Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-02-25, n. 201400891
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N. 00891/2014REG.PROV.COLL.
N. 08167/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8167 del 2013, proposto dal:
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Macerata, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
B. K. Ganga, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per le Marche, Sezione I, n. 464 del 19 giugno 2013, resa tra le parti, concernente silenzio-rifiuto a seguito di istanza di emersione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2014 il Cons. Dante D'Alessio e udita per l’Amministrazione appellante l’avvocato dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Il sig. Fonti Sasha aveva presentato, in data 15 settembre 2012, una domanda di emersione, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 109 del 16 luglio 2012, per la cittadina nepalese B.K. Ganga.
A seguito di tale istanza, la signora B.K. Ganga e il sig. Fonti Sasha erano stati invitati a presentarsi il 29 novembre 2012 presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Macerata, dove sottoscrivevano il contratto di soggiorno.
Non avendo più ricevuto copia del contratto di soggiorno, necessario per il rilascio del permesso di soggiorno, la signora B.K. Ganga impugnava davanti al T.A.R. per le Marche il silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione sulla domanda di emersione.
2.- Il T.A.R. per le Marche, con sentenza della Sezione I, n. 464 del 19 giugno 2013, ha accolto il ricorso limitatamente alla condanna dell’intimato «Sportello Unico per l’Immigrazione di Macerata di concludere il procedimento con un atto espresso».
Secondo il T.A.R., infatti, seppure è vero che l’art. 5 del d. lgs. n. 109 del 2012 non prevede un termine per la conclusione del procedimento e che l’art. 2, comma 4, ultimo periodo, della legge n. 241 del 1990 « sembra escludere dall’applicazione delle disposizioni dei commi 2 e 4, prima parte, dello stesso articolo 2 i procedimenti in materia di immigrazione, è altrettanto vero che non può ammettersi un procedimento amministrativo per il quale non esista un termine entro cui l’atto finale debba essere adottato ». Anche per i procedimenti di maggiore complessità o afferenti le materie della cittadinanza e immigrazione, deve quindi trovare applicazione « in assenza di specifiche disposizioni regolamentari … il termine generale indicato al comma 2 », non potendosi . « far ricadere sui privati l’omessa disciplina dei termini di conclusione dei procedimenti, soprattutto quando, come nella specie, la L. n. 241/1990 autorizzerebbe il Ministero dell’Interno a prevedere, per il procedimento di “emersione”, termini superiori persino a 180 giorni ».
3.- Il Ministero dell’Interno ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
DIRITTO
4.- L’appello può essere deciso, sussistendone i presupposti, con sentenza in forma semplificata, ai sensi degli articoli 60 e 74 del c.p.a., nella Camera di Consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare.
5.- L’appello deve essere accolto.
Come ha ricordato anche il T.A.R., nell’appellata sentenza, l’art. 5 del d. lgs. n. 109 del 2012, che ha consentito l’emersione di lavoratori stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale, non prevede un termine entro il quale il procedimento di emersione debba essere portato a conclusione (superato il quale deve ritenersi formato un silenzio significativo di rifiuto della relativa istanza).
5.1.- Né un termine certo per la conclusione del procedimento di emersione può ricavarsi dalla disciplina generale sul procedimento amministrativo che, all’art. 2, comma 4, ha espressamente stabilito che i termini per la conclusione del procedimento « non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione » che evidentemente possono concludersi in termini più lunghi.
In materia di immigrazione non si applica, quindi, nemmeno il limite temporale (più lungo) di centottanta giorni che può essere previsto per la conclusione dei procedimenti amministrativi in casi di particolare complessità, anche con riferimento alla sostenibilità dell’attività per l’amministrazione, o per la natura degli interessi pubblici tutelati.
5.2.- Del resto ciò si giustifica con la particolare natura di tali procedimenti che possono coinvolgere un numero anche molto rilevante di persone (non sempre esattamente misurabile a priori) e per i quali sono necessari a volte accertamenti complessi.
5.3.- Peraltro il Legislatore, nel consentire l’emersione, ha anche disposto (all’art. 5, comma 6, del d. lgs. n. 109 del 2012) la sospensione, sino al momento di conclusione del procedimento, dei procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per le violazioni delle norme relative all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale.
5.4. - In assenza di una espressa previsione legislativa (sul termine a provvedere e sulla formazione del silenzio rifiuto), e in assenza, nella fattispecie, di una formale diffida a provvedere, non poteva quindi essere riconosciuta alla parte la legittimazione ad impugnare un silenzio rifiuto che non si era formato.
6.- Si deve peraltro aggiungere che, nel caso in esame, il ricorso non poteva essere accolto anche perché l’Amministrazione aveva comunque reso note le ragioni che non consentono la conclusione positiva del procedimento di emersione.
Dalla relazione, in data 22 aprile 2013, dello Sportello Unico per l’Immigrazione si rileva che erano, infatti, emersi « dubbi sulla veridicità della documentazione esibita » con la conseguente trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria per la fattispecie di reato prevista dall’art. 5, comma 15, del d. lgs. n. 109 del 2012, in relazione all’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000.
7.- Per le esposte ragioni l’appello deve essere accolto e, in integrale riforma della sentenza appellata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
8.- Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.