Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-09-11, n. 201404651

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-09-11, n. 201404651
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404651
Data del deposito : 11 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06406/2011 REG.RIC.

N. 04651/2014REG.PROV.COLL.

N. 06406/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6406 del 2011, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. F G, con domicilio eletto presso Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 00978/2011, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio in esito ad un procedimento disciplinare - (ris.danni)


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, contenente anche appello incidentale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2011 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Resta su delega di Greggio e l’avvocato dello Stato Saulino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, all’epoca dei fatti dipendente della Polizia di Stato con qualifica di ispettore, è stato destinatario nell’anno 2002 di un provvedimento disciplinare di destituzione, dopo una lunga fase di sospensione cautelare. Il provvedimento è stato annullato dal T.A.R. Veneto con sentenza n. 3535/2005, e il procedimento disciplinare non è stato rinnovato.

A seguito di questi fatti, l’amministrazione ha disposto la riammissione in servizio dell’interessato (provvedimento 21 marzo 2006), disponendo contestualmente – in considerazione della prolungata assenza dal servizio – che venisse previamente sottoposto all’accertamento dell’idoneità psico-fisica ed attitudinale ai servizi d’istituto.

Questo atto – insieme ad alcuni atti connessi - è stato impugnato dall’interessato davanti al T.A.R. Veneto (R.G. n. 1259/2006), essenzialmente con l’argomento che in sede di esecuzione della sentenza che aveva annullato la destituzione l’impiegato non poteva essere assoggettato agli accertamenti in questione, essendo questi previsti solo al momento dell’assunzione.

2. In pendenza del giudizio così introdotto davanti al T.A.R. Veneto (con sospensiva respinta) sono stati effettuati gli accertamenti di idoneità, con esito sfavorevole all’interessato. Con atto del 28 novembre 2006 l’amministrazione ha dichiarato definitivamente cessato “per inidoneità” il rapporto di servizio dell’interessato con decorrenza dal 27 ottobre 2006 (data del giudizio tecnico di inidoneità).

Lo stesso provvedimento ha statuito riguardo alle spettanze retributive e contributive dell’interessato, con riferimento ai vari periodi nel corso dei quali (a motivo di sospensione cautelare, destituzione, etc.) non vi era stata prestazione del servizio. In dettaglio, il provvedimento prevedeva la restitutio in integrum dal 20 novembre 1998 (inizio della mancata prestazione per sospensione cautelare) fino al 13 maggio 2003 (data di un precedente giudizio di inidoneità assoluta al servizio, non impugnato).

3. L’atto sopravvenuto è stato impugnato davanti al T.A.R. Veneto con “motivi aggiunti” al ricorso già pendente (R.G. 1259/2006) e contemporaneamente con un ricorso autonomo, di uguale tenore (R.G. n. 388/2007).

Il T.A.R. Veneto, con sentenza n. 978/2011, ha riunito i due ricorsi;
quindi ha dichiarato inammissibile il secondo, quale inutile duplicazione dei “motivi aggiunti” proposti relativamente al primo ricorso.

Nel merito, il T.A.R. ha così deciso:

(a) ha rigettato l’impugnazione, nella parte in cui investiva la determinazione di sottoporre l’interessato agli accertamenti attitudinali: infatti ha osservato che «non esiste, infatti, alcuna preclusione a che l'Amministrazione sottoponga a nuova visita attitudinale il dipendente prima di riammetterlo in servizio dopo un periodo di lunga assenza, dal momento che si provvede alla (re)instaurazione di un rapporto di impiego rispetto al quale ragioni di pubblico interesse, da valutarsi discrezionalmente da parte dell'Amministrazione, possono e debbono imporre di verificare il persistere dei requisiti occorrenti per l'espletamento del servizio nella Polizia di Stato» e che «pertanto, l'Amministrazione dell'interno è legittimata a sottoporre ad accertamenti psico-fisici ed attitudinali i dipendenti che, come l’odierno ricorrente, rientrano in servizio dopo lunghi periodi di assenza» ;

(b) ha rigettato altresì una distinta censura, osservando che in questa luce correttamente gli accertamenti erano stati demandati all’apposito organo centrale avente sede in Roma e non all’Ospedale militare del luogo di residenza;

(c) nondimeno ha giudicato illegittimo il giudizio di inidoneità pronunciato dall’apposita commissione tecnica, per difetto di motivazione;

(d) ha esplicitamente precisato che per effetto di tale giudizio residuava all’amministrazione il potere-dovere di rideterminarsi sulle prove psico-attitudinali sostenute dal ricorrente;

(e) ha giudicato illegittimo il mancato riconoscimento degli arretrati retributivi e contributivi per il periodo dal 14 maggio 2003 al 27 ottobre 2006;

(f) ha compensato le spese del giudizio.

4. L’interessato ha proposto appello a questo Consiglio, contestando la sentenza nella parte in cui essa ha giudicato in senso a lui sfavorevole. Vale a dire nella parte in cui ha ritenuto che l’Amministrazione abbia il potere di sottoporre agli accertamenti psico-attitudinali il personale già in servizio (intendendosi per tale anche chi, come l’attuale appellante, si accinga a riprendere il servizio attivo dopo un lungo periodo di assenza, senza tuttavia che vi sia stata cessazione del rapporto d’impiego) o comunque di farlo con le stesse modalità e gli stessi criteri dettati per i candidati ai concorsi di ammissione all’impiego.

In particolare, la tesi dell’appellante, già sostenuta in primo grado, è che l’Amministrazione potrebbe sottoporre i dipendenti alla verifica della (sola) idoneità psico-fisica – peraltro con modalità diverse da quelle previste per gli accertamenti preliminari all’assunzione in servizio - e non anche di quella attitudinale.

5. L’Amministrazione, da parte sua, ha proposto appello incidentale relativamente a quella parte della sentenza che ha pronunciato favorevolmente all’interessato.

In particolare, l’appellante incidentale deduce:

(a) che la sentenza ha pronunciato ultra petita , perché il vizio del difetto di motivazione non era stato dedotto dal ricorrente;
anzi quest’ultimo non aveva in realtà contestato l’esito della verifica, né per difetto di motivazione né per altro, limitandosi a ribadire le proprie tesi circa l’illegittimità del procedere a verifica;
in ogni caso, l’atto conclusivo era correttamente motivato per relationem agli atti della commissione giudicatrice, dei quali peraltro il ricorrente non aveva chiesto l’esibizione;

(b) che correttamente l’Amministrazione aveva escluso che spettassero gli arretrati per il periodo successivo al 13 maggio 2003 (durante il quale non vi era stata prestazione di servizio) giacché in quella data l’interessato era stato riconosciuto permanentemente inidoneo alla prestazione del servizio, con giudizio medico-legale mai contestato anzi accettato dal dipendente, all’esito di un procedimento di accertamento della causa di servizio per una infermità.

6. Esaminando l’appello principale dell’interessato, il Collegio si ritiene dispensato dal replicare distintamente alle singole argomentazioni, esposte in modo prolisso e disordinato, per lo più non pertinenti all’oggetto del contendere e riferite ad una serie di accadimenti spesso appartenenti ad altre vicende e comunque non rilevanti rispetto alla questione principale che è esclusivamente una questione di diritto – peraltro correttamente individuata dal T.A.R..

7. Per mettere a fuoco la questione essenziale conviene premettere che il ricorrente parte dal presupposto che in occasione dei controversi accertamenti egli abbia superato positivamente le verifiche di idoneità “psico-fisica” e che pertanto il conclusivo giudizio sfavorevole dipenda solo dalle verifiche “attitudinali”.

Partendo da tale presupposto, l’interessato deduce che nel corso del rapporto di servizio un dipendente della P.S. può essere sottoposto solo alla verifica dell’idoneità “psico-fisica” ma non anche di quella “attitudinale”.

La tesi dell’interessato al riguardo si sviluppa sulla base della formulazione letterale del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198, intitolato «Regolamento concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale di cui devono essere in possesso i candidati ai concorsi per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e gli appartenenti ai predetti ruoli» . L’art. 2 concerne specificamente gli accertamenti relativi al personale già in servizio, esplicitamente chiarendo che possono venire disposti a discrezione dell’amministrazione in una serie di ipotesi, fra le quali quella di «specifiche circostanze rilevate d'ufficio dalle quali obbiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio» (ed è questa la previsione normativa che, secondo giurisprudenza consolidata, legittima la procedura di verifica anche nel caso di rientro in servizio dopo una lunga assenza).

L’art. 2 è intitolato «Accertamento dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato» e contiene dunque (al pari dell’intitolazione dell’intero regolamento) un esplicito richiamo a verifiche “attitudinali” (oltre che psico-fisiche) nei confronti del personale della P.S. in servizio. Il testo dell’art. 2, però, menziona in modo esplicito solo gli accertamenti psico-fisici;
e da quest’ultimo dettaglio l’interessato trae argomento per sostenere che l’ordinamento “non” consente verifiche attitudinali nei confronti del personale in servizio.

In buona sostanza, una volta depurato di tutte le digressioni non pertinenti, il ricorso dell’interessato si basa tutto su questo argomento di diritto.

8. La questione così enucleata non è nuova. E’ stata ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza e da ultimo ha formato oggetto del parere di una Commissione speciale consultiva del Consiglio di Stato su quesito del Ministero dell’Interno (parere 4 ottobre 2010, affare n. 2206/2010), che può essere utilizzato come una compiuta “messa a punto” della questione.

Il quesito si riferiva all’interpretazione dell’art. 2 del d.m. n. 198/2003, con riferimento all’ipotesi delle verifiche di idoneità cui sottoporre, se del caso, un dipendente della Polizia di Stato al momento del suo rientro in servizio a seguito dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento disciplinare di destituzione.

Il parere è argomentato con riferimento alla giurisprudenza prevalente delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e contiene ulteriori considerazioni che ne rafforzano le conclusioni.

Per quanto qui interessa, i princìpi affermati nel parere sono i seguenti:

(a) la verifica della permanenza dei requisiti di idoneità del personale della P.S. già in servizio include legittimamente anche il profilo “attitudinale” e non solo quello “psico-fisico”: «nulla osta ad ammettere, sul piano normativo, che l’accertamento dell’idoneità attitudinale possa avvenire in costanza di rapporto ove sussistano peculiari condizioni» ;

(b) «Quanto alle “specifiche circostanze” che possono essere, alla luce del principio del buon andamento dell’azione amministrativa, poste a base obiettivamente della ritenuta necessità di riesaminare l’attitudine al servizio, [può] menzionarsi... l’esistenza di un periodo lungo di assenza dal servizio che possa avere inciso sulla concreta idoneità a prestare servizio» .

9. Questo Collegio condivide pienamente le conclusioni del parere citato, non solo e non tanto in ragione dell’autorevolezza della fonte, quanto perché sono intrinsecamente persuasive e coerenti con il quadro normativo e con la ratio legis .

La legge fondamentale dell’ordinamento della Polizia di Stato (legge n. 121/1981), art. 25, demanda ad apposito regolamento di definire «i requisiti psico-fisici e attitudinali, di cui debbono essere in possesso gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato, che esplicano funzioni di polizia» . La norma è inequivoca nell’accomunare, in unica disciplina, i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali, e non distingue sotto questo profilo fra le verifiche da fare al momento dell’ingresso in carriera e quelle da fare in costanza di rapporto.

D’altra parte, una ipotetica differenziazione – nel senso che i requisiti psico-fisici debbano essere posseduti, e se del caso, accertati, tanto al momento dell’accesso quanto in costanza di rapporto, mentre quelli attitudinali dovrebbero essere sottratti a verifiche in corso di rapporto – non avrebbe alcuna base razionale. Se il sistema contempla il potere-dovere dell’Amministrazione di verificare la permanenza dei requisiti in corso di rapporto, non vi è ragione di distinguere fra i requisiti psico-fisici e quelli attitudinali.

Del resto, anche il regolamento n. 198/2003, come si è visto, contiene espliciti riferimenti alla verifica dei requisiti “attitudinali” (oltre che di quelli psico-fisici) anche per il personale già in servizio: tali riferimenti vi sono nell’intitolazione del decreto e in quella dell’art. 2, e pur non avendo valore normativo in senso stretto, sono certamente rilevanti sul piano interpretativo come indici non equivoci delle intenzioni dell’autorità emanante.

In questo contesto, il fatto che nel testo dell’art. 2 del regolamento manchi una menzione esplicita dei requisiti “attitudinali” non è un elemento significativo che permetta di escludere i requisiti attitudinali dalla disciplina dell’art. 2.

10. L’appellante tuttavia lamenta di essere stato sottoposto alle verifiche attitudinali “come se fosse stato il candidato di un concorso” e dovendo sostenere le stesse prove, ma di averlo dovuto fare individualmente, anziché contestualmente o contemporaneamente ad altri candidati che, in effetti, non vi erano e non potevano esservi (così, almeno, sembra doversi intendere la censura esposta in modo non perspicuo, che parla di una “mancanza del momento collettivo).

Questa censura appare manifestamente infondata e comunque riferita ad un profilo irrilevante, non suscettibile di assurgere a vizio di legittimità, anche perché non si vede in che cosa consisterebbe la lesione, anche da un punto di vista sostanziale. Su questo punto il Collegio non ritiene di doversi dilungare ulteriormente.

Lo stesso si deve dire per la doglianza riferita al fatto che gli accertamenti sono stati compiuti presso l’apposita struttura centrale della Polizia di Stato (Scuola Tecnica di Polizia in Roma) anziché presso un Ospedale militare periferico.

11. Altra questione è se la “prolungata assenza” dal servizio, sia pure per causa non imputabile al dipendente (e cioè, nella presente fattispecie al pari di quella esaminata dal parere n. 2206/2010 del Consiglio di Stato, a motivo di una destituzione disciplinare successivamente annullata dal giudice) rientri fra le speciali circostanze, valutabili discrezionalmente, che possono giustificare l’assoggettamento dell’interessato alle verifiche di idoneità al momento del rientro in servizio.

Conviene sottolineare che la questione così posta si riferisce alla prolungata assenza dal servizio come fatto materiale, e perciò non è pertinente il principio (sul quale pure il ricorrente si diffonde) che per effetto dell’annullamento giurisdizionale della destituzione il rapporto d’impiego si ristabilisce ex tunc con piena ricostruzione della carriera ai fini giuridici e con diritto agli arretrati di stipendio.

Fatta questa premessa, non si può che confermare la sentenza appellata, nel punto in cui ha giudicato che la mancata prestazione di fatto del servizio per la durata di sette anni consecutivi possa essere una ragione sufficiente per giustificare la verifica dei requisiti idoneità al momento attuale. E va messo in evidenza che nella presente vicenda l’Amministrazione non ha messo in dubbio (in linea di massima e salvo l’aspetto particolare di cui si parlerà più avanti) che la cessazione dall’impiego in caso di verifica sfavorevole produca effetto dal momento attuale, fermi restando i diritti dell’impiegato (agli arretrati di stipendio, etc.) per il periodo anteriore, in virtù del principio della restitutio in integrum come conseguenza dell’annullamento della destituzione.

12. L’appello principale dell’interessato va dunque respinto.

Si passa ora all’esame dell’appello incidentale dell’Amministrazione.

13. L’Amministrazione critica la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto nel provvedimento impugnato (cessazione dal servizio per accertata carenza dei requisiti di idoneità) il vizio del difetto di motivazione. L’appellante incidentale sostiene che non era stato formulato un motivo di ricorso in questo senso e che del resto il provvedimento era motivato per relationem sicché sarebbe stato sufficiente acquisire gli atti del procedimento (eventualmente anche a seguito di una richiesta di accesso dell’interessato, che non vi è stata) per conoscere la motivazione effettiva.

Il Collegio ritiene che il motivo di appello così formulato non meriti accoglimento.

E’ vero che il ricorrente in primo grado non aveva articolato specificamente un motivo di ricorso riferito all’assenza di motivazione;
ed è anche vero che non è stata richiesta l’esibizione degli atti del procedimento o quanto meno delle relazioni conclusive degli organi tecnici (peraltro, la difesa dell’Amministrazione avrebbe potuto produrli spontaneamente).

Tuttavia, le critiche del ricorrente agli atti che hanno portato al decreto di cessazione dall’impiego erano state formulate in termini talmente estesi ed omnicomprensivi (con riferimento persino ai più minuti ed irrilevanti dettagli del procedimento) che il difetto di motivazione non vi si può non considerare compreso, se non altro come implicazione logicamente necessaria.

Se questo è vero, l’Amministrazione avrebbe potuto produrre spontaneamente gli atti che, a suo dire, costituivano la motivazione per relationem . Non avendolo fatto, non può dolersi del fatto che quella produzione non sia stata sollecitata.

Peraltro, la sentenza non richiede un nuovo svolgimento degli esami e delle prove, ma solo la riformulazione (motivata) del giudizio finale. Pertanto la decisione, che qui si conferma, non pregiudica il corretto esercizio della potestà amministrativa e della inerente discrezionalità.

14. Il secondo punto dell’appello incidentale contesta quella parte della sentenza che ha dichiarato illegittima l’esclusione degli arretrati, etc., con riferimento al periodo successivo al 13 maggio 2003: data nella quale la Commissione Medica Ospedaliera di Padova ha dichiarato l’interessato «non idoneo permanentemente ed in modo assoluto al servizio nella Polizia di Stato» . Questo giudizio tecnico era stato espresso a conclusione di un procedimento di riconoscimento della causa di servizio, e l’interessato lo aveva sottoscritto per accettazione.

Secondo l’appellante incidentale, quel giudizio medico-legale, formalmente accettato dall’interessato e comunque mai impugnato o altrimenti contestato nel merito, impedisce di considerare utile il tempo decorso successivamente, anche in sede di restitutio in integrum .

Il Collegio osserva che l’art. 38 del d.P.R. n. 686/1957 (regolamento di attuazione del t.u. n. 3/1957 sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato, applicabile al personale della P.S. per quanto non diversamente disposto) disponeva che la Commissione medica incaricata di accertare la causa di servizio si pronunciasse altresì sulla eventuale inabilità permanente dell’impiegato a prestare servizio «al fine di porre in grado l’amministrazione di disporre il collocamento... in quiescenza» . E’ tuttavia quanto meno discutibile che questa disposizione regolamentare consentisse all’amministrazione di disporre la cessazione del rapporto d’impiego per inidoneità fisica, senza l’apposito procedimento di “dispensa dal servizio” con le inerenti formalità e garanzie, disciplinato con norme primarie;
verosimilmente il “collocamento in quiescenza” cui fa cenno l’art. 38 è l’accoglimento della domanda dell’impiegato di essere collocato anticipatamente a riposo in ragione dell’infermità derivante da causa di servizio;
non un provvedimento a danno dell’impiegato, che avrebbe presupposto un procedimento diverso.

A parte ciò, sta di fatto che la disposizione citata non è riprodotta nel regolamento vigente attualmente (e al momento della pronuncia della C.M.O. del 13 maggio 2003) in materia di accertamento della causa di servizio: ossia il d.P.R. n. 461/2001.

Sta di fatto, inoltre, che a tutto concedere l’Amministrazione, avuto il verbale del 13 maggio 2003, avrebbe forse potuto avviare d’ufficio il procedimento di dispensa dal servizio, ma non lo ha fatto né subito, né in seguito. Anzi, disponendo nel 2006 che l’interessato si sottoponesse alle verifiche di cui al d.m. n. 198/2003, ha implicitamente rinunciato ad utilizzare il verbale del 13 maggio 2003 per dichiarare il dipendente “permanentemente non idoneo al servizio” con ciò che ne conseguiva. Se avesse inteso utilizzarlo, non avrebbe avuto motivo di disporre i nuovi accertamenti. In questa prospettiva, il decreto impugnato in primo grado (28 novembre 2006) appare illogicamente contraddittorio nella parte in cui dispone la cessazione dal servizio dal 27 ottobre 2006 (e non dal 14 maggio 2003) e nello stesso tempo esclude il riconoscimento delle spettanze per il periodo successivo al 13 maggio 2003.

Anche sotto questo profilo, l’appello incidentale deve essere respinto.

15. In conclusione, la sentenza appellata va interamente confermata, con rigetto sia dell’appello principale che dell’incidentale. La natura e l’esito della controversia giustificano la compensazione delle spese.

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