Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-09-07, n. 201105025
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N. 05025/2011REG.PROV.COLL.
N. 01290/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1290 del 2007, proposto da:
F V, rappresentato e difeso dagli avv. L M, A R, B R, con domicilio eletto presso A R in Roma, via Romeo Romei 19;
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;Consiglio Superiore della Magistratura;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 01985/2006, resa tra le parti, concernente NON IDONEITA' ALLA NOMINA A FUNZIONI DIRETTIVE SUPERIORI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2011 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati B R e Giustina Noviello (avvocato dello Stato);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame il ricorrente, già magistrato di Cassazione collocato a riposo dal 25 gennaio 1998 per raggiunti limiti di età, ha appellato la decisione del Tar del Lazio che ha respinto il suo ricorso avverso il provvedimento dell’Assemblea Plenaria del Consiglio Superiore della Magistratura del 17 maggio 2001, che lo aveva dichiarato “ a decorrere dal 11 marzo 1981 non idoneo a soluzione ai fini della nomina di funzioni direttive superiori e del contestuale conferimento di un ufficio corrispondente a tali funzioni ”.
L’appello è affidato ad un’unica rubrica di gravame, articolata in più profili, con cui si lamenta il difetto di motivazione, la violazione dell’articolo 16 della legge 30 dicembre 1973, n. 831, e l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta e travisamento.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato con memoria, con cui si è confutato analiticamente le tesi dell’appellante e concluso per il rigetto.
Chiamata all’udienza pubblica di discussione la causa è stata ritenuta in decisione.
L’appello è infondato.
Assume l’appellante che l’articolo 16 della legge 30 dicembre 1973, n. 831, avrebbe solo consentito al Consiglio Superiore della Magistratura la valutazione dell’anzianità di otto anni ed il raggiungimento dei limiti di legge, mentre al contrario il CSM avrebbe fatto luogo ad un’interpretazione aggiuntiva, di carattere del tutto personale, che la legge non avrebbe previsto.
In secondo luogo, il periodo esaminato sarebbe completamente coperto dal giudicato dalla decisione del Consiglio di Stato, che portò alla nomina del dottor F alla Corte di Cassazione e che avrebbe integralmente travolto i pareri negativi del Consiglio Superiore, della Corte di Torino e gli altri interventi, nel procedimento i quali conseguentemente non avrebbero potuto essere riesaminati dal CSM. Erroneamente il giudizio di non idoneità alle funzioni superiori:
-) avrebbe tenuto presente fatti già ritenuti inesistenti;
-) avrebbe ignorato l’assoluzione e la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione che aveva considerato i fatti ascritti irrilevanti;
-) avrebbe ignorato le positive valutazioni fatte dal Procuratore Generale sulla sua persona;
-) avrebbe ignorato che l’appellante sarebbe stato oggetto di una persecuzione durata oltre quarant’anni e di un sistematico demansionamento e dequalificazione;
-) si sarebbero omesse le due esaltanti note di elogi indirizzate al suo superiore diretto, il Procuratore Generale del tempo.
Il Consiglio giudiziario di Torino prima, il CSM dopo ed, infine, il Tar del Lazio avrebbero dato rilievo a fatti risalenti nel tempo, peraltro comunque precedenti la sua nomina a magistrato di Cassazione, che contenevano accuse generiche, inconsistenti ed infondate;avrebbe considerato, senza alcuna spiegazione, sanzioni disciplinari condonate;ed addirittura avrebbe attribuito rilevanza al ritardo nella promozione a magistrato di Cassazione, che sarebbe dovuto esclusivamente alle decisioni dello stesso CSM (che l’aveva ingiustamente negata) puntualmente poi annullate dal Giudice Amministrativo.
L’assunto va complessivamente respinto.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere l’appellante, l'art. 16 della L. 20 dicembre 1973, n. 831, svincola il riconoscimento di idoneità alle funzioni direttive superiori dei magistrati ordinari da ogni automatismo od elemento predeterminato ed, al contrario, impone un'ampia ed approfondita valutazione di ciascun aspirante, che deve tener presente tutti i fatti ed i comportamenti tenuti dal magistrato nel corso della sua intera vita professionale, ivi compresi quelli passibili di sanzioni disciplinari. Il termine di otto anni previsto dall'art. 16, L. n. 831 cit. indica infatti il solo periodo di tempo decorso il quale si può procedere alla valutazione dalla sussistenza dei requisiti necessari allo svolgimento di funzioni superiori, e non anche il periodo entro il quale va circoscritto l'accertamento dei suddetti requisiti, ben potendo il C.S.M. estendere legittimamente il suo esame a tutti i precedenti di carriera del magistrato (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3163 e, in precedenza, Consiglio Stato, sez. IV, 28 marzo 1992 , n. 339).
Legittimamente l'amministrazione prende dunque in considerazione l'intera personalità del magistrato quale risulta dal complesso dell'attività svolta nel corso della carriera e non già solo gli ultimi otto anni di permanenza nella qualifica di magistrato di cassazione, sia in quanto trattasi di valutazione di particolare delicatezza che non può essere delimitata temporalmente, sia in quanto tale valutazione non è esclusa da alcuna norma di legge, e specificamente dall'art. 16 l. 20 dicembre 1973 n. 831 (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 09 dicembre 2002, n. 6670).
E ciò per la fondamentale ragione che la valutazione del magistrato effettuata dal Consiglio Superiore della Magistratura per l'idoneità alle funzioni direttive superiori, prevista dall'art. 16, l. 20 dicembre 1973 n. 831 è preordinata, innanzitutto, alla salvaguardia dell'interesse e dei fini organizzativi della magistratura, essendo le funzioni direttive ulteriori, e diverse, da quelle giudicanti e requirenti.
La valutazione dell’idoneità al conferimento di uffici direttivi superiori ai magistrati di Cassazione deve dunque essere compiuta nella maniera più ampia e approfondita possibile e con riferimento a tutti gli elementi attinenti la vita professionale dei richiedenti che possano essere significativi (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV, 08 luglio 1999, n. 1192).
Quanto infine al lamentato eccesso di potere si deve ricordare che la valutazione delle attitudini e dell'idoneità dei magistrati a ricoprire un posto direttivo o semidirettivo messo a concorso è espressione di un'ampia valutazione discrezionale che, come tale, impinge nel merito dell'azione amministrativa e conseguentemente è di norma sottratta ad un penetrante sindacato giurisdizionale, salvi i casi di palese irragionevolezza, travisamento dei fatti ovvero arbitrarietà. (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 09 agosto 2010, n. 5445).
In tale prospettiva, i precedenti giurisdizionali favorevoli al ricorrente, di annullamento del diniego della promozione a magistrato di Cassazione, hanno comunque lasciato intatti i relativi atti istruttori, i quali continuano ad avere un rilievo come elementi esponenziali della personalità dell’appellante.
Nel caso del tutto ragionevolmente si è infatti dato rilievo a comportamenti (che avevano comportato la sanzione della perdita dell’anzianità di sei mesi per violazione dell’art. 181 sulle guarentigie) o a frequentazioni di ambienti non consoni ad un magistrato (sanzionate alle due censure del 1986 e del 1991).
Nel caso, la valutazione del CSM in ordine ai comportamenti, allo spessore professionale, ed alle attività del magistrato appaiono del tutto congruenti con i relativi presupposti e precedenti di carriera ivi compresi i fatti antecedenti al 1973.
In definitiva, considerando complessivamente gli elementi della valutazione impugnata, la stessa appare del tutto esente da manifesti e gravi vizi funzionali che la connotino in termini di eccesso di potere per travisamento, o incoerenza tra presupposti e conseguenze, o comunque per illogicità manifesta.
In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Avuto riguardo alla natura della materia del contendere, le spese possono tuttavia essere integralmente compensate tra le parti.