Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-12, n. 202006952
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Pubblicato il 12/11/2020
N. 06952/2020REG.PROV.COLL.
N. 05803/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5803 del 2011, proposto da
M C e E D G, rappresentati e difesi dall'avvocato T P, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Mangazzo in Roma, via G.G. Belli, 39
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, A P, G T, E C e A Carda, con domicilio eletto presso lo studio E Associati Srl Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18
nei confronti
C S, rappresentato e difeso dall'avvocato Settimio Di Salvo, con domicilio eletto presso lo studio Edoardo Lombardi in Roma, via di San Sebastianello, 9
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania - Napoli: Sezione IV, n. 1759/2011
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli e di C S;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2020 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti l’avvocato Angelo Vallifuoco, su delega di E C.
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. IV, 25 marzo 2011, n. 1759 ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento della disposizione dirigenziale della Direzione centrale riqualificazione urbana e periferie – Servizio antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli n. 548 del 6 agosto 2009, relativa ad opere edilizie realizzate in via B. Cavallino n. 50.
Secondo il TAR, sinteticamente:
- la relazione di verificazione condotta sull’immobile, tesa ad accertare la sussistenza e l’epoca di realizzazione del manufatto oggetto del provvedimento impugnato, parla di un ampliamento dell’esistente esteso metri cinque per cinque ed alto metri sette, ha concluso che tale manufatto è stato edificato tra l’8 giugno 1978 e il 4 aprile 1981;
- non si può concordare con i ricorrenti circa la dedotta inattendibilità delle risultanze di verificazione in relazione ad eventuali lacune delle mappe catastali su cui l’ausiliario ha svolto la propria relazione, atteso che la relazione di verificazione non è affatto stata redatta sulla scorta delle sole risultanze catastali contestate;
- le conclusioni cui giunge il verificatore possono essere ritenute del tutto corrette ed attendibili anche perché sostanzialmente confermative e specificative delle risultanze di fatto cui era giunta, in precedenza, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nella richiesta di archiviazione datata 13 luglio 2008 (doc. 19 di parte ricorrente), rivolta al Giudice per le indagini preliminari, nell’ambito del procedimento penale intentato verso i ricorrenti ed un tecnico di loro fiducia;
- è pacifico che il provvedimento impugnato ha avuto origine dal sopralluogo condotto da personale comunale in data 12 dicembre 2007, e che esso è intervenuto al termine di attività istruttoria del tutto distinta da quelle precedentemente condotte dal Comune e in occasione del rilascio della concessione n. 52-1980 e in occasione della sanzione irrogata nel 2005 con riguardo ad una tettoia, che gli stessi ricorrenti ammettono di avere spontaneamente eliminata;
- la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non costituisce un motivo idoneo a determinare l'annullabilità, in quanto è palese, attesa l'assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento " non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ", sicché sussiste la condizione prevista dall'art. 21-octies, comma 2, L. n. 241/1990.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR, eccependone l’erroneità e riproponendo, nella sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato, chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 13 ottobre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo di appello è infondato, posto che l'ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell'abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell'abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dall'art. 33, comma 2, e 34, comma 2, d.P.R. n. 380/2001) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine, questa volta non indirizzato all'autore dell'abuso, ma agli uffici competenti dell'Amministrazione, di esecuzione in danno.
Tale valutazione deve essere effettuata mediante apposito accertamento da parte dell'Ufficio Tecnico Comunale, d'ufficio o su richiesta dell’interessato, ma non incide sulla legittimità dell’originaria ordinanza di demolizione, che è fondata sulla sussistenza di un abuso edilizio.
Nel caso di specie, si deve rammentare che la Direzione centrale riqualificazione urbana e periferie – Servizio antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli, con atto n. 548 del 6 agosto 2009, ha rilevato la sussistenza di opere edilizie realizzate nel complesso immobiliare di proprietà dei ricorrenti sito in via B. Cavallino n. 50 (denominato “Villa La Loggetta” e costruito nel 1932), consistenti in un ampliamento in muratura su due livelli, esteso cinque metri per cinque ed alto sette metri, la cui sussistenza è emersa nel corso di un sopralluogo condotto da personale comunale in data 21 dicembre 2007.
Tale intervento, non contemplato nella concessione edilizia n. 52 del 6 marzo 1980, relativa al medesimo compendio immobiliare, ma avente ad oggetto soltanto lavori di manutenzione, integra ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. e), T.U. n. 380/2001, costituisce un rilevante abuso edilizio con conseguente legittima emissione dell’ordinanza di demolizione.
Occorre ancora rammentare che in primo grado è stata svolta un’approfondita e del tutto condivisibile Verificazione che, sostanzialmente e in sintesi, ha sancito il carattere abusivo dell’intervento.
Occorre ancora aggiungere, in relazione al quinto e sesto motivo di appello, che la concessione edilizia n. 52 del 6.3.1980 riguardava un intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria con risanamento statico igienico-sanitario e locativo, ma non vi era alcun assenso amministrativo all’intervento edilizio contestato, da qualificarsi, quindi, come abusivo.
2. Con riferimento al secondo e terzo motivo di appello è sufficiente ricordare che l’Adunanza plenaria esclude in sostanza l’obbligo di motivazione dell’ordinanza di demolizione (anche adottata a distanza di anni dall’abuso nei confronti dell’attuale proprietario che non lo ha perpetrato) (cfr. Cons. St., Ad.Pl., 17 ottobre 2017, n. 9).
Pertanto, nel caso in esame, non era necessaria alcuna particolare motivazione in ordine all'interesse pubblico alla demolizione, venendo in rilievo comunque un’attività doverosa da parte dell’amministrazione e in relazione alla quale il decorso del tempo non attenua il carattere di obbligatorietà dell’intervento repressivo.
Inoltre, e con riferimento al quarto motivo di appello si deve ribadire, come bene ha precisato il TAR, che, stante la tipologia di abuso e l’accertamento effettuato, la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non costituisce un motivo idoneo a determinare l'annullabilità del provvedimento, in quanto è evidente, attesa l'assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento " non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ", ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, L. n. 241/1990.
3. Deve, infine, confermarsi l’inammissibilità del ricorso di primo grado dell’interveniente Sorrentino C, che ipotizza la propria qualità di controinteressato, ed al quale il ricorso non era stato notificato, nonché l’inammissibilità dell’atto di intervento spiegato da quest’ultimo.
Infatti, il sig. Sorrentino, promittente acquirente del compendio in cui si trova il manufatto oggetto dell’ordine di demolizione impugnato, non possiede la qualità di controinteresato in senso tecnico, che presuppone la sussistenza di un interesse eguale e contrario rispetto a quello dei ricorrenti al mantenimento del provvedimento impugnato.
Il sig. Sorrentino, al fine di giustificare il suo interesse, ha affermato di aver proposto, nel giudizio civile, domanda di risoluzione del contratto preliminare per colpa dei promissari alienanti, con la conseguenza restituzione del doppio della caparra confirmatoria ad essi già versata ed il risarcimento dei danni.
Tale interesse, evidentemente, deve qualificarsi come interesse di mero fatto.
Peraltro, il sig. Sorrentino non riveste nemmeno la qualità di controinteressato in senso formale, atteso che egli non risultava neppure individuabile dal tenore del provvedimento impugnato.
4. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza rispetto al Comune, mentre possono essere compensate con il sig. Sorrentino.