Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-23, n. 201801146

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-23, n. 201801146
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801146
Data del deposito : 23 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/02/2018

N. 01146/2018REG.PROV.COLL.

N. 02763/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2763 del 2017, proposto da:
Saverio Ratta', rappresentato e difeso dall'avvocato G P, con domicilio eletto presso lo studio Maurizio De Filippo in Roma, via Ezio, n. 24;

contro

Comune di Montepaone, non costituito in giudizio;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è ope legis domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, n. 2227/2016, resa tra le parti, concernente l’ordinanza n. 15 del 16 marzo 2016, notificata il 17 marzo 2016, con cui il Comune di Montepaone ha ordinato al ricorrente “lo sgombero dell’ area demaniale di cui alla concessione 5 del 2014, perché abusivamente occupata, la demolizione, a sue cure e spese, di tutte le opere in premessa indicate ed il ripristino dei luoghi, entro novanta giorni dalla notifica” ed ha ingiunto al ricorrente il “pagamento di euro 742,374 per occupazione abusiva dei beni demaniali per gli anni 2015/2016, euro 111,356 alla Regione Calabria quale addizionale regionale del 15%”;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2017 il Cons. Angela Rotondano e uditi per l’appellante l’avvocato Oreste Morcavallo, su delega dell'avv. Pitaro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il signor Saverio Rattà propone appello per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Calabria- sede di Catanzaro, sez, I, 17 novembre 2016, 2227, che ha respinto il suo ricorso avverso l’ordinanza di sgombero di area demaniale e ripristino dello stato dei luoghi, adottata dal Dirigente Responsabile dell’Area Urbanistica del Comune di Montepaone.

2. Ha premesso, in fatto, di essere proprietario dello stabilimento balneare a carattere stagionale denominato “Magna Grecia”, sito nel Comune di Montepaone, realizzato con permesso di costruire n.13 del 19 giugno 2014;
e di aver ottenuto dal suddetto ente, all’esito di un iter procedimentale avviato l’8 marzo 2012, previo rilascio di tutti i titoli abilitativi, comprese le prescritte autorizzazioni paesaggistiche, la concessione n. 5 del 19 giugno 2014.

Tale provvedimento, che gli ha in particolare concesso di “occupare un’area demaniale marittima di metri quadrati 1635,64, situata nel Comune di Montepaone al foglio di mappa n. 10 particella n. 47, allo scopo di realizzare uno stabilimento balneare composto da… il tutto con l’obbligo di corrispondere all’Erario il canone complessivo di euro 4.621, 20, salvo conguaglio da corrispondere in rate annue anticipate…” stabiliva anche che “tale concessione…avrà validità dal 19/06/2014 al 30/09/2019, con limitazione d’uso dell’area per il periodo 1 giugno/30 settembre di ciascun anno”, chiarendo altresì che : “Alla scadenza (31/09/2019) il concessionario dovrà sgomberare a proprie spese l’area occupata asportando i manufatti impiantati e quindi riconsegnare nel pristino stato all’Amministrazione comunale” .

Con nota prot. 956, notificata tramite raccomandata a/r in data 5 febbraio 2016, il Comune di Montepaone gli ha comunicato, ai sensi dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n. 241, l’avvio del procedimento per l’emanazione dell’ordinanza di sgombero e riduzione in pristino dei luoghi;
con la nota prot. 682 del 2 febbraio 2016 del Ministero e delle infrastrutture e dei trasporti si è dato atto del suo deferimento all’Autorità giudiziaria per occupazione abusiva di mq. 174,73 di suolo demaniale marittimo mediante il mantenimento dei manufatti facenti parte del su indicato stabilimento balneare, a seguito di informativa della Guardia Costiera-Ufficio Circondariale Marittimo di Soverato.

Con ordinanza 15 del 16 marzo 2016, emanata dal dirigente dell’Area Urbanistica del Comune di Montepaone, è stato disposto lo sgombero dell’area demaniale di cui alla concessione 5 del 2014, perché “abusivamente occupata”, ordinandogli di provvedere alla “demolizione, a sue cure e spese, di tutte le opere in premessa indicate ed al ripristino dei luoghi, entro novanta giorni dalla notifica”.

3. Di tale provvedimento, nonché di ogni altro atto prodromico, presupposto o conseguenziale, l’interessato ha chiesto l’annullamento con ricorso notificato l’11 maggio 2016, deducendone l’illegittimità per violazione della concessione demaniale n. 5 del 2014 del Comune di Montepaone, del permesso edilizio n. 13 del 2014, dell’art. 1161 Cod. Navigazione, dell’art. 8 del d.P.R. 6 giugno 2011, n. 380 del 2001 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia edilizia” , nonché per eccesso di potere per illogicità manifesta, falsità dell’atto presupposto, assenza di motivazione, ingiustizia manifesta.

Si sono costituiti nel giudizio di primo grado il Comune di Montepaone e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, domandando il rigetto del ricorso perché infondato, in fatto e in diritto.

Con ordinanza n. 244 del 16 giugno 2016, il Tribunale adito ha sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato, in considerazione del pregiudizio che sarebbe derivato all’istante dalla demolizione delle opere proprio nell’imminente avvio della stagione balneare.

4. Con la sentenza segnata in epigrafe il T.A.R., ritenendo l’infondatezza dei motivi di censura sollevati, ha respinto il ricorso, disponendo la compensazione delle spese di giudizio.

5. Tale sentenza è stata impugnata dal signor Rattà, il quale ne ha dedotto l’erroneità e ne ha domandato l’annullamento perché asseritamente inficiata da plurimi errori di diritto, in particolare per i seguenti motivi: violazione del titolo concessorio;
errata interpretazione dell’autorizzazione paesaggistica e mancanza assoluta di interpretazione autentica;
errata interpretazione del rapporto tra concessione demaniale, permesso a costruire e autorizzazione paesaggistica;
violazione ed errata interpretazione del d.P.R. 380 del 2001;
violazione ed errata interpretazione dell’art. 1161 Cod. Navigazione;
violazione ed errata interpretazione dell’art. 142 del d.lgs. 42 del 2004 e dell’autorizzazione paesaggistica;
legittimità dell’occupazione demaniale;
ingiustizia manifesta- lesione dell’affidamento.

Si è costituito in giudizio per resistere al gravame il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Con ordinanza cautelare dell’8 giugno 2017 questa Sezione ha disposto la sospensione dell’efficacia dell’impugnata sentenza “visto il carattere di non agevole intellegibilità del parere della Soprintendenza presupposto dell’ordine di sgombero e ritenuta la prevalenza al momento dell’interesse del concessionario in vista dell’inizio della stagione balneare”.

6. All’udienza del 19 dicembre 2017 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. L’appellante formula avverso la sentenza impugnata molteplici censure.

In primo luogo, a suo avviso, la pronunzia sarebbe erronea e meritevole di riforma nella parte in cui afferma che “la concessione è stata rilasciata sulla base di autorizzazione paesaggistica dell’Amministrazione provinciale di Catanzaro, preceduta dal parere della Soprintendenza” . Il giudice di prime cure in effetti non avrebbe colto la totale autonomia del provvedimento concessorio, che non è stato emanato sulla base di alcuna autorizzazione paesaggistica né risulta subordinato a quanto da tale autorizzazione disposto;
inoltre il giudice sarebbe incorso in errore di fatto sul contenuto del provvedimento impugnato lì dove aveva indicato che l’ordine di demolizione riguardava soltanto alcuni manufatti facenti parte dello stabilimento, mentre tale ordine concerneva, invece, l’intero stabilimento nel suo complesso.

Il T.A.R. Catanzaro avrebbe poi, ad avviso dell’appellante, fornito un’interpretazione errata, oltre che contraria al principio di proporzionalità e ingiustamente sfavorevole al privato, dell’autorizzazione paesaggistica n. 29076 del 2014;
ciò per aver ritenuto sulla base della stessa che l’ “intervento”, costituente oggetto dell’obbligo di rimozione al termine della stagione balneare, fosse l’intero stabilimento nel suo complesso. Secondo tale tesi, l’ordine di demolizione adottato dal Comune, ritenuto legittimo dal giudice di prime cure, sarebbe fondato esclusivamente sull’ inesatta e non corretta interpretazione del termine “intervento” , trascritto nelle condizioni di autorizzazione paesaggistica dell’Amministrazione provinciale: di tale termine e della relativa prescrizione, tuttavia, né l’Amministrazione provinciale, né la Soprintendenza avevano mai fornito un’interpretazione autentica.

Il termine “intervento” ivi contenuto andava, invece, correttamente riferito, sempre secondo l’appellante, a specifici corpi e strutture da rimuovere ed inteso come modifica apportata ad un edificio o fabbricato già esistente;
in particolare, doveva correlarsi alla schermatura con essenze arboree della rampa per disabili. In tesi, apparirebbe logico ritenere, contrariamente all’interpretazione fornita dalla sentenza impugnata, che la Soprintendenza avesse inteso rilasciare l’autorizzazione paesaggistica per lo “stabilimento balneare smontabile” con due uniche prescrizioni, di schermare la rampa per disabili e di rimuovere l’intervento di schermatura a fine stagione.

Ciò sarebbe del resto confermato, sempre secondo l’appellante, dalla circostanza che l’Amministrazione non aveva mai richiesto, nel corso degli anni, lo smontaggio dello stabilimento balneare, così determinando una situazione di legittimo affidamento in relazione all’esercizio dell’attività imprenditoriale in oggetto per tutta la durata del titolo concessorio e circa la possibilità effettiva di mantenimento delle strutture realizzate, assentite in virtù dei titoli rilasciati, anche successivamente al termine della stagione balneare.

Il provvedimento impugnato arrecherebbe pertanto un concreto vulnus ai principi generali di certezza del diritto e stabilità dei rapporti giuridici, in virtù dei quali una situazione di vantaggio - assicurata ad un privato da un atto specifico e concreto dell’autorità amministrativa - non può essere successivamente rimossa, salvo indennizzo della posizione acquisita;
sicché l’ordine di sgombero e demolizione non poteva fondarsi esclusivamente, come invece avvenuto, sul ripristino della legalità asseritamente violata, senza tenere in alcun conto, nella comparazione con l’interesse pubblico in concreto perseguito dall’Amministrazione, anche i contrapposti interessi privati, coinvolti nella fattispecie e, in modo del tutto immotivato e arbitrario, sacrificati.

La sentenza impugnata conterrebbe, altresì, una non condivisibile interpretazione del rapporto tra concessione demaniale, permesso a costruire e autorizzazione paesaggistica, ed avrebbe errato nel ritenere che il provvedimento concessorio e l’autorizzazione paesaggistica siano atti del tutto dipendenti l’uno dall’altro, così arricchendo ed implementando le condizioni alle quali la prima era stata rilasciata anche di quella, ulteriore, di rispettare le prescrizioni dell’autorizzazione, pur in assenza di un’espressa previsione in tal senso contenuta nel titolo concessorio.

Parimenti illogica e destituita di fondamento sarebbe l’affermazione, pure contenuta nella sentenza appellata, in base alla quale i termini “uso” e “occupazione” avrebbero carattere polisemico e significato sostanzialmente equivalente, senza distinguere, come statuito da altra giurisprudenza di merito (anche dello stesso giudice di prime cure), tra le due situazioni aventi ad oggetto il bene demaniale. Con il rigetto del ricorso il tribunale avrebbe incomprensibilmente omesso di considerare che l’occupazione dell’area demaniale de qua , oggetto di titolo concessorio rilasciato all’appellante, è illimitata, piena, stabile e continua per tutta la sua durata, prescrivendo la sola limitazione d’uso dell’area “per il periodo 1 giugno-30 settembre di ciascun anno” ;
sicché il giudice di prime cure avrebbe errato nel non distinguere tra l’occupazione del bene demaniale, non limitata temporalmente dal Comune, e quella dell’uso del medesimo bene, temporalmente limitata ai soli mesi estivi.

Infine, la pronunzia impugnata sarebbe inficiata da errores in iudicando per violazione di molteplici norme di legge, e segnatamente: dell’art. 35 del d.P.R. 380 del 2001, che circoscrive la sanzione della demolizione alle ipotesi di assenza del permesso edilizio, ovvero di totale o parziale difformità del medesimo, lì dove nel caso di specie sussiste regolare permesso edilizio;
dell’art. 1161 Codice della Navigazione, che prescrive quali sono i casi, qui non ricorrenti, in cui l’occupazione del demanio può dirsi abusiva;
dell’art. 142 del D.Lgs.vo 42 del 2004 e dell’autorizzazione paesaggistica, lì dove ha ritenuto che l’intervento rimovibile si riferisse allo stabilimento nel suo complesso e non già alla passerella per i disabili e alla schermatura di essenze arboree dislocate lungo l’arenile.

8. I motivi di appello, che per la loro intima connessione si prestano ad una trattazione congiunta e unitaria, sono infondati e devono essere respinti.

Con il primo mezzo di impugnazione l’appellante si duole che la pronuncia impugnata avrebbe indebitamente operato una confusione tra le prescrizioni contenute nel titolo concessorio e quello dell’autorizzazione paesaggistica, omettendo di considerare l’autonomia dei provvedimenti.

La doglianza non coglie nel segno.

La Sezione rileva come non sussista, infatti, l’addotta violazione della concessione demaniale rilasciata all’appellante: in tale provvedimento viene espressamente richiamata l’autorizzazione paesaggistica prot. n. 29076 emessa in data 20 maggio 2015 dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro - Settore Protezione Civile e Geologico - Servizio Autorizzazioni Paesaggistiche;
se ne inferisce che il titolo concessorio, rilasciato in relazione ad un’area demaniale soggetta a vincolo ambientale-paesaggistico ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 42 del 2004 (come evidenziato pure nell’ordinanza impugnata), sia sottoposto ai limiti e alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione paesaggistica;
sicché pienamente condivisibile appare l’altro argomento, valorizzato dal giudice di prime cure, in ordine alla necessità di integrare il contenuto della concessione con quello dall’autorizzazione paesaggistica.

Né sussiste alcuna contraddizione tra i contenuti, in termini di diritti riconosciuti e obblighi imposti al titolare, tra i due provvedimenti in questione: invero il titolo concessorio espressamente contemplava un uso temporalmente limitato dell’area (circoscritto al periodo 1 giugno-30 settembre di ciascun anno), in piena conformità alle prescrizioni paesaggistiche che imponevano la rimozione delle strutture, realizzate sull’area in oggetto, al termine di ogni stagione balneare.

In relazione a tale profilo, è stato più volte chiarito come pur consentendo, in astratto, il titolo urbanistico il mantenimento per l’intero anno di strutture, funzionali alla balneazione, l’autorizzazione paesaggistica può comunque imporre che strutture, anche precarie, collocate in uno stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva (Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013, n. 4642).

Inoltre, in tema di autorizzazione paesaggistica, il parere della Soprintendenza è vincolante (art. 146 del D.Lgs. 22 gennaio 2014, n. 42 recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio” ), tanto da costituire “atto distinto e presupposto della concessione o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio” (art. 146, comma 8, D.lgs. 42 del 2004).

In relazione poi alla dedotta violazione del permesso edilizio, giova evidenziare come il provvedimento impugnato non sia affatto volto a contestare la realizzazione di interventi in assenza del permesso di costruire, bensì l’abusiva occupazione di un’area demaniale. Il riferimento a presunte violazioni della normativa edilizia, con riferimento ad opere realizzate in assenza di titolo abilitativo o in difformità totale o parziale dallo stesso, non trova invero riscontro nella lettura del provvedimento impugnato. In esso si fa esclusivamente riferimento a norme del d.P.R. 380 del 2001, quali l’art. 8 (che disciplina gli interventi edilizi da parte dei privati sulle aree demaniali), l’art. 27 (che attribuisce la vigilanza sull’attività urbanistica al responsabile del competente Ufficio Comunale) e gli articoli 31 e 35 (che concernono i lavori eseguiti sulle aree di proprietà dello Stato e degli Enti Pubblici: tutte norme riconducibili allo specifico oggetto della contestazione, come sopra indicato).

Invero emerge chiaramente dalla produzione documentale in atti che il Comune si è limitato ad adottare un atto vincolato, privo di profili di discrezionalità, all’esito degli accertamenti condotti dalla Guardia Costiera- Ufficio Circondariale Marittimo di Soverato, culminati nella nota del 3 febbraio 2016 nella quale si segnalava l’occupazione abusiva di mq 174, 37 circa di suolo demaniale marittimo da parte del signor Rattà mediante il mantenimento dei manufatti dello stabilimento balneare avente carattere stagionale.

Alla luce dell’inconsistenza dei motivi sopra esaminati diventa dirimente, come bene osservato nella sentenza impugnata, il tema dell’interpretazione del termine “intervento” contenuto nell’autorizzazione paesaggistica: ciò al fine di verificare se esso sia riferibile a corpi o a strutture specifiche o determinate (la schermatura della rampa per i disabili), come dedotto dall’appellante, ovvero allo stabilimento balneare nel suo complesso, secondo l’interpretazione accolta dal T.A.R.

La Sezione condivide tale seconda prospettazione.

In tal senso depone, in primo luogo, il tenore letterale del provvedimento autorizzatorio condizionato al rispetto delle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza. Infatti il titolo abilitativo in oggetto così disponeva “si rilascia l’autorizzazione paesaggistica ai sensi del d.lgs. 42 del 22 gennaio 2004 relativamente allo stabilimento balneare smontabile di che trattasi di cui agli elaborati trasmessi, alle seguenti condizioni imposte dalla Soprintendenza: - al fine di migliorare l’inserimento dell’opera nel contesto tutelato, la rampa in legno dei disabili sia opportunamente schermata con essenze arboree sempre verdi, in appositi vasi;
-l’intervento sia rimosso a fine stagione balneare”.

E’ evidente come i due profili (rispettivamente concernenti la schermatura della rampa e la rimozione dell’intervento al termine della stagione) siano riportati in periodi autonomi.

Tale aspetto è ancor più accentuato nel parere favorevole della Soprintendenza recepito dall’autorizzazione paesaggistica, ove i due periodi in esame sono nettamente distinti e finanche riportati in autonomi capoversi.

Per “intervento”, quindi, non può intendersi la sola rampa per disabili: in tale ipotesi, non vi sarebbe stata necessità di una duplice e separata elencazione delle prescrizioni, ma ogni disposizione sarebbe stata enunciata esclusivamente nel primo paragrafo, concernente soltanto tale specifica struttura.

Inoltre, ulteriore conferma in merito alla correttezza di siffatta interpretazione si ricava dallo stesso oggetto dell’autorizzazione paesaggistica, espressamente riferito al “Progetto relativo alla realizzazione di uno stabilimento balneare smontabile nella frazione Marina del Comune di Montepaone” ;
sicché tutte le strutture autorizzate devono ritenersi necessariamente precarie e non permanenti.

Ad ogni modo la corretta esegesi della prescrizione in oggetto non può essere disgiunta dal tenore e dal contenuto del provvedimento nel suo complesso. Nella premessa dell’autorizzazione si legge, infatti, “vista la certificazione rilasciata dal comune di Montepaone in data 19 dicembre 2013 nella quale si dichiara che sull’area dell’intervento non esistono vincoli inibitori di cui alla legge”, facendosi evidente riferimento all’area sulla quale sarebbe sorto l’intero stabilimento, e non già soltanto a specifici manufatti. Allo stesso modo si deve ragionevolmente ritenere che lì dove la Soprintendenza, nell’imporre le condizioni, ha prescritto la rimozione dell’intervento, abbia in realtà inteso usare il termine in questione con il medesimo significato, facendo riferimento, anche in tale ipotesi, all’intero stabilimento balneare.

Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha inteso che l’ “intervento” “oggetto di rimozione al termine della stagione estiva dovesse riferirsi alla struttura balneare nella sua interezza, in considerazione del vincolo paesaggistico-ambientale esistente sull’area oggetto di concessione.

Siffatta prescrizione non è contraddetta dal (ed anzi è conforme al) contenuto del titolo concessorio ove si stabilisce la limitazione temporale dell’uso autorizzato dell’area demaniale.

La suddetta autorizzazione, adeguatamente motivata, non risulta neppure contraria ai principi di ragionevolezza e proporzionalità atteso che i contesti, estivo e invernale, in cui gli stabilimenti si inseriscono sono differenti, con il conseguente differente impatto del manufatto proprio in relazione al differente periodo che viene in rilievo;
sicché, come condivisibilmente affermato da questo Consiglio di Stato, “il carattere stagionale dell’atto di assenso si giustifica anche alla luce di un complessivo bilanciamento degli interessi rilevanti e in considerazione del rilievo che l’incidenza sull’ambiente è comunque temporalmente limitata” (sez. VI, 7 settembre 2012, n. 4759).

Ad ogni modo, tale provvedimento autorizzatorio non è stato impugnato, né ha costituito oggetto di specifica contestazione da parte dell’appellante.

E’ pertanto infondata la doglianza relativa alla presunta violazione dell’art. 142 del d.lgs. 42 del 2004, affermata sulla base di un’erronea e non condivisibile interpretazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione paesaggistica.

Neppure sussiste l’addotta violazione dell’art. 1161 del Codice della Navigazione. Tale norma sancisce l’abusiva occupazione del demanio marittimo a carico di “chiunque non osserva i vincoli cui è assoggetta la proprietà privata” : tra questi vanno sicuramente annoverati anche quelli paesaggistici e ambientali.

Non può ritenersi configurabile, altresì, alcuna violazione del d.P.R. 380 del 2001: se è vero che l’appellante era titolare del diritto di occupare l’area demaniale in forza di regolare concessione, l’esercizio di tale diritto avrebbe, tuttavia, dovuto svolgersi in conformità delle prescrizioni ambientali insistenti sull’area oggetto del titolo concessorio.

Invero è irrilevante la distinzione, formulata dall’appellante, tra le situazioni giuridiche di occupazione e uso del bene demaniale. Tale differenziazione deve, infatti, ritenersi superata in ragione dei vincoli ambientali e paesaggistici insistenti sull’area e delle prescrizioni a tutela di tali vincoli che consentivano l’effettivo uso, temporalmente circoscritto alla stagione balneare, di un manufatto autorizzato solo in quanto “smontabile” e precario.

Si aggiunga poi che i termini occupazione e uso, come bene rilevato dal giudice di prime cure, sono polisemici e vengono usati, nel caso di specie, in maniera equivalente: con l’ovvia conseguenza che il Comune ha concesso di occupare il demanio per un certo numero di anni e, nell’ambito di tale occupazione, ne ha consentito l’uso in un periodo stagionale;
sicché lì dove la concessione limita stagionalmente l’uso deve intendersi allo stesso modo temporalmente limitata anche l’occupazione che a quell’uso è funzionale.

Inoltre la prescrizione, contenuta nella concessione, di provvedere allo sgombero e alla restituzione in pristino dell’area alla scadenza della concessione è obbligazione indipendente, distinta e non sovrapponibile alle altre prescrizioni contenute nel provvedimento concessorio.

Ad ogni modo essa non incide, escludendola, sull’autonoma prescrizione, discendente dall’autorizzazione e dalla concessione che la richiama per relationem , di rimuovere l’intervento, ovvero i manufatti, al termine dell’uso consentito. Tale uso necessariamente coincide con il termine della stagione balneare.

L’appellante non può, pertanto, invocare vulnus o lesioni al legittimo affidamento asseritamente ingenerato dalla condotta dell’Amministrazione che mai, nel corso degli anni, aveva inteso richiedere di effettuare lo smontaggio dei manufatti e il ripristino dello stato dei luoghi, evitando così di imporgli un sacrificio patrimoniale sproporzionato e illogico. Invero l’obbligatorietà della rimozione dello stabilimento al termine della stagione balneare discendeva dal chiaro tenore dei provvedimenti (concessione, autorizzazione paesaggistica, parere con prescrizioni della Soprintendenza), ben conosciuti dall’appellante e mai da questi impugnati, bensì soltanto deliberatamente disattesi da quest’ultimo. Non è, pertanto, invocabile alcun legittimo affidamento: l’appellante aveva infatti l’obbligo giuridico di svolgere la propria attività imprenditoriale, in forza dei titoli abilitativi rilasciati a suo favore, nel rispetto dei vigenti vincoli e delle relative prescrizioni a tutela dei medesimi.

L’ordinanza di sgombero e demolizione adottata dal Comune è dunque legittima per le ragioni sopra evidenziate;
destituita di fondamento è poi la censura relativa all’assenza di motivazione del provvedimento impugnato, che indica compiutamente tanto le norme violate tanto i presupposti, di fatto e di diritto, che ne hanno determinato l’adozione.

9. Dall’infondatezza delle doglianze formulate nell’atto di appello consegue la reiezione dell’impugnazione proposta.

Restano assorbiti i restanti motivi comunque inidonei a fondare una pronunzia di tipo diverso.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

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