Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-05-09, n. 202404163

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-05-09, n. 202404163
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404163
Data del deposito : 9 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/05/2024

N. 04163/2024REG.PROV.COLL.

N. 01392/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1392 del 2023, proposto da
Mistery S.r.l., Desirèe 2012 S.r.l., Hilary S.r.l., Roma Capitale Real Estate S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 09072/2022, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista la nota depositata in data 5 aprile 2024 con la quale la parte ricorrente ha chiesto il passaggio in decisione della causa senza preventiva discussione;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 il Cons. Marco Valentini, nessuno è presente per le parti;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Avanti il giudice di prime cure le originarie ricorrenti, odierne appellanti, hanno chiesto l’annullamento della Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 29 assunta nella seduta pubblica del 28/3/2018 con cui sono state approvate modifiche al Regolamento delle Attività Commerciali sulle Aree Pubbliche, approvato con Deliberazione di A.C. n. 30/2017, nella parte di cui infra (segnatamente l'art. 52 ove prevede un nuovo procedimento per la conversione delle autorizzazioni c.d. “anomale”), in uno agli atti presupposti, connessi e conseguenziali.

Il primo giudice ha respinto il ricorso.

In particolare, il primo profilo di doglianza, che censura l’esistenza di un termine di scadenza (in tesi, errato, in quanto non ancorato alla data di pubblicazione dell’atto regolamentare, bensì di quella dell’adozione della delibera) è stato ritenuto dal TAR inammissibile per carenza di interesse, atteso che nella circostanza le ricorrenti non hanno subito decadenza alcuna per mancata osservanza di quel termine.

Quanto alla necessità di un rinnovo a domanda del titolo, stigmatizzato dalle ricorrenti, come già affermato dallo stesso TAR in materia di c.d. licenze anomale rilasciate dal Comune di Roma, nella materia in questione la posizione degli operatori non può ritenersi, per così dire, cristallizzata e non soggetta a variazioni.

I titoli in considerazione sono qualificati, nell’ambito della stessa regolamentazione comunale, come “anomali” proprio in quanto non rientranti strettamente nelle tipologie disciplinate dapprima dalla legge n. 112/1991 e poi dal d. lgs n. 114/1998, cioè a posto fisso o itinerante.

La stessa Amministrazione ha individuato, evidenzia ancora il TAR, una serie di categorie di licenze da annoverarsi fra quelle da definirsi "anomale".

Tale classificazione era già contenuta in atti risalenti dell’Amministrazione e richiamata in vari atti successivi.

Proprio la condizione letteralmente qualificata di anomalia degli operatori interessati spoglia, evidenzia il TAR, di manifesta fondatezza qualsiasi censura di legittimità costituzionale relativa a pretesa lesione del principio di eguaglianza con operatori che non versano in tale condizione.

Infine, ad avviso del primo giudice le censure che richiamano il termine di scadenza delle autorizzazioni, in relazione a quanto previsto dalla c.d. Direttiva Bolkenstein per le concessioni, al 31 dicembre 2018, devono ritenersi improcedibili.

Infatti, in relazione all’art. 181, comma 4 bis d.l. n. 34/2020, convertito dalla legge n. 77/2020, l’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 17 e n. 18 del 2021, ha affermato, tra l’altro, il principio di diritto secondo il quale sussiste il dovere di non applicazione delle disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni, in quanto illegittime per contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Il dovere di disapplicazione si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, anche in caso di direttiva “self-executing”.

Nelle sentenze richiamate, sottolinea il TAR, si è poi evidenziato come sia indiscutibile che i posteggi per l’esercizio del commercio, nel comune di Roma Capitale, siano un bene limitato.

Lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza Ad. Plen. n. 18/21, ai fini della scarsità delle risorse a cui è correlata l’applicazione della direttiva 2006/123/CE, ha valorizzato i profili del limitato contesto territoriale di riferimento, dell’assenza di ulteriori concessioni assentibili e della potenziale diffusività della domanda.

Considerato dunque che la direttiva 2006/123/CE “Bolkestein” è “self executing” e che, comunque, il settore del commercio in aree pubbliche rientra nell’ambito di applicazione della stessa, si impone l’indizione di gare pubbliche a tutela della concorrenza per il mercato, materia “trasversale” che è suscettibile di trovare applicazione in vari settori dell’ordinamento nazionale, tra cui deve senz’altro farsi rientrare quello delle concessioni di parcheggi a rotazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche per altro caratterizzati anch’essi, come già detto, dalla scarsità delle concessioni assentibili,

Avverso la sentenza impugnata in data 15 febbraio 2023 è stato depositato ricorso in appello.

Nell’udienza pubblica del 9 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In sede di appello, è stato riproposto il motivo di impugnazione dedotto in primo grado:

violazione di legge (art. 27 e 28 d.lgs. 114/98 – l.r. Lazio n. 33/1999 – intesa stato-regioni di cui alla conferenza unificata del 5/7/2012 – delibera di giunta regionale del lazio n. 417/2014 – deliberazione di g.r. Lazio n. 139/2003) – eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, travisamento di fatto, disparità di trattamento e violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento dell’attività amministrativa

La regolamentazione in parola sarebbe illegittima in quanto prevede l’incombente per l’operatore titolare di autorizzazione “anomala” di presentazione di apposita domanda da presentare “entro 30 giorni dall’approvazione della presente delibera”.

La deliberazione gravata è stata approvata in data 28 marzo 2018, mentre è stata pubblicata (e quindi portata a legittima conoscenza dei destinatari) solamente dal 17/4/2018 al 1/5/2018: atteso che la procedura di conoscenza e conoscibilità dell’atto amministrativo si completa con l’ultimo giorno della sua pubblicazione, ne discenderebbe che tale deliberazione sarebbe stata validamente portata a conoscenza dei destinatari l’1/5/2018, e da tale data dovrebbero quindi discendere i termini per l’eventuale proposizione della domanda di conversione, e non dalla data di approvazione della deliberazione.

Inoltre, sarebbe illegittima la previsione della presentazione della domanda di conversione a cura dell’operatore titolare di autorizzazione “anomala”, il quale avrebbe diritto di vederla convertire in licenza a posto fisso, mantenendo sostanzialmente il contenuto del titolo originario, e ciò anche senza necessità di istanza, dovendo l’Amministrazione provvedervi d’ufficio, non sussistendo nessuna norma autorizzativa per l’Amministrazione a disporre la “decadenza” del titolo in caso di rigetto dell’istanza, ovverosia qualora il posteggio indicato o richiesto dall’interessato sia ritenuto non concedibile (o non più concedibile) dall’Amministrazione, né qualora non sia accettata una collocazione limitrofa, non potendo l’operatore essere privato della possibilità di esercitare l’attività economica per il quale è regolarmente autorizzato senza che sussistano motivi ostativi.

Ed ancora, le autorizzazioni in via generale non avrebbero scadenza, al contrario delle concessioni che sono rilasciate per un arco temporale ben definito, come attestato anche dalla legislazione di cui al d.lgs. n. 59/2010 che prevede, in applicazione della c.d. “Direttiva Servizi” della CE, la scadenza di tutte le concessioni in vigore ed il divieto di rinnovo automatico delle concessioni stesse, la quale parla esclusivamente di “concessioni”, e non di autorizzazioni, che non potrebbero né scadere né decadere a meno che non siano collegate ad una concessione scaduta o decaduta.

Si lamenta poi:

illogicità della sentenza

Il TAR, secondo le appellanti, nulla motiva circa la illogica successione delle norme regolamentari contestate di cui all’art. 52 del Regolamento impugnato.

La medesima Amministrazione Capitolina, un anno prima dell’approvazione della norma impugnata, approvava con la Deliberazione n. 30 del 1/6/2017 un’altra procedura di “conversione d’ufficio” delle autorizzazioni anomale, che si sarebbe dovuta risolvere entro il mese di agosto 2017, senza oneri e condizioni a carico degli operatori.

Quasi un anno dopo la scadenza di detto termine, la medesima Amministrazione, secondo le appellanti del tutto illogicamente ed immotivatamente, approva una nuova procedura di conversione prevedendo degli oneri a carico dei titolari nonché altri criteri di conversione.

Si deduce pertanto che il TAR del Lazio non ha correttamente e logicamente motivato circa la previsione di decadenza del titolo allorquando il titolare rifiuti una collocazione limitrofa, in violazione e contraddizione con la procedura sino ad allora prevista.

È evidente, per la parte appellante, che la decadenza del titolo possa avvenire solo nelle ipotesi espressamente previste ed indicate nella norma di legge di riferimento (ossia il d.lgs. n. 114/98 e la L.R. Lazio n. 33/1999, allora in vigore).

Non coglie nel segno il TAR, secondo le appellanti, laddove ritiene legittima la previsione regolamentare in contestazione e allorquando ritiene legittima l’ulteriore previsione di scadenza delle “autorizzazioni” anomale al 31/12/2018, richiamando la normativa di cui alla Direttiva Bolkestein ed i diversi rinvii delle scadenze delle concessioni nei vari anni, nonché richiamando le note sentenze in sede Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 2021.

Tale normativa, nonché l’interpretazione di cui alle citate ultime sentenze, si riferiscono alle autorizzazioni che abbiano già in concessione un posteggio, tanto che la normativa Bolkestein stabilisce la scadenza delle sole “concessioni”, attualmente stabilita al 31/12/2020 ed ora ulteriormente rinviata al 31/12/2023, come statuito da diverse recenti sentenze del TAR Lazio.

A parere delle appellanti, bisogna fare una netta distinzione tra autorizzazioni e concessioni, laddove la scadenza può essere ravvisata solo ed esclusivamente in ordine alla concessione, e non all’autorizzazione.

Ove un’autorizzazione non sia correlata ad una precisa concessione, non se ne può prevedere la sua scadenza in virtù delle norme generali richiamate dal TAR del Lazio nella sentenza oggi gravata. Le autorizzazioni anomale potranno quindi essere revocate o decadute per scadenza solo se la concessione sottostante e connessa all’autorizzazione sarà ritenuta scaduta. È evidente che le autorizzazioni anomale in parola non avevano alcuna concessione al 2020, né ce l’hanno tuttora, tantomeno avevano concessioni scadute entro tale data. Pertanto la previsione di scadenza siccome prevista dalla previsione regolamentare in contestazione è erronea a va annullata.

L’appello è infondato.

Il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi da quanto statuito dal giudice di prime cure, in relazione all’unico motivo di ricorso proposto in primo grado. Le censure dedotte con l’appello non contengono argomenti idonei a contraddire l’ampia e persuasiva motivazione sviluppata dal TAR.

Ha ragione infatti il primo giudice nel non ravvisare i prospettati profili di illegittimità nella deliberazione impugnata, con riferimento ai previsti termini per la presentazione della domanda di conversione del titolo autorizzatorio.

Non emerge, infatti, alcuna sanzione dacadenziale connessa al ritardo nella presentazione dell’istanza. In ogni caso, la previsione di termini procedimentali, non particolarmente gravosi, risulta coerente con i principi generali di buona amministrazione.

Appare ragionevole, poi, la scelta dell’amministrazione di disciplinare un particolare meccanismo di regolarizzazione e rinnovo del titolo, subordinato alla domanda dell’interessato.

L’intervento regolamentare dell’amministrazione capitolina mira a definire l’assetto autorizzatorio delle attività commerciali svolte da soggetti muniti di titoli caratterizzati dalla loro “anomalia”.

Non potrebbe quindi sostenersi che le posizioni dei ricorrenti siano diventate intangibili per il decorso del tempo.

Ha ragione, altresì, il primo giudice, nel non ravvisare lesioni del principio di uguaglianza con gli altri operatori, stante la differenza tra le diverse posizioni – le une individuate dalla legge, le altre, come detto, definite “anomale”- e nel richiamare, infine, le sentenze dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 17 e 18 del 2021, in relazione alle censure, ritenute improcedibili, che richiamano il termine di scadenza delle autorizzazioni, in considerazione della piena applicabilità della direttiva 2006/123/CE “Bolkestein” , come noto “ self executing ”, alla disciplina del commercio in aree pubbliche.

Quanto ai dedotti profili di illogicità della sentenza, il Collegio non ne ravvisa la sussistenza.

Va evidenziato, preliminarmente, che l’eterogeneità della materia e delle posizioni differenziate dei diversi operatori giustificano l’avvertita necessità di intervenire, anche a breve distanza di tempo, con una disciplina amministrativa che si connoti come più appropriata anche in relazione all’osservazione delle problematiche emergenti e della generale condizione di fruibilità dei luoghi cittadini.

Tant’è che nella stessa sentenza impugnata, che pure ha ritenuto il ricorso sorretto dall’interesse alla decisione, in quanto il titolo ottenuto con l’atto indicato costituisce esecuzione dell’atto regolamentare impugnato nel primo giudizio, si dà atto dell’adozione della Determina n. 2170/2021 che ha dettato nuove disposizioni afferenti la materia de qua .

Le restanti censure sono assorbite da quanto detto con riferimento al motivo proposto in primo grado, e riproposto in appello, circa la piena applicabilità della direttiva 2006/123/CE” alla disciplina del commercio in aree pubbliche, alla luce della giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, espressamente richiamata.

L’appello, pertanto, va respinto.

Sussistono nondimeno, in considerazione della peculiarità della causa e dei suoi profili di novità, giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti della presente fase di giudizio.

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