Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-06-14, n. 201702918
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Pubblicato il 14/06/2017
N. 02918/2017REG.PROV.COLL.
N. 07147/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7147 del 2016, proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo anche Antitrust, o AGCM, o Autorità emanante o decidente), in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Aa s.p.a. , in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati F C e G L P, con domicilio eletto presso lo Studio del primo in Roma, via Vittoria Colonna, 32;
nei confronti di
Adiconsum -Associazione Difesa Consumatori e Ambiente –Sardegna, non costituitasi in giudizio;
Adiconsum - Associazione Difesa Consumatori e Ambiente, non costituitasi in giudizio;
Unione Nazionale Consumatori, non costituitasi in giudizio;
Utilitalia - Federazione delle Imprese Ambientali, Energetiche ed Idriche, non costituitasi in giudizio;
Codici Centro per i Diritti del Cittadino, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Letizia, con domicilio eletto presso lo Studio Codici Associazione in Roma, viale Guglielmo Marconi, 94;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA -SEZIONE I, n. 5450/2016, resa tra le parti, concernente applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria per pratica commerciale scorretta (PCS)- Aa –servizi idrici;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Vista la “memoria di costituzione anche ex art. 101, comma 2, c.p.a.”, di Aa, depositata il 6 ottobre 2016;
Vista la memoria di Aa per la camera di consiglio del 20 ottobre 2016;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Centro per i Diritti del Cittadino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 4 maggio 2017 il cons. M B e uditi per le parti gli avvocati Marco Stigliano Messuti dell'Avvocatura generale dello Stato per l’Autorità appellante, F C per Aa e Massimo Letizia per il Centro;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio ha accolto il ricorso della s.p.a. Aa, “società a partecipazione pubblica totalitaria, istituita, ai sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c), del d. lgs. n. 267 del 2000, per fare fronte alla riforma della gestione del SII (servizio idrico integrato regionale), implementata nella Regione Sardegna tra il 1997 e il 2004, che ha imposto l’istituzione di un unico gestore del servizio idrico medesimo” (così la sentenza impugnata, pag. 4), diretto all’annullamento del provvedimento n. 25625, adottato nell’adunanza del 16 settembre 2015, con il quale l’AGCM ha qualificato come pratiche commerciali scorrette poste in essere dalla Società: A) modalità di rilevazione dei consumi, procedure e criteri di fatturazione, rilevazione e procedure di depenalizzazione tariffaria di perdite occulte;B) richieste di pagamento di morosità pregresse e C) modalità di riconoscimento e di gestione dei reclami e procedure di messa in mora e distacco.
In particolare (v. punti da 4. a 15. , da 22. a 66. , da 88. a 94. quanto al parere dell’AEEGSI e da 98. alla fine del provvedimento impugnato in primo grado sulle valutazioni conclusive), l’Antitrust ha accertato, ai sensi degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del consumo, che le pratiche commerciali descritte alle lettere A), B) e C) del provvedimento medesimo costituiscono pratiche commerciali scorrette.
L’Autorità ha vietato la diffusione e la continuazione delle pratiche medesime e, per quanto attiene alla quantificazione della sanzione, ha comminato alla Società, per le violazioni di cui alla lettera A), una sanzione amministrativa pecuniaria di € 400.000;per le violazioni sub B), una sanzione amministrativa pecuniaria di € 80.000 e per le violazioni sub C) una sanzione amministrativa pecuniaria di € 600.000, per un importo totale quindi di € 1.080.000.
Esigenze di sintesi nella redazione dei provvedimenti giurisdizionali (arg. ex art. 3, comma 2, del c.p.a.) suggeriscono di non ripercorrere in dettaglio l’intera vicenda, nel suo svolgersi, a partire dalle numerose segnalazioni pervenute all’Autorità da parte di associazioni di tutela dei consumatori e di singoli consumatori (v. p. 3. del provvedimento impugnato in primo grado), con le quali veniva lamentata la condotta omissiva e non trasparente dell’ente gestore del servizio idrico in Sardegna.
Pare sufficiente rammentare che Aa, nel proprio ricorso, censurava il provvedimento con il quale l'AGCM l'aveva sanzionata per avere posto in essere pratiche commerciali scorrette nel rapporto con i propri utenti senza tuttavia avvedersi della circostanza che l'operato della Società era pienamente conforme al quadro regolatorio di riferimento dettato dall'AEEGSI, circostanza che era stata evidenziata anche dal Regolatore nell'ambito di un articolato e dettagliato parere, reso all’Antitrust in data 3 settembre 2015 ai sensi dell'art. 27, comma 1 bis, del Codice del Consumo, e sintetizzato ai punti da 87. a 94. del provvedimento sanzionatorio impugnato.
Nel ricorso, la Società rilevava come tale parere fosse stato sostanzialmente ignorato da parte dell'AGCM la quale, così facendo, aveva violato:
(a) l'art. 27, comma 1 bis, del Codice del consumo, in base quale, nell'ambito delle istruttorie finalizzate all'accertamento di pratiche commerciali scorrette in settori regolati, l'Autorità è tenuta ad acquisire il parere delle competenti Autorità di regolazione;
(b) gli articoli 2 e 4 del Protocollo d'intesa che AGCM ha stipulato con AEEGSI, ai sensi del quale "qualora ritenga di non poter condividere, anche in parte, il parere reso ai sensi dei precedenti commi, l'AGCM dà conto nel provvedimento finale della posizione espressa dall’AEEGSI”;
(c) più in generale, l'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi di cui all'art. 3 della legge n. 241/1990, in applicazione del quale deve ritenersi che ove l'Autorità intenda disattendere le conclusioni raggiunte nel parere, è tenuta a darne motivazione.
2.A fronte di tali censure il Tar del Lazio ha osservato (v. parte in Diritto, da pag. 13 a pag. 16) che effettivamente "il parere reso da AEEGSI, oltre a fornire una puntuale descrizione del contesto fattuale in cui le pratiche commerciali andavano inquadrate, ha espressamente riconosciuto la correttezza dei comportamenti adottati da Aa alla luce della regolamentazione vigente".
In particolare, dopo avere ripercorso in dettaglio il testo del parere dell’Autorità di regolazione (v. p. 1.2. sent. , pagine 14 e 15), il giudice di primo grado ha rilevato che "alla luce del parere in discorso i comportamenti contestati alla odierna ricorrente sono risultati sostanzialmente conformi alla disciplina di settore ovvero imposti dalla necessità di salvaguardare la missione di interesse generale che la società è stata chiamata a realizzare. L’AGCM, tuttavia, nel discostarsi dalle conclusioni raggiunte nel ripetuto parere, non ha offerto alcuna motivazione se non una clausola di stile per giustificare la propria scelta di non condividere la posizione diffusamente adottata dal Regolatore, limitandosi ad osservare come le considerazioni rese da AEEGSI fossero, in sostanza, inconferenti rispetto all'oggetto della sua indagine, e, in tal modo, si è sottratta al proprio obbligo motivazionale”. “L’Autorità –ha concluso il Tar- avrebbe invece dovuto motivare in modo esauriente le ragioni per le quali non ha ritenuto condivisibili le osservazioni rese dall'Autorità di regolazione;come rileva la giurisprudenza, infatti, "laddove la pubblica amministrazione procedente intende discostarsi da un parere acquisito nel corso del procedimento (obbligatorio, facoltativo o semivincolante), essa deve fornire un'idonea ed adeguata motivazione, pena l'illegittimità del provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento" (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, 30 maggio 2003, n. 3049)”. “Dalla lettura del provvedimento si evince tuttavia che tale obbligo è rimasto inosservato da AGCM”.
Da qui, la fondatezza del primo motivo, l’accoglimento del ricorso “assorbita ogni altra censura e deduzione”, e il conseguente annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato.
3. Con l’appello, l’Antitrust domanda la riforma della sentenza deducendo che il giudice di primo grado, nell’aderire alla tesi della società ricorrente, avrebbe travisato i contenuti sia del parere reso dall’Autorità di settore e sia del provvedimento emanato dall’AGCM.
Nell’atto di appello si sostiene che l’AEEGSI, nel proprio parere, avrebbe espresso una serie di considerazioni inerenti principalmente al contesto nel quale vanno inquadrate le condotte censurate (segue, da pag. 9 dell’atto di gravame, il riepilogo delle considerazioni svolte dall’AEEGSI, anche alla luce di quanto sintetizzato ai punti da 87. a 94. del provvedimento impugnato).
Ad avviso dell’Autorità appellante, l’Autorità di settore ha limitato il proprio intervento alla individuazione di elementi utili alla conclusione dell’istruttoria dell’AGCM, con riferimento in particolare alla regolazione, mentre nessuna considerazione è stata svolta dal Regolatore in ordine alla insussistenza di pratiche commerciali aggressive in violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del consumo.
Il parere dell’AEEGSI è assai circoscritto e non si estende alla considerazione della natura aggressiva delle PCS ai fini di una valutazione da compiersi ai sensi del Codice del consumo.
Il provvedimento dell’Antitrust non è stato adottato in difformità dal parere dell’AEEGSI.
Non vi è contrasto alcuno di posizioni tra la decisione dell’AGCM e il parere dell’AEEGSI posto che gli ambiti degli atti suindicati sono diversi e non sovrapponibili: più ristrette, e circoscritte al quadro regolatorio, le considerazioni dell’AEEGSI, mentre gli accertamenti dell’Antitrust riguardano il contrasto, rispetto alle disposizioni del Codice del consumo, di condotte ben più ampie, connotate da profili di aggressività, sicché bene l’AGCM ha evidenziato che le considerazioni svolte dall’AEEGSI –delle quali peraltro l’Autorità ha tenuto conto entro certi limiti (nell’appello si fa richiamo ad esempio alla situazione di difficoltà finanziaria di Aa, valorizzata dall’AGCM per ridurre le sanzioni)- erano in larga misura inconferenti rispetto all’oggetto della indagine, non consentendo alla Autorità emanante di superare il carattere aggressivo, e quindi illecito, delle condotte di Aa.
Il Tar non avrebbe analizzato in maniera sufficientemente approfondita le condotte di cui la Società è stata ritenuta responsabile, anche alla luce di quanto rilevato dall’Autorità emanante ai punti 98. e 99. del provvedimento impugnato.
L’appellante si sofferma poi in particolare sul fatto che l’Antitrust ha motivatamente messo in risalto le modalità aggressive dei comportamenti del professionista.
Si puntualizza inoltre che, con riferimento alle condotte di cui alla pratica B), l’AEEGSI nulla ha rilevato;e in relazione alla pratica C), il parere dell’AEEGSI è stato esclusivamente “di contesto”.
In definitiva l’Antitrust, nel formulare la propria valutazione autonoma, motivando in modo adeguato e completo, ed esente dai vizi riscontrati dal giudice di primo grado, ha accertato in modo legittimo e corretto, in relazione a tutte le pratiche indicate, la contrarietà delle condotte alla diligenza professionale, alla correttezza e alla trasparenza, anche in correlazione con l’impiego di strumenti coercitivi e aggressivi, in violazione degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del consumo.
Se il Tar del Lazio avesse considerato in modo adeguato la complessità e la natura aggressiva delle tre pratiche sanzionate dall’Antitrust, non avrebbe potuto escludere i profili di aggressività che caratterizzano tutte e tre le pratiche suddette, con conseguente “colorazione” di illegittimità delle PCS ove inserite in un contesto più ampio e, come rilevato, contrassegnato dall’impiego di modalità aggressive tali da ingenerare un condizionamento indebito.
In realtà, soggiunge l’Avvocatura dello Stato, il provvedimento impugnato costituisce un esempio di leale cooperazione tra l’AGCM e l’AEEGSI.
Infine, considerato che in base a quanto previsto all’art. 1/c) del protocollo di intesa l’AEEGSI, nel dicembre del 2014, aveva inviato all’AGCM numerose segnalazioni inerenti a problematiche degli utenti del settore idrico con Aa, dimostrando così di ritenere che i fatti segnalati ricadevano nel campo di applicazione delle disposizioni del Codice del consumo, pare illogico e contraddittorio che, poco tempo dopo l’avvenuta trasmissione di tali segnalazioni, la stessa Autorità di settore, nel rendere il parere prescritto dall’art. 27, comma 1 bis, del d. lgs. n. 206 del 2005, abbia, come si legge nella sentenza del Tar, “espressamente riconosciuto la correttezza dei comportamenti adottati da Aa alla luce della regolamentazione vigente”: tale illogicità viene meno solo ove si leggano in maniera corretta non soltanto il provvedimento dell’AGCM ma anche il parere dell’Autorità di settore che, come rilevato, si limita a fornire elementi di contesto.
4. Aa si è costituita con un’ampia memoria anche “ex art. 101, comma 2, c.p.a.” riproponendo le censure di legittimità sollevate con il ricorso di primo grado e non esaminate dal Tar e, con separata memoria, ha controdedotto in ordine alle censure specifiche dell’AGCM.
5. Con ordinanza n. 4783 del 2016 la sezione ha accolto l’istanza cautelare ai soli fini della sollecita trattazione del merito, per il quale ha fissato l’udienza del 4 maggio 2017, richiedendo nel contempo all’Antitrust una relazione dettagliata sulla sussistenza di pratiche, analoghe a quelle contestate ad Aa, poste in essere sul territorio nazionale da altri operatori economici.
L’Avvocatura generale dello Stato ha adempiuto a quanto richiesto dalla sezione, le parti hanno presentato memorie e, all’udienza del 4 maggio 2017, il ricorso è stato brevemente discusso e quindi introitato per la decisione.
6. In relazione all’articolato motivo di appello formulato dall’AGCM e sintetizzato sopra, al p. 3. , il Collegio ritiene che la sentenza impugnata vada confermata entro i limiti però, e per le ragioni e con le puntualizzazioni che seguiranno.
Come osservato in modo condivisibile dall’appellata, e diversamente da quanto sostiene l'appellante, il Regolatore, nel parere dato –non circoscritto al quadro regolatorio e attinente al solo contesto ma, perlomeno per quanto riguarda le pratiche sub A), riferito anche alla attività e alle condotte di Aa-, ha chiarito che numerosi tra i comportamenti di Aa sui quali l'AGCM aveva focalizzato la propria attenzione (e che poi sono stati qualificati come "illeciti" con il provvedimento sanzionatorio) erano, in realtà, pienamente conformi alle disposizioni di settore finalizzate a disciplinare il rapporto di utenza con i clienti finali.
Nel dettaglio, l'Autorità di regolazione, anche sulla base delle informazioni raccolte nell'ambito dell'attività ispettiva e di vigilanza autonomamente condotta ai fini del costante monitoraggio degli operatori, ha segnalato (v. , in particolare, pag. 5 e seguenti del parere, in atti;cfr. punti da 89. a 93. del provvedimento impugnato) che Aa: (i) rispetta la disciplina di settore in merito alle comunicazioni all'utenza in ordine alle tariffe applicate;(ii) rispetta la disciplina di settore sia con riferimento ai conguagli (c.d. “partite pregresse”) che con riferimento alla applicazione c.d. “retroattiva” delle tariffe e alle procedure di rateizzazione dei consumi; (iii) rispetta la normativa in merito alla fatturazione dei consumi presunti e, soprattutto, effettua la lettura periodica delle utenze secondo quanto previsto dalla Carta del Servizio, che a sua volta è in linea con lo "Schema generale di riferimento per la predisposizione del servizio idrico integrato" (mentre per quanto concerne gli aspetti inerenti alle richieste di pagamento di morosità pregresse rivolte al subentrante, alle modalità di gestione dei reclami, alle procedure di gestione della morosità / recupero crediti e messa in mora, e alla sospensione e interruzione (“distacco”) del servizio nel caso di morosità –cfr. PCS sub B) e C) del provvedimento impugnato, si anticipa sin da ora che considerazioni e conclusioni del Collegio saranno diverse: v. p. 7.).
Per quanto riguarda le pratiche sub A), occorre convenire con Aa laddove l’appellata osserva che, quantunque in presenza di una (larga, ancorché non piena) corrispondenza tra gli ambiti del parere dell’AEEGSI e l’oggetto degli accertamenti compiuti dall’AGCM, il predetto chiarimento dell’Autorità di regolazione avrebbe dovuto perlomeno diradare i dubbi circa la liceità dell'operato di Aa;nonostante ciò l’AGCM ha ugualmente ritenuto di dover sanzionare la Società proprio per le modalità con cui: (i) ha comunicato all'utenza la variazione delle tariffe applicate;(ii) ha proceduto ad effettuare conguagli dei consumi;(iii) ha concesso i piani di rateizzazione dei consumi;(iv) ha fatturato i consumi secondo stime senza procedere a letture di consumi "effettivi";o, quantomeno, l’Antitrust ha deciso ugualmente di irrogare sanzioni a carico della Società senza spiegare in maniera adeguata le ragioni per le quali l’osservanza del quadro regolatorio di riferimento non poteva considerarsi sufficiente al fine di escludere il carattere scorretto o aggressivo delle condotte e, in ogni caso, l’illiceità delle pratiche.
A differenza di ciò che ritiene l’appellante vi è un contrasto tra le posizioni dell’Autorità di regolazione, e dell’Autorità decidente, entro ambiti valutativi perlomeno parzialmente corrispondenti;vi è discordanza tra quanto rappresentato nel parere dell'AEEGSI (spec. da pag. 5 all’inizio di pag. 8) e quanto, in termini diversi, risulta essere stato accertato nel provvedimento sanzionatorio adottato dall’AGCM.
E ciò, del resto, emerge con chiarezza dall’esame della sentenza appellata, nella quale si legge –in modo condivisibile, fatto salvo ciò che si dirà più avanti, al p. 7.- che, a differenza di quanto accertato nel provvedimento sanzionatorio, "l'Autorità di regolazione ha sostanzialmente chiarito, anche sulla base delle informazioni raccolte nell'ambito dell'attività ispettiva e di vigilanza autonomamente condotta, che non erano emerse violazioni da parte di Aa in merito alle comunicazioni all'utenza in ordine alle tariffe applicate. Quanto alla fatturazione dei consumi presunti, AEEGSI ha sottolineato come non sia rinvenibile alcun obbligo, nella disciplina di settore, che imponga la fatturazione del servizio solo in base ai consumi effettivi e che, anzi "il ricorso a fatturazioni basate anche su letture stimate, consente di evitare i sovracosti che comporterebbe il ricorso a letture effettive per ogni fatturazione oltre che rendersi inevitabile in relazione alle oggettive problematiche di accessibilità dei misuratori". In ogni caso, con riferimento alle condotte tenute da Aa, l'Autorità di regolazione ha fatto presente che, a partire dal 2013, la società ha proceduto a tentativi di lettura con la prevista periodicità e, di conseguenza, ha modificato anche "le procedure di calcolo dei consumi da addebitare, in precedenza caratterizzate dalla presenza di ampie stime, con eliminazione delle stime per gli utenti per i quali siano andate a buon fine le due letture previste". “In merito all'attività di riscossione dei crediti, AEEGSI ha espressamente ricondotto la strategia seguita dalla società alla necessità di garantire il reperimento delle risorse finanziarie per la continuità della erogazione del servizio idrico in Sardegna, e per "scongiurare il rischio di default del gestore pubblico in oggetto" (su quest’ultimo profilo, come anticipato sopra, v. , “contra”, più sotto, al p. 7.). Alla luce del parere in discorso, quindi, i comportamenti contestati alla odierna ricorrente sono risultati sostanzialmente conformi alla disciplina di settore ovvero imposti dalla necessità di salvaguardare la missione di interesse generale che la società è stata chiamata a realizzare". “AGCM, tuttavia, nel discostarsi dalle conclusioni raggiunte nel ripetuto parere, non ha offerto alcuna motivazione se non una clausola di stile per giustificare la propria scelta di non condividere la posizione diffusamente adottata dal Regolatore, limitandosi ad osservare come le considerazioni rese da AEEGSI fossero, in sostanza, inconferenti rispetto all'oggetto della sua indagine, e, in tal modo, si è sottratta al proprio obbligo motivazionale. L’Autorità avrebbe invece dovuto motivare in modo esauriente le ragioni per le quali non ha ritenuto condivisibili le osservazioni rese dall'Autorità di regolazione…” .
Questo Collegio, nel condividere le argomentazioni trascritte sopra, in relazione e limitatamente alle pratiche sub A), ritiene di dover aggiungere che a nulla vale, per sovvertire l’esito del giudizio di primo grado “in parte qua”, il rilievo dell’Autorità appellante secondo cui l’AGCM avrebbe in modo legittimo omesso di tenere conto delle considerazioni svolte dal Regolatore per la semplice ragione che queste ultime non si estendevano alla valutazione del carattere “aggressivo” delle PCS ai fini dell’inquadramento delle stesse nel campo di applicazione di cui agli articoli 24 e 25 del Codice del consumo, e non consentivano perciò di superare il carattere aggressivo delle condotte del professionista, elemento costitutivo e determinante dell’illecito concorrenziale.
L'AGCM sottolinea in particolare che "alcune azioni che prima facie appaiono legittime, in quanto conformi alla relazione di settore, si colorano di illegittimità qualora siano inserite in un contesto ben più ampio e attuate con modalità aggressive tali da ingenerare un indebito condizionamento" (pag. 16 dell'appello;conf. memoria 21 aprile 2017 specie nella parte in cui si osserva che il rispetto della disciplina di settore non esclude la possibilità che la condotta del professionista possa porsi in contrasto con la diligenza professionale richiesta dalla normativa a tutela del consumatore).
Il profilo di censura non coglie però nel segno.
Il Tar del Lazio ha concentrato la propria attenzione non soltanto, mediante ripetuti richiami ai chiarimenti forniti dall’AEEGSI, sulla circostanza che l'operato di Aa era risultato conforme al quadro regolatorio di riferimento, ma, soprattutto, sul fatto che l’AGCM, pur consapevole di tale conformità, aveva deciso comunque di sanzionare Aa senza addurre una puntuale motivazione finalizzata a esplicare le ragioni per le quali il mero rispetto delle disposizioni dettate dall'AEEGSI non sarebbe stato sufficiente a escludere la sussistenza di una pratica commerciale scorretta.
Perciò il Collegio può esimersi dal prendere posizione, “ex professo”, sul se la conformità dei comportamenti del professionista rispetto alla disciplina di settore sia tale da escludere la portata illecita delle condotte medesime, “per carenza del presupposto costitutivo della fattispecie”, come sostiene Aa (v. in particolare pag. 7 della memoria del 18 aprile 2017), ancorché i comportamenti stessi siano oggettivamente contrassegnati da aggressività;o se –come opina l’AGCM- il rispetto della disciplina di settore non escluda la possibilità che la condotta del professionista possa porsi in contrasto con la diligenza professionale richiesta dagli articoli 20 e seguenti del Codice del consumo.
Precisato che il richiamo di parte appellante a una sentenza di questa sezione, che aveva a sua volta rinviato a Cons. Stato, Ad. plen. , nn. 3 e 4 del 2016, non risulta pertinente, in quanto l’ipotesi di specialità presa in considerazione dall’Adunanza plenaria muoveva da una violazione conclamata di obblighi prescritti dalla normativa di settore (imposti, in quel caso, dal Codice delle comunicazioni elettroniche, e nelle sentenze della Plenaria si legge soltanto che la violazione di obblighi informativi di per sé non basta per integrare la fattispecie di illecito concorrenziale), mentre nel caso oggi all’esame l’operato di Aa sub A) risulta conforme al quadro regolatorio di riferimento;va sottolineato, nella fattispecie odierna, che la connotazione di aggressività delle condotte, riscontrata con il provvedimento impugnato (si veda in particolare il “Ritenuto” “in finem”, dopo il p. 143.), non basta, di per sè, per elidere il rilievo da attribuire a)alle considerazioni dell’Autorità di settore in ordine alla conformità delle condotte del professionista rispetto al quadro regolatorio e b)al fatto che l’AGCM, benché, come rilevato sopra, consapevole di tale conformità, ha comunque ritenuto ugualmente di sanzionare Aa senza motivare sul perché il rispetto del quadro regolatorio di riferimento non bastasse per escludere il carattere scorretto a aggressivo delle pratiche.
A prescindere dunque da una verifica sul se, come sostiene l’appellata, la decisione dell’AGCM di ignorare le indicazioni fornite dalla Autorità di regolazione possa considerarsi illegittima di suo per avere giudicato illecito “un comportamento “coperto” dal Regolatore”, occorre convenire con Aa laddove l’appellata sottolinea che l’illegittimità risiede nell’avere, l’AGCM, violato l’autovincolo al quale la medesima si era subordinata con il protocollo di intesa.
E occorre convenire con la Società nel ritenere che, se si argomentasse diversamente rispetto a quanto ha operato il Tar del Lazio, come ritiene di fare l’AGCM sostenendo che la spiegazione delle ragioni del discostamento dell’Autorità emanante il provvedimento sanzionatorio rispetto al parere favorevole dell’Autorità di settore non sarebbe stata necessaria in ragione della "aggressività" della condotta, si finirebbe per rendere inutile il parere reso dal Regolatore, violando così l'art. 27, comma 1 bis del Codice del consumo e l'art. 2, comma 3, del Protocollo d'intesa il quale espressamente prevede che "qualora ritenga di non poter condividere, anche in parte, il parere reso ai sensi dei precedenti commi, AGCM dà conto nel provvedimento finale della posizione espressa dall'AEEGSI”.
Una tale conclusione, tuttavia, non sarebbe accettabile, considerando che lo spirito delle predette disposizioni è proprio quello di qualificare il parere dell'Autorità di regolazione come parere obbligatorio, dal quale l'Autorità decidente può sì discostarsi, ma soltanto spiegando le ragioni di un tale scostamento.
Ciò, evidentemente, in quanto il Legislatore, prima, e le Autorità, poi, hanno avuto ben presente che in determinati settori l'interesse alla tutela del consumatore deve essere adeguatamente bilanciato con l'interesse al corretto funzionamento del mercato, soprattutto quando tale mercato sia funzionale a offrire beni primari indispensabili (come acqua, elettricità, gas, etc.).
7. Le considerazioni esposte sopra consentono tuttavia di respingere solo parzialmente l’appello dell’AGCM, relativamente, e limitatamente, a ciò che si riferisce alle pratiche commerciali sub A).
Alla luce infatti di un esame anche “parcellizzato” del provvedimento impugnato in primo grado, posto che, come si dirà, le condotte possono essere considerate in modo disgiunto, sulle pratiche B) e C) l’Autorità di settore o non ha dato alcun parere o si è limitata a considerazioni esclusivamente “di contesto” sicché, con riferimento ai profili –ed entro i limiti- sopra specificati, riacquista rilievo, e va condivisa, la tesi dell’AGCM per la quale la sentenza impugnata non avrebbe considerato in modo corretto i contenuti del parere dell’AEEGSI e, in radice, l’Autorità decidente non avrebbe dovuto sottostare ad alcun obbligo motivazionale “rafforzato”, con conseguente legittimità del provvedimento sanzionatorio (“in parte qua”).
Puntualizzato che nella controversia vengono in questione PCS distinte, vale a dire una pluralità di condotte autonome tra loro, oltre che sanzioni applicabili secondo il criterio del cumulo materiale (v. il p. 131. della delibera dell’AGCM;si veda inoltre la considerazione, separata e autonoma, delle pratiche sub A), B) e C) ), dall’esame del parere dell’AEEGSI e dalla lettura dei punti da 87. a 94. del provvedimento impugnato sembra doversi ricavare invece ad avviso del Collegio che, in merito agli aspetti inerenti alle pratiche B) e C), vale a dire con riguardo alle richieste di pagamento di morosità pregresse rivolte al nuovo subentrante, alle modalità di gestione dei reclami e alle procedure di messa in mora e di distacco, l’Autorità di regolazione, o non abbia dato alcun parere, oppure si sia limitata a considerazioni soltanto “di contesto” (v. , in particolare, pag. 9 del parere e il p. 94. del provvedimento impugnato, in termini generici, sull’esigenza di un rafforzamento delle politiche di fatturazione, di effettività degli incassi e di recupero dei crediti), cosicché, su questi aspetti, non vi è difformità tra il provvedimento dell’Antitrust e il parere dell’AEEGSI e, pertanto, l’insufficienza motivazionale rilevata dal giudice di primo grado non sussiste e la sentenza, sul punto, va riformata posto che sotto questa angolazione l’Antitrust non si è sottratta agli obblighi motivazionali che gravavano su di essa.
8. Occorre perciò passare all’esame dei motivi del ricorso di primo grado –non esaminati dal Tar poiché rimasti assorbiti e- riproposti con tempestività da Aa, con riguardo alle risultanze del procedimento e alle valutazioni conclusive attinenti alle pratiche sub B) e C).
8.1. Con il motivo sub I), riproposto in appello e approfondito in memoria, Aa sostiene che con il provvedimento impugnato le sarebbero stati contestati, con una tecnica descrittiva “aperta”, una serie di vizi e di inefficienze nella gestione di un servizio pubblico complesso, che non possono essere qualificati come illeciti amministrativi né, tantomeno, come pratiche commerciali scorrette, trattandosi di comportamenti conformi agli standard fissati dalla normativa di settore (ferma la delimitazione dell’esame di questo Collegio alle pratiche sub B) e C): cfr. memoria di Aa ex art. 101, comma 2, del c.p. a. , da pag. 14 a pag. 17).
Così operando, l’Autorità avrebbe introdotto uno standard di diligenza ulteriore rispetto a quello stabilito dal regolatore, con violazione del principio di necessaria tassatività dell’illecito e di tipicità della fattispecie (anche alla luce dell’art. 8 della direttiva n. 2005/29/CE, ripreso dall’art. 24 del Codice del consumo), e illegittimità del provvedimento sanzionatorio per invasione della sfera regolatoria rimessa nella specie all’AEEGSI.
L’appellata riprende e sviluppa il motivo al p. II), evidenziando in primo luogo la mancanza di prova dell’illecito, dato che l’Autorità avrebbe fondato il proprio provvedimento sanzionatorio esclusivamente sulle dichiarazioni contenute nelle segnalazioni inviate dai consumatori i quali lamentavano l'inadeguatezza degli standard di rendimento del gestore del servizio, senza tuttavia procedere al puntuale accertamento della fondatezza delle dichiarazioni stesse.
L'AGCM sarebbe venuta meno all'onere della prova che è imposto dall'ordinamento per procedere alla irrogazione di qualsiasi sanzione.
L'attenzione dell'Autorità –prosegue Aa- non si è incentrata sui dettagli della singola vicenda portata alla sua attenzione da parte dei consumatori — al fine di comprendere, attraverso un'analisi puntuale, se nel singolo caso potessero essere rinvenuti i presupposti per l'individuazione di un dato illecito — ma si è appuntata esclusivamente su affermazioni generiche contenute in tali segnalazioni, relative all'inefficiente erogazione del servizio, cercando così di trarre da esse la qualificazione di illeciti seriali. Si tratta di contestazioni tanto ampie orizzontalmente quanto vaghe e riferibili, al più, ad asserite inefficienze nella gestione del servizio pubblico.
L’Antitrust, anziché verificare e se del caso sanzionare uno specifico contegno previsto come illecito amministrativo dal Codice del consumo, avrebbe cercato, attraverso una ricostruzione di alcune mere inefficienze gestionali, giustificabili alla luce della particolare situazione del mercato, di ricostruire la sussistenza di "comportamenti ripetitivi" dannosi per il consumatore inteso come categoria e non come singolo denunciante.
Così facendo, tuttavia, l'Autorità avrebbe violato il principio di tipicità dell'illecito e la funzione di garanzia del diritto di difesa, essendosi limitata a riscontrare il mancato raggiungimento di alcuni standard di erogazione del servizio e avendo rinunciato a circoscrivere per ogni condotta analizzata altrettante puntuali figure di illecito.
L’operato di AGCM avrebbe assunto una indebita “caratura regolatoria”, che esula dalla sfera di competenza dell’Autorità, posto che nel servizio idrico sono altre –e in primo luogo, l’AEEGSI- le autorità dotate dalla legge di poteri regolatori.
L’appellata passa quindi a un’analisi dettagliata di risultanze e di valutazioni inerenti alle pratiche (per ciò che qui più rileva, sub B) e C), ribadendo l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio della potestà sanzionatoria.
Si soggiunge che l’intervento dell’AGCM per le stesse fattispecie affidate alla cura dell’AEEGSI va escluso poiché, diversamente opinando, si avrebbe una violazione del principio generale del “ne bis in idem”, in contrasto con l’art. 6 della ConvenzioneEDU e dell’art. 50 della Carta europea dei diritti.
I motivi appena riassunti possono essere esaminati in modo congiunto.
Essi sono infondati e vanno respinti.
In primo luogo è esatto il rilievo erariale preliminare con cui si riferisce di un tentativo di parte appellante di spostare l’attenzione del giudice dalle condotte scorrette specifiche e concrete, addebitate ad Aa, che concretizzano pratiche commerciali aggressive e che in modo legittimo sono state inquadrate nella categoria delle PCS ai sensi degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del consumo, “a costruzioni e schemi meramente teorici” che disattendono quelli che sono i fatti e le evidenze che emergono dalla lettura dei 143 paragrafi del provvedimento impugnato (e, specialmente, quanto alle violazioni sub B) e C), dai §§ da 12 a 15, da 46 a 66, da 98 a 100 e da 115 alla fine, “avvalorati” dalle numerose note in calce al provvedimento, dai documenti trasmessi dalla stessa AEEGSI e dagli allegati dell’AGCM al fascicolo di primo grado).
A differenza di quanto sostiene la società appellata, nella specie non si fa questione né di inefficienze gestionali generiche, né di violazioni dei principi di tassatività dell’illecito o di tipicità della fattispecie e neppure di un’invasione indebita della sfera regolatoria;tantomeno colpiscono il segno, i rilievi della Società basati sulla genericità delle contestazioni di addebito e sull’inadempimento dell’onere della prova.
Dato per conosciuto l’inquadramento normativo della fattispecie (su cui v. articoli 19 e seguenti del Codice del consumo), e ritenuto di dover rammentare che la Società opera in regime di monopolio legale per la fornitura di una risorsa essenziale come l’acqua, va rilevato in primo luogo come dall’esame del provvedimento sanzionatorio e degli atti di causa emergano addebiti tutt’altro che generici.
Al contrario, le contestazioni elevate alla Società sub B) e C) sono specifiche e puntuali.
Esse si fondano anche su documentazione interna della stessa Società.
In particolare, con la pratica B) l’Autorità ha accertato in modo specifico il carattere aggressivo della condotta tenuta da Aa nella richiesta di pagamento delle morosità pregresse al nuovo subentrante (v. §§ da 46. a 48. e da 115. a 118. del provvedimento impugnato).
Come chiarito nel provvedimento sanzionatorio, in particolare, nel caso di richiesta di attivazione da parte di un nuovo consumatore di un’utenza con pregresse morosità, tale richiesta non veniva elaborata ed automaticamente attivata neppure nel caso di dimostrata estraneità del nuovo consumatore ma veniva bloccata, fino all’avvenuto pagamento.
In particolare, le norme interne per la gestione di tali casi sono contenute negli ordini di servizio n. 12/2012 e n. 24/2013, che individuano e dettano le procedure per le diverse situazioni nelle quali è previsto che il subentrante si accolli le morosità del precedente gestore (si pensi al caso dell’erede, alla divisione dell’utenza in due utenze distinte di cui una in capo al vecchio utente).
L’ordine di servizio n.12/2012 prevedeva che il subentro su utenze gravate da morosità venisse inibito e ove il soggetto richiedente non avesse morosità su altre utenze a suo nome, l’autorizzazione al subentro fosse possibile dietro specifico nulla osta del Direttore generale. Il citato ordine di servizio non stabiliva una tempistica per il suddetto rilascio, né prevedeva alcuna procedura e criteri per la risposta.
In base al successivo Ordine di servizio n. 24/2013, del gennaio 2013, vengono individuate tutte le specifiche casistiche a cui poter dare o meno risposta affermativa alla domanda di subentro del terzo richiedente non moroso, stabilendo altresì i relativi criteri.
Inoltre viene delegato al rilascio del nulla osta il Responsabile di Distretto - disponendo anche di dare riscontro a tutte le richieste rimaste inevase, ancora prive di risposta dalla Direzione generale.
Come si legge nel provvedimento sanzionatorio, quindi, la richiesta di attivazione del servizio idrico da parte del terzo non moroso, non veniva in alcun modo processata, ma, fino al gennaio 2013, la procedura prevedeva che la richiesta di attivazione venisse bloccata, in assenza dell’eliminazione della situazione pregressa di morosità, attraverso il pagamento da parte del nuovo consumatore.
Dai documenti acquisiti risulta che la richiesta di attivazione, da parte di terzo non moroso, non poteva essere processata, ma doveva essere espressamente autorizzata dal direttore generale, provando comunque a far pagare la morosità all’utente subentrante.
Sebbene Aa affermi che non applicava tale pratica nel caso in cui il consumatore subentrante dimostrasse la sua completa estraneità rispetto al precedente titolare dell’utenza idrica, resta che le procedure in essere fino al 2013 non garantivano l’automatica attivazione dell’utenza, senza alcuna certezza dei tempi di risposta, che invece il consumatore poteva ottenere facendosi carico della morosità preesistente.
Anche in questo caso, dunque, la Società, prevedendo nella procedura la facoltà del gestore di non procedere all’allaccio della fornitura, se non a seguito del pagamento da parte del consumatore di somme non dovute, poneva in atto una pratica commerciale di particolare aggressività, con un indebito condizionamento nella fase di attivazione della fornitura da parte dei consumatori (v. § 118.). Difatti, la situazione di monopolio del professionista, e l’essenzialità del servizio idrico, consentivano alla Società di esercitare, facilmente, un “indebito condizionamento” sulle scelte commerciali del consumatore, integrando una violazione degli articoli 20, 24, 25 del Codice del Consumo.
In concreto il nuovo utente, stante l’essenzialità del servizio idrico e la situazione di monopolio esistente, che gli impediva di rivolgersi a un altro professionista, era in pratica indotto a versare somme per le quali non era lui il debitore, pur di ottenere l’allaccio della utenza.
Con la pratica C) (mancata e/o inadeguata gestione dei reclami e delle procedure di messa in mora e di distacco: v. §§ da 13. a 15. , da 49. a 66. e da 119. a 129. del provvedimento impugnato, cui si farà in parte direttamente rinvio per esigenze di brevità), Aa da un lato non ha considerato e trattato moltissimi reclami solo perché non presentati attraverso il modulo predisposto su internet dalla Società;dall’altro, ha proseguito nell’attività di recupero di crediti minacciando il consumatore di slacci di utenze e finanche in alcuni casi interrompendo le forniture.
Più in dettaglio, nel provvedimento sanzionatorio viene precisato che sebbene la Carta dei Servizi, il Regolamento del Servizio Idrico Integrato e la Convenzione di affidamento non prevedano requisiti di forma per la presentazione del reclamo, oltre a quello della forma scritta, Aa ha deciso di trattare, senza darne adeguata informazione ai consumatori, esclusivamente le rimostranze presentate attraverso lo specifico modulo presente su internet (cfr. §§ 51 e 119 del provvedimento impugnato);ciò, sulla base di uno specifico ordine di servizio interno. Anche questo rilievo di illecito si basa, come appare evidente, su una specifica ricostruzione del fatto, costituito da un comportamento adottato da Aa in relazione a un numero assai elevato di reclami (v. § 53.).
Sempre dal provvedimento dell’AGCM emerge come il professionista fosse pienamente consapevole dell’esistenza di tali criticità, ma il fatto di considerare i “reclami fuori format” irrilevanti ha portato in alcune occasioni anche al distacco del contatore, nonostante la presenza di reclami da parte del consumatore (v. § 54).
La mancata gestione dei reclami ha, a sua volta, generato morosità e numerose contestazioni da parte dei consumatori i quali ritenevano in buona fede di aver presentato un reclamo ed erano in attesa di una risposta, mentre il professionista continuava nelle procedure di riscossione, minaccia di distacco, e finanche distacco della fornitura, esercitando un evidente condizionamento sui consumatori.
L’Autorità ha dunque correttamente rilevato che l’importanza e l’essenzialità del formulario avrebbe dovuto essere, immediatamente e in modo evidente, portata a conoscenza dei consumatori.
Aa, invece, nelle comunicazioni inviate ai consumatori, pur evidenziando che il reclamo doveva essere presentato entro il termine di sessanta giorni (sottolineando detto termine), si è limitata a citare la circostanza di utilizzare il modulo come una mera possibilità riconosciuta alla clientela e non ha in alcun modo posto in evidenza l’essenzialità dell’utilizzo di detto modulo nella presentazione del reclamo ai fini della sua trattazione (cfr. § 121).
Tale “modus procedendi”, connotato da una grave carenza informativa, ha comportato una cattiva gestione e anzi anche una mancata gestione di tali doglianze, generando morosità e numerose contestazioni da parte dei consumatori i quali in buona fede ritenevano di aver presentato il reclamo – pur non avendo utilizzato il formulario predisposto da Aa - ed erano in attesa di una risposta, mentre il professionista continuava nelle procedure di riscossione, minacce di distacco, e finanche distacchi della fornitura, esercitando un evidente condizionamento dei comportamenti degli utenti.
Non solo.
L’Autorità ha poi accertato una gestione deficitaria anche dei reclami “ritualmente presentati e riconosciuti come tali dal professionista” (cfr. §§ da 55. a 60.) di cui un numero elevatissimo non risulta essere stato gestito (cfr. § 56.) o risulta esserlo stato in tempi medi lunghissimi (737 giorni nel 2012, 804 nel 2013, 864 nel 2014), assolutamente non coerenti con i 30 giorni previsti nella carta di servizio, mentre proseguivano le procedure di riscossione e distacco delle utenze. Sono stati ritenuti emblematici, in tal senso, i casi relativi alla prescrizione dei crediti, pari a circa 9.000 ad aprile 2015, che non hanno generato la sospensione della fatturazione e delle procedure di recupero crediti, dando addirittura luogo a numerose situazioni di “slaccio” di utenze o, comunque, di forte condizionamento al previo pagamento degli importi contestati (cfr. §§ 60. e 126.).
Da ultimo è emerso che Aa ha richiesto anche il pagamento di fatture annullate dal giudice di pace, minacciando in caso contrario la sospensione del servizio idrico (v. § 66. e nota in calce al provvedimento impugnato).
Tali condotte, adeguatamente comprovate, rendono palese la sussistenza di una pratica aggressiva che si è spinta fino a non riconoscere al consumatore il proprio diritto di reclamare, tramite la minaccia di sospensione della fornitura, e ciò persino nel caso di fatture annullate da un provvedimento del giudice.
Sotto i profili suindicati, l’Autorità ha accertato in modo legittimo e corretto che le modalità, le tempistiche, e le rilevantissime omissioni informative che contraddistinguono le procedure implementate da Aa, in merito alle varie fasi del rapporto contrattuale, concernenti il reclamo e la conciliazione, fino a giungere al distacco della fornitura, integrano una pratica articolata e complessa in violazione degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del Consumo (cfr. § 124.).
Il quadro probatorio d’insieme, che emerge dalle evidenze documentali acquisite e vagliate dall’AGCM - di cui viene dato chiaro e ampio riscontro nel provvedimento impugnato in relazione alle diverse e specifiche pratiche commerciali scorrette attribuite ad Aa-, acquisizioni in parte trasmesse, per ragioni di competenza, dalla stessa AEEGSI, è sufficiente e adeguato al fine di far ricadere in modo legittimo le condotte di Aa sub B) e C) nell’alveo delle pratiche aggressive di cui agli articoli 20, 24 e 25 del Codice del consumo.
Sul piano istruttorio l’Antitrust ha fondato il proprio convincimento non solo sulle –numerosissime, peraltro- segnalazioni ricevute, ma anche sulla documentazione inviata dall’AEEGSI.
Dagli atti risulta che l’AGCM ha condotto un’istruttoria complessa e accurata avendo essa:
-svolto ben due accertamenti ispettivi - il primo, in data 28 ottobre 2014, in concomitanza con l’avvio del procedimento, e il secondo, il 6 maggio 2015, a seguito dell’ integrazione oggettiva della comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del Codice del consumo, in esito ai quali sono stati acquisiti numerosi documenti, ampiamente richiamati nel provvedimento impugnato e alcuni dei quali depositati in giudizio;
-disposto proroghe del procedimento istruttorio, in considerazione della necessità di acquisire elementi utili ulteriori ai fini della valutazione della fattispecie oggetto del procedimento, oltre che per garantire i diritti di difesa e il contraddittorio della parte;
-disposto numerose richieste di informazioni al professionista, tutte agli atti e richiamate nel provvedimento, e convocato Aa per un’audizione presso gli uffici istruttori;
-richiesto i prescritti pareri alle Autorità di settore e, in particolare, tenuto conto –nei limiti dianzi indicati, specialmente ai fini della riduzione dell’importo della sanzione amministrativa pecuniaria (cfr. § 137., sulle due attenuanti concesse, “entrambe evidenziate anche nel parere” dell’AEEGSI)- di quanto affermato dall’Autorità di settore nel parere dato ai sensi dell’art. 27, comma 1-bis ;
-valutato le risposte alle richieste di informazione trasmesse dal professionista e le memorie dallo stesso depositate.
Non è esatto ritenere che l’AGCM avrebbe fondato il provvedimento sanzionatorio sul richiamo generico a segnalazioni di consumatori non verificate.
Al contrario, rammentato che per la giurisprudenza di questa sezione (v. , ad es. , la sent. n. 4085 del 2013), “la comunicazione di avvio della procedura è idonea se mette in grado il destinatario di apprestare difese pertinenti informandolo dei comportamenti contestati e sul quadro normativo di riferimento;ciò comporta la migliore precisazione fin dall'inizio delle norme che si ipotizzano violate, essendo però anche sufficiente una specificazione dei fatti e del contesto normativo tale da consentire al professionista (che si suppone edotto del quadro giuridico in cui opera) di rendersi conto della violazione di norme ulteriori in quanto fondatamente ipotizzabile sulla scorta di quanto contestato;essendo peraltro possibile che soltanto all'esito dell'istruttoria complessa dei procedimenti di cui si tratta risultino puntualizzate definitivamente tutte le norme in effetti violate…”;il Collegio ritiene che nella specie, sia con la comunicazione di avvio e sia con la comunicazione di integrazione oggettiva, l’AGCM abbia delineato in modo corretto gli svariati comportamenti ritenuti aggressivi in violazione di disposizioni specifiche del Codice del consumo, indicando alla Società tutti gli elementi idonei per consentire alla stessa di comprendere le fattispecie puntuali della verifica aperta dall’Antitrust e degli addebiti formulati.
Dalla ricostruzione, analitica e persuasiva, operata dall’Antitrust, emerge con chiarezza che l’Autorità decidente ha accertato in modo legittimo, accurato e tutt’altro che travisato, con riferimento alle pratiche B) e C), la contrarietà delle stesse alla diligenza professionale e l’idoneità a condizionare in modo indebito il consumatore e a falsarne il comportamento economico, avuto riguardo in particolare al carattere aggressivo dei comportamenti adottati dalla Società.
Per le considerazioni esposte sopra non può essere accolta la tesi per cui l’AGCM avrebbe compiuto una indagine sui livelli di efficienza del servizio, o avrebbe introdotto misure aventi “caratura regolatoria” rientranti come tali nelle prerogative dell’Autorità di settore, dal che Aa aveva desunto quale effetto l’incompetenza dell’AGCM ad adottare il provvedimento sanzionatorio impugnato.
Né può trarsi un argomento nella direzione indicata dalla Società dalla nota dell’Antitrust del 24 marzo 2016 di richiesta di informazioni ad Aa, sia per il suo contenuto e sia perché si tratta di una nota posteriore di alcuni mesi rispetto all’adozione del provvedimento sanzionatorio impugnato.
L’Antitrust ha delimitato l’accertamento al carattere illecito –in relazione agli articoli 19 e seguenti del Codice del consumo- delle modalità operative seguite dalla Società in ordine agli aspetti riguardanti la richiesta di pagamento di morosità pregresse al nuovo subentrante, la gestione dei reclami e le procedure di messa in mora e di distacco.
Il percorso seguito dall’Antitrust risulta logico, razionale, adeguatamente motivato e istruito.
Né può farsi questione di violazione del principio del “ne bis in idem”, poiché, relativamente alle pratiche sub B) e C), manca qualsiasi sovrapposizione tra l’intervento dell’AGCM e l’intervento dell’AEEGSI.
Alla luce della non correttezza del presupposto argomentativo di Aa in ordine alla “caratura regolatoria” dell’intervento compiuto dall’AGCM e quindi della “invasione della sfera regolatoria” rimessa all’AEEGSI, perde rilievo l’argomentazione sviluppata dalla ricorrente in primo grado in memoria alle pagine 11 e seguenti, posto che l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 3 e 4 del 2016, ha statuito che “la pratica commerciale aggressiva è inequivocabilmente attratta nell'area di competenza dell'Autorità Antitrust” e che “è indubbia la competenza dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette…”.
Sulla questione della compatibilità comunitaria della normativa italiana l’Adunanza plenaria ha poi osservato “che in numerose occasioni la Corte di Giustizia ha affermato l'indifferenza dell'ordinamento europeo rispetto all'articolazione delle competenze amministrative all'interno degli Stati membri (cfr. ex multis, Corte di Giustizia, sentenza 25 maggio 1982, Commissione delle Comunità europee c. Regno dei Paesi Bassi, causa C-96/81, in Raccolta 1982, p. 1791;sentenza 17 giugno 1986, Commissione delle Comunità europee c. Regno del Belgio, causa 1/86, in Raccolta 1987, p. 2797;sentenza 13 dicembre 1991, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana, causa C-33/90, in Raccolta 1991, p. I-5987). Il principio sul quale si incentrano queste decisioni è una dichiarazione di indifferenza del giudice comunitario rispetto alla distribuzione delle competenze attuative all'interno degli Stati membri dell'UE: ciò che la Corte di giustizia intende sottolineare è soprattutto la volontà di non ascoltare giustificazioni ad inadempimenti di obblighi comunitari che invochino meccanismi interni di riparto delle competenze…”. Di qui la conclusione secondo cui “la competenza ad irrogare la sanzione per "pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva" è sempre individuabile nell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato”.
Va soggiunto che non può avere seguito la richiesta, formulata dall’appellata “in via di ulteriore subordine anche alla luce dell’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 168 del 2017”, di sollevare ai sensi dell’art. 267 del TFUE la seguente questione pregiudiziale : “se
la direttiva n. 2005/ 29/CE, e in particolare gli artt. 3, comma 4, e 8, ostino a che l'AGCM possa ritenere sussistente una pratica commerciale scorretta in una condotta di tipo generale tenuta verso gli utenti, dimostrata per presunzione sulla base di alcune limitate segnalazioni e senza una precisa ricostruzione e senza una prova puntuale della `fattispecie concreta" (v. art. 8 cit.) e dei consumatori (individuati almeno come gruppo) che ne sono lesi, introducendo così una regolazione che si sovrappone a quella che per tale condotta generale è prevista da una regolazione di settore di derivazione comunitaria e oltretutto affidata alla competenza di altra Autorità.".
La richiesta di sollevare questione pregiudiziale non può trovare accoglimento per evidente difetto di rilevanza posto che, a differenza di quanto ritiene Aa, gli elementi della fattispecie concreta sono caratterizzati dal fatto che viene in questione non un esercizio di potestà regolatoria o condotte generali quanto invece fattispecie specifiche e puntuali.
Detto altrimenti, l’intero impianto argomentativo della società (su cui v. memoria Aa 18.4.2017, spec. da pag. 11) muove dall’assunto per il quale le PCS accertate corrisponderebbero ad altrettante asserite inefficienze nella erogazione dei servizi;a risultanze di indagini sui livelli di efficienza dei servizi;alla elaborazione di misure regolatorie, di “criteri e standard di diligenza ulteriori e diversi da quelli posti dal Regolatore”, quando “accertare un illecito quale PCS è cosa ben diversa dal rilevare vizi e inefficienze”: ma così non è posto che, come rilevato, lungi dall’”introdurre una regolazione che si sovrappone” a quella che per tale asserita condotta generale è prevista da una regolazione di settore di derivazione comunitaria, il provvedimento sanzionatorio, relativamente alle pratiche sub B) e C), ha implicato accertamenti specifici di condotte puntuali e concrete, ancorché ripetute in numerosi casi, qualificate come scorrette ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 20, 24 e 25 del Codice del consumo, senza che sia stato “abbandonato il criterio della necessaria individuazione tassativa della fattispecie”, sicché non viene in considerazione un conflitto tra poteri regolatori, a differenza di quanto emerge dall’ord. Cons. Stato, sez. VI, n. 168 del 2017.
8.2. Anche il terzo motivo riproposto, imperniato sulla violazione del diritto di difesa e del contraddittorio procedimentale, è infondato e va respinto.
Sulla (non) genericità della comunicazione di avvio del procedimento e della integrazione oggettiva si è detto sopra, al p. 8.1. .
La ricorrente in primo grado deduce inoltre la lesione del diritto di difesa per avere gli uffici dell’Antitrust negato alla Società di essere sentita in audizione, e ciò in quanto entrambe le istanze di audizione della Società, pervenute all’Autorità il 27 luglio e l’11 agosto del 2015, erano giunte oltre il termine di chiusura della fase istruttoria, fissato al 23 luglio 2015, “in ritardo rispetto a quanto previsto dal Regolamento di procedura adottato dall’AGCM” con delibera n. 25411 del 1° aprile 2015.
La Società sostiene che il procedimento svolto dinanzi all’AGCM, per come disciplinato dal Regolamento sulla procedura istruttoria, sarebbe esso stesso in contrasto con l’art. 27, comma 11, del Codice del consumo, in base al quale il procedimento sanzionatorio di competenza dell’AGCM dev’essere retto, tra l’altro, dai principi del contraddittorio e della conoscenza degli atti istruttori.
Nella memoria “ex art. 101, comma 2, del c.p.a.” la Società richiama in particolare la sentenza di questa VI sezione del Consiglio di Stato, n. 1596 del 2015, con la quale è stato annullato il regolamento della CONSOB sulla disciplina dei procedimenti sanzionatori, per contrasto con i principi del contraddittorio e della piena conoscenza degli atti, sul presupposto che il contraddittorio per i procedimenti sanzionatori della CONSOB è un contraddittorio rafforzato rispetto a quello meramente collaborativo già assicurato dalla disciplina generale del procedimento amministrativo.
La tesi di Aa è che il Regolamento di procedura adottato dall’AGCM si porrebbe al di sotto dello standard di contraddittorio fissato dal Legislatore posto che nella fase istruttoria non viene garantito un vero e proprio diritto di difesa, con contraddittorio pieno.
In particolare, non è previsto che la relazione istruttoria –proposta di provvedimento, redatta dalla Direzione, sia comunicata alle controparti e che su di essa si instauri una forma di contraddittorio davanti al Collegio, con la conseguenza che mancherebbe qualsiasi interlocuzione tra l’ufficio titolare del potere di decisione finale e il soggetto che quella decisione subirà. L’interessato deve avere la possibilità di conoscere la proposta dell’ufficio competente a irrogare la sanzione e di replicare prima che il Collegio decida: di qui, la violazione del contraddittorio voluto dal Legislatore, posto che il contraddittorio dovrebbe esplicarsi in ogni fase del procedimento.
Anche il motivo su esposto è infondato a va respinto.
In punto di fatto è bene rammentare che, come si ricava dai punti da 18. a 20. del provvedimento impugnato, in data 28 novembre 2014 si è svolta l’audizione dei rappresentanti della società Aa;il 17 dicembre 2014 e il 27 luglio 2015, Aa ha inviato due distinte memorie all’Antitrust;il 26 e il 27 gennaio 2015 la Società ha inviato all’AGCM note integrative;in data 24 luglio 2015 è pervenuta la memoria conclusiva di Aa. Il 27 luglio 2015 e l’11 agosto 2015 sono pervenute all’AGCM, da parte di Aa, istanze di audizione. Con lettere, rispettivamente, del 31 luglio e del 18 agosto 2015, l’Antitrust ha comunicato il rigetto delle predette istanze, in quanto entrambe pervenute oltre il termine di chiusura della fase istruttoria (23 luglio 2015).
Ciò posto, va rilevato che questa sezione, con la sentenza n. 5253 del 2015, nel respingere una censura di carenza di contradditorio procedimentale per certi versi simile a quella odierna, basata anch’essa sul richiamo al “precedente Consob” di cui a Cons. Stato, sez. VI, n. 1596 del 2015, ha affermato, in modo condivisibile, che “se…si può parlare di contraddittorio rafforzato per il procedimento sanzionatorio che si svolge in ambito Consob, a dette conclusioni non può giungersi per i procedimenti davanti all'AGCM (disciplinati dal regolamento sulle procedure istruttorie, adottato con delibera dell'Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589 –attualmente, v. delibera AGCM n. 25411 del 1° aprile 2015, n. d. est. : ma il disposto di cui all’art. 12 del regolamento del 2015 non è dissimile rispetto all’art. 12 del regolamento del 2007);infatti, per questi ultimi non è stata ancora introdotta una normativa speciale primaria, ma vengono alla stessa estesi i principi generali sanciti dalla legge generale sul procedimento amministrativo. Tanto è vero che l'art. 27, comma 11, del Codice del Consumo richiama espressamente i principi generali della l. 241 del 1990 stabilendo che "l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con proprio regolamento, disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione"…l’AGCM - come si evince dagli atti di causa e dai documenti depositati - ha concesso termine alle società sottoposte a procedimento sanzionatorio per il deposito di memorie scritte, mentre non ha fatto luogo all'audizione dei rappresentanti delle società (benché detto diritto sia espressamente disciplinato dall'articolo 12, comma 2, del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa della stessa AGCM), in difetto di domanda in tal senso da parte dei soggetti interessati. Quanto allo svolgimento successivo del procedimento sanzionatorio, risulta che AGCM abbia puntualmente osservato le prescrizioni regolamentari uniformandosi alle previsioni dell'art. 16 del predetto regolamento, il quale stabilisce che il responsabile del procedimento comunichi la conclusione della fase istruttoria alle parti indicando loro un termine, non inferiore a dieci giorni, per presentare memorie conclusive o documenti e che, conclusa la fase istruttoria, rimetta gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento finale.
È vero che, come lamentato dall'appellante, in tale paradigma procedimentale non sia effettivamente rispettata l'osservanza del principio dell'immediatezza (tra accusa e difesa), ma tale manchevolezza a livello di fonte regolamentare appare coerente e simmetrica rispetto alla mancata previsione di un meccanismo che assicuri l'effettività di quel principio nella fonte regolatrice superiore (art. 27 del Codice del Consumo)…”.
Tornando adesso alla controversia odierna, il Collegio ritiene che il regolamento di procedura del 2015 e, segnatamente, gli articoli 12 e 16 del regolamento medesimo non si pongano al di sotto dello “standard di contraddittorio” stabilito dal Legislatore all’art. 27, comma 11, del Codice del consumo, dato che consentono in modo ampio all’incolpato di interloquire con l’Autorità attraverso la produzione di documentazione, per cui non sembra che l’audizione personale –negata, tra l’altro, nella specie, unicamente perché l’istanza era pervenuta in ritardo- sia di per sé un presidio incomprimibile di partecipazione procedimentale (conf. , sul punto, Cons. Stato, sez. VI, n. 2256 del 2011).
8.3. Infine, sul “quantum” della sanzione applicata, asseritamente “del tutto sproporzionato”, il Collegio ritiene che l'Autorità si sia attenuta ai parametri di riferimento individuati dall'art. 11 della legge n. 689 del 1981, in virtù del richiamo previsto all'art. 27, comma 13, del d. lgs. n. 206 del 2005: nello specifico, a quelli inerenti alla gravità della violazione, all'opera svolta dalla impresa per eliminare o per attenuare l'infrazione, alla personalità dell'agente e alle condizioni economiche della società stessa.
Al riguardo l’Autorità, in termini generali ha rilevato, da una parte, che per quanto riguarda la dimensione del professionista, si tratta di una società con un fatturato elevato in costante crescita, che tra l’altro ricopre un ruolo importante nell’ambito del territorio della regione Sardegna e che si trova in una situazione di monopolio nella prestazione di un bene essenziale (v. § 133);d’altra parte l’Autorità, al § 137, richiamato anche ai fini della riduzione delle sanzioni per le pratiche B) e C), ha riconosciuto a favore della Società la sussistenza di due attenuanti, entrambe evidenziate anche nel parere dell’AEEGSI, vale a dire : a) la generale situazione di difficoltà finanziaria in conseguenza della quale sono stati concessi aiuti di Stato e altri finanziamenti straordinari;e b) la peculiare circostanza relativa alla situazione gestionale particolarmente critica e complessa, cui ha dovuto far fronte Aa nella fase di subentro nelle diverse e precedenti gestioni. Da ciò l’AGCM ha ridotto in misura significativa gli importi delle sanzioni per le pratiche sub B) e C) rispettivamente da 200.000 a 80.000 euro e da 1.500.000 a 600.000 euro (v. i §§ da 138. a 140. e da 141. a 143., ai quali si fa rinvio).
Le sanzioni irrogate per le violazioni sub B) e C), già considerevolmente ridotte, risultano proporzionate e congrue, rispetto alla natura e alle dimensioni della Società.
In particolare, non può condividersi la tesi della ricorrente in primo grado per la quale, essendo Aa una società a capitale totalmente pubblico, non in concorrenza con altri operatori del settore, “la sanzione avrebbe dovuto avere un importo meramente simbolico”, dovendo assumere rilievo preponderante la diffida dal proseguire nei comportamenti contestati.
Anche infatti a voler tenere conto del fatto che sulle sanzioni pecuniarie applicate dalle Autorità amministrative indipendenti il giudice amministrativo è munito di giurisdizione con cognizione estesa al merito, e ciò ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c) del cod. proc. amm. , la tesi propugnata dalla Società risulta priva di qualsiasi fondamento normativo.
A volerla seguire, inoltre, essa comporterebbe il venire meno di qualsiasi efficacia deterrente dalla sanzione pecuniaria.
Le ulteriori considerazioni asseritamente omesse dall’Autorità emanante sugli aspetti descritti a pag. 32 della memoria di costituzione di Aa si riferiscono alle violazioni sub A) e pertanto su di esse il Collegio non è tenuto a prendere posizione (v. sopra, p. 6.).
Nella determinazione dell’ammontare delle sanzioni per le violazioni sub B) e C) l’Autorità (v. §§ da 132. a 143.) ha in definitiva valutato in maniera corretta la natura e la durata delle infrazioni, il pregiudizio arrecato ai consumatori, l’ampiezza delle pratiche, la pluralità dei profili accertati e la debolezza dei consumatori entro un contesto monopolistico.
8.4. Per tutte le considerazioni esposte sopra l’appello dell’Antitrust va in parte respinto (v. p.