Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-04-12, n. 202202747

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-04-12, n. 202202747
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202202747
Data del deposito : 12 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/04/2022

N. 02747/2022REG.PROV.COLL.

N. 08518/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8518 del 2017, proposto da
A L S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati S S, L T, G S, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio L T in Roma, viale Bruno Buozzi N 47;

contro


Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato S C, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, piazza Giuseppe Verdi, 8;
Regione Calabria non costituita in giudizio;

nei confronti

Comune di Scalea, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 09650/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati vista l'istanza di passaggio in decisione senza discussione depositata dall'avvocato S C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società appellante impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. III ter, n. 09650/2017, depositata in data 8.9.2017, che ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo (n.r.g. 9157/2016) e respinto il ricorso per motivi aggiunti.

In particolare, la società appellante è proprietaria di una serra fotovoltaica, sita nel Comune di Scalea, che si compone di una serra su cui poggiato un sovrastante impianto fotovoltaico.

La realizzazione della serra è stata autorizzata con permesso di costruire del Comune di Scalea n. 55 del 26 luglio 2010 (pratica n. 5164), rilasciato in favore della IMAR s.r.l., allora titolare della serra.

La realizzazione di analoghe altre quattro serre, è stata autorizzata per mezzo del medesimo titolo edilizio, in aree adiacenti a quella su cui sorge la serra di cui al presente giudizio.

Il permesso abilitativo di tutte e cinque le nominate serre è unico e ha autorizzato “lavori di costruzione di un complesso serricolo per nr. 5 lotti di serre con sovrastante impianto fotovoltaico, pot. da installare MWp 2,5”.

La serra è stata successivamente acquisita dall’odierna appellante, in favore della quale il Comune di Scalea ha disposto la voltura del permesso di costruire n. 55/2010, con provvedimento del 7 giugno 2011, n. 121.

In data 12 aprile 2011, è stato comunicato al Comune di Scalea, ai sensi dell’art. 6 comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, un lieve incremento della potenza complessiva delle cinque serre, che è passata dai 2,5 MW a 2,623 MW.

Tale incremento non avrebbe comportato, a detta dell’appellante, alcuna modifica di tipo dimensionale, impiantistico o strutturale alle serre stesse, né il Comune ha obiettato alcunché in senso contrario.

La serra fotovoltaica in questione è entrata in esercizio il 30 aprile 2011.

In sostanza, la società appellante è titolare di tutti e cinque impianti fotovoltaici (n. 534606 -534600 - 534589 -534571- 534495) di potenza complessiva pari a 2.622,6 kW.

La società appellante ha chiesto al GSE il riconoscimento delle tariffe incentivanti di cui al d.m. 6 agosto 2010 (terzo conto energia) per la tipologia “pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline”, sia per la serra in questione che per le altre quattro serre, presentando distinte istanze.

L’odierna appellante ha allegato a ciascuna richiesta il medesimo suindicato permesso di costruire del Comune di Scalea, quale titolo autorizzativo ottenuto per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto.

Per quanto riguarda la serra oggetto di appello, con convenzione del 16 aprile 2012 (G04L35269507 – cod. identificativo GSE n. 534495), il GSE ha riconosciuto la tariffa incentivante alla ricorrente per la Serra nella misura di 0,3190 euro/kWh, poi stabilita nella misura dello 0,3350 €/KWh con successiva comunicazione dello stesso GSE del 12 luglio 2013.

Il GSE ha, dunque, cominciato l’erogazione degli incentivi in favore della società appellante.

Il credito derivante dalla tariffa incentivante è stato, in un successivo momento, ceduto dalla ricorrente alla società Intesa Sanpaolo S.p.A., con atto del 26 settembre 2013.

Il credito è stato, però, poi retrocesso alla ricorrente e, in data 16 marzo 2016, e nuovamente ceduto dalla ricorrente stessa ad alcune banche nell’ambito di un’operazione di rifinanziamento.

A distanza di oltre 2 anni dal provvedimento di riconoscimento degli incentivi, il GSE, con nota del 10 aprile 2014, ha comunicato all’odierna società appellante l’avvio di un procedimento di verifica sulle cinque serre, concluso inizialmente con provvedimento del 24 maggio 2016, che ha disposto la decadenza della ricorrente dalle tariffe incentivanti relative alla serra in esame e per le altre quattro serre, intimando alla società la restituzione degli incentivi percepiti, per un importo complessivo da determinare con successiva comunicazione.

L’odierno ricorrente ha impugnato dinanzi al T.A.R. Lazio il suddetto provvedimento.

Con un successivo atto del 4 agosto 2016, il GSE ha annullato il provvedimento di decadenza dalla tariffa incentivante, dichiarando la riviviscenza del provvedimento di erogazione degli incentivi del 29 dicembre 2011, ma, a parziale modifica del provvedimento stesso, ha disposto che “i cinque lotti di impianto (nn. 534606, 534600, 534589, 534571, 534495) sono da considerarsi quale unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti (pari a 2.622,6 kW), derivandone il riconoscimento della tariffa incentivante spettante agli impianti di potenza compresa tra 1 MW e 5 MW, nella misura (minore) pari a 0,308 €/kWh”.

L’odierna appellante ha impugnato quest’ultimo provvedimento con ricorso per motivi aggiunti.

Con successivo provvedimento del 4 ottobre 2016, anch’esso impugnato con atto di motivi aggiunti, il GSE ha provveduto al ricalcolo della tariffa incentivante dovuta alla ricorrente per gli anni pregressi, stabilendo di dover recuperare dalla ricorrente stessa complessivi 97.948,82 euro per la serra per cui è causa.

Con lo stesso provvedimento, il GSE ha contestualmente provveduto a compensare il suddetto importo con quanto dovuto alla società per il periodo maggio-agosto 2016, per un valore di 52.185,51 euro.

Il GSE ha intimato, infine, che avrebbe provveduto a compensare l’importo residuo, pari a 47.763,31 euro, con i futuri corrispettivi, salvo pagamento immediato della somma da parte della società a mezzo bonifico.

Tale compensazione ha, infine, avuto luogo, e pertanto la società appellante da quel momento ha ricevuto l’incentivo in misura ridotta, come determinato dal GSE con il provvedimento del 4 ottobre 2016.

L’adito T.A.R. Lazio, con la sentenza gravata in questa sede, ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso introduttivo e rigettato nel merito il ricorso per motivi aggiunti.

L’odierno appellante ha impugnato la sentenza del T.A.R. capitolino formulando i seguenti motivi di appello:

1. Error in judicando. Violazione dell’art. 112 c.p.c. per errata applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Violazione e falsa applicazione del d.m. 6 agosto 2010 (terzo conto energia). Violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.m. 23 giugno 2016. Violazione del principio di irretroattività della legge. Violazione dei principi indicati in sentenza dell’Ad. Plen. n. 5/2015.

In sostanza, l’appellante critica la sentenza rilevando che il regime di incentivazione della serra fotovoltaica oggetto dell’appello è disciplinato dal decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 6 agosto 2010, recante il c.d. terzo conto energia.

Il suddetto decreto ministeriale non stabilisce in alcuna parte il principio - su cui si fonda il provvedimento impugnato con motivi aggiunti in primo grado e confermato dal T.A.R. - di unicità degli impianti siti su particelle contigue e appartenenti allo stesso soggetto, né impone che sia rispettata una qualche distanza minima tra gli impianti ai fini della quantificazione delle tariffe incentivanti.

Questo principio è stato infatti introdotto per la prima volta solo con il d.m. 5 maggio 2011, recante il c.d. quarto conto energia, non applicabile alla presente vicenda.

Erroneamente, quindi, il T.A.R. avrebbe rilevato l’ “unicità, a un tempo, del titolo di realizzazione e di (attuale) esercizio dell’impianto e dunque dell’impianto stesso” e “l’incongruità dell’iniziale presentazione anziché di una sola di plurime istanze di ammissione agli incentivi per l’unico impianto realizzato e gestito dallo stesso soggetto responsabile (grazie all’unico titolo ottenuto)”, nonché, allo stesso tempo, la correttezza dell’agire del GSE, che avrebbe allineato “il regime tariffario dell’energia prodotta … all’effettiva configurazione impiantistica”.

1.1. Violazione dell’art. 112 c.p.c. per errata applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

1.2 Violazione e falsa applicazione del d.m. 6 agosto 2010 (terzo conto energia). Violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.m. 23 giugno 2016. Violazione del principio di irretroattività della legge. Violazione dei principi indicati in sentenza dell’Ad. Plen. n. 5/2015.

Come ulteriori articolazioni del primo motivo di appello, l’appellante ha dedotto che la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi sui plurimi vizi sollevati con il primo motivo di ricorso indicato nell’atto di motivi aggiunti e, in particolare, sulla censura inerente alla violazione e falsa applicazione del d.m. 6 agosto 2010 (terzo conto energia);
violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.m. 23 giugno 2016;
violazione del principio di irretroattività della legge;
violazione dei principi indicati in sentenza dell’Ad. Plen. n. 5/2015.

In particolare, la pronuncia del giudice di primo grado sarebbe errata per omessa censura, nella misura in cui non ha considerato che solo con l’art. 12, comma 5, del d.m. 5 maggio 2011 (IV conto energia) è stato previsto che “ai fini dell’attribuzione delle tariffe incentivanti, più impianti fotovoltaici realizzati dal medesimo soggetto responsabile o riconducibili a un unico soggetto responsabile e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti”.

La censura, difatti, è stata respinta implicitamente dalla sentenza nella parte in cui ha indicato che, comunque, il principio di unicità degli impianti fotovoltaici esiste indipendentemente dalla sua espressa introduzione solo con il d.m. del IV conto energia, e successivi decreti ministeriali su cui poggiano le determinazioni del GSE di rimodulazione degli incentivi.

L’art. 12, comma 5, del d.m. 5 maggio 2011, infatti, è entrato in vigore solo dopo che la serra fotovoltaica era già in funzione e dopo che il GSE aveva riconosciuto una tariffa incentivante più alta alla società appellante, ha natura innovativa ed è preclusa qualsiasi possibilità di attribuirgli efficacia retroattiva, mentre il GSE l’ha applicato alle cinque serre fotovoltaiche oggetto di giudizio, incentivate in base al precedente d.m. del 2010 (III conto energia).

Secondo l’appellante, infatti, lo stesso GSE, consapevole dell’esistenza di tale preclusione, avrebbe indicato l’applicabilità della disposizione “a tutti gli impianti di cui ai Titoli II, III e IV del DM 5 maggio 2011 senza tener conto di eventuali impianti preesistenti incentivati ai sensi dei precedenti decreti”, come indicato nel punto 3.8 delle Regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti previste dal d.m. 5 maggio 2011, recante “disposizioni sulle limitazioni al frazionamento degli impianti (art. 12, comma 5, del Decreto)”.

Il medesimo appellante osserva che la portata retroattiva del principio di unitarietà degli impianti contigui e realizzati dal medesimo soggetto non potrebbe ricavarsi dall’art. 29 del d.m. 23 giugno 2016, richiamato nelle premesse del provvedimento impugnato, poiché questo decreto è espressamente applicabile solo a “fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico”.

2. Error in judicando. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria.

L’appellante deduce l’illegittimità del provvedimento, non rilevata dal T.A.R., mancando in punto di fatto qualsiasi collegamento tra le serre erroneamente ricondotte ad unità da parte del GSE, in quanto ciascuna di esse è dotata di piena autonomia dal punto di vista tecnico-costruttivo.

Ciò sarebbe dimostrato dalle circostanze che:

- ciascuna serra è dotata di un proprio punto di connessione alla rete di distribuzione, avendo il Distributore Enel assegnato agli impianti 5 punti di connessione distinti (c.d. POD) e ha previsto, per ciascuna serra, uno specifico Regolamento di esercizio.

- ciascuna serra è dotata di sistemi propri di misurazione dell’energia prodotta, di sistemi propri di misurazione dell’energia immessa nella rete e di un proprio sistema di conversione dell’energia (sono distinti anche i verbali di installazione del sistema di misura dell’energia immessa nella rete, i certificati di installazione del sistema di misura dell’energia prodotta, i verbali di installazione del sistema di misura);

- ciascuna serra è dotata di una propria licenza di esercizio rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e di un proprio codice Censimp, assegnato da Terna;

- ciascuna serra costitiuisce un’unità immobiliare indipendente ed è stata realizzata, infatti, su una propria struttura edilizia, che non presenta alcun collegamento con le serre su cui sono realizzati gli altri quattro impianti.

3. Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 28/2011 e degli artt. 8 e 10 del d.m. dello sviluppo economico del 31 gennaio 2014. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 5 e 7 della l. n. 241/1990. Mancata comunicazione di avvio del procedimento. Carenza di motivazione e di istruttoria. Mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento.

Parte appellante ha censurato l’erroneità della sentenza gravata che non avrebbe congruamente considerato che i provvedimenti impugnati sono stati adottati dal GSE senza il rispetto di alcuna delle garanzie procedimentali previste, in via generale, dalla legge. n. 241/1990 e, con specifico riferimento ai procedimenti di verifica di competenza del GSE, dal d.m. 31 gennaio 2014;
ciò alla luce della circostanza che l’atto di rideterminazione della tariffa incentivante non è un atto vincolato, bensì è configurabile come un atto derivante dall’esercizio di un potere di natura fortemente discrezionale.

Rileverebbe quindi in termini di illegittimità la circostanza dell’assenza di qualsiasi comunicazione di avvio del procedimento in favore dell’odierna appellante che, conseguentemente, non ha potuto esporre all’amministrazione le ragioni avrebbero dovuto condurre a conclusioni provvedimentali opposte rispetto a quelle assunte al GSE con i provvedimenti impugnati.

Nella comunicazione del 10 aprile 2014, il GSE ha comunicato l’avvio di un procedimento di verifica sulle serre fotovoltaiche, senza tuttavia nulla eccepire circa il presunto collegamento della serra oggetto di verifica con le altre serre fotovoltaiche, né tale profilo è emerso nel corso delle successive comunicazioni nel corso del procedimento di verifica.

Alla società appellante sarebbe stata negata, inoltre, la possibilità, prevista dall’art. 8 del d.m. 31 gennaio 2014, di “presentare memorie scritte e documenti, che il GSE ha l’obbligo di valutare”.

Inoltre, il provvedimento sarebbe carente anche sotto il profilo istruttorio e motivazionale, in quanto né nel provvedimento del 4 agosto 2016, né in quello del successivo 4 ottobre 2016, sono indicati gli elementi che hanno indotto il GSE a ritenere le cinque serre dell’appellante siano riconducibili a un unico impianto ai fini della determinazione della tariffa incentivante.

4. Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990. Violazione del principio di proporzionalità. Violazione del principio di legittimo affidamento.

L’appellante critica l’assunto della sentenza gravata secondo cui l’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, che disciplina l’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione, “non può costituire parametro di legittimità per valutare le fattispecie in cui il Gestore esercita il proprio potere di accertamento ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011”.

Lo stesso ritiene, infatti, applicabile l’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, che sarebbe stato violato dal GSE che ha omesso di indicare quali sono le ragioni di pubblico interesse sottese all’adozione dei provvedimenti impugnati;
ragioni che sarebbero, peraltro, insussistenti.

Inoltre, il provvedimento di erogazione degli incentivi in favore della ricorrente risale a dicembre 2011 e il potere di autotutela è stato esercitato ben oltre il termine di 18 mesi prescritto dal richiamato art. 21-nonies.

Infine, sempre secondo l’appellante, il GSE avrebbe omesso ogni valutazione circa la posizione della società appellante e il pregiudizio alla stessa arrecato in conseguenza della rideterminazione della tariffa incentivante, che invece sarebbe stata necessaria ai sensi del più volte richiamato art. 21-nonies della l. n. 241/1990 e in base al principio di tutela dell’affidamento.

Si è costituito in giudizio Il GSE resistendo al ricorso, con memoria difensiva.

Il GSE ha dedotto, in sede di difensiva:

1. Quanto al primo motivo di appello, risulterebbe corretta la decisione del giudice di primo grado che ha giustamente applicato il principio del divieto di artato frazionamento degli impianti, preordinato, al contempo, alla salvaguardia della corretta allocazione di risorse pubbliche e alla neutralizzazione di condotte poste in essere da operatori che, animati da intenti speculativi, mirano ad ottenere dei vantaggi indebiti, identificabili nel conseguimento di incentivi maggiormente remunerativi.

Sarebbero, pertanto, ininfluenti tanto l’art. 12, comma, 5 DM 5.5.2011, quanto l’art. 29 DM 23.6.2016.

Il divieto di artato frazionamento costituisce un principio generale dell’ordinamento che opera a prescindere da un’espressa previsione normativa e, pertanto, può ritenersi applicabile a tutti gli impianti che percepiscono incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che è stato solo cristallizzato dal suindicato art. 29 del DM 23.6.2016.

2. Quanto al secondo motivo di appello, la valutazione effettuata dal GSE al fine della valutazione di un artato frazionamento della potenza degli impianti si è basata su gli “elementi indicativi”, che possono ricondurre gli impianti a un’unica iniziativa imprenditoriale, ovverosia, nel caso di specie dall’unicità del soggetto richiedente, dalla contiguità degli stessi (accertata dai mappali catastali) e dall’unicità del titolo autorizzativo (rectius permesso di costruire n. 55/2010 rilasciato del Comune di Scalea) prodotto dall’appellante al fine dell’ammissione alle tariffe incentivanti.

3. Quanto al terzo motivo di appello, la difesa del GSE rileva che in seguito ai riscontri forniti dalle competenti Amministrazioni territoriali dopo il provvedimento di decadenza del 24.5.2016 - pervenuti rispettivamente in data 30 maggio 2016 e 1 giugno 2016 –, è stato comunicato, con la nota del 4.8.2016, l'annullamento dei provvedimenti conclusivi dell'attività di verifica e la riviviscenza dei provvedi menti di ammissione ai benefici, all’uopo modificando parzialmente gli stessi.

E’ stato dato atto che “i cinque lotti di impianto (nn. 534606, 534600, 534589, 534571, 534495) sono da considerarsi quale unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti (pari a 2.622,6 kW), derivandone il riconoscimento della tariffa incentivante spettante agli impianti di potenza compresa tra 1 MW e 5 MW, in misura pari 0,308 €/kWh”.

Su tali presupposti, l’annullamento del provvedimento di decadenza e la conseguente rideterminazione del regime incentivante si è presentato quale atto dovuto e dal contenuto interamente vincolato.

Inoltre, la partecipazione procedimentale si sarebbe instaurata con la suddetta nota del 16.6.2016.

4. Quanto al quarto motivo di appello, l’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 non può costituire parametro di legittimità per valutare l’esercizio da parte del GSE del proprio potere di accertamento ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, stante la specialità di quest’ultima disposizione e le peculiarità delle inerenti attribuzioni del Gestore.

L’attività di verifica svolta dal GSE, ai sensi dell’art. 42 D.Lgs. 28 del 2011, non costituisce, dunque, una forma di autotutela amministrativa, bensì una fase ordinariamente possibile del complesso procedimento amministrativo finalizzato al riconoscimento degli incentivi.

E’ seguito un ulteriore scambio di memorie e successive repliche tra le parti.

All’udienza pubblica del 22.3.2022 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1) L’appello si rivela infondato per le ragioni che seguono.

2) Il primo motivo e il secondo motivo di appello sono da rigettare.

Sul piano generale, il divieto di artato frazionamento degli impianti costituisce una declinazione, nello specifico settore dei meccanismi di incentivazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili, del generale divieto di abuso del diritto, quale principio generale dell’ordinamento giuridico.

L’elusione delle regole di settore al fine di conseguire vantaggi non spettanti, infatti, non può assurgere a fattispecie costitutiva del diritto all’incentivazione (o del diritto a un’incentivazione superiore a quella spettante), in quanto pregiudica gli altri operatori economici che quelle regole hanno rispettato, vanifica l’imposizione, ad opera dei vari “conti energia”, di specifici requisiti di potenza per l’ammissione al beneficio e frustra, in ultima analisi, la stessa finalità perseguita attraverso la distribuzione delle risorse scarse in questione.

Questo Consiglio di Stato ha precisato che “il divieto dell’abuso degli istituti giuridici – cui è funzionale la nozione di “artato frazionamento” – è un valore ordinamentale diffuso e di portata generale, che non richiede specifiche e puntuali disposizioni settoriali, posto che consegue all’intrinseca necessità di rispettare la ratio dell’istituto volta per volta in considerazione” (Cons. Stato, sez IV 25.01.2021, nr. 739, 746, 747, 748, 749).

Per questa ragione, il decreto ministeriale del 5.5.2011 non ha natura costitutiva del divieto di artato frazionamento, ma all’art. 12, comma 5, chiarisce sul piano positivo gli elementi che connotano la fattispecie elusiva (più impianti riconducibili ad un’unica iniziativa imprenditoriale), con l’indicazione di taluni indizi, di carattere non tassativo, da cui desumere l’artato frazionamento dell’impianto, con le relative ricadute dal punto di vista della riduzione della tariffa incentivante.

Il comma in questione prevede, infatti, che “ai fini dell’attribuzione delle tariffe incentivanti, più

impianti fotovoltaici realizzati dal medesimo soggetto responsabile o riconducibili a un unico soggetto responsabile e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli

impianti”.

Anche sul piano delle conseguenze che derivano dall’accertamento in concreto, il decreto si limita a positivizzare un principio immanente nel sistema e consistente nel disconoscimento di qualunque effetto giuridico a fattispecie che, pur rispettose sul piano formare della regola, ne frustrano nella sostanza la ratio: di qui l’appena richiamata previsione che considera gli impianti artatamente frazionati come un unico impianto di potenza cumulata e che, in caso di violazione delle norme per l’accesso agli incentivi, ne dispone la decadenza con recupero integrale delle somme.

A riprova di tale impostazione il cosiddetto “decreto controlli” del Ministero dello Sviluppo Economico del 31 gennaio 2014 sancisce, con formula aperta, che, al di fuori delle fattispecie di violazioni rilevanti espressamente contemplate nell’allegato 1, il rigetto dell’istanza e la decadenza dagli incentivi può derivare, oltre che da “violazioni” e “inadempimenti”, anche da “elusioni” a cui consegua un indebito accesso agli incentivi (art 11).

Il frazionamento degli impianti, affinchè rientri nel suddetto divieto, deve essere comunque essere finalizzato, mediante un contegno elusivo, a limitare la potenza degli impianti, suddividendoli surrettiziamente, per sfruttare procedure autorizzative più snelle ovvero conseguire la percezione di incentivi non spettanti o superiori a quelli spettanti (sul punto Cons Stato, sez. IV, 28/02/2022 n. 1393, ord. 15/06/2020 n. 3520 e 12/06/2020 n. 3428;
in ambito penale, nel caso in cui l’artato frazionamento sia strumentale a far apparire sufficiente il rilascio di dichiarazione di inizio attività in luogo della prescritta autorizzazione unica: Cassazione penale sez. III, 21/06/2017, n.888, id., 25 giugno 2014, n. 40561;
5 febbraio 2014, n. 11981).

Il divieto di artato frazionamento costituisce, quindi, un principio generale dell’ordinamento che opera a prescindere da una espressa e puntuale previsione normativa ed è applicabile a tutti gli impianti che percepiscono incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che è stato solo cristallizzato per gli impianti fotovoltaici dal suindicato dell’art. 12 del d.m. 5.5.2011.

L’appellante ha anche posto l’accento, per confermare la sua tesi, sull’indicazione contenuta nel comma 2 del punto 3.8 “Disposizioni sulle limitazioni al frazionamento degli impianti (Art. 12, comma 5, del Decreto)” delle regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti previste dal dm 5 maggio 2011, secondo cui “di seguito sono definiti i requisiti e le regole volti ad evitare il frazionamento di un impianto in più impianti di ridotta potenza al fine di ottenere tariffe più elevate. Tali requisiti e regole si applicano a tutti gli impianti di cui ai Titoli II, III e IV del DM 5 maggio 2011 senza tener conto di eventuali impianti preesistenti incentivati ai sensi dei precedenti”.

Il significato di tale disposizione non è quello di porre un limite temporale dal quale applicare il divieto di artato frazionamento degli impianti, bensì, quello di evitare un’interpretazione secondo cui, nel caso ci sia un già un impianto realizzato che goda degli incentivi, l’eventuale realizzazione di un secondo impianto da parte dello stesso soggetto su lotti contigui, faccia rientrare i due impianti nell’ambito delle previsioni che sulle limitazioni al frazionamento, considerandolo come un unico impianto.

Né, d’altra parte, una modifica di natura sostanziale, quale stabilire la vigenza di una disposizione, peraltro in deroga al principio del divieto di frazionamento dell’impianto, sarebbe potuta essere contenuta in regole tecniche, quali sono le regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti previste dal dm 5 maggio 2011 adottate dal GSE.

Al riguardo, la determinazione delle concrete fattispecie in cui ricorre l’ipotesi di violazione del suddetto divieto è da ricondurre all’esistenza di elementi indicativi, rispetto ai quali non possono non avere primaria importanza, anche per impianti precedenti al d.m. 5.5.2011, gli indici previsti dal comma 5 del suindicato art. 12, in quanto ricognitivi di aspetti che denotano l’unicità, e in particolare, come già indicato, la realizzazione da parte deal medesimo soggetto responsabile o, comunque, la riconducibilità a un unico soggetto responsabile e la localizzazione nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue.

Nel caso di specie il Collegio ritiene sussistano i presupposti per applicare il suddetto principio, alla luce delle circostanze che la stessa società appellante è titolare di tutti e cinque gli impianti, ha chiesto l’incentivo per tutti gli impianti, gli stessi sono stati realizzati in base a un unico permesso di costruire e i terreni su cui insistono sono catastalmente contigui.

A fronte di tali elementi, che denotano sicuramente l’unicità sostanziale degli impianti, divengono recessivi gli indici indicati dall’appellante, ovverosia, come meglio indicato nella parte in fatto, che ciascuna serra è dotata di un proprio punto di connessione alla rete di distribuzione, di sistemi propri di misurazione dell’energia prodotta e immessa in rete e di un proprio sistema di conversione dell’energia, di una distinta licenza di esercizio rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e di un proprio codice Censimp, assegnato da Terna e che non vi sia un collegamento con le serre su cui sono realizzati gli altri quattro impianti.

Tali elementi, per quanto non trascurabili, si basano su aspetti che si declinano come di separazione formale, a fronte degli elementi di unicità sostanziale presenti nel caso di specie, peraltro conformi a quelli indicati nel comma 5 dell’art. 12 d.m. 5.5.2011.

3) Anche il terzo e il quarto motivo di ricorso sono infondati.

Il Collegio - indipendentemente dalla questione della effettivo instaurarsi di una corretta partecipazione procedimentale (che l’appellato ritiene instaurata con la nota del 16.6.2016) - condivide l’assunto della sentenza gravata che ritiene in ogni caso irrilevante l’assenza della comunicazione di avvio del procedimento e la supposta impossibilità di presentare memorie scritte e documenti, in quanto è applicabile l’art. dall’art. 21-octies, co. 2, l. n. 241/90.

Infatti, alla luce delle ragioni del rigetto delle altre censure, il provvedimento finale non avrebbe potuto avere esito diverso.

Ciò anche in considerazione della natura vincolata dell’atto gravato che non assume conformazione di esercizio del potere di autotutela, bensì quale atto di natura decadenziale dai benefici (che nell’ipotesi in esame vengono ridotti), secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 18/2020, che ha escluso che i provvedimenti di decadenza del G.S.E. siano riconducibili al paradigma dell’autotutela, in quanto espressione di un potere di verifica, accertamento e controllo, di natura doverosa ed esito vincolato (Cons. Stato sez IV 24/01/2022 n. 462 e 20/01/2021 n. 594;
sez VI 03/01/2022 n. 9 e 28/09/2021 n. 6516;
Corte cost., 13/11/2020, n. 237).

La richiesta di restituzione dei benefici già erogati non è espressione di una distinta e automa volontà provvedimentale rispetto a quella oggetto dei provvedimenti di decadenza dai benefici concessi, bensì rappresenta un atto esecutivo, conseguente alla qualifica di indebito oggettivo assunta dalla somme erogate per effetti della determinazione di decadenza (Cons. Stato Sez. IV, 15/10/2020, n. 6241)

La natura di tale potere non è, peraltro, mutato nemmeno a seguito della modifica all’art 42, comma 3, d.lgs. n. 28/2011, introdotta dall’art 56, comma 7, del d.l. 76/2020 – che in ogni caso non è applicabile ratione temporis al caso in esame, come meglio di seguito indicato.

Quest’ultima disposizione, pur avendo previsto che l’esercizio del potere di decadenza si eserciti in presenza dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, non ha mutato la natura del potere esercitato, che rimane di decadenza (cfr. Ad. Plen. 18/2020 e giurisprudenza sopra richiamata) e viene accomunato a quello di autotutela limitatamente ai presupposti per il legittimo esercizio.

Né ha pregio la censura inerente al difetto motivazionale del provvedimento gravato, che riposta la ragione secondo cui i cinque lotti di impianto, sono da considerarsi quale unico impianto di potenza

cumulativa pari alla somma dei singoli impianti”, sufficiente a motivare il provvedimento, stante anche che le ragioni della riduzione della tariffa incentivante sono ben in base agli atti procedimentali e, infatti, sono state oggetto di specifiche censure sia in sede di primo che di secondo grado.

Esclusa la natura di atto di autotutela del provvedimento gravato, il Collegio ritiene corretta la tesi della sentenza gravata che ha escluso l’applicabilità dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, che “non può costituire parametro di legittimità per valutare le fattispecie in cui il Gestore esercita il proprio potere di accertamento ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011”.

Né può trovare applicazione, ratione temporis, il già richiamato nuovo testo dell’art 42, comma 3, d.lgs. n. 28/2011, come modificato dall’art 56, comma 7, del d.l. 76/2020, ai sensi del quale “nel caso in cui le violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi, il GSE in presenza dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate, e trasmette all'Autorità l'esito degli accertamenti effettuati per l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 2, comma 20, lettera c), della legge 14 novembre 1995, n. 481”

La disposizione in esame, infatti, non ha natura di norma di interpretazione autentica, né efficacia retroattiva e, per espressa previsione, si applica ai procedimenti pendenti o, se già definiti, solo a seguito di apposita istanza dell’interessato, alle condizioni indicate dall’art 56 comma 8, d.l. 76/2020.

4) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del grado di giudizio di appello tra le parti.

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