Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-08, n. 202304587

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-08, n. 202304587
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304587
Data del deposito : 8 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/05/2023

N. 04587/2023REG.PROV.COLL.

N. 08741/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8741 del 2022, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., sig. -OMISSIS-, con sede in Caserta alla -OMISSIS-, rappresentata e difesa, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo, dall’avv. L T e dall’avv. E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell’Interno – UTG - Prefettura di Caserta, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
il -OMISSIS-, in persona del Direttore del Dipartimento Affari Legali, Regolatori e Istituzionali dott. -OMISSIS- giusta procura autenticata per atti notaio -OMISSIS-di Roma – rep. -OMISSIS- – rilasciata dal legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Scacchi e Antonio Pugliese ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Scacchi, via Crescenzio n.19 – 00193 Roma, come da procura in calce alla memoria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), in persona del suo leale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l’annullamento e/o riforma, previa sospensione dell’efficacia,

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del -OMISSIS- e dell’ANAC;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Paolo Carpentieri e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società -OMISSIS- ha proposto appello, con domanda cautelare di sospensione dell’efficacia, avverso la sentenza n. -OMISSIS- con la quale il Tar per la Campania, sede di Napoli, Sez. I, ha respinto il suo ricorso diretto a ottenere l’annullamento dell’informativa antimafia prot. n. n. -OMISSIS- con la quale la Prefettura di Caserta ha accertato la presunta sussistenza nei suoi confronti delle “ situazioni di cui all’art. 84, comma 4 e all’art. 97, comma 6 del D.Lgs. n. 159 ”, nonché del provvedimento dell’ANAC del 3 novembre 2021 di comunicazione di avvenuta segnalazione e dell’inserimento nel Casellario della relativa annotazione e del provvedimento n. -OMISSIS- con il quale il -OMISSIS-ha disposto la risoluzione delle convenzioni n. -OMISSIS-e n. -OMISSIS-;

2. Ha articolato sette motivi di appello.

3. Si sono costituiti in giudizio per resistere al proposto appello il Ministero dell’interno, il -OMISSIS- e l’ANAC.

4. Con l’ordinanza n. -OMISSIS- del 16 dicembre 2022 la Sezione ha respinto la domanda di sospensione cautelare dell’efficacia della sentenza appellata.

5. Le parti hanno depositato memorie e documenti.

6. In data 28 febbraio 2023 la società ha depositato copia dell’istanza presentata in data 27 febbraio 2023 di ammissione al controllo giudiziario ex art. 34- bis , comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 presso al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione misure di prevenzione.

7. Chiamata alla pubblica udienza del 9 marzo 2023, la causa è stata rinviata a una data successiva.

8. Alla pubblica udienza del 4 maggio 2023 la causa è stata discussa e assegnata in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è giudicato dal Collegio infondato e non meritevole di accoglimento.

2. Con il provvedimento oggetto di lite il Prefetto di Caserta, recependo la proposta formulata dal Gruppo ispettivo antimafia il 17 settembre 2021, ha rilevato che l’amministratore unico della società, -OMISSIS--OMISSIS-, “ con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa dalla Pretura di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Marcianise, è stato condannato a mesi 4 di reclusione, per il reato p.e p. dall'art. 1 1. 12.10.1982 n. 726 (misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa) ” ed ha quindi ritenuto che dalla lettura dei provvedimenti giudiziari, in particolare della sentenza della Corte di appello di Napoli, VII^ sezione penale, n. -OMISSIS- R.G. AP, n. -OMISSIS- Reg. Ins. Sent. del 30 dicembre 2014, passata in giudicato il 26 febbraio 2015 (confermativa della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli del 2 dicembre 2011 con la quale gli imputati della famiglia -OMISSIS-erano stati assolti dai reati loro ascritti) emergesse, con riferimento al gruppo -OMISSIS-, “ con assoluta certezza il costante passaggio nel tempo di denaro dal gruppo -OMISSIS-al clan camorristico -OMISSIS-, specificamente alle donne, a titolo di estorsione mai denunciata ”;
che tale sentenza, pur dando atto dell'insussistenza di elementi che denotino la condivisione con l’associazione criminale di propositi di infiltrazione, nondimeno avrebbe ritenuto “ compatibile con il suo profilo l’assoggettamento all’intimidazione mafiosa o - quanto meno – l’intesa con l’organizzazione per limitare l'ingiusto male patibile da questa ”, risultando “ che -OMISSIS--OMISSIS-, da individuarsi dietro il soprannome "sergente", sia stato sempre inserito tra gli imprenditori taglieggiati e che costui abbia dovuto versare somme alle mogli dei -OMISSIS- in relazione alle numerose opere edili realizzate dalla società del gruppo ”, sicché “ La protezione del clan all’importante imprenditore, dunque, è perfettamente giustificabile con l'interesse del secondo a conservare per sé i lauti profitti derivanti dalle attività del gruppo -OMISSIS- ”. Su tali basi il Prefetto ha ritenuto il quadro istruttorio complessivo, alla luce degli approfondimenti compiuti e degli elementi informativi acquisiti, tale da indurre a ritenere concreto ed attuale il rischio di condizionamento mafioso a carico della ditta istante ed ha pertanto affermato la sussistenza nella fattispecie di elementi sufficienti per ritenere comprovato il pericolo di tentativi di infiltrazioni malavitose preordinati a condizionare le scelte e gli indirizzi della ditta ricorrente.

3. La società appellante ha così riassunto (punto “A” del ricorso in appello) “ I principali motivi di censura rappresentati nell’ambito del giudizio di primo grado innanzi al TAR, in forza dei quali la ricorrente ha richiesto l’annullamento dei provvedimenti gravati ”, integralmente riproposti in questa sede: “ 1) la Corte d’Appello di Napoli sezione penale, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha assolto il sig. -OMISSIS-, ritenendo che lo stesso fosse un imprenditore vittima e non imprenditore colluso ed ha assolto i figli ritenendo che gli stessi non si siano prestati ad alcuna forma di intestazione fittizia dal padre -OMISSIS- ai figli -OMISSIS-e -OMISSIS-;
2) la Corte d’Appello di Napoli sezione misure di prevenzione, con il decreto n. 184/12, ha revocato la misura di prevenzione sul patrimonio di -OMISSIS- e dei suoi figli, ivi compreso le quote sociali a se appartenenti, ritenendo che gli stessi non avessero alcuna sproporzione rispetto ai redditi prodotti e confermando che gli stessi abbiano formato il loro patrimonio mediante le attività lavorative svolte. Si è dunque rilevata con il ricorso introduttivo l’illegittimità dell’operato della Prefettura di Caserta che ha valorizzato solo le tesi e le conclusioni del pubblico ministero, tralasciando di considerare la parte motiva della sentenza con cui la tesi accusatoria è stata ritenuta infondata (cfr. TAR Sicilia – Palermo, 1^, 3.8.2020 n. 1724). 3) si è rilevata l’illegittimità dell’informativa stante la completa carenza del parametro dell’attualità e di concretezza dell’asserito pericolo di condizionamento mafioso. Non solo infatti non è oggi possibile sostenere la permeabilità dell’imprenditore -OMISSIS- alle eventuali pressioni del clan, dovendosi relegare al 2007 la cessazione della condizione di asserita soggiacenza all’estorsione ma non è possibile individuare per tutto l’arco temporale successivo al 2007 ovvero fino al 2021, alcun elemento nuovo ascrivibile al catalogo aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento. Nel periodo intercorrente tra la predetta data e l’emanazione del provvedimento gravato (ovvero tra il 2007 ed il 2021), non risulta alcun singolo nuovo elemento che possa dare atto di una effettiva attuale permeabilità della società alla criminalità organizzata. Di contro, nel detto periodo la ricorrente ha dato prova dell’esistenza di una serie di fatti positivi idonei a dar conto del superamento di qualsivoglia pericolo di permeabilità mafiosa (come si avrà modo di approfondire, ci si riferisce in particolare alle denunce effettuate dal sig. -OMISSIS--OMISSIS- nonché all’avvenuta sottoposizione della società al controllo giudiziario);
4) non è stata presa in adeguata considerazione il cambio di assetto societario, avvenuto nel 21.9.2020 (cfr. atto di donazione e divisione), e l’assurda conseguenza per cui le figlie -OMISSIS- (socie della ricorrente) di un imprenditore taglieggiato (-OMISSIS-), invece di essere adeguatamente tutelato dallo Stato, debba risultare anche destinatario di un provvedimento interdittivo (peraltro a distanza di oltre tredici anni dall’avvio del processo e di circa 7 anni dalla conclusione dello stesso) evidentemente solo in quanto asseritamente e potenzialmente permeabile alla mafia in via ereditaria! 5) si è infine rilevato che finanche la Prefettura di Caserta, in seguito alla deflagrazione di una bomba nel dicembre 1996 e della denunce del sig. -OMISSIS-, in data 18.12.1996, avesse invitato lo stesso a fare istanza di accesso al fondo di solidarietà per le vittime di estorsione! A fronte di dette premesse, il TAR, ha dapprima ritenuto di poter sintetizzare le censure mosse dalla ricorrente in tre “capitoli” per poi rigettare sia il ricorso introduttivo che i motivi aggiunti ritenendo che: 1) la configurabilità del rischio di condizionamento societario da parte della criminalità organizzata può sussistere anche con la soggiacenza passiva alle attività imprenditoriali deviate. Nel caso di specie, essendo stato accertato un passaggio di denaro dal gruppo -OMISSIS-al Clan camorristico -OMISSIS- (vd. sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pag. 19) vi sarebbe quella “positiva corrispondenza della ricorrente alle richieste estorsive dei clan”. La Prefettura non sarebbe dunque incorsa in alcun deficit istruttorio avendo al contrario compiuto una “ragionata lettura della motivazione della pronuncia tenendo conto dei profili che, pur non avendo una rilevanza penale, finiscono per assumerla nell’ottica preventivo cautelare propria della normativa antimafia”. L’esistenza di pagamenti in uscita dalle casse della ricorrente in favore di quelle del clan e la circostanza per cui sarebbe da escludersi un’attiva denuncia delle estorsioni subite dal -OMISSIS-sarebbero elementi idonei a provare un possibile condizionamento della società ricorrente, essendo ininfluente ai fini della sussistenza del rischio di permeabilità la qualificazione del -OMISSIS-come imprenditore vittima e non imprenditore colluso. 2) l’informativa antimafia possa “legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo tant’è vero che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami vincoli e sodalizi e comunque non dimostra da solo l’interruzione di questi se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Sul punto il TAR ha affermato che non sarebbe rilevante la mancata evidenziazione nell’istruttoria procedimentale di elementi ulteriori che suffragassero la perduranza della segnalata soggiacenza, incombendo sul ricorrente l’onere di provare l’adozione di misure atte ad interrompere la continuità gestionale, onere della prova che non sarebbe stato assolto dal ricorrente. Secondo il Collegio giudicante di primo grado la ricorrente non solo non avrebbe provato di aver adottato efficaci misure di self cleaning ma sarebbe rilevante la permanenza del -OMISSIS-nell’assetto societario, circostanza che renderebbe l’intervenuta modifica dell’assetto societario (mediante il trasferimento della proprietà delle quote sociali alle figlie del -OMISSIS-) un’operazione insufficiente ad evidenziare una reale soluzione di continuità tra la precedente e l’attuale gestione”. 3) non sarebbe meritevole di positiva considerazione la censura relativa all’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento;
4) alla luce di tali circostanze sarebbero legittimi gli atti consequenziali adottati dall’ANAC e dal -OMISSIS-.
”.

4. La lettura degli atti di causa e la disamina del ricorso in appello, nel suo complesso e nei singoli motivi di censura, nei termini che qui di seguito si espongono, inducono il Collegio, come anticipato, ad esprimere un giudizio di non accoglibilità del proposto appello, alla stregua dei noti, consolidati canoni di giudizio elaborati in subiecta materia dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, appieno condivisa dal Collegio (Corte cost., sentenze 27 febbraio 2019, n. 24, 24 luglio 2019, n. 195 e 26 marzo 2020, n. 57;
Cons. Stato, sez. III, sentenze del 3 maggio 2016, n. 1743, 4 maggio 2018, n. 2655, 5 settembre 2019, n. 6105, 24 aprile 2020, n. 2651 e 23 dicembre 2022, n. 11265, nonché, della Sez. I, parere n. 487/2023 del 20 marzo 2023), anche avuto riguardo al modo del sindacato giurisdizionale logicamente esercitabile sull’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto nell'adozione dell'interdittiva antimafia, sindacato che, pur pieno e profondo, non può spingersi fino a sostituire alle non illogiche deduzioni e valutazioni della competente Autorità amministrativa quelle dell’organo giudicante: come ribadito dalla citata giurisprudenza, infatti, il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame;
ma nell’esercizio di tale sindacato il Giudice non può e non deve sostituirsi alla competente Autorità di pubblica sicurezza nel giudizio discrezionale sulla sussistenza o meno dei presupposti per l’adozione dell’informativa sfavorevole.

4.1. In sintesi, risulta dagli atti che non è carente sotto il profilo istruttorio o motivazionale, né illogica o sproporzionata, la deduzione, operata dal Prefetto, secondo la quale gli intensi e continuativi rapporti intercorsi tra il Gruppo -OMISSIS-(e, soprattutto, tra il suo principale e originario esponente, -OMISSIS--OMISSIS-) e il clan -OMISSIS-, dominante nell’area di operatività dell’impresa, rapporti definitivamente accertati in fatto dalle sentenze penali, fanno emergere un quadro sufficiente e adeguato per affermare la probabilità, ancora attuale e concreta, di una potenziale permeabilità dell’impresa a forme di condizionamento malavitoso.

5. Come condivisibilmente affermato dall’Avvocatura dello Stato, il provvedimento interdittivo si fonda su una pluralità di elementi che, valutati complessivamente, inducono a ritenere non irragionevole il giudizio del Prefetto circa il pericolo di esposizione dell’impresa odierna appellante al condizionamento mafioso, anche alla stregua della costante giurisprudenza secondo la quale gli elementi posti a base dell'informazione antimafia, oltre a poter essere penalmente irrilevanti, possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, atteso che le organizzazioni criminali, per condurre le loro lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si avvalgono solo di soggetti organici o affiliati ad esse, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa.

6. Con il primo, articolato, motivo di appello (rubricato “ Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza. Sulla carenza dei presupposti, dei parametri dell’attualità e di concretezza del pericolo di condizionamento ”), la società ricorrente lamenta in primo luogo la mancata considerazione, da parte del Giudice di prime cure, dell’indicazione fornita da questa Sezione con l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS- di accoglimento dell’appello cautelare (al fine di una sollecita fissazione dell’udienza di merito), nel senso di approfondire le questioni poste con l’atto di appello in considerazione della natura delle risultanze indiziarie prospettate dalla ricorrente.

6.1. La contestazione è infondata, poiché il Tar, nel suo libero convincimento, ha maturato la sua decisione e l’ha adeguatamente motivata dando sufficientemente conto delle risultanze indiziarie prospettate dalla società ricorrente ed emergenti dagli atti, sia pur in termini, a giudizio di parte appellante, criticabili nel merito, ma certamente non censurabili sotto il profilo di un’asserita (e in realtà insussistente) violazione di un preteso “ordine” di approfondimento di taluni aspetti della causa (piuttosto che di altri) che si vorrebbe far derivare dalla pronuncia cautelare di questa Sezione.

6.2. Sotto un ulteriore profilo parte appellante afferma l’illegittimità dell’informativa e della sentenza “ allorché ha ritenuto sussistente il rischio di permeabilità stante la mancata denuncia da parte del sig. -OMISSIS-delle estorsioni subite ”. Il Tar, in particolare, avrebbe omesso di considerare la denuncia di minacce/intimidazioni subite su un cantiere del 31 maggio 1996, la denuncia di spari contro casa e telecamere di videosorveglianza del 3 giugno 1996, la denuncia di una bomba esplosa sotto la gru di un cantiere del 5 dicembre 1996, nonché il fatto che il sig. -OMISSIS- è stato messo sotto scorta della polizia per 1 mese, che in data 18 dicembre 1996 è stato invitato dalla stessa Prefettura di Caserta a fare istanza di accesso al Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione ed ha successivamente denunciato in sede processuale i propri estorsori, adottando una serie di comportamenti attivi nel contrastare fattivamente la criminalità ed aiutando l’Autorità giudiziaria (così come positivamente valutati anche dal Giudice penale).

6.2.1. Contrariamente all’assunto di parte appellante, risulta adeguata e non illogica la motivazione con la quale il Tar ha respinto tali censure, sul rilievo che la “ Nel caso di specie la sentenza di proscioglimento del -OMISSIS- della Corte d’Appello di Napoli, recependo quanto statuito dal Gup, ha affermato che «dalla lettura del dispositivo (della pronuncia del GUP) si legge “con assoluta certezza il costante passaggio nel tempo di denaro dal gruppo -OMISSIS-al clan camorristico -OMISSIS-, specificamente alle donne, a titolo di estorsione mai denunciata», precisando ulteriormente che «nel valutare le fonti probatorie di cui si è brevemente dato conto, il Gup ha tratto il fondato convincimento che -OMISSIS-fosse un imprenditore sottoposto da lunga data e continuamente, senza aver mai denunciato la cosa, ad estorsione da parte del clan –OMISSIS - » (pag. 19 sentenza Corte d’Appello di Napoli) ”.

6.2.2. Inoltre, contrariamente all’assunto di parte appellante, che contesta la non adeguata considerazione, da parte del Tar, delle denunce antecedenti e successive presentate dal -OMISSIS-, sopra richiamate, vi è da osservare che le denunce e i fatti risalenti al 1996 appartengono evidentemente alla prima fase di aggressione da parte del gruppo criminale, cui sarebbe seguita, nella prospettazione della Prefettura (giudicata non illegittima dal Tar), una lunga fase di sostanziale accettazione, da parte dell’imprenditore, di una modalità di convivenza con le pretese estorsive del clan malavitoso, tale da consentirgli di poter continuare a lavorare: si legge in proposito nella sentenza della Corte d’appello di Napoli, sezione penale, n. -OMISSIS-, pag. 19, che il -OMISSIS-era “ un imprenditore sottoposto da lunga data e continuativamente, senza avere mai denunciato la cosa (né costituendosi parte civile nei processi penali per il delitto p. e p. dall'art 629 c.p., cosa priva - in sé - di rilevanza penale), ad estorsione da parte del clan -OMISSIS- ”, che “ per l’importanza delle sue commesse, era ritenuto in posizione dominante la qual cosa faceva sì che di lui si occupassero direttamente i capi clan o le loro coniugi . . . senza necessità di attuare in suo danno le tipiche condotte intimidatorie, come il blocco dei cantieri ”, e che “ il vantaggio che il primo [-OMISSIS-] traeva dal rapporto privilegiato con il clan consistendo nel “riuscire a lavorare sempre”, a differenza degli imprenditori provenienti dal casalese e dal napoletano i quali subivano intimidazioni e azioni violente per dissuaderli dal perseverare ”. Tale modus vivendi , se inidoneo sul piano penale a configurare un’ipotesi di “imprenditore colluso”, ben può tuttavia costituire un indice più che ragionevole per indurre un giudizio di permeabilità dell’imprenditore medesimo al condizionamento malavitoso, in quanto proclive a ricercare modalità per convivere con l’assoggettamento al controllo delinquenziale, il cui predominio viene in tal modo ad essere sostanzialmente accettato e, in definitiva (ancorché del tutto involontariamente), favorito e agevolato nel dispiegamento della sua forza intimidatrice di controllo del territorio.

6.2.3. La Sezione ha a tal proposito chiarito (sin dalla sentenza 3 maggio 2016, n. 1743) come anche la “contiguità soggiacente” alle consorterie mafiose, e non solo quella “compiacente”, possa fondare il giudizio negativo dell’Autorità prefettizia [“ non si può dubitare che l’interpretazione giurisprudenziale tassativizzante, a partire dalla sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016, consenta ragionevolmente di prevedere l’applicazione della misura interdittiva in presenza delle due forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa ad influenze mafiose, allorquando, cioè, un operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le imprese e/o le logiche) da questa volute o, per altro verso, decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività ”: Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105]. Risulta in quest’ottica del tutto condivisibile l’argomento speso al riguardo nella sentenza appellata per dare rilievo al comportamento soggiacente del gruppo imprenditoriale in questione: “ la positiva corrispondenza della ricorrente alle richieste estorsive dei clan costituisce obiettivamente un ausilio finanziario alle organizzazioni malavitose, in quanto l’imprenditore estorto, oltre a fornire provvista finanziaria ai clan, ne evidenzia, anche nei confronti delle altre imprese, la forza intimidatrice e il controllo del territorio ”.

6.2.4. Non convince, dunque, la critica svolta dalla società appellante, secondo la quale il Tar non avrebbe considerato il contributo determinante fornito dal -OMISSIS-in sede penale per ricostruire e dimostrare le accuse nei confronti del clan -OMISSIS-: tale condotta, in sé encomiabile, non muta il convincimento che il predetto imprenditore abbia scelto in precedenza di “convivere” con il clan malavitoso, e ciò con reciproco vantaggio (pur al di fuori di quel rapporto sinallagmatico e organico con il gruppo malavitoso sostenuto dall’accusa, ma negato dalla sentenza del Giudice penale), ciò che sicuramente costituisce un indice valutabile di permeabilità ai condizionamenti malavitosi.

6.3. Un secondo profilo di contestazione (rubricato “ Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 91 e ss. d.lgs. 159/2011, art. 1 L 190/2012, Art. 97 Cost. – Sulla violazione del principio del tempus regit actum - Sul difetto di istruttoria – Sulla carenza dei parametri dell’attualità e della concretezza del pericolo di condizionamento mafioso ”) lamenta l’erroneità della sentenza appellata per “ non aver constatato che, alla predetta epoca dei fatti (ovvero nell’arco temporale 1995-2007) l’art. 84 comma 4 d.lgs. 159/2011 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 28.9.2011 n. 226), che attribuisce rilevanza ai fini della sussistenza di un pericolo di condizionamento mafioso in caso di omessa denuncia dei reati di estorsione, non era ancora entrato in vigore ”.

6.3.1. Il mezzo di gravame è inammissibile e comunque infondato.

6.3.2. Esso è inammissibile perché non dedotto in primo grado e articolato per la prima volta in appello. Né si riscontra nel caso in esame l’unica ipotesi nella quale, a termini dell’art. 104, comma 3, del codice del processo amministrativo, è consentita nel giudizio di appello la proposizione di motivi aggiunti (“ qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati ”).

6.3.3. Esso è comunque infondato perché la legittimità dell’atto amministrativo deve essere valutata alla stregua del quadro fattuale e giuridico esistente alla data della sua adozione e non con riferimento al tempo in cui viene valutato in giudizio. In ogni caso, la formulazione dell’art. 84, comma 4, del codice antimafia del 2011 (secondo cui “4. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte . . . c) . . . dall'omessa denuncia all'autorità giudiziaria dei reati di cui . . . etc. ”) ha un valore ricognitivo di una realtà fattuale, ma non esclude in alcun modo che le medesime condotte poste in essere nel periodo precedente all’entrata in vigore della citata disposizione non fossero valutabili e fossero prive del loro oggettivo significato di indice della sussistenza di situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa. In proposito la giurisprudenza ha peraltro non da ora chiarito che la sussistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa può essere dedotta da un’ampia casistica di elementi indiziari, che non costituiscono un numerus clausus e non consistono solo nelle circostanze desumibili dalle sentenze di condanna per particolari delitti e dalle misure di prevenzione antimafia, ma possono emergere da tutti gli altri provvedimenti giudiziari, qualunque sia il loro contenuto dispositivo, dai diversi rapporti di parentela, amicizia, colleganza, frequentazione, collaborazione, che per intensità e durata indichino un verosimile pericolo di condizionamento criminale, nonché da vicende anomale nella formale struttura o nella concreta gestione dell’impresa, sintomatiche di cointeressenza o di condiscendenza dell’impresa e dei suoi soci, amministratori, gestori di fatto con il fenomeno mafioso nelle sue più varie forme ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743). È stato altresì precisato che l’interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono risalenti nel tempo, purché dall’analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (così, ad esempio, Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712, Id ., 6 giugno 2022, n. 4616).

6.4. Sotto un terzo profilo (intitolato “ 1.3 – Error in iudicando - Sulla dimostrata estraneità alla permeabilità mafiosa del Gruppo -OMISSIS-- Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Sul travisamento dei fatti ”), parte ricorrente lamenta che “ Nulla però è stato motivato in ordine ad alcune delle risultanze istruttorie acquisite dalla stessa Amministrazione prima di procedere all’emanazione del provvedimento interdittivo gravato, tra cui vanno annoverate ” le note prot. n. -OMISSIS-dell’11 giugno 2021 del Nucleo di Polizia economico – finanziaria della Guardia di finanza di Caserta e prot. n. -OMISSIS- del 21 maggio 2021 del Nucleo di Polizia economico – finanziaria della Guardia di finanza di Napoli, che hanno escluso la sussistenza, nei confronti dell’impresa, di elementi di rilievo ai fini della normativa antimafia, nonché la nota prot. n. -OMISSIS-del 20 marzo 2020 della Direzione investigativa antimafia n. -OMISSIS-, che esclude la “contiguità” dell’imprenditore -OMISSIS--OMISSIS- al clan mafioso.

6.4.1. La censura è superabile alla stregua della condivisibile replica svolta sul punto nella memoria dell’Avvocatura dello Stato, dove si è correttamente osservato che trattasi di note informative concernenti solo lo specifico angolo di visuale proprio dell’organo istruttore, che si risolvono in formule di rito che comunque non inficiano il quadro indiziario posto a fondamento del provvedimento impugnato. La nota della Dia, a sua volta, non fa che riprendere elementi emersi nella sede penale e di prevenzione penale, già ampiamente considerati.

6.5. La parte appellante critica poi il passaggio motivazionale nel quale nella sentenza appellata si afferma che “ Non rileva quindi la mancata evidenziazione nell’istruttoria procedimentale di elementi ulteriori che suffragassero la perduranza della segnalata soggiacenza, incombendo sul ricorrente l’onere di provare l’adozione di misure atte ad interrompere la continuità gestionale. Nella fattispecie parte ricorrente non ha dato prova di aver adottato efficaci misure di self-cleaning, non potendosi considerare tali la donazione da parte del -OMISSIS-delle quote societarie in favore dei propri figli né l’intervenuto sequestro pluriennale alla cessazione del quale è seguito il ritorno al precedente assetto gestionale. ”. A giudizio della società ricorrente dal tenore letterale dell’inciso sopra citato risulterebbe la mancata analisi, da parte del Collegio di primo grado, delle doglianze del ricorso introduttivo e la mancata lettura della documentazione depositata in giudizio e, in particolare, della sentenza della Corte d’appello di Napoli n. -OMISSIS- che ha disposto la assoluzione piena del sig. -OMISSIS-dai reati allo stesso contestati. Il passaggio motivazionale contenuto nella sentenza appellata, qui sopra riportato, risulta invece del tutto logico, coerente e condivisibile e dimostra, esattamente al contrario della tesi di parte ricorrente, che il Tar ha maturato il suo convincimento, del tutto logico e coerente, sulla base di una completa e attenta lettura degli atti processuali.

6.6. In questa medesima parte del ricorso in appello la società ricorrente introduce poi un ulteriore e diverso motivo di contestazione, riassumibile nella considerazione per cui i dati contabili della gestione del Gruppo -OMISSIS-acquisiti anche nella sede penale dimostrerebbero la piena autonomia economico-finanziaria dell’impresa e la sua indipendenza da apporti estranei riferibili al clan -OMISSIS- e dunque l’inconsistenza della tesi della Prefettura circa una possibilità di sospetta contiguità con tali ambienti criminali (“ Sulla scorta di tali elementi deve concludersi che quanto meno dal 1999 all’attualità il gruppo -OMISSIS-non si è mai avvalso di finanziamenti provenienti da fonti incerte o sospette, sicché deve escludersi in radice che esistano elementi anche solo indiziari per ritenere che il danaro derivante dall’attività del Gruppo -OMISSIS-sia stato utilizzato dai camorristi per riciclare il loro denaro e che fosse nella disponibilità della criminalità organizzata ”).

6.6.1. Sul punto il Collegio rileva che il provvedimento prefettizio impugnato non risulta essere in alcun modo basato sulla tesi di un’interposizione fittizia del Gruppo -OMISSIS-rispetto a beni e attività facenti capo al clan camorristico locale, o comunque di una cogestione, per conto del predetto clan, di una o più attività imprenditoriali. Tale accusa, mossa in sede penale, è stata esclusa da quel giudice e non risulta ripresa o altrimenti valorizzata nell’interdittiva qui oggetto di giudizio, sicché la predetta argomentazione difensiva appare non pertinente.

6.7. Nel prosieguo dell’atto introduttivo la società appellante si diffonde poi nella ricognizione delle varie proposizioni spese dal Giudice penale per scagionare i -OMISSIS-dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e interposizione fittizia di beni, ma la riproduzione di tali passaggi motivazionali, a detta della parte appellante trascurati dal Prefetto e dal Tar, non rileva ai fini della sostenibilità e della tenuta delle argomentazioni induttive, già sopra in sintesi illustrate, che hanno condotto non illegittimamente l’autorità prefettizia prima e il Tar poi a ritenere non illogica, e adeguatamente sorretta sul piano istruttorio dei presupposti fattuali rilevanti, l’ipotesi di perdurante esposizione dell’impresa ricorrente al rischio di permeabilità mafiosa. I fatti di oggettiva contiguità dell’impresa ricorrente rispetto al clan malavitoso, acclarati nella sede penale, se giudicati dal Giudice competente inidonei ai fini della prova penale dei reati ascritti, non per questo non sono logicamente idonei, nel giudizio discrezionale della competente Autorità di prevenzione, a sorreggere il giudizio di perdurante permeabilità di quell’impresa al rischio di condizionamenti mafiosi.

7. Un ulteriore tema di critica della sentenza appellata (e del provvedimento impugnato) attiene alla asserita “ carenza del presupposto dell’attualità ” (punto 1.4. dell’atto di appello). Nel caso di specie, secondo la ricorrente, alcuna motivazione sull’attualità e concretezza del rischio di infiltrazione per la società sarebbe stata esposta nella informativa da parte dell’UTG di Caserta. Il Tar avrebbe poi integrato la carente motivazione del provvedimento prefettizio sostenendo che l’attualità del pericolo di condizionamento mafioso non sarebbe elisa nemmeno dal lungo decorso di tempo dall’accertamento dei fatti (avvenuti nel 2007), ovvero dalla conclusione dei giudizi che hanno interessato il Gruppo -OMISSIS-(definitisi tra il 2012 e il 2014), essendo di per sé “ elemento neutro che non smentisce da solo la persistenza di legami vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari ”. Tale motivazione sarebbe, a detta della parte ricorrente, insufficiente poiché avrebbe omesso di considerare, “ quale elemento positivo idoneo a recidere qualsiasi forma di (ipotetica) soggiacenza attualizzata . . . il lungo periodo di Amministrazione giudiziaria che ha interessato la odierna appellante (dal 2007 al 2013) e che si presume abbia segnato una discontinuità temporale e di fatto con il passato ed una certezza di intervenuta bonifica della società da qualsiasi forma di permeabilità a meno che sia l’UTG che il TAR non abbiano inteso implicitamente che anche gli amministratori giudiziari nominati dai due Tribunali, Dott. -OMISSIS-, Dott. -OMISSIS-, Dott. -OMISSIS-, fossero permeabili ”. Non sarebbe stata considerata dal Tar, inoltre, la circostanza per cui la società sin dalla data di restituzione ai legittimi proprietari ha abbandonato il settore delle costruzioni edili dedicandosi ad attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare con locazioni e produzione di energie provenienti da fonti rinnovabili.

7.1. Anche questo mezzo di censura viene giudicato non condivisibile dal Collegio. Occorre premettere che gli accertamenti in punto di fatto derivabili dalla sentenza penale di assoluzione hanno riguardato non il solo -OMISSIS--OMISSIS-, ma la conduzione dell’intero complesso aziendale a lui facente capo, nonché i discendenti -OMISSIS--OMISSIS-e -OMISSIS--OMISSIS-, risultati anch’essi assolti dalle imputazioni di cui agli artt. 110, 416- bis , commi dal primo al sesto ed ottavo, c.p., ma comunque non estranei alle vicende fattuali ricostruite e descritte nella predetta pronuncia del Giudice penale.

7.2. Ciò posto, alla critica di parte appellante può contrapporsi il rilievo per cui il tipo di giudizio prognostico sfavorevole formulato dal Prefetto (e giudicato non illegittimo dal Tar) poggia su considerazioni tali da non risentire in modo particolare degli effetti del decorso del tempo (rispetto ai fatti storici presi in considerazione): il giudizio sfavorevole, infatti, si fonda sulla considerazione secondo la quale, in sintesi, l’aver per un lungo (ancorché non recente) periodo di tempo prestato acquiescenza al ricatto malavitoso, al punto da aver definito con il gruppo delinquenziale un rapporto di sostanziale non belligeranza tale da consentire all’impresa di continuare a lavorare realizzando un notevole volume d’affari (e ciò anche grazie alla protezione di fatto goduta rispetto a interferenze e azioni criminose di altri clan rivali), è indice di un atteggiamento “neutro” verso il fenomeno delinquenziale e di una propensione ad accettare accomodamenti con esso che, pur non integrando fattispecie penali, costituisce oggettivamente il terreno ideale perché possano attecchire forme di infiltrazione e di condizionamento anche attuali nella conduzione aziendale.

7.3. Sotto un diverso profilo, come detto, la parte appellante adduce i cinque anni di sottoposizione dell’impresa all’amministrazione giudiziaria quale riprova della intervenuta recisione netta con qualsiasi pregressa (asserita) soggiacenza della ricorrente alla criminalità, quasi come se tale periodo potesse rappresentare “ ex lege una sicura bonifica, recisione e discontinuità ” rispetto al passato. Questa prospettazione risulta poi ripresa nel motivo rubricato “ 5 – Error in iudicando - Sulla portata applicativa delle ordinanze di Codesto Consiglio di Stato n. 5615/2022 e 5624/2022 ” dell’atto di appello (dove si richiamano a sostegno le ordinanze di questa Sezione 6 luglio 2022 di rimessione all’Adunanza plenaria n. 5615/2022 del 6 luglio 2022 e n. 4718/2019, secondo le quali “ l’esito del controllo, se attestante l’intervenuta “bonifica” dell’impresa, potrebbe o dovrebbe determinare la revoca dell’interdittiva ”).

7.3.1. Anche questo argomento non persuade il Collegio, dal momento che il punto problematico, rilevato in modo non illogico dal Prefetto, si situa esattamente nel momento della restituzione del compendio aziendale alla famiglia che lo aveva precedentemente gestito in modo da suscitare (quanto meno e senz’altro) forti sospetti di connivenza con il clan malavitoso dominante nel territorio, sospetti poi dequotati in sede penale a vicende non penalmente rilevanti, o comunque non tali da inverare le gravi accuse di reati associativi e di reati fine inizialmente ascritti sia a -OMISSIS--OMISSIS- che a -OMISSIS--OMISSIS-e -OMISSIS-, ma comunque fattualmente tali da poter del tutto ragionevolmente fondare il convincimento, nell’Autorità di prevenzione, del possibile ripetersi di fenomeni di non trasparente esposizione a forme di condizionamento malavitoso. In ogni caso, ad avviso del Collegio la sottoposizione ad amministrazione giudiziaria (prima per sequestro penale, poi per sequestro preventivo) non equivale ex se a self cleaning ex artt. 6, 7 e 24- ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o a una sorta di forma anticipata del nuovo istituto delle “ Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione ” di cui all’art. 94- bis introdotto nel codice delle leggi antimafia dall'art. 49, comma 1, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233.

7.3.2. Questa Sezione (sentenza 16 giugno 2022, n. 4912) ha peraltro avuto modo di chiarire che la conclusione favorevole del controllo giudiziario di cui all’art. 34- bis del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 non è di per sé ostativa a che il Prefetto, in sede di aggiornamento dell'informativa, possa confermare l’informativa antimafia disposta antecedentemente alla sottoposizione al controllo, poiché non può sostenersi che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante o condizionante sul rischio di infiltrazione dell'impresa da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049, 11 gennaio 2021, n. 319 e 16 giugno 2022, n. 4912). Del resto il giudizio di permeabilità e di esposizione alle infiltrazioni malavitose riguarda principalmente e direttamente le persone fisiche che hanno il controllo e la direzione gestionale e operativa dell’impresa, non il complesso aziendale in sé o l’attività d’impresa oggettivamente considerati. Non vi è dubbio che esistono settori “sensibili” e più esposti a quel tipo di condizionamento, ma il giudizio prognostico in funzione preventiva dell’Autorità prefettizia verte primieramente e soprattutto sulle persone titolari o gestori dell’impresa. In quest’ottica è evidente che la gestione commissariale, anche se protrattasi per un non breve lasso di tempo (e indipendentemente dai risultati operativi ed economici conseguiti), se può aver “bonificato” il compendio aziendale e introdotto metodi operativi migliori e più affidabili, non può per ciò solo tradursi in un conseguenziale mutamento di approccio e di atteggiamento di quelle persone fisiche che, in precedenza coinvolte in rapporti di contiguità soggiacente con l’organizzazione criminale (ancorché in termini penalmente non rilevanti, in quanto imprenditori vittime), ora tornano alla direzione e gestione dell’impresa.

7.3.3. Non risulta poi rilevante ai fini del decidere il richiamo, operato dalla parte appellante nel motivo del ricorso introduttivo rubricato “ 5 – Error in iudicando - Sulla portata applicativa delle ordinanze di Codesto Consiglio di Stato n. 5615/2022 e 5624/2022 ”, all’ordinanza 6 luglio 2022 n. 5615/2022 con la quale questa Sezione ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione “ se l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, del codice n. 159 del 2011, comporta che il giudice amministrativo – nel corso del giudizio di primo grado o di quello d’appello avente per oggetto la presupposta interdittiva antimafia – debba sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., o debba rinviare l’udienza eventualmente già fissata ” (quesito al quale peraltro l’Adunanza plenaria ha dato di recente una risposta negativa: sentenze nn. 6 e 8 del 13 febbraio 2023).

7.4. Neppure appare rilevante sul piano del giudizio prognostico negativo formulato dalla Prefettura la circostanza, a dire della parte appellante trascurata dal Prefetto e dal Tar, per cui la società ricorrente avrebbe abbandonato il settore delle costruzioni edili dedicandosi ad attività di gestione del proprio patrimonio immobiliare con locazioni e produzioni di energia da fonti rinnovabili: sul piano statistico è forse vero che l’attività edilizia si annovera tra quelle più vulnerabili alla penetrazione mafiosa, ma non si può certo escludere che tale possa essere anche quella relativa alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Quest’ultimo settore, anzi, richiedendo la conclusione di rapporti con il Gestore della rete di trasmissione nazionale e dando luogo all’accesso a corposi incentivi pubblici, si annovera naturalmente tra quelli per i quali l’acquisizione dell’informativa antimafia è doverosa.

8. Argomenti critici analoghi a quelli ora esaminati sono svolti nel punto 1.5 del ricorso (“ Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Sul travisamento dei fatti - Sulla carenza dei parametri dell’attualità e di concretezza del pericolo di condizionamento. Sulla completa estraneità da potenziali condizionamenti malavitosi delle sorelle -OMISSIS--OMISSIS-, figlie di -OMISSIS--OMISSIS- ”). Il Tar avrebbe ulteriormente errato lì dove ha ritenuto che il mutamento della compagine societaria (dal 21 settembre 2020 la proprietà delle quote spetta alle sole tre figlie del sig. -OMISSIS-, -OMISSIS-) non fosse idoneo a rappresentare una valida misura di self cleaning stante la permanenza di -OMISSIS--OMISSIS- nella carica di amministratore della società, la cui permanenza quale amministratore della società andrebbe “ letta come un ulteriore indice della completa trasparenza dell’operato della ricorrente ”.

8.1. La tesi di parte ricorrente sembra voler sostenere che la conservazione in capo al -OMISSIS--OMISSIS- della carica operativa e gestionale determinante – quella di amministratore unico della società – sia solo formale, o fittizia, motivata con la volontà di “non eludere alcun controllo”. È una tesi oggettivamente debole, che non risulta persuasiva. Né il ruolo – in sé centrale e determinante – di amministratore unico conservato dal sig. -OMISSIS--OMISSIS- può essere sminuito o ridimensionato sul rilievo che “ dal 21.9.2020 è radicalmente mutato l’assetto della società ricorrente, le cui quote di proprietà sono state trasferite alle figlie del predetto -OMISSIS- ”, mentre quest’ultimo “ oggi malato e 80enne, con più patologie ed in ultimo l’intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica e dalla aorta ascendente, con l’atto notarile del 21.9.2020 non ha voluto eludere alcun controllo previsto dalla disciplina antimafia, era ed è rimasto l’amministratore unico delle società (per quanto gli sarà possibile esserlo) le cui quote sono state donate alle figlie ”. Risulta sotto tale profilo del tutto condivisibile quanto scritto in merito nella sentenza di primo grado: “ rileva il Collegio, che la permanenza del -OMISSIS-nella carica di amministratore della società, rende la modifica dell’assetto proprietario (realizzato peraltro mediante donazione in favore dei figli) un’operazione insufficiente ad evidenziare una reale soluzione di continuità tra la precedente e l’attuale gestione ”.

8.2. È peraltro nota la qui condivisa giurisprudenza della Sezione in tema di rilevanza dei rapporti di parentela (sentenze 26 aprile 2022, n. 3215, 2 gennaio 2020, n. 2, 24 aprile 2020, n. 2651, 26 febbraio 2019, n. 1349, 21 gennaio 2019, n. 515, 7 febbraio 2018, n. 820), ritenuti idonei a supportare il provvedimento interdittivo laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa o allorquando tali rapporti, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti), ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia.

9. Il secondo motivo di gravame è così rubricato: “ 2 – Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Ulteriori profili – Sul travisamento dei fatti – Sulla contraddittorietà con la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. -OMISSIS- ”. Qui la parte ricorrente contesta il fatto che la sentenza impugnata avrebbe attribuito un’ingiustificata importanza al fatto che -OMISSIS- fosse denominato “ o’ sergente e così indicato nei registri degli imprenditori taglieggiati ”. L’attribuzione del soprannome, come risulterebbe dalla motivazione della sentenza di assoluzione, era frutto casuale di una sorta di sistema di “cifratura” o di occultamento dei reali nomi delle imprese taglieggiate e accomunava dunque il -OMISSIS-ai tanti altri imprenditori dell’area di Marcianise taglieggiati dal clan -OMISSIS-.

9.1. La critica mossa nel ricorso in appello, che pure pone in luce un dato di fatto emergente dagli atti citati, non è comunque tale da viziare la sentenza appellata, la quale ha chiaramente motivato il rigetto del ricorso non già (e certo non solo) sul soprannome “o’ sergente”, ma sulla considerazione della peculiare natura, indubbiamente caratterizzata da forte intensità e continuità, dei rapporti intrattenuti dal -OMISSIS-con il clan malavitoso. Risulta chiaramente dagli atti – e non è contestato neppure in questo giudizio – il fatto che l’impresa -OMISSIS-era considerata tra le maggiori “tributarie” del gruppo criminale, insieme ad altre imprese di rilevanti dimensioni per volume d’affari, al punto che era lo stesso -OMISSIS--OMISSIS- a recarsi periodicamente nelle abitazioni delle mogli degli esponenti del clan -OMISSIS- per versare il dovuto, senza l'intermediazione di manovalanza malavitosa di basso rango e con esclusione di ogni forma di azione intimidatoria nei confronti dell’impresa -OMISSIS-, ormai considerata una sorta di contribuente “sicuro”, che doveva essere lasciato libero di poter lavorare. Tali circostanza sono state provate e affermate nel giudizio penale. Esse non sono state giudicate dal Giudice penale tali da costituire i reati contestati, ma restano acquisite e correttamente sono state valutate dal Prefetto sintomatiche di un potenziale rischio, ancora concreto e attuale, di condizionamento malavitoso.

10. Il terzo motivo di appello (rubricato: “ 3 – Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Ulteriori profili ”) critica il fatto che il Tar avrebbe erroneamente valorizzato la circostanza (in realtà ininfluente) che il passaggio di denaro (frutto di estorsione al Gruppo) fosse avvenuto tra il -OMISSIS-e le mogli del clan -OMISSIS-.

10.1. Anche questa doglianza risulta infondata e comunque irrilevante, giusta quanto già considerato nel precedente punto 9. Il fatto, inoltre, ricordato dalla parte appellante nel motivo in esame, per cui la riferita circostanza era dovuta all’obbligo del -OMISSIS-di “ pagare al Clan delle somme mediamente più alte degli altri imprenditori della zona con la convenienza dello stesso ad evitare mediazioni con gregari ”, lungi dall’indebolire, rafforza quanto sopra rilevato circa la particolare intensità e la specialità del rapporto di contiguità tra il gruppo imprenditoriale e quello malavitoso.

11. Il quarto motivo del ricorso in appello deduce censure di “ disparità di trattamento ai danni della odierna appellante . . . rispetto ai 350/400 nominativi di noti imprenditori casertani tutti riconosciuti come conclamate vittime delle estorsioni del Clan -OMISSIS- ”. Secondo la società ricorrente la Prefettura di Caserta avrebbe “ perpetrato una grave ingiustizia ed illegittimità allorché, a fronte di 350/400 imprenditori tutte vittime delle stesse estorsioni e tutte valutate allo stesso modo dal Giudice Penale (ovvero con assoluzione nonostante il documentato passaggio di danaro di tutti i detti imprenditori in favore del Clan -OMISSIS-) ha emesso interdittive antimafia 12 anni dopo il processo solo ai danni del Gruppo -OMISSIS- ”. Il motivo, deve aggiungersi, è indirettamente introdotto anche in diversi altri punti del ricorso introduttivo.

11.1. In disparte il profilo della inammissibilità del motivo in esame introdotto in primo grado solo nelle argomentazioni difensive sviluppate nell’atto di motivi aggiunti, esso si appalesa comunque infondato nel merito, poiché la sottoposizione dell’impresa ricorrente alla qui contestata interdittiva antimafia non è nata per una libera iniziativa del Prefetto, ma risponde a una specifica richiesta del -OMISSIS-o della ricorrente medesima, che evidentemente abbisognava della liberatoria antimafia per la stipula dei contratti con il -OMISSIS-per la vendita di energia elettrica da fonte rinnovabile da essa società attualmente prodotta, o per altri scopi leciti. Non è dunque possibile stabilire un raffronto giuridicamente utile tra la posizione di essa impresa richiedente e quella delle altre imprese del territorio, anch’esse asseritamente già sottoposte al taglieggiamento malavitoso, chiamate a metro di raffronto, le quali potrebbero non aver ricevuto alcuna interdittiva antimafia anche per la semplice ragione di non averla mai richiesta (o perché nessuna pubblica amministrazione o gestore di pubblici servizi, tra i soggetti tenuti a richiedere le comunicazioni e le informazioni antimafia prima di contrattare con imprese private, l’hanno mai dovuta richiedere). In ogni caso la censura appare inammissibile e infondata anche perché, così come proposta, si traduce in un inammissibile controllo generalizzato sull’operato dell’Autorità di prevenzione: non è questa la sede, evidentemente, per sindacare il modo in cui l’Autorità prefettizia locale intende condurre e conduce le proprie funzioni di prevenzione dei fenomeni malavitosi o per esercitare una qualche forma di controllo generalizzato sui suoi indirizzi operativi.

11.2. Appare comunque sufficiente e condivisibile la motivazione reiettiva fornita al riguardo dal primo Giudice, secondo la quale “ Non rileva nel presente giudizio la circostanza che informazioni interdittive non siano state adottate nei confronti delle altre imprese che risultavano iscritte nell’elenco delle aziende oggetto delle richieste estorsive dei clan, dovendo, come noto, aversi riguardo alle singole circostanze di ciascuna di esse, atteso che l’eccesso di potere può configurarsi solo quando a fronte di situazioni uguali l’Amministrazione adotti provvedimenti diversi ”.

12. Il quinto motivo (rubricato “ 4 – Error in iudicando – Sul difetto di motivazione della sentenza gravata – Ulteriori profili ”) sostiene che l’informativa e la sentenza gravata si fonderebbero anche sull’errata analisi dell’attuale assetto aziendale della -OMISSIS- s.r.l. Aggiunge la società appellante che il Tar non avrebbe preso in considerazione la dedotta irrilevanza ai fini interdittivi della sentenza di condanna del 1992 irrogata al -OMISSIS--OMISSIS-, trattandosi di condanna risalente a quasi trent’anni fa per un reato minore (sentenza della Pretura di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Marcianise, di condanna del sig. -OMISSIS--OMISSIS- per la contravvenzione p. e p. dall’art. 1 della legge 12 ottobre 1982, n. 726 di omessa comunicazione di notizie di un cantiere di lavori pubblici).

12.1. Contrariamente alla tesi di parte ricorrente, la condanna in questione, applicata al sig. -OMISSIS--OMISSIS-, che è l’attuale amministratore unico della società ricorrente, è sicuramente rilevante e non appare essere “minore”, trattandosi di condanna per il reato previsto e punito dall’art. 1 del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, recante Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa , convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726.

13. Con la censura denominata “ 4.1– Omessa ovvero insufficiente motivazione – Ulteriori profili ” la parte appellante ripropone sostanzialmente i rilievi critici già proposti e sopra esaminati circa l’assenza di attualità e concretezza del ritenuto pericolo di esposizione dell’impresa a tentativi di infiltrazione e condizionamento da parte della malavita (“ Dai motivi sopra citati emerge che nessun elemento concreto di valutazione negativo od ostativo è stato addotto dal GIA e indicato nelle note informative delle Forze dell’Ordine a carico specifico della TAR.IM. S.r.l., pur considerata in ogni articolazione del suo attuale organigramma ai sensi dell’art. 85 d.lgs. 159/2011. Risulta peraltro particolarmente significativa la circostanza per cui non vi è alcun rilievo da parte della Prefettura in ordine all’odierna compagine societaria così come altrettanto significativo è il silenzio serbato sul punto dalla sentenza gravata ”).

14. Con il sesto motivo di appello (rubricato “ 6 – Error in iudicando – Sulla violazione e falsa applicazione di legge (art. 93 d.lgs. 159/2011 in relazione alla L 241/90;
art. 97 Cost) – Sulla omessa comunicazione di avvio del procedimento – Sulla violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento
”) la società appellante ripropone il motivo di gravame di primo grado concernente la asserita illegittimità del provvedimento interdittivo per mancanza del contraddittorio procedimentale.

14.1. In merito il Giudice di prime cure ha respinto la doglianza facendo corretta applicazione del principio di diritto, condiviso da questa Sezione, secondo cui le modifiche introdotte nel codice delle leggi antimafia dal decreto-legge n. 152 del 2021 non sono retroattive e dunque non possono trovare applicazione quale parametro di giudizio della validità dell’atto qui in esame, anteriormente adottato. Né risulta illegittima, essendo, anzi, condivisibile, la valutazione compiuta dal Tar – con ampia e articolata motivazione nella parte finale della sentenza appellata - della ricorrenza nel caso di specie, alla stregua dei precedenti, ordinari canoni di valutazione, delle ragioni di urgenza impeditive dell’applicazione delle garanzie partecipative.

15. Il settimo motivo di appello (“ Error in iudicando - Sulla illegittimità derivata del provvedimento del -OMISSIS-prot. n. -OMISSIS-del 17.11.2021 che ha disposto la risoluzione delle convenzioni n. -OMISSIS-e -OMISSIS- ”) contesta il provvedimento del -OMISSIS-di risoluzione dei rapporti in corso con la società ricorrente. Argomenta la parte appellante facendo rilevare che tali rapporti erano stati attivati dai custodi giudiziari che nell’anno 2012 si erano fatti autorizzare dal Tribunale penale investimenti per la costruzione di impianti fotovoltaici con le liquidità di tutte le società del gruppo -OMISSIS-per euro 2.500.000,00.

15.1. L’argomento non è convincente. Anche in questo caso, come già sopra rilevato, la verifica antimafia si è resa necessaria non già rispetto alla gestione commissariale, bensì rispetto al ritorno nella responsabilità gestionale dei soggetti originari, a vario titolo, come detto, coinvolti nel rapporto, oggettivamente esposto a rischi di permeabilità, con la malavita organizzata locale. Il fatto, dunque, che i rapporti con il -OMISSIS-siano stati autorizzati dal Tribunale e attivati dai custodi giudiziari non inficia in alcun modo la validità degli atti di ritiro qui impugnati, che costituiscono peraltro esiti vincolati e dovuti dell’informativa interdittiva.

16. Sotto un ultimo profilo, parte appellante torna a contestare anche la validità del provvedimento dell’ANAC (“ 7.2 – Sulla illegittimità derivata del provvedimento dell’ANAC del 3.11.2021 ”) di iscrizione dell’informativa antimafia a carico della ricorrente nel Casellario informatico. Il motivo è inammissibile, perché non deduce alcuna critica alla sentenza appellata riguardo al punto di doglianza in esame e si limita a riproporre la contestazione proposta in primo grado. Esso è peraltro infondato stante la natura dovuta e vincolata dell’atto, di contenuto puramente ricognitivo.

17. Quanto all’avvenuta presentazione in data 6 febbraio 2023 di un’istanza di ammissione al controllo giudiziario ex art. 34- bis , comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 presso al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione misure di prevenzione, il Collegio osserva da un lato che si tratta di vicende successive all’adozione del provvedimento impugnato che, come tali, sono ininfluenti ai fini del presente giudizio, dall’altro lato che l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 6 e 8 del 13 febbraio 2023, rispondendo ai quesiti sollevati da questa Sezione con le ordinanze 6 giugno 2022, n. 4578 e 6 luglio 2022, nn. 5615 e 5624, ha condiviso la tesi dell’autonomia dei procedimenti, già espressa da questa stessa Sezione con la sentenza 19 maggio 2022, n. 3973, ed ha enunciato il seguente principio di diritto: “ la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva ”.

18. Naturalmente l’impresa ricorrente potrà nuovamente chiedere alla competente Prefettura una valutazione aggiornata della persistente sussistenza delle ragioni ostative riconosciute con il provvedimento in questa sede gravato, atteso che, come ricordato dalla Corte di cassazione, Sez. I pen., 10 novembre 2022, n. 42646 (richiamata nelle ora citate pronunce della Plenaria), la definitività dell’interdittiva « non determina (…) la stabilità ed intangibilità dell’interdizione precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione », poiché, al contrario, essa presenta una « natura necessariamente provvisoria e temporanea ».

19. L’appello, in conclusione, deve essere respinto.

20. Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti le spese del giudizio.

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