Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-05-17, n. 202203910
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Pubblicato il 17/05/2022
N. 03910/2022REG.PROV.COLL.
N. 02686/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2686 del 2022, proposto dall’Agea - Agenzia per le erogazioni in agricoltura, e dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi
ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
l’Azienza Agricola Molaro Lauro, R, M e Giuseppina S.S., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato C S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia n. 394/2021, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento dell’intimazione di pagamento notificata all’azienda appellata per il recupero di somme a titolo di prelievo supplementare “quote latte”.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Agricola Molaro Lauro, R, M e Giuseppina S.S.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2022 il Cons. G P, udito per la parte appellante l’avvocato dello Stato Lorenza Vignato e vista l'istanza di passaggio in decisione depositata dall'avvocato C S;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’azienda agricola qui appellata ha impugnato davanti al Tar per il Friuli Venezia Giulia l’intimazione di pagamento n. 115 del 2021, notificatale in data 12 ottobre 2021, con cui l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ADER) le ha chiesto l’adempimento della cartella di pagamento notificatale il 16 marzo 2015, riguardante il prelievo supplementare sulle consegne di latte (cd. “quote latte”) relativo alle campagne lattiere 1997, 1998, 1999, 2000, 2001 e 2004.
2. A sostegno dell’impugnazione l’azienda ha lamentato:
i) l’illegittimità delle compensazioni effettuate, l’assenza di motivazione e di contraddittorio procedimentale;
ii) il difetto di istruttoria e di adeguata motivazione anche con riguardo al calcolo degli interessi computati.
3. L’adito Tar, preso atto che né Agea né il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali si erano costituiti in giudizio, ha accolto il ricorso ed ha conseguentemente annullato gli impugnati provvedimenti, ritenendo “ dirimente la nullità, rilevabile, come qui è stata rilevata, anche d’ufficio (Consiglio di Stato, sez. III, 15 febbraio 2021, n. 1311), che affligge il provvedimento opposto, in quanto gli atti su cui si fonda il credito oggetto della cartella di cui è sollecitato il pagamento sono stati emessi sulla base di norme interne attributive del potere che i giudici europei hanno dichiarato contrarie a diritto UE e, segnatamente, l’art. 1, comma 8, d.l. 43/1999, convertito in legge 118/1999, e l’art. 1, comma 5, d.l. 8/2000 (Corte di Giustizia UE, VII sezione, 27 giugno 2019 - causa C- 348/18) e l’art. 5, commi 1 e 2, d.l. 49/2003, convertito in legge 119/2003 (Corte di Giustizia UE, II sezione, 11 settembre 2019 - causa C- 46/18) ”.
4. Il Collegio di primo grado, quindi, ha dichiarato la nullità degli impugnati provvedimenti sul presupposto che gli stessi sarebbero stati adottati nell’esercizio di un potere contrario alla disciplina europea. Al contempo, sull’assunto per cui tale vizio comporta la rinnovata valutazione della materia del contendere da parte di AGEA e l’emissione di nuove intimazioni di pagamento, il giudice di primo grado si è astenuto dalla disamina degli ulteriori motivi di merito dedotti dalla ricorrente.
5. La decisione del TAR Friuli Venezia Giulia viene qui impugnata dall’Agea e dal Ministero delle Politiche Agricole, Forestali e Ambientali, sulla base di articolati rilievi, intesi ad evidenziare:
- a) l’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica ad ADER;
- b) in via subordinata, la nullità della sentenza in quanto emessa senza previa estensione del contraddittorio nei confronti della stessa ADER;
- c) nel merito, l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha rilevato d’ufficio la nullità dell’intimazione impugnata, trattandosi al contrario di un profilo di annullabilità, deducibile, per la natura delle questioni poste, nei confronti degli atti accertativi del credito e non di quelli esecutivi;
- d) sempre nel merito, l’erroneità della mancata rilevazione dell’omessa impugnazione di detti atti presupposti e della conseguente inoppugnabilità formatasi sulla materia del prelievo.
6. La parte appellata si è costituita in giudizio e ha replicato alle deduzioni avversarie, anche richiamando i profili censori non esaminati dal giudice di primo grado.
7. La causa è stata trattenuta per la decisione, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., all’udienza camerale del 5 maggio 2022.
8. L’appello è in parte fondato, nei limiti di seguito precisati.
8.1. Le prime due censure sono state risolte dal Tar Friuli Venezia Giulia facendo applicazione della giurisprudenza di legittimità maturata in materia tributaria secondo la quale, in caso di impugnazione di un atto della riscossione per motivi che attengono alla mancata notifica ovvero a vizi degli atti impositivi presupposti, il contribuente può agire indifferentemente contro l'ente impositore ovvero il concessionario per la riscossione;viceversa, quest'ultimo diviene parte necessaria del giudizio nella sola ipotesi in cui l'impugnazione riguardi atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili e, quindi, invalidanti in senso proprio la cartella di pagamento e l'avviso di mora.
8.2. L’impostazione seguita dal primo giudice (ma, come si osserverà, successivamente dallo stesso contraddetta con ulteriori statuizioni intese a deflettere dallo schema impugnatorio a critica specifica sin qui illustrato) è corretta sul piano dei principi e ben si attaglia al caso di specie.
- a) Sotto il primo profilo, occorre segnalare che l’impugnativa in esame ha ad oggetto non l’atto di accertamento del prelievo supplementare – provvedimento tipicamente amministrativo – ma un atto (l’intimazione di pagamento) appartenente alla fase esecutiva della riscossione del prelievo dovuto.
Ebbene, gli atti inerenti a tale seconda fase (cartella esattoriale, intimazione di pagamento), pur devoluti alla giurisdizione esclusiva amministrativa ai sensi dell’art. 133 c.p.a., sono soggetti alle norme, alle preclusioni ed ai principi regolanti quella particolare procedura esecutiva rappresentata dalla riscossione mediante ruolo.
L’art. 8 quinquies del decreto legge 10 febbraio 2009m n. 5 – convertito con legge 9 aprile 2009, n. 33 – ha infatti stabilito che, “ a decorrere dal 1° aprile 2019, la riscossione coattiva degli importi dovuti relativi al prelievo supplementare latte, nei casi di mancata adesione alla rateizzazione e in quelli di decadenza dal beneficio della dilazione di cui al presente articolo, è effettuata ai sensi degli articoli 17, comma 1, e 18, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 ” (decreto, quest’ultimo, recante il “ Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo ”).
- b) Nel caso di specie, oggetto dell’impugnazione è una intimazione di pagamento emessa da ADER a seguito di cartella di pagamento regolarmente notificata e divenuta definitiva.
Quello che viene qui in rilievo non è dunque un autonomo atto impositivo, bensì un invito prodromico all’esecuzione forzata, impugnabile unicamente per vizi propri, salvo il caso (qui non ravvisabile) che non si deduca la mancata notifica della cartella presupposta. Più volte la Corte di Cassazione ha statuito che un'intimazione di pagamento riferita ad una cartella di pagamento notificata e non impugnata può essere contestata solo per vizi propri e non già per vizi suscettibili di rendere nulla od annullabile la cartella di pagamento presupposta ( ex multis , Cass. civ., sez. VI, ord. n. 3743 del 2020).
- c) Stando sempre al caso di specie, i profili asseritamente vizianti l’atto di intimazione sono stati dedotti dalla parte ricorrente come l’effetto derivato di improprie modalità applicative della quota supplementare e di un errato calcolo degli interessi. Essi attengono, quindi, secondo la stessa prospettazione della parte, a tematiche afferenti alla determinazione sostanziale del debitum , non già ad irregolarità proprie della fase esecutiva di competenza del soggetto esattore.
È proprio l’azienda agricola a riconoscerlo, laddove precisa, al fine di confutare l’eccezione in rito della controparte, che “ con riferimento, invece, al calcolo degli interessi e dei periodi sui quali sono stati calcolati, è evidente e notorio che si tratta di attività posta in essere da AGEA, che ha emesso la cartella esattoriale in cui sono indicati anche i calcoli degli interessi, che poi ha trasmesso tutto ad ADER, che si è limitata a riportare i dati trasmessi dalla prima. Sicuramente ADER non è l’autrice né del calcolo del prelievo supplementare, né dei relativi interessi ” (pag. 6 della memoria di costituzione).
- d) E’ pur vero, poi, che in altri passaggi delle sue difese la parte ricorrente eccepisce effetti compensativi che si sarebbero determinati a seguito di trattenute operate solo dopo la notifica del provvedimento di intimazione. Trattasi, tuttavia, anche in questo caso di fatti estranei al contenuto dell’intimazione e della catena causale di atti che l’hanno preceduta, dunque deducibili attraverso l’opposizione all'esecuzione, sede competente a far valere i fatti estintivi o modificativi del diritto del creditore (e tra questi la compensazione) verificatisi posteriormente alla formazione del titolo.
8.3. Al complesso dei rilievi sin qui illustrati, che portano a sottrarre la materia del contendere dall’area di interesse di ADER, la parte appellante non oppone nessun rilievo critico;e, comunque, dalle allegazioni in atti non emerge nessuna ragione specifica che potrebbe far risaltare un vizio dell’atto esecutivo e, per il tramite di questo, un diretto interesse del soggetto esattore ad essere coinvolto nel giudizio, onde poter controdedurre su questioni che interpellano la correttezza del suo operato.
I primi due motivi di appello devono quindi ritenersi, ancor prima che infondati, del tutto inammissibili, in quanto sprovvisti del minimo corredo di “ specifiche censure ” ai sensi dell’art. 101 c.p.a. in grado di incidere sulle condivisibili basi argomentative che, in primo grado, ne hanno determinato, in termini ampiamente esaustivi, la complessiva reiezione.
9. Le considerazioni sin qui svolte si attagliano e risolvono, questa volta nel senso della fondatezza, anche l’ultimo e assorbente motivo di appello.
9.1. In disparte la qualificazione del vizio derivante dal contrasto della norma nazionale con quella comunitaria ed il connesso problema della disapplicabilità d’ufficio della prima, è dirimente considerare, ancora una volta, che tutte le questioni sollevate dalla parte appellata accedono ad una fase dell’azione amministrativa consolidatasi in atti presupposti oramai definitivi.
In quanto concernenti l’ an e il quantum del debito accertato dall'Autorità amministrativa nell'esercizio delle sue potestà pubbliche, le tematiche reiterate nel presente giudizio accedono a posizioni di interesse legittimo (Cass., Sez. Un., ord. nn. 31370 e 31371 del 2018) ed originano da provvedimenti autoritativi, emessi dall'Autorità amministrativa nell'esercizio delle sue potestà pubbliche, come tali soggetti al regime del termine decadenziale che rende definitivo e non più contestabile l’atto non tempestivamente impugnato.
9.2. Il diverso indirizzo interpretativo invocato dall’azienda agricola fa capo a pronunce che - pur affermando la possibilità di disapplicare la fonte interna anticomunitaria anche in difetto di specifiche deduzioni censorie sul punto - esaminano comunque fattispecie in cui il vizio considerato (originato, appunto, dal contrato tra fonti multilivello) colpiva esattamente l’atto in quel giudizio impugnato. Si trattava, in altri termini, di vertenze aventi ad oggetto l’atto impositivo, recante l’accertamento del prelievo supplementare, del quale veniva eccepita la contrarietà (per il tramite della fonte nazionale) rispetto ai regolamenti UE (v. Cons. Stato, sez. III, n. 1311 del 2021 e sez. II, n. 1105 del 2020).
9.3. Nel caso all’esame, al contrario, la definitività dell’imputazione del prelievo preclude la possibilità per il ricorrente di avvalersi degli effetti degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite non valicabile nella formazione della inoppugnabilità dell’atto.
Note e plurime sono, infatti, le prese di posizione del giudice comunitario volte a ribadire la necessità che - nell’ottica di una stabilità del diritto e dei rapporti giuridici - le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili, o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione (Corte giustizia UE sez. X, 6 novembre 2014, n.42;Corte giustizia UE sez. VI, 16 luglio 2020, n. 424) e lo stesso principio riguarda i rapporti esauriti per conseguita inoppugnabilità di un provvedimento autoritativo.
Altrettanto chiara è l’affermazione contenuta in tali pronunce secondo cui il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto.
Le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano, infatti, nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi.
9.4. Nella fattispecie in esame oggetto del contendere è, come esposto, un debito accertato con un provvedimento non più rimuovibile dall’ordinamento per effetto dell’acquiescenza ad esso prestata dalla parte. Del resto, il medesimo TAR Friuli Venezia Giulia, nella sentenza n. 228/2019, emessa a seguito del ricorso proposto dal produttore avverso la precedente intimazione di pagamento (intimazione di cui quella impugnata costituisce il riesame), aveva già riconosciuto come “ ormai intangibile l’importo complessivo addebitato alla ricorrente nella precedente cartella di pagamento ”.
Ne consegue che – anche a prescindere dal profilo eccepito nel terzo motivo di appello – la sentenza risulta errata laddove estende gli effetti di pronunce della Corte di Giustizia ad un rapporto oramai coperto da definitività.
La Sezione intende ribadire il consolidato orientamento di questo Consiglio, per il quale la natura autoritativa di un provvedimento amministrativo non viene meno se la disposizione attributiva del potere è poi dichiarata incostituzionale (Ad. Plen., sent. n. 8 del 1983) o si manifesta in contrasto col diritto europeo (Cons. Stato, Sez. II, 7 arile 2022, n. 2580;Sez. II, 25 marzo 2022, n. 2194;Sez. II, 16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando – come nella specie – il contrasto col diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere.
10. Per quanto esposto, l’appello è fondato ed in riforma della pronuncia impugnata il ricorso di primo grado va respinto, assorbita ogni altra questione ed eccezione.
11. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.