Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-07-31, n. 202307435
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Pubblicato il 31/07/2023
N. 07435/2023REG.PROV.COLL.
N. 07396/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7396 del 2016, proposto da Deco S.n.c. di Schievano Devis &C, Liana S.a.s. di Schievano Licia &C., Immobiliare Antoniana di Zorzi Antonio e C.S.A.S, Immobiliare Maddalena S.n.c. di Maschio Antonio &C., in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, nonché dalla signora M T M, rappresentati e difesi dagli avvocati M B e S G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S G in Roma, via Monte Fiore, 22;
contro
Comune di Bovolenta, in persona del sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Alberico II, n. 33;
nei confronti
Maria Bertipaglia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 00458/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bovolenta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. L M e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I fatti all’origine del presente contenzioso sono puntualmente riportati nella sentenza appellata cui si rinvia in applicazione del principio di sinteticità degli atti di cui all’art. 3 c.p.a..
In sintesi gli odierni appellanti sono proprietari di terreni situati in una zona del Comune di Bovolenta denominata “Isola di Bovolenta”, compresi tra due argini del fiume Bacchiglione, fra l’alveo originario del fiume e la sua nuova inalveazione, con destinazione ad area di espansione C2/1 nella quale l’edificabilità è subordinata alla redazione di un piano attuativo.
Con deliberazione consiliare n. 35 del 19 agosto 2002, è stato approvato un piano di lottizzazione denominato “Bacchiglione” che prevedeva la realizzazione di 23.580 mc. a destinazione residenziale.
Il 10 ottobre 2002 è stata sottoscritta la convenzione urbanistica.
Tra il luglio 2003 e il maggio 2004 venivano realizzate le opere di urbanizzazione primaria da parte delle ditte lottizzanti.
Con permesso di costruire n. 1687 del 16 novembre 2004 è stata assentita la realizzazione di un edificio residenziale per sedici unità, poi completato.
Successivamente, l’area oggetto di lottizzazione diventava inedificabile in quanto ad ottobre 2004 l’Autorità di Bacino dei Fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta – Bacchiglione pubblicava il Progetto di piano stralcio per l’assetto idrogeologico dei fiumi di competenza, volto a individuare le aree pericolose e quelle a rischio idraulico, geologico e valanghivo. Nell’ambito di tale proposta l’area dell’isola Bacchiglione (interessata dalla lottizzazione) veniva classificata con l’indice P4 (elevata pericolosità): seguiva la immediata applicabilità delle misure di salvaguardia;tale vincolo idrogeologico veniva successivamente recepito negli strumenti urbanistici comunali (Piano di Assetto del Territorio) e sovracomunali (Piano di Assetto Territorio Intercomunale) con conseguente vincolo di inedificabilità.
Sulla scorta di tali premesse ed alla luce della sopravvenuta impossibilità di realizzare l’intervento edilizio programmato, i lottizzanti hanno adito il T.a.r. per il Veneto per chiedere, in via principale, la condanna del Comune al risarcimento del danno, previa risoluzione della convenzione urbanistica, a motivo dell’asserita colpevole inerzia del Comune di Bovolenta che, a loro dire, non avrebbe fatto quanto in suo potere per preservare l’equilibrio economico dell’operazione edilizia di cui alla convenzione oggetto di causa, reagendo all’imposizione del vincolo idrogeologico, e, in ogni caso, perché avrebbe dovuto informare tempestivamente le controparti dell’apposizione del vincolo in applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c..
In via subordinata hanno chiesto la condanna del Comune al rimborso del prezzo delle aree cedute gratuitamente e del valore delle opere di urbanizzazione realizzate, costi inutilmente sopportati in ragione dell’impossibilità sopravvenuta, definitiva e assoluta, della controprestazione (rilascio dei permessi di costruire), ai sensi dell’art. 2041 c.c. e, dunque, a titolo di arricchimento senza causa.
In via ulteriormente gradata hanno chiesto la dichiarazione di intervenuta estinzione dell’obbligazione di rilascio dei permessi di costruire, ai sensi dell’art. 1256, comma 2, c.c., con conseguente obbligo del comune di restituire il prezzo delle aree cedute gratuitamente ed il valore delle opere di urbanizzazione realizzate, essendo venuto meno, a loro dire, l’interesse al rilascio dei titoli edilizi a causa del lungo lasso di tempo trascorso e della sostanziale svalutazione del valore commerciale delle aree connessa al rischio idrogeologico.
Con sentenza n. 00458 del 2016 il T.a.r. per il Veneto ha respinto il ricorso ritenendo che non fosse configurabile alcun inadempimento imputabile al Comune e che ogni richiesta risarcitoria e restitutoria fosse infondata.
In particolare il T.a.r.:
- ha ritenuto infondata la domanda di risoluzione per inadempimento, escludendo la configurabilità di un inadempimento imputabile al Comune che, contrariamente a quanto contestato, si era attivato tempestivamente per reagire alla imposizione del vincolo da parte della autorità di bacino, presentando osservazioni e relazioni tecniche. Ha escluso che potesse addebitarsi al Comune un comportamento negligente, non corretto e in mala fede per non avere tempestivamente informato i lottizzanti dell’introduzione di vincoli ostativi all’edificazione imposti dall’Autorità di Bacino, prima del completamento delle opere di urbanizzazione, essendo le delibere dell’Autorità soggette a regime di pubblicità legale;
- ha respinto la domanda subordinata di condanna alla restituzione delle prestazioni eseguite, ai sensi dell’art. 1463 c.c., a titolo di arricchimento senza causa, sul presupposto che l’obbligazione del Comune di rilasciare i titoli edilizi dovesse ritenersi estinta, ai sensi dell’art. 1256 c.c., per impossibilità definitiva ed assoluta della prestazione, rilevando che poiché il vincolo di inedificabilità può venir meno per effetto di interventi di messa in sicurezza, anche per iniziativa di privati, non si verserebbe in una fattispecie di impossibilità definitiva ed assoluta al rilascio dei titoli edilizi;
- ha respinto l’ulteriore domanda di restituzione del prezzo delle aree cedute gratuitamente e dei costi sostenuti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, ai sensi dell’art. 2041 c.c., conseguente alla dichiarazione di estinzione dell’obbligazione del Comune, ai sensi dell’art. 1256, secondo comma, c.c., per non avere i lottizzanti più interesse al rilascio dei titoli edilizi a causa del lungo lasso di tempo trascorso e della sostanziale perdita di valore commerciale delle aree, sottoposte a rischi di tracimazione in occasione di eventi atmosferici particolarmente intensi, osservando che tale circostanza rientrerebbe nell’alea commerciale dell’operazione, come tale non suscettibile di indennizzo;
- ha respinto la domanda residuale di arricchimento senza causa;
- ha compensato le spese di lite.
Avverso la predetta sentenza hanno interposto appello i lottizzanti chiedendone la integrale riforma in quanto errata per i seguenti motivi:
1. error in iudicando ;errata interpretazione ed applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione alla domanda di risoluzione della convenzione di lottizzazione per inadempimento (da p. 5 a p. 11 dell’atto di appello cui si rinvia);
2. error in iudicando ;errata interpretazione ed applicazione degli artt. 1256, 1463 e 2041 c.c. in relazione alla domanda subordinata di restituzione per equivalente dei costi sostenuti per le opere di lottizzazione e del valore delle aree cedute gratuitamente, a fronte della impossibilità giuridica assoluta o comunque temporanea della prestazione del comune (da p. 11 a p. 15 dell’atto di appello cui si rinvia);
3. errata applicazione dell’art. 2041 c.c., relativamente al capo di sentenza con il quale il T.a.r. ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’azione generale di indebito arricchimento (da p. 16 a p. 18 dell’atto di appello cui si rinvia).
Si è costituito in giudizio il Comune di Bovolenta per resistere all’appello, chiedendone la reiezione in quanto infondato, con integrale conferma della sentenza appellata.
Si è costituita in giudizio anche la signora M T M quale avente causa della Immobiliare Maddalena S.n.c. di Maschio Antonio &C., in quanto acquirente di una porzione di terreni interessati dalla lottizzazione.
Alla udienza pubblica del 12 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie con le quali le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
L’appello è, in parte, fondato nei termini di seguito precisati.
Quanto alla domanda di risoluzione della convenzione per inadempimento, oggetto del primo motivo di appello, la motivazione del T.a.r. è condivisibile e va confermata poiché:
a) non sussiste una inerzia contraria a buona fede del Comune che si è invece attivato prontamente – senza successo - con la autorità di bacino al fine di ottenere una riclassificazione dell’area con un livello di rischio non incompatibile con la possibilità di edificazione. Sul punto il T.a.r. ha dato conto in modo puntuale delle iniziative assunte dal Comune rappresentando che “ Come documentato dal Comune nelle proprie difese, lo stesso ha reagito all’imposizione del vincolo inviando all’Autorità di Bacino proprie osservazioni ed una relazione del Genio civile, con la quale faceva presente che l’area non è stata interessata da fenomeni alluvionali sin dagli inizi del ‘900.
Successivamente ha anche commissionato un apposito studio per approfondire le indagini dal punto di vista della pericolosità idrogeologica, ma la relazione acquisita (cfr. doc. 28 allegato alle difese del Comune dalla quale è emersa una qualità scadente dei terreni con cui sono state realizzate le arginature della nuova inalveazione inadeguati a garantire la tenuta idraulica con possibilità di sifonamento) ha confermato il carattere di pericolosità che caratterizza il territorio (tali conclusioni, osserva il Comune, si sono rivelate corrette in occasione degli eventi alluvionali del 2010 che hanno comportato l’evacuazione dell’area oggetto della controversia), e per tale ragione ha infine condiviso le valutazioni dell’Autorità di bacino provvedendo a recepire i contenuti del piano di assetto idrogeologico negli strumenti urbanistici .”.
Peraltro le ricorrenti imputano al Comune la mancata adozione di iniziative in sede procedimentale e processuale che loro stesse avevano pieno titolo ad assumere, rivestendo una posizione giuridica qualificata e differenziata stante la diretta incidenza della proposta di piano stralcio sui diritti nascenti dalla convenzione di lottizzazione.
Il punto è ormai pacifico ed anche incontestato non essendo stato oggetto di impugnazione da parte degli appellanti con conseguente passaggio in giudicato del relativo capo.
b) Il Comune non aveva alcun obbligo di tempestiva informazione circa la sopravvenuta approvazione del piano stralcio, trattandosi di piano pubblicato per il quale opera la presunzione di conoscenza legale. Meritano pertanto piena conferma le motivazioni del T.a.r che sul punto ha correttamente osservato che “…tutti gli atti dell’Autorità di Bacino sin dalle deliberazioni nn. 1 e 2 del 3 marzo 2004 con le quali è stato adottato il progetto di piano stralcio per l’assetto idrogeologico ai sensi degli artt. 17 e 18 della legge 18 maggio 1989, n. 183, e le relative misure di salvaguardia, sono sottoposte a forme di pubblicità legale (tali deliberazioni sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 7 ottobre 2004, n. 236, e nel BUR dell’8 ottobre 2004, n. 100) e pertanto le Società ricorrenti non possono fondatamente sostenere di non averle conosciute, né possono pretendere che sia individuabile in capo al Comune un qualche onere di comunicazione individuale che non è configurabile per atti per i quali vi è una presunzione di conoscenza data da forme di pubblicità legale ”.
La circostanza per cui il Comune avesse effettiva conoscenza della pubblicazione della proposta di piano stralcio in forza della comunicazione formale ricevuta dalla autorità di bacino il 23 dicembre 2004 non fa venire meno la conoscibilità e quindi la presunzione di conoscenza legale in capo ai lottizzanti della intervenuta pubblicazione della proposta di piano stralcio sulla gazzetta ufficiale sin dal 7 ottobre 2004 (oltre che sul BUR in data 8 ottobre 2004) ed anzi rende ragione di come il Comune - nonostante la vigenza delle misure di salvaguardia - abbia potuto rilasciare il permesso di costruire n. 1687 in data 16 novembre 2004, dovendosi presumibilmente ritenere che lo stesso Comune ignorasse la intervenuta pubblicazione e quindi la efficacia della proposta di piano stralcio di cui prendeva effettiva contezza solo con la comunicazione individuale della autorità di bacino.
Il fatto poi che il Comune, successivamente al 23 dicembre 2004, abbia potuto adottare atti e comportamenti (elencati a p. 7 dell’appello) in contrasto con le misure di salvaguardia avrebbe piuttosto dovuto indurre i lottizzanti a segnalare siffatto contrasto al Comune, atteso che loro stessi non potevano ignorare l’incidenza della disciplina sopravvenuta - contenuta nella proposta di piano stralcio - sul programma negoziale sicché non possono invocare un legittimo affidamento, a loro dire ingenerato da atti e comportamenti, potenzialmente illegittimi, che avevano il dovere di segnalare al Comune, in applicazione del medesimo dovere di cooperazione e di informazione che invocano per fondare una responsabilità, in un rapporto contrattuale che vede la parte pubblica e quella privata in posizione paritetica rispetto agli obblighi che discendono dalla legge.
Se le appellanti hanno completato le opere di urbanizzazione nonostante la sopravvenuta impossibilità di realizzare gli immobili previsti dal piano ciò non può integrare un inadempimento del Comune, bensì si riconnette agli effetti di un mero factum principis . Peraltro dagli atti di causa - e come puntualmente rilevato dal T.a.r. - emerge che, al momento della adozione delle delibere recanti l’approvazione del piano stralcio (marzo 2004), le opere di urbanizzazione erano state sostanzialmente completate sicché alcuna tempestiva informativa da parte del Comune avrebbe potuto evitare la realizzazione di tali opere e il presunto danno di cui gli appellanti chiedono il ristoro non sarebbe comunque stato eziologicamente riconducibile alla pretesa violazione dell’obbligo informativo, derivante dal principio generale di buona fede in executivis .
c) Senza contare che la sopravvenuta impossibilità di realizzare il programma di intervento discende anche dalla scelta delle ditte lottizzanti di scaglionare nel tempo le richieste di rilascio dei permessi di costruire per la realizzazione delle unità abitative.
Da quanto precede discende che non solo non è configurabile alcun inadempimento imputabile al Comune, neppure rispetto agli obblighi di cooperazione e di informazione connessi al principio generale di buona fede in executivis , ma che, in ogni caso, dal punto di vista causale la successione degli accadimenti e comunque la scelta delle ditte lottizzanti di scaglionare gli interventi avrebbe impedito di riferire il presunto danno patrimoniale patito alla condotta tenuta dal Comune.
In via subordinata le appellanti hanno chiesto il riconoscimento di un indennizzo ex art. 2041 c.c. a titolo di arricchimento senza causa per le opere di urbanizzazione realizzate e per le aree cedute gratuitamente, invocando la sopravvenuta impossibilità definitiva della prestazione, ai sensi dell’art. 1256 c.c. a mente del quale “ L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile ”.
Il tema è oggetto della prima parte del secondo motivo di appello.
Il motivo è infondato.
Come correttamente osservato dal T.a.r., nel caso di specie non era configurabile una impossibilità definitiva della prestazione poiché il vincolo idrogeologico non solo era temporaneo ma poteva essere eventualmente declassificato, ove sussistenti i presupposti, mediante opere adeguate di messa in sicurezza dell’area di cui le appellanti potevano anche farsi carico, chiedendo una rinegoziazione complessiva dei contenuti della convenzione e rimodulando il sinallagma nel rapporto tra diritti ed obbligazioni.
La fattispecie in esame può invece essere ricondotta ad un’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione ai sensi dell’art. 1256, comma 2 c.c. che, da un lato, ha l’effetto di giustificare il ritardo del debitore (nella specie il Comune) nell’adempimento dell’obbligazione (rilascio dei permessi di costruire) dall’altro comporta la estinzione dell’obbligazione qualora, perdurando la impossibilità, sia venuto meno l’interesse del creditore alla prestazione, con conseguente diritto alla restituzioni.
In via di ulteriore subordine le odierne appellanti hanno infatti chiesto la restituzione del prezzo dei terreni ceduti gratuitamente e del costo delle opere realizzate, in conseguenza della estinzione delle obbligazioni del comune al cui adempimento dichiarano di non avere più interesse in ragione della incertezza della situazione venutasi a determinare, non essendo prevedibile se e quando il vincolo idrogeologico potrà essere rimosso, rendendo possibile il rilascio dei permessi di costruire nonché a causa della sostanziale perdita di valore commerciale delle aree sottoposte a rischi di tracimazione in occasione di eventi atmosferici particolarmente intensi.
Il tema è oggetto della seconda parte del sccondo motivo di appello.
Le appellanti assumono, in particolare, che in questa ipotesi troverebbe applicazione la disposizione di cui all’articolo 1463 c.c. che obbliga la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta a restituire “ quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito ”. Ciò al fine di evitare un arricchimento unilaterale di una parte in danno dell’altra che è quanto nella sostanza da loro lamentato.
Il T.a.r. ha respinto anche tale domanda subordinata ritenendo che il venir meno dell’interesse alla prestazione non potrebbe comportare la estinzione dell’obbligazione e il diritto alle restituzioni essendo le circostanze prospettate insite nell’alea dell’operazione imprenditoriale.
Le appellanti lamentano che il T.a.r. non avrebbe fatto buon governo dei principi in materia di impossibilità temporanea della prestazione.
Il motivo è fondato, nei sensi di cui appresso.
L’art. 1256, comma 2, c.c. recita “ Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla ”.
Il menzionato disposto prevede che l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura e il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Nel caso di specie, a fronte del persistere del vincolo idraulico che impedisce il rilascio dei titoli edilizi, è evidente il venire meno dell’interesse dei lottizzanti a conseguire una prestazione, sospesa sine die .
L’elevata opinabilità che caratterizza le valutazioni delle autorità amministrative competenti nella ponderazione delle situazioni di pericolo per interessi primari (quale ad esempio, nel caso di specie, la pubblica incolumità rispetto al rischio idraulico) espone i lottizzanti ad una situazione di permanente incertezza riguardo alla possibilità di conseguire i titoli edilizi necessari alla realizzazione del programma di intervento che è incompatibile con le condizioni minime di prevedibilità e calcolabilità di ogni iniziativa imprenditoriale.
Non viene nel caso di specie in rilievo un profilo di rischio insito nella normale alea contrattuale ma un fatto straordinario ed imprevedibile, estraneo alla sfera di controllo delle parti, che introducendo un evidente profilo disfunzionale nel sinallagma contrattuale, impedisce di fatto il conseguimento di ogni utilità economica o di alta natura, privando la parte di ogni interesse alla prestazione e giustificando la estinzione della relativa obbligazione e il diritto alle restituzioni funzionale al riequilibrio delle posizioni contrattuali.
Non vale opporre che i lottizzanti avrebbero potuto avviare gli interventi contestualmente all’inizio delle opere di urbanizzazione, secondo quanto previsto dalla convenzione di lottizzazione, in tal modo evitando di incorrere nelle misure di salvaguardia, poiché si tratta di una mera facoltà, essendo rimesso ai singoli proprietari decidere la tempistica degli interventi, nell’arco di vigenza decennale della convenzione.
Non vale neppure opporre che i lottizzanti, al fine di superare il vincolo di inedificabilità, avrebbero potuto realizzare le opere di compensazione necessarie a ridurre il grado di pericolosità dell’area poiché incombeva sul comune l’obbligo di attivarsi per rendere possibile l’adempimento dell’obbligazione assunta che si è invece confermata oggettivamente inattuabile anche dopo gli interventi di messa in sicurezza realizzati nel 2017.
Deve pertanto concludersi nel senso che in tale quadro di perdurante impossibilità giuridica della prestazione l’obbligazione del Comune va dichiarata estinta avendo i lottizzanti legittimamente opposto il venire meno dell’interesse all’esecuzione della prestazione, essendo il fattore tempo determinante per la sostenibilità di ogni iniziativa imprenditoriale.
Dalla estinzione dell’obbligo di rilascio dei titoli edilizi in capo al Comune appellato consegue il diritto alla ripetizione da parte dei lottizzanti del valore dei terreni ceduti e delle opere realizzate ai sensi dell’articolo 1463 c.c. a mente del quale “ Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito ”.
Poiché l’azione di ripetizione prevista dall’art. 1463 c.c. ha natura restitutoria di somme di denaro, in presenza di prestazioni consistenti in un facere , come nel caso di specie, trova applicazione l’art. 2041 c.c. La giurisprudenza civile ha precisato al riguardo che “ L'azione di indebito oggettivo ha carattere restitutorio, cosicché la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole previste dagli artt. 2033 e ss. cod. civ. (e cioè quando abbia avuto ad oggetto una somma di denaro o cose di genere ovvero, infine, una cosa determinata), operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l'azione generale di arricchimento senza causa prevista dall'art. 2041 cod. civ., che assolve alla funzione, in base ad una valutazione obbiettiva, di reintegrazione dell'equilibrio economico. Pertanto, nel caso di prestazione di " facere ", la quale non è suscettibile di restituzione e, in quanto indebita, non è oggetto di valide ed efficaci determinazioni delle parti circa il suo valore economico, non è proponibile l'azione di indebito oggettivo ma, in presenza dei relativi presupposti, solo quella di ingiustificato arricchimento ”. (Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2014, n. 6747).
Ai fini della quantificazione dell’indennizzo dovuto ex art. 2041 c.c. può farsi applicazione dell’art. 34, comma 4, c.p.a. a mente del quale “ In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall'accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l'adempimento degli obblighi ineseguiti. ”.
I criteri sulla cui scorta il Comune di Bovolenta dovrà provvedere a formulare una offerta ai lottizzanti sono i seguenti:
1. stimare il valore dei terreni ceduti, come quantificato nell’atto di cessione, nonché il valore delle opere di urbanizzazione realizzate, in base al costo di realizzo effettivamente sostenuto dai lottizzanti, come documentalmente provato;
2. dalla somma di cui al punto 1 valutare la possibilità di scomputare il valore delle opere di urbanizzazione e dei terreni ceduti riferibile alla quota parte della lottizzazione realizzata (lotti 9 e 10), rispetto alla quale i lottizzanti hanno conseguito le utilità attese nel rispetto della natura corrispettiva della causa della convenzione di lottizzazione;
3. proporre il criterio di riparto tra i lottizzanti della somma quantificata ai sensi dei punti 1 e 2;
4. l’offerta andrà formalizzata entro 90 giorni dalla comunicazione della presente sentenza o dalla sua notifica se anteriore.
Da quanto precede discende che il terzo motivo di appello con il quale gli appellanti hanno censurato la sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha escluso la applicabilità al caso di specie dell’art. 2041 c.c. può essere assorbito.
Alla luce delle motivazioni esposte l’appello deve pertanto essere accolto in parte, con condanna del Comune di Bovolenta a proporre, in favore dei lottizzanti, il pagamento di una somma di denaro a titolo di indennizzo, ai sensi dell’art. 2041 c.c., da quantificarsi nel rispetto dei criteri e nel termine indicati in motivazione.
La complessità e la novità della fattispecie giustificano la compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio.