, nel 1976, fu regolarmente realizzato un edificio ad uso negozi e abitazioni, per una volumetria pari a metri cubi 1444,42 così saturando quasi integralmente la capacità edificatoria dell'intera area, all'epoca pari a 2 m³ per 1 m² e dunque equivalente ad un massimo di metri cubi 1514 ”. Una parte rilevante del lotto di proprietà della società H s.a.s., " pari a circa metri quadri 385, era inclusa nella proprietà Pedrina ed era stata dunque utilizzata per determinare la volumetria dell'immobile costruito nel 1976: sicché il progetto di H sas trarrebbe metri cubi 1155 (385 x 3 m cubi) di volumetria da un’area, la cui capacità edificatoria era stata già integralmente utilizzata per realizzare una altro edificio ". Ne conseguirebbe che “ con il rilascio della licenza del 1976 e la conseguente realizzazione dell'edificio assentito, l'asservimento del terreno già Pedrina ed ora H sarebbe divenuto definitivo, e vincolerebbe tuttora sia l'amministrazione che i successivi proprietari, precludendone il riutilizzo per ulteriori volumi ".

Costituitasi nel primo giudizio, la società H s.a.s. ha eccepito la tardività del ricorso, deducendo la piena conoscenza degli atti gravati già in epoca antecedente allo scadere del termine decadenziale per la proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (poi trasposto in sede giurisdizionale), in ragione: a) dell’avvenuto accesso agli atti da parte del coniuge della ricorrente;
b) dell’invio di una diffida contenente un esatto riferimenti al titolo;
c) dell’esperimento di un’azione di “nuova opera” dinanzi al giudice civile, dinanzi al quale la società H s.a.s. ha depositato il permesso di costruire.

Superata l’eccezione di tardività, il TAR Veneto ha accolto il ricorso precisando che " la situazione in fatto non è controversa ", poiché " l'asservimento del lotto costituisce una circostanza di assoluta evidenza: il progetto del 1976 arreca precise annotazioni su superfici e volumetria, sicché è fuori discussione che l'edificio è stato realizzato impegnando anche la volumetria riferita a parte dell'area, attualmente ricompresa nella mappa alle 1643 ”. Il comune di Legnano avrebbe, quindi, approvato “ una costruzione per la quale il proprietario dell'aria non disponeva della volumetria richiesta ”.

Ha proposto appello la società H s.a.s : 1) la sentenza sarebbe in primis errata per aver statuito sul merito del ricorso invece di arrestarsi a un pronuncia di irricevibilità. Non varrebbe in proposito richiamare la copiosa giurisprudenza in punto di necessario completamento dei lavori, essendo stata in ispecie fornita per tabulas la prova della conoscenza effettiva del provvedimento da parte della ricorrente;
2) nel merito - incontestato il principio dell’inutilizzabilità a fini edificatori di un’area già asservita in forza del rilascio di un pregresso titolo - difetterebbero in radice i presupposti dell’asservimento, trattandosi della demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente alla licenza edilizia del ’76 che la ricorrente assume essere ostativa. Piuttosto sarebbe tale licenza edilizia ad avere consentito illegittimamente l’utilizzo di un’area già asservita;
3) in ogni caso nessun vincolo sarebbe mai stato trascritto in occasione dei frazionamenti e passaggi di proprietà di cui l’area è stata oggetto prima di pervenire all’appellante, in violazione dell’art. 10 delle N.T.A.;
4) comunque l’evoluzione della disciplina urbanistica di zona avrebbe conferito nuova capacità edificatoria al lotto derivante dal frazionamento.

Si è costituito in giudizio il Comune di Legnago aderendo alle tesi della società e spiegando a sua volta appello incidentale: nessun dubbio si porrebbe in ordine alla possibilità di ricostruzione del preesistente edificio (per un volumetria di 1.231,78 metri cubi) ed allo sfruttamento dell’ulteriore volumetria derivante dal successivo incremento dell’indice (passato nel frattempo da 2 a 3 m. cubi);
comunque la sentenza meriterebbe riforma – è questo il petitum dell’appello incidentale – quanto meno nella parte in cui ha negato persino l’assentibilità della volumetria pacificamente disponibile in ragione dell’esistenza del fabbricato e della modifica degli indici (ai quali non può che aggiungersi l’ampliamento volumetrico previsto dalla l.r. Veneto 14/2009).

Si è costituito in giudizio anche l’originario ricorrente, il quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello incidentale del Comune, in quanto tardivamente proposto;
l’inammissibilità della produzione documentale concernente l’edificio preesistente, asseritamente effettuata in aperta violazione del divieto di cui all’art. 104 comma 2 c.p.a.;
nel merito si è difeso evidenziando l’insufficienza della conoscenza del solo permesso di costruire (ove privo di elaborati grafici) ad integrare la piena conoscenza degli aspetti lesivi, in assenza di una concreta attività edificatoria compiutamente realizzatasi;
sottolineando ancora, come, anche a voler riconoscere l’esistenza del pregresso fabbricato, nel tipo e nelle dimensioni allegate dalla difesa del Comune, lo stesso sarebbe stato comunque edificato in epoca in cui gli strumenti urbanistici (sostanzialmente il Piano di ricostruzione) non prevedevano indici volumetrici, con conseguente giuridica impossibilità di un asservimento.

Le parti hanno ulteriormente scambiato memorie e note di replica in vista dell’udienza di discussione, approfondendo le reciproche argomentazioni.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 21 dicembre 2012.

DIRITTO

1.1 Viene all’esame del collegio la legittimità di un permesso di costruire, contestata dal proprietario confinante per ragioni sostanzialmente enucleabili nella non disponibilità del volume assentito ai fini edificatori in ragione dell’asserito pregresso sfruttamento ad opera di altra costruzione.

1.2. Il contenzioso si è alimentato, in sede processuale, di questioni preliminari attinenti alla tempestività del ricorso (inizialmente presentato al Presidente della Repubblica e poi ritualmente trasposto in sede giurisdizionale): in particolare la H s.a.s. – odierna appellante – ha dedotto che a) al momento della presentazione, il progetto era già da tempo conosciuto dal coniuge della ricorrente, che aveva avuto accesso agli atti;
b) v’era stata una lettera di entrambi i coniugi che preannunciava l’esperimento di una “denunzia di nuova opera”;
c) era seguita un’azione di denunzia di nuova opera intentata da entrambi i coniugi, con conseguente deposito, da parte della H s.a.s., del permesso di costruire.

2. Il TAR Veneto ha deciso nel merito il ricorso, superando l’eccezione di tardività sulla base di due considerazioni: 1) il fatto che il coniuge avesse avuto accesso agli atti non può costituire prova di conoscenza in capo alla ricorrente;
2) in ogni caso, la conoscenza del solo titolo non è sufficiente qualora, come nel caso di specie, siano censurati i volumi, ossia aspetti che necessitano, per essere apprezzati nella loro potenzialità lesiva, della piena conoscenza del dettaglio progettuale o, in mancanza, della compiuta edificazione dell’opera.

3. L’assunto è censurato sia dall’appellante H s.a.s., che dal Comune di Legnago (costituitosi solo nel giudizio d’appello), sulla base della considerazione che l’avvenuto accesso da parte del coniuge, in uno con le iniziative giudiziarie ed extra giudiziarie preventivamente proposte, siano un sicuro indice della conoscenza cartolare del titolo, condizione che rende inutile ogni dissertazione circa lo stato di avanzamento dei lavori e la relativa significatività ai fini della percezione della potenzialità lesiva del provvedimento.

4.1. La tesi è meritevole di condivisione. I fatti che l’appellante allega in ordine alla conoscenza del titolo non sono contestati dalla ricorrente, appuntandosi invece la discussione sulla significatività e valenza degli stessi ai fini del decorso del termine decadenziale.

4.2. In proposito la posizione della giurisprudenza è ferma nel ritenere che la pubblicazione dei titoli edilizi non fa decorrere i termini per l’impugnazione da parte del terzo (da ultimo CdS n. 3777/2012) occorrendo piuttosto la conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati progettuali o, in alternativa, il completamento dei lavori, che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo (Cfr. Consiglio di Stato, Ad.Pen. 29 luglio 2011, n. 15;
sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5170).

Ciò ovviamente non significa che il terzo sia libero di decidere, secondo propri calcoli e strategie, se e quanto accedere agli atti, o addirittura libero di attendere il completamento dell’opera per poi ottenerne la demolizione quale effetto dell’azione annullatoria: piuttosto la giurisprudenza, nel ricostruire la tutela del terzo alla luce dei principi di effettività e satisfattività, ha cercato un punto di equilibrio tra i menzionati principi e quello, antagonista ma ineludibile, della certezza degli atti amministrativi - sul quale basa, trovandovi al contempo i suoi limiti, il sistema di tutela degli interessi legittimi – ritenendo equo fissare il dies a quo del termine decadenziale, al momento in cui, in relazione allo stato dei lavori, sia oggettivamente apprezzabile lo scostamento dal paradigma legale. Così, se ha un senso l’attesa, da parte del terzo, del completamento dell’opera quanto questi non sia in condizione, in un precedente stadio d’avanzamento, di apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, è per converso priva di giustificazione ove, ad es., l’azione annullatoria sia basata sull’inedificabilità dell’area o sull’esistenza di vincoli, ossia su vizi che emergono già al primo concreto cenno di attività edificatoria.

5.1 Ma vi è un ulteriore aspetto che struttura e conforma la tutela del terzo, ed è il principio di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa concretantesi nel diritto di accesso agli atti amministrativi che in qualche modo possano incidere sulla sua sfera: trattasi di una posizione giuridica di vantaggio, strumentale alla tutela della situazione sostanziale finale protetta dall’ordinamento, in grado di consentire, grazie anche alla previsione di un procedimento e di un processo estremamente celere, la piena conoscenza del provvedimento e della documentazione istruttoria.

Il principio di trasparenza, cioè, sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla “piena conoscenza” della documentazione amministrativa, ma tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di attivare non appena ha contezza od anche il ragionevole sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente.

5.2. Ovviamente qui, i risvolti sfavorevoli dell’onere, che l’istante tende ad evitare con la propria richiesta di ostensione, non riguardano la piena conoscenza della situazione amministrativa cristallizzata nel provvedimento abilitativo – essendo notorio che il diritto di accesso non è condizionato a termini decadenziali (lo è piuttosto l’azione tesa a contrastare il rifiuto) – quanto l’efficace tutela della situazione sostanziale di fondo che il richiedente intende tutelare a seguito ed in forza della piena conoscenza, questa sì soggetta a decadenza: in tal senso il diritto d’accesso è un onere.

5.3. Per restare in ambito edilizio, se lo stato di avanzamento dei lavori è già tale da indurre il sospetto di una possibile violazione della normativa urbanistica (non coincidente con l’an dell’edificazione ma con il quomodo), il ricorrente ha oltre che il diritto anche l’onere di documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, in guisa da verificare la sussistenza di un vizio del titolo ed inibire l’ulteriore attività realizzativa che la ditta compie confidando nella presunzione di legittimità del titolo. Non può limitarsi ad attendere il completamento dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso, ossia scegliendo di utilizzare lo strumento quale mero espediente per non far decorrere il termine di decadenza, poichè in tal modo agendo finisce per abusare di un diritto coniato per la sua tutela trasformandolo in uno per calibrare la futura azione giudiziaria in danno del beneficiario in buona fede, oltre che – deve aggiungersi - in danno dell’interesse pubblico ancora oggi presente nelle trame dell’intesse legittimo.

5.4. In sostanza, nel sistema delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che, così come il completamento dei lavori ed il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento dall’altra.

6.1. Tornando al caso di specie: dinanzi ad un titolo rilasciato il 22 maggio 2009, l’accesso agli atti è stato operato in un primo momento solo dal coniuge della ricorrente (8 luglio 2009);
poi quest’ultima, unitamente al coniuge ha diffidato H s.a.s (1 agosto 2009), indicando esattamente gli estremi del titolo;
ha poi, unitamente al coniuge, esperito azione di denunzia di nuova opera (11 settembre 2009), in quella sede ricevendo in comunicazione la copia del permesso di costruire;
solo successivamente nel mentre i lavori avanzavano, si è finalmente decisa ad accedere “personalmente” agli atti del procedimento, proponendo poi ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in data 1 aprile 2010 (data di notifica al controinteressato).

Non v’è dubbio quindi che il titolo abilitativo fosse conosciuto nei suoi estremi già nell’agosto del 2009 e, poco dopo, anche nel dettaglio grazie al deposito nel giudizio conseguente all’azione di nunciazione. E’ pur vero che non v’è rigorosa prova della conoscenza degli elaborati progettuali richiamati dal provvedimento, poichè non depositati in quel giudizio e rilasciati in sede di primo accesso al solo coniuge della ricorrente (evidentemente comproprietario), ma è comunque innegabile che sussistono una serie di indizi concordanti nel senso della piena conoscenza (l’azione di nuova opera è stata proposta congiuntamente dai coniugi a riprova che la situazione giuridica da tutelare era condivisa e comunemente conosciuta, mentre il ricorso in sede giurisdizionale amministrativa è stato proposto da uno solo dei coniugi, con esclusione di quello che aveva per tempo conosciuto degli atti, probabilmente proprio al fine di non incorrere in decadenze).

6.2. In ogni caso rimane che la ricorrente, giusto quanto sopra osservato, avrebbe potuto e dovuto, dinanzi alla conoscenza del titolo nella sua consistenza documentale, al procedere dell’attività edificatoria ed al sospetto di illegittimità del titolo, acquisire per tempo gli allegati progettuali in modo da comprendere e verificare gli aspetti di dettaglio per i quali verosimilmente già serbava dei dubbi (giova rimarcare che le censure svolte in primo grado tendono a dimostrare che a fronte dei 2.154,34 m.c. autorizzati, solo 714 potevano esserlo legittimamente, dunque scostamenti così rilevanti da essere percepiti sin dalle prime battute).

6.3. La tesi secondo la quale, nonostante la conoscenza del provvedimento, l’interesse all’impugnazione (ossia la percezione della lesività) sia sorto solo in occasione dell’accesso agli atti, ed in relazione agli aspetti progettuali non ancora emergenti dal concreto avanzamento dei lavori, non regge avuto riguardo alla natura dei vizi fatti valere ed alla vicende pregresse, essendo piuttosto verosimile che l’accesso agli atti (tardivo rispetto alle esigenze di tutela) sia stato un espediente per procrastinare nel tempo l’azione di annullamento o comunque per salvarla da una decadenza già consumata.

In ipotesi siffatte il principio per cui il termine per impugnare decorre per il terzo (non destinatario della notifica del titolo) dal completamento dei lavori, o dall’avvenuto accesso agli atti, comprensivi del progetto, deve essere inteso nel senso che, ove il provvedimento amministrativo sia già conosciuto, l’accesso valga a segnare il dies a quo solo ove costituisca l’occasione per rilevare profili pregiudizievoli che non siano già emersi dal contenuto del provvedimento o dal concreto progredire dei lavori, e sempre che lo stesso non rappresenti un espediente finalizzato a differire nel tempo l’esperimento dell’azione di annullamento.

7. L’appello è pertanto accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, il ricorso originario è dichiarato inammissibile in quanto tardivo.

8. La decisione, investendo la stessa proponibilità dell’azione annullatoria rende inutile l’esame di tutte le altre questioni sollevate, in rito e nel merito.

9. Avuto riguardo alle peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

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