Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-10-12, n. 201205271

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-10-12, n. 201205271
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201205271
Data del deposito : 12 ottobre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10281/2010 REG.RIC.

N. 05271/2012REG.PROV.COLL.

N. 10281/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10281 del 2010, proposto da:
Minerolea s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. M D, con domicilio eletto presso Grez &
Associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per lo sviluppo e competitività del turismo) e Ministero dello sviluppo economico, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna (Bologna), Sezione I 28 giugno 2010, n. 6094 concernente l’esclusione dal contributo per la realizzazione di strutture ricettive nella regione Emilia-Romagna.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico;

Visto l’atto di appello incidentale proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per lo sviluppo e competitività del turismo) e dal Ministero dello sviluppo economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 7 febbraio 2012 il consigliere A P e uditi per le parti l’avv.to dello Stato Paolo Marchini e l’avvocato Dallari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorso presentato dalla s.r.l. Minerolea ha lo scopo di ottenere la condanna al risarcimento del danno per il ritardo (diciotto anni) con il quale le erano state corrisposte le somme relative ad un contributo cui la stessa avrebbe avuto diritto in relazione ad una domanda di finanziamento presentata ai sensi del d.-l. 4 novembre 1988, n. 465, recante misure urgenti e straordinarie per la realizzazione di strutture turistiche, ricettive e tecnologiche, convertito dalla l. 30 dicembre 1988, n. 556.

Si trattava di finanziamenti che il Ministero dello sviluppo economico aveva previsto per la realizzazione di strutture recettive in occasione dei campionati mondiali di calcio del 1990 nella regione Emilia-Romagna.

Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna annullava il d.m. di esclusione dal contributo del 15 gennaio 1990, adottato nei confronti della ricorrente, del Ministero del turismo, salvi gli ulteriori provvedimenti della P.A.

Successivamente la Minerolea si rivolgeva nuovamente al Tribunale amministrativo regionale che con sentenza 10 marzo 2005, n. 378 accoglieva il relativo ricorso assegnando al Ministero delle attività produttive il termine di giorni 60 (sessanta) per provvedere sulla richiesta della Società ricorrente di ammissione al contributo di cui alla legge 30 dicembre 1988, n. 556 , nominando, per il caso di persistente inadempimento dell’amministrazione, contestualmente un commissario ad acta.

Successivamente al deposito della sentenza il Ministero dava atto di aver eseguito la sentenza attraverso il d.m. 18 maggio 2004 che confermava l’esclusione dai benefici.

Il Tribunale amministrativo regionale per Emilia-Romagna con sentenza n. 131 dell’anno 2006 confermava la nomina del commissario ad acta , il quale emanava una delibera in data 4 novembre 2006 per il riconoscimento del contributo per una somma pari a £ 2.980.000.000 (€ 1.539.041), che veniva corrisposta in data 1 aprile 2008 senza gli interessi.

I danni per questo ritardato pagamento derivavano secondo la società ricorrente dai maggiori costi nelle more sostenuti per l’indebitamento bancario con cui era stato necessario reperire le risorse non concesse all’epoca e dalla svalutazione monetaria intervenuta medio tempore .

La sentenza del il Tribunale amministrativo regionale per Emilia-Romagna, I, 28 giugno 2010, n. 6094, qui impugnata, ha riconosciuto parzialmente fondato il ricorso osservando che la richiesta della società ricorrente non era tesa ad ottenere gli interessi legali sulla somma ricevuta in ritardo, ma il risarcimento del danno derivante dal ritardato pagamento di quanto le spettava. La sentenza ha rilevato che la società [per calcolare il danno subito] aveva predisposto con un tecnico di fiducia una tabella, evidenziante gli importi dell’esposizione finanziaria con le banche e relativi interessi passivi, estratti anno per anno dai bilanci societari: e così aveva calcolato di quanto si sarebbero ridotti se vi fosse stata l’erogazione [tempestiva] del contributo (parte in conto capitale e parte in conto interessi) e aveva valutato all’esito la differenza come [rappresentante] il quantum del danno arrecato dal non aver potuto fruire tempestivamente del finanziamento e sulle singole somme anno per anno, e [su quelle somme] ha operato la rivalutazione monetaria trattandosi di debito di valore, secondo i coefficienti Istat.

Il procedimento di calcolo seguito dalla Società per il primo giudice appare corretto, ma la richiesta non veniva accolta nella indicata misura di € 2.539.201,90 perché si doveva tener conto del fatto che, seppur tardivamente il finanziamento, era stato concesso e il suo importo andava detratto dall’ammontare del danno calcolato.

Il giudice di primo grado ha così statuito che il Ministero dello sviluppo economico doveva corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, la differenza tra il danno come calcolato dal tecnico di parte - con procedimento che in sé non appariva da censurare -, e quanto comunque corrisposto in data 1 aprile 2008 pari a € 1.000.161,90. Su tale somma si sarebbero dovuti calcolare gli interessi legali dalla data della notifica del ricorso e fino al saldo.

La Minerolea s.r.l. ha proposto ricorso in appello deducendo che la sentenza ha erroneamente ridotto la misura del risarcimento conseguente alla ritardata corresponsione del contributo, detraendo dalla stima da essa prodotta l’ammontare del finanziamento senza considerare che la somma di € 2.539.201,90 - determinata dal perito - rappresentava il solo risarcimento dovuto per il ritardato versamento del finanziamento. Infatti la perizia indicava il danno economico, che consisteva nei maggiori interessi passivi che la ricorrente aveva pagato alle banche nel periodo considerato. L’importo di € 2.539.201,90 è stato a suo dire calcolato come ammontare del danno conseguente all’esclusione del contributo;
danno che, pur prendendo a riferimento l’entità del contributo, prescinde dallo stesso ed è stato determinato accertando il risparmio che la società avrebbe avuto per minori costi finanziari se fosse stata senz’altro ammessa al contributo a tempo debito e, conseguentemente, accertando il risparmio per minori costi finanziari sostenuti, aumentati dei relativi interessi legali.

Le amministrazioni indicate in epigrafe hanno proposto appello incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie ragioni.

All’udienza del 7 febbraio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Deve qui essere esaminato, per ragioni di priorità logica, l’appello incidentale della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico avverso la gravata sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna (Bologna), I, 28 giugno 2010, n. 6094 in quanto il suo accoglimento, e segnatamente per quanto attiene al primo motivo, determinerebbe l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Con questa prima censura si assume che il ricorso di primo grado, contenente una domanda risarcitoria, era inammissibile perché in un precedente giudizio instaurato presso il medesimo Tribunale amministrativo, conclusosi con la sentenza 10 marzo 2005, n. 378, l’interessata aveva chiesto la “ nomina di un commissario ad acta cui affidare il compito di procedere alla piena esecuzione della sentenza 19 settembre 1993, n. 1561, nonché, in via gradata e per il caso di impedimento all’esecuzione del giudicato, il risarcimento per equivalente del danno subito da quantificarsi nell’importo stesso del finanziamento o nella diversa somma che risulterà dovuta ”.

L’Amministrazione, appellante incidentale, evidenzia che la citata sentenza n. 378 dell’anno 2005 è passata in giudicato. Di conseguenza la scelta della società di considerare alternativa l’azione di danno (esecuzione in forma generica) alla concessione del contributo (esecuzione in forma specifica) era definitivamente cristallizzata nel giudicato formatosi sulla sentenza n. 378 del 2005. Tale giudicato era pertanto di ostacolo all’accoglimento di una nuova domanda risarcitoria formulata nel ricorso accolto con la sentenza qui impugnata.

La prima censura del ricorso incidentale per il Collegio è infondata.

Una attenta lettura della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna 10 marzo 2005, n. 378 evidenzia che, in essa, non v’è in realtà alcuna pronuncia di accertamento o di condanna. Con il relativo ricorso la società chiedeva non un accertamento, ma l’esecuzione della precedente sentenza 19 settembre 2003, n. 1561 che aveva annullato il decreto del Ministro del turismo e dello spettacolo del 15 gennaio 1990 che aveva escluso la società dall’ammissione ai contributi statali previsti dal d.-l. 4 novembre 1988, n. 465, recante misure urgenti e straordinarie per la realizzazione di strutture turistiche, ricettive e tecnologiche, convertito dalla l. 30 dicembre 1988, n. 556. L’annullamento di quel decreto ministeriale di esclusione era stato disposto per la sussistenza del mero difetto di motivazione, con assorbimento delle censure non esaminate.

La sentenza in ottemperanza 10 marzo 2005, n. 378 aveva assegnato all’amministrazione, prima della contestuale nomina di un commissario ad acta , un termine di sessanta giorni per provvedere all’esecuzione della sentenza 19 settembre 1993, n. 1561: cosicché l’unico giudicato formatosi riguardava l’obbligo dell’amministrazione di adottare un nuovo provvedimento (che, in astratto, ben avrebbe potuto essere anche di esclusione).

Ne consegue che non vi è l’asserito effetto preclusivo da giudicato nella sentenza presupposta (o meglio, nelle sentenze presupposte).

Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce l’eccessività del periodo preso a base del risarcimento: dal 14 gennaio 1990 al 1° aprile 2008, quando invece si doveva considerare, con effetto comunque finale ai fini del calcolo del danno, la data di adozione del provvedimento da parte del commissario ad acta (4 settembre 2006).

Anche tale censura è infondata.

È sufficiente osservare che il secondo tratto del tempo considerato, vale a dire lo spazio temporale intercorrente tra il 4 settembre 2006 e il 1° aprile 2008 (ben diciannove mesi) era a sua volta da considerare irragionevolmente eccessivo per le operazioni che erano da compiersi (collaudo delle opere), la cui complessità non è di livello tale da giustificarlo. Ne consegue che il suo decorso improduttivo va addebitato all’amministrazione, perché l’amministrazione stessa non può conseguire - così come eccepito dalla società ricorrente - un indebito vantaggio consistente nell’esonero del pagamento degli interessi per un tale periodo.

Le amministrazioni censurano inoltre la sentenza perché la riconosciuta rivalutazione monetaria non spettava: stante il giudicato derivante dalla sentenza n. 378 dell’anno 2005 (terzo motivo);
per violazione dell’art. 1224 Cod. civ. (quarto motivo).

Il terzo motivo è infondato in quanto, come si è visto, il giudicato si era formato sul solo obbligo dell’amministrazione di ripronunciarsi sulla richiesta di finanziamento: quindi la società ben poteva richiedere il risarcimento per la tardiva erogazione.

Il ricorso principale ed il quarto motivo dell’appello incidentale possono essere esaminati congiuntamente: sono entrambi fondati.

Le amministrazioni appellate nulla hanno dedotto in ordine al’unico motivo del ricorso principale, né sotto il profilo giuridico, né sotto il profilo contabile. Esso merita di essere accolto in quanto la somma richiesta a titolo di risarcimento è limitata al periodo antecedente l’erogazione del contributo e corrisponde ad un danno, sotto forma di diminuzione patrimoniale, allora patito dalla società interessata.

Nella relazione depositata dalla società ricorrente il 24 dicembre 2010 si fornisce la lettura della tabella, dove: l’importo del “danno economico rivalutato” , pari a € 2.539.201,90, è individuato sulla base della somma del “danno economico costituito dalla somma dell’incremento dei costi finanziari e dei relativi interessi legali” (€ 1.152.077,43 + € 647.398,17 = € 1.799.475,60) e della “rivalutazione” (€ 739.726,30).

Va osservato che effettivamente queste entità economiche non includono l’importo del, tardivo, “finanziamento” e si riferiscono soltanto alle conseguenze dannose della sua mancata tempestiva erogazione. In difetto di adeguati argomenti dell’Amministrazione per confutare l’effettiva esistenza e consistenza di questi danni, si deve qui concludere che (salvo quanto qui segue circa la rivalutazione) si tratta di somme spettanti, a titolo di rifusione degli ingiusti effetti della condotta lesiva dell’Amministrazione, alla società interessata.

Il quarto motivo dell’appello incidentale è fondato alla luce del precedente di cui a Cons. Stato, V, 16 giugno 2010, n. 3800 secondo cui per distinguere i debiti di valuta dai debiti di valore occorre avere riguardo non alla natura dell’oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell'inadempimento o del fatto dannoso, bensì all’oggetto diretto ed originario della prestazione: il quale,, nelle obbligazioni di valore, consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre, nelle obbligazioni di valuta, è proprio una somma di danaro, a nulla rilevando l'originaria indeterminatezza della somma stessa;
per cui il debito per il risarcimento del danno conseguente alla mora nell'adempimento di un'obbligazione sin dall'origine pecuniaria, ex art. 1224 Cod. civ., ha natura di debito di valuta (Cass.,. I, 4 novembre 1992, n. 11968), e il danno da ritardo o da inadempimento è determinato attraverso gli interessi legali sulla somma dovuta, salvo che il creditore deduca e dimostri di aver subito un maggior danno (Cass., III, 13 maggio 1997, n. 4197).

Nel caso di specie la ricorrente Minerolea s.r.l. non ha processualmente fornito la prova di aver subito un “maggior danno” rispetto a quelli quantificati nella voce di “danno economico costituito dall’incremento dei costi finanziari e dai relativi interessi legali” (€ 1.152.077,43 + € 647.398,17 = € 1.799.475,60). Nulla dunque le compete, sotto questo profilo, quale “maggior danno” ai sensi dell’art. 1224 Cod. civ..

Si deve dunque in sintesi concludere che la domanda risarcitoria della società appellante è meritevole di accoglimento, e nei termini sin qui esposti.

La ricorrente Minerolea s.r.l. ha chiesto complessivamente la somma di € 2.539.201,90), articolata nelle tre voci: del “danno costituito dall’incremento dei costi finanziari” (€ 1.152.077,43), degli “interessi legali” (€ 647.398,17), della “rivalutazione” (€ 739.726,30).

Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna ha riconosciuto la somma richiesta (€ 2.539.201,90) diminuita dell’importo del contributo (€ 1.539.041) e quindi € 1.000.161,90 ( recte € 1.000.160,90).

Consegue da quanto detto che dall’importo richiesto non può essere dedotto quanto erogato dall’Amministrazione a titolo di contributo (€ 1.539.041), ma non può essere riconosciuto l’ammontare relativo alla rivalutazione (€ 739.726,30). Alla società quindi spettano € 1.799.475,60 (€ 2.539.201,90 - € 739.726,30).

Considerato che il giudice di primo grado ha già condannato il Ministero dello sviluppo economico al pagamento di € 1.000.161,90, alla società Minerolea s.r.l. va riconosciuto l’ulteriore importo di € 799.313,70 (settecentonovantanovemilatrecentotredici,70).

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

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