Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-09-16, n. 201105228
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 05228/2011REG.PROV.COLL.
N. 02427/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2427 del 2006, proposto da:
C M, rappresentata e difesa dall’Avv. L D P, con domicilio eletto in Roma presso l’Avv. Marcello De Luca Tamajo, Studio Legale Boursier – Niutta – De Luca Tamajo, via Faravelli, 22;
contro
Comune di Napoli (Na), in persona del Sindaco
pro tempore
, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. E B, dall’Avv. G T e dall’Avv. A P, tuddi dell’Avvocatura Comunale, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio dell’Avv. Gian Marco Grez corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Napoli, Sez. IV, n. 20422 dd. 19 dicembre 2005, resa tra le parti e concernente demolizione opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2011 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per aria Grazia Cannavacciuolo l’Avv. L D P e l’Avv. G T per il Comune di Napoli.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.L’attuale appellante, Sig.ra Mariagrazia Cannavacciuolo, espone di aver acquistato con atto dd. 7 luglio 1980 Rep. 1561 – Racc. 757 a rogito del dott. Vittorio Folinea, Notaio in Napoli, un immobile composto da un appartamento ubicato al quarto piano, interno B, e da un sottotetto al quinto piano dell’edificio ivi ubicato in Via Medina n. 5.
Un grave evento sismico si è quindi verificato in Campania il 23 novembre 1980, interessando anche Napoli: e a seguito di ciò un tecnico dell’Amministrazione Comunale ha effettuato in data 25 maggio 1981 un sopralluogo nell’immobile della Cannavacciuolo, riscontrando l’avvenuta esecuzione senza titolo edilizio di opere di riparazione e di riattazione interna.
Per tale motivo l’immobile medesimo è stato contestualmente sequestrato dall’autorità giudiziaria e, poi, dissequestrato in data 31 luglio 1981 con provvedimento del Pretore di Napoli, il quale ha consentito il completamento delle opere, purchè non in violazione alle disposizioni di legge e di piano regolatore.
Con ordinanza n. 1858/82 Dir. VI C.A. 535/81 – Prot. n. 03678 dd. 18 febbario 1982 il Sindaco di Napoli ha peraltro ingiunto la demolizione delle opere di cui trattasi in quanto eseguite senza titolo edilizio.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 686 del 1982 innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, la Cannavacciuolo ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento del Sindaco, deducendo al riguardo eccesso di potere, violazione di legge, illogicità manifesta, contraddittorietà e difetto di presupposto.
1.3. Con ordinanza n. 260 dd. 31 marzo 1982 il giudice adito ha respinto la domanda di sospensione cautelare dell’atto impugnato, avanzata dalla ricorrente a’ sensi dell’allora vigente art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034.
1.4. Nel frattempo è entrata in vigore la disciplina di sanatoria degli abusi edilizi di cui all’art. 31 e ss. della L. 28 febbraio 1985 n. 47 e la Cannavacciuolo ha presentato al Comune di Napoli un’istanza in tal senso effettuando anche il previsto pagamento dell’oblazione contemplata al riguardo.
La medesima Cannavacciuolo afferma – altresì – che a tutt’oggi l’Amministrazione Comunale non si è pronunciata su tale istanza.
1.5.1. “Inopinatamente, considerato il ricorso prodotto avverso l’ordinanza di demolizione, il contenuto dell’ordinanza stessa, la istanza di condono con gli adempiuti pagamenti ed il tempo trascorso, veniva fissata la discussione del ricorso a distanza di oltre venti anni dalla sua presentazione” (cfr. pag. 2 dell’atto di appello proposto nella presente sede di giudizio dalla Cannavacciuolo) e, pertanto, con sentenza n. 20422 dd. 19 dicembre 2005 la Sezione IV^ del T.A.R.per la Campania, Sede di Napoli, ha respinto il ricorso medesimo, “salvo gli esiti della domanda di condono proposta dalla ricorrente” , contestualmente condannata al pagamento delle spese di giudizio nella misura di € 1.000,00.-
1.5.2. Il giudice di primo grado ha innanzitutto evidenziato che la Cannavacciuolo ha dedotto l’illegittimità dell’ingiunzione a demolire da lei impugnata sostenendo che le opere indicate in tale provvedimento come abusive sarebbero state – viceversa – legittimamente realizzate in esecuzione dell’ordinanza n. 80 dd. 6 gennaio 1981 emessa dal Commissario Straordinario per le zone terremotate, con la quale – per l’appunto – era stato intimato ai proprietari di provvedere senza indugio alle opere di assicurazione e di sistemazione degli edifici lesionati dall’evento tellurico del 1980, e ciò in deroga ad ogni diversa normativa vigente.
Tali opere –secondo la descrizione fatta dalla medesima Cannavacciuolo – consisterebbero innanzitutto nel rinforzo di alcuni solai e nel rifacimento di altri con l’utilizzo di materiali moderni, ossia putrelle in ferro in sostituzione delle precedenti travi in legno.
A tale riguardo – riferisce sempre il giudice di primo grado – la Cannavacciuolo ha allegato la circostanza che i nuovi solai occuperebbero meno volume dei precedenti, consentendo in tal modo un recupero di cubatura interna.
La Cannavacciuolo ha pure con l’occasione rifatto i pavimenti e i bagni e effettuato la traslazione di una scala in ferro interna all’appartamento e utilizzata per l’accesso al sottotetto.
La Cannavacciuolo, sempre nel corso del giudizio di primo grado, ha pure contestato quanto affermato dal tecnico comunale, secondo il quale in aderenza al proprio appartamento essa avrebbe ricavato un nuovo vano di circa 70 metri cubi con solaio in ferro, due pareti in mattone e una aperta e munita di solo parapetto.
Ad avviso della medesima Cannavacciuolo tale preteso vano si identificherebbe, per contro, con un terrazzo coperto, già evidenziato nel 1939 concomitantemente al primo impianto del catasto, confermato come tale anche nelle schede catastali più recenti e richiamato pure nell’anzidetto atto di acquisto risalente nel 1980, ossia ad epoca precedente al terremoto.
La Cannavacciuolo rimarca – altresì – che anche lo stesso tecnico comunale riconoscerebbe, in buona sostanza, la natura di terrazzo coperto del manufatto testè descritto, nel mentre essa afferma che l’armatura in ferro di metri 24 x 1,50 x 2,30 circa ivi eseguita e contestata come abusiva si identificherebbe invece con un grillage in ferro, esistente da sempre e che sostiene alcune piante rampicanti.
La Cannavacciuolo ha reputato e reputa che le opere da lei realizzate si configurerebbero come ammesse dalla predetta ordinanza n. 80 dd. 6 gennaio 1981 emessa dal Commissario Straordinario in quanto a’ sensi di tale provvedimento l’esecuzione di opere in deroga era ammessa: a) qualora riguardasse edifici danneggiati dal sisma del 23 novembre 1980;b) qualora le opere medesime.
fossero necessarie per consentire il rientro o la permanenza degli occupanti di tali edifici;c) qualora le opere in questione rientrassero nelle tipologie contemplate nell’allegato all’ordinanza medesima.
1.5.3. Il giudice di primo grado ha, viceversa, reputato che le opere realizzate dalla Cannavacciuolo non rientrano in tali previsioni.
Nella sentenza resa dal T.A.R. si legge, infatti, che invero è provato l’avvenuto danneggiamento dell’immobile della Cannavacciuolo in occasione del sisma, e che con atto formale l’Amministrazione Comunale ha pure disposto in dipendenza del danneggiamento medesimo l’esecuzione ad horas di tutte le opere di assicurazione “strettamente necessarie per scongiurare il pericolo di crollo” .
Tuttavia, ad avviso dello stesso giudice, il rifacimento del solaio di copertura non potrebbe ricondursi ad opera strettamente necessaria per evitare il crollo dell’edificio in quanto la Cannavacciuolo non si sarebbe limitata, come prescritto nell’allegato all’ordinanza anzidetta, a rinforzare il solaio con travi in ferro ma avrebbe rifatto totalmente il solaio medesimo ricavando in tal modo ulteriore volume utile dal sottotetto.
Inoltre, per quanto attiene alla realizzazione in aderenza dell’appartamento del predetto vano di 70 metri quadri, il giudice di primo grado ha evidenziato che dalla dettagliata descrizione contenuta nel verbale di sequestro redatto in data 25 maggio 1981 si ricava che tale opera costituirebbe funzionalmente la realizzazione di una realità nuova rispetto al preesistente terrazzo coperto, del quale sono state mantenute soltanto una delle tre pareti e il parapetto in tufo.
Su quest’ultimo sarebbero state quindi apposte verticalmente delle travi in ferro, con la conseguenza che il manufatto si configurerebbe come un vero e proprio settimo vano dell’appartamento, non rientrante quindi tra le opere realizzabili in deroga alla vigente normativa, posto che l’allegato tecnico all’anzidetta ordinanza commissariale consentiva per le strutture verticali portanti in muratura il solo consolidamento e riprese con iniezioni cementizie e incatenamento di pareti e volte.
In conseguenza di ciò il T.A.R. ha reputato che la realizzazione della Cannavacciuolo necessitava, all’epoca, di concessione edilizia a’ sensi dell’allora vigente art. 1 della L. 28 gennaio 1977 n. 10.
Per quanto da ultimo attiene alla ristrutturazione interna con realizzazione di nuovi tramezzi, servizi e pavimentazione, nonché traslazione della scala interna, il giudice di primo grado ha categoricamente escluso che tali opere possano configurarsi come necessarie per impedire il crollo dell’edificio;e, poiché l’allora vigente art. 9 della L. 10 del 1977 assoggettava a concessione edilizia gratuita le sole modifiche interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche e statiche delle abitazioni ovvero per realizzare volumi tecnici, ad avviso del medesimo giudice tutti gli altri mutamenti interni assumerebbero una portata ben più ampia se – come, per l’appunto, nel caso di specie – risultano preordinati a realizzare opere e risultati diversi rispetto al miglioramento delle condizioni igieniche e statiche.
In conseguenza di ciò, pertanto, anche per tali opere il T.A.R., richiamandosi al precedente costituito dalla decisione di Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 1998 n. 1557, ha nella specie reputato la necessità del rilascio della concessione edilizia a titolo oneroso.
2.1. La Cannavacciuolo ha proposto il presente appello avverso la sopradescritta sentenza, rilevando innanzitutto che per quanto segnatamente attiene ai solai di copertura l’impugnata ingiunzione a demolire afferma che nella specie sarebbero stati realizzati una “rifazione” e un “probabile abbassamento del solaio di copertura mq. 133 in ferro e laterizi, aumentando così il volume utile del sovrastante sottotetto” .
L’appellante rimarca che le condizioni di estrema fatiscenza e di instabilità dell’immobile preesistevano rispetto alla verificazione del sisma, tanto che le stesse erano state già eloquentemente descritte a pag. 3 del relativo contratto di acquisto, dove – tra l’altro – si legge che “l’unità immobiliare, unitamente al fabbricato di cui fa parte, trovasi in pessime condizioni statiche e locative ed, in particolare, l’appartamento presenta serie lesioni e necessita di molte ed urgenti riparazioni” .
Il sisma – sostiene l’appellante - ha quindi per certo aggravato tale situazione, alla quale i lavori hanno quindi posto rimedio: e la circostanza, poi, dell’affermazione secondo cui l’abbassamento del solaio di copertura sarebbe “probabile” consentirebbe di acclarare che nella specie l’istruttoria sarebbe stata del tutto approssimativa e che le conclusioni cui è pervenuta l’Amministrazione comunale sarebbero oltremodo perplesse, posto che con ciò l’Amministrazione medesima mostra di dubitare dell’avvenuta realizzazione di un aumento del volume utile del sottotetto.
L’appellante, peraltro, anche al di là di tale pur significativa notazione, afferma che tale aumento non sarebbe comunque avvenuto, posto che l’altezza del vano del sottotetto risulterebbe ad oggi identica a quella riportata nelle mappe catastali annesse al contratto di compravendita;né – comunque – ad avviso dell’appellante medesima risultava a quel tempo necessario il rilascio di una concessione o autorizzazione edilizia per la realizzazione di opere interne non modificative della sagoma dell’edificio, oppure non comportanti aumento delle unità immobiliari o – ancora – una destinazione d’uso diversa.
Per quanto attiene alla contestata realizzazione del vano di 70 metri quadri in aderenza all’appartamento, l’appellante ribadisce che si tratterebbe di un terrazzo coperto a livello la cui esistenza risulterebbe comprovata dalle mappe catastali del 1940 e che il sostegno alla muratura esistente sarebbe stato eseguito in piena conformità all’allegato tecnico all’ordinanza commissariale n. 80 dd. 6 gennaio 1981, ossia al solo scopo di fornire sostegno alla muratura preesistente.
Da ultimo, per quanto concerne alla contestata realizzazione di “nuovi tramezzi o servizi per una diversa sistemazione interna” , l’appellante afferma che tale “vaga, approssimativa ed incompleta dizione” dell’impugnata ingiunzione a demolire corrisponderebbe, a sua volta, “ad una conforme e vaga istruttoria” , con la conseguenza che ove si volesse dare esecuzione all’ingiunzione medesima non potrebbero ragionevolmente essere individuati gli interventi necessari per la rimessa in pristino dell’immobile, il quale pertanto, e proprio a seguito degli interventi dianzi descritti, sarebbe stato legittimamente salvaguardato nella sua integrità mediante la sostanziale applicazione della predetta ordinanza commissariale n. 80 del 1981.
L’appellante ha pure prodotto copia della sentenza n. 100226/05 dd. 30 dicembre 2005 con la quale il giudice onorario presso il Tribunale di Napoli, relativamente alla realizzazione delle opere sopradescritte, l’ha assolta dal reato di cui all’allora vigente art. 118 del D.L.vo 29 ottobre 1999 n. 490 perché il fatto non costituiva reato.
2.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, concludendo per la reiezione dell’appello.
L’Amministrazione Comunale ha pure prodotto agli atti di causa copia della nota Prot. 1158809 dd. 22 febbraio 2011 della propria Direzione Centrale VI – Riqualificazione Urbana – Edilizia – Periferie – Unità di Progetto Condono Edilizio dalla quale consta, tra l’altro, che la pratica di condono edilizio non è stata a tutt’oggi definita, non risultandoo ancora espresso su di essa il parere della competente Soprintendenza, trattandosi di opere eseguite su immobile assoggettato a vincolo storico-artistico.
2.3. Con ordinanza n. 2348 dd. 16 maggio 2006 la Sezione ha respinto la domanda di sospensione cautelare della sentenza impugnata, avanzata dall’appellante a’ sensi dell’allora vigente art. 33 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, “considerato che l’appello non appar (iva) sostenuto da adeguato fumus ” e che, comunque, “la sentenza impugnata fa salvi gli effetti della domanda di condono” .
2.4. Alla pubblica udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
3.1. Preliminarmente il Collegio deve farsi carico di evidenziare che, nel caso di specie, a fronte di un’ingiunzione a demolire opere abusive emanata nel 1982 e tempestivamente impugnata in sede giurisdizionale, la proprietaria dell’immobile ed esecutrice delle opere medesime ha susseguentemente proposto istanza di sanatoria a’ sensi dell’art. 31 e ss. della L. 47 del 1985.
Su tale istanza a tutt’oggi l’Amministrazione Comunale non si è a tutt’oggi determinata, nel mentre il giudice di primo grado ha respinto il relativo ricorso “salvo gli esiti della domanda di condono proposta dalla ricorrente” .
In effetti, tale modalità di definizione della causa risulta di per sé abnorme rispetto all’assolutamente maggioritaria giurisprudenza, sia di questa stessa Sezione (cfr., ad es., la decisione n. 2844 dd. 12 maggio 2010), sia dello stesso T.A.R. per la Campania (cfr., ad es., tra le sentenze più recenti, quella della Sezione VII di Napoli n. 1401 dd. 10 marzo 2011), secondo la quale - viceversa - la presentazione dell’istanza di sanatoria successivamente all'impugnazione dell’ordinanza di demolizione produce l’effetto di rendere inefficace tale ultimo provvedimento e, quindi, improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse: e ciò in quanto il riesame dell’abusività dell’opera provocato da tale istanza, sia pure al fine di verificare l’eventuale sanabilità di quanto costruito, ex se comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa, dal momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento di conformità, l’Amministrazione Comunale dovrebbe emettere una nuova ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi.
Ciò posto, il Collegio - per parte propria - conferma in linea di principio la fondatezza di tale ultima conclusione, confortata anche da ragioni di economia procedimentale e processuale.
Tuttavia, nelle ipotesi in cui sussistano – come, per l’appunto, nel caso di specie – macroscopici ritardi nella definizione del procedimento di sanatoria (nel caso qui in esame ben ventisei anni: e ciò con l’ulteriore notazione per cui rispetto alla disciplina di sanatoria ab origine introdotta dall’art. 31 e ss. della L. 47 del 1985 sono nel frattempo sopravvenute anche le ulteriori sanatorie di cui all’art. 39 della L. 23 dicembre 1994 n. 724 e dell’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 convertito con modificazioni in L. 24 novembre 2003 n. 326) in contesti territoriali in cui notoriamente la repressione dell’abusivismo edilizio con concomitante tutela dei vincoli paesaggistici e storico-artistici incontra gravi difficoltà organizzative nell’ambito delle azioni amministrative a ciò deputate, e allorquando – sempre con riguardo al presente caso – la stessa Amministrazione Comunale ha significato che il sub-procedimento di verifica della compatibilità di quanto abusivamente realizzato rispetto al vincolo storico artistico gravante sull’area già a’ sensi della L. 1 giugno 1939 n. 1089 e ora a’ sensi dell’art. 10 del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42 è a tutt’oggi ben lontano dal concludersi, è opportuno che il giudice esprima comunque il proprio sindacato di legittimità sul provvedimento che ingiunge la demolizione segnatamente in ordine ai presupposti che hanno indotto l’Amministrazione Comunale ad emetterlo, fermo comunque restando che il condono edilizio eventualmente sopravvenuto impedirà di dar corso alla demolizione medesima.
La demolizione, inoltre, nell’ipotesi di reiezione della domanda di condono, potrà comunque essere attuata soltanto con la fissazione di un nuovo termine affinchè il proprietario possa ottemperare direttamente alla disposta riduzione in pristino: e ciò, comunque, mediante un ulteriore provvedimento che l’Amministrazione Comunale dovrà emettere.
In tale contesto – giova ribadire, del tutto anomalo – la statuizione giudiziale assume quindi valenza sostanzialmente sollecitatoria nei riguardi dell’azione amministrativa deputata all’emissione del provvedimento definitivo sull’istanza di sanatoria, facendo sì che l’eventuale reiezione del ricorso proposto avverso l’ingiunzione a demolire renda evidente che ogni ragione di tutela per l’autore dell’abuso risiede ormai nell’esito del procedimento di condono a suo tempo avviato, e da lui auspicato favorevole.
Viceversa, l’eventuale accoglimento del ricorso renderebbe del tutto inutile la prosecuzione del procedimento di condono se nel giudicato è statuita la legittimità della realizzazione di quelle stesse opere che l’Amministrazione Comunale intendeva invece far demolire.
3.2. Stante il predetto e quanto mai considerevole lasso di tempo decorso, va anche precisato che il presente sindacato di legittimità del provvedimento che ha ingiunto la demolizione avviene per necessità, come per tutti gli atti amministrativi, con riferimento alla situazione in fatto e in diritto sussistente al momento dell’emanazione dell’atto medesimo (cfr. per il principio, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 12 gennaio 2011 n. 112), non essendo tuttavia preclusa all’Amministrazione Comunale la possibilità di applicare alla fattispecie un eventuale ius superveniens più favorevole al contravventore, peraltro nel contesto di procedimenti ulteriori e distinti rispetto a quello del condono risalente al 1985 eventualmente nel frattempo avviati, e fermo in ogni caso restando il principio di ordine generale per cui l’eventuale rilascio del titolo edilizio rimane comunque inderogabilmente subordinato al rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Autorità competente alla tutela del vincolo storico-artistico insistente sull’immobile.
4.1. Tutto ciò premesso, l’appello va respinto.
4.2. Con ogni evidenza la Cannavacciuolo ha posto in essere opere di ristrutturazione interna, quali
la posa di nuovi tramezzi, la realizzazione di nuovi servizi, la ripavimentazione, nonché la traslazione della scala interna, che manifestamente eccedono la semplice messa in sicurezza dell’immobile consentita dall’ordinanza commissariale n. 80 del 1981.
La medesima conclusione va assunta anche per il solaio, integralmente rifatto e non già posto in sicurezza mediante il consentito rinforzo dell’esistente mediante travature in ferro: opera, questa, che allo stato della normativa all’epoca vigente (artt.. 1 e ss. e 9 della L. 10 del 1977) richiedeva comunque l’emissione di un titolo edilizio, anche a prescindere dall’avvenuta realizzazione – o meno – di nuova cubatura;e ciò vale anche per il vano di 70 metri quadri ricavato in conseguenza della ristrutturazione del preesistente terrazzo coperto, stante il fatto che dal verbale di sequestro penale dell’immobile incontrovertibilmente emerge l’avvenuto mantenimento di una sola delle tre pareti e l’avvenuta infissione delle travi in ferro sul parapetto di tufo collocato sulla parte aperta del manufatto.
Né – da ultimo - giova alla posizione dell’appellante la sentenza n. 100226/05 dd. 30 dicembre 2005 con la quale il giudice onorario presso il Tribunale di Napoli, relativamente alla realizzazione delle opere sopradescritte, l’ha assolta dal reato di cui all’allora vigente art. 118 del D.L.vo 29 ottobre 1999 n. 490 perché il fatto non costituiva reato.
Tale statuizione, infatti, non vincola questo giudice non solo in considerazione della notoria circostanza che la disciplina complessivamente contenuta nell’art. 651 e ss. c.p.p.e successive modifiche non la rende di per sé vincolante per questo giudice in relazione – per l’appunto – all’assodata possibilità di ricondurre i fatti di causa a comportamenti sanzionabili anche da disposizioni diverse da quelle penali, ma anche – e soprattutto – in dipendenza del fatto che in quella precedente sede di giudizio l’attuale appellante era stata tratta in dipendenza dell’omessa richiesta dell’autorizzazione alla competente Sovrintendenza per la realizzazione di opere su di un immobile assoggettato a vincolo storico-artistico, mentre in questo procedimento giudiziale rileva unicamente la non ottemperanza rispetto a quanto all’epoca contemplato dagli allora vigenti artt. 1 e 9 della L. 10 del 1977, restando il profilo dell’assenso – a tutt’oggi mancante - dell’Autorità competente alla tutela dei vincoli storico-artistici del tutto devoluto, quale suo elemento condizionante ed esterno al thema decidendum del presente processo, all’ulteriore e ben diverso procedimento amministrativo di sanatoria dell’abuso edilizio.
5. Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, sussistendo al riguardo giuste ragioni.
Va invece dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.