Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-23, n. 202301828
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Testo completo
Pubblicato il 23/02/2023
N. 01828/2023REG.PROV.COLL.
N. 00188/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 188 del 2019, proposto da
Chita Immobiliare S.r.l., in persona del Legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Savoia n. 72;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli Avvocati A R e U G con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Civica, in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
nei confronti
Ente Parco Regionale Appia Antica, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 05968/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 23 gennaio 2023, celebrata in collegamento da remoto in videoconferenza mediante utilizzo della piattaforma Microsoft Teams , il Cons. Marco Poppi;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso iscritto al n. 8825/2002 R.R. l’odierna appellante, proprietaria di un compendio immobiliare ricadente all’interno del Parco Regionale dell’Appia Antica, impugnava innanzi al Tar Lazio l’ordine di demolizione n. 825 del 22 maggio 2002, adottato da Roma Capitale a seguito dell’accertata realizzazione di interventi edilizi eseguiti in difformità delle conseguite autorizzazioni n. 28/A del 12 marzo 1998, concessa per un intervento di restauro e risanamento conservativo, « esclusa ogni altra opera », e n. 59/A dell’8 febbraio 2000 rilasciata, previo parere favorevole dell’Ente Parco, per l’esecuzione di un intervento di manutenzione straordinaria.
Le opere abusivamente eseguite, comportanti un aumento delle superfici e dei volumi mediante realizzazione di un livello ulteriore (terzo) fuori terra all’interno del fabbricato (originariamente composto di un piano interrato e due piani fuori terra), la modifica dei prospetti e della destinazione d’uso, consistevano nei seguenti interventi (elencati in appello ritrascrivendo il provvedimento impugnato):
« a) Ampliamento di una scala esterna, già protetta da una struttura in metallo e vetro, mediante la creazione di un volume in muratura all’interno del quale, oltre la scala, sono stati realizzati n. 4 bagni dei quali due al piano terra e due al piano secondo;l’ampliamento ha dimensioni m. 2.30 di larghezza, m. 12.65 di lunghezza e si sviluppa su tre livelli seguendo la sagoma dell’edificio preesistente.
b) Apertura di due vani scala interni, uno di collegamento tra piano interrato e piano terra e l’altro tra piano terra e piano primo.
c) Variazione dei prospetti con spostamento, modifica ed apertura di nuovi vani porta e finestra.
d) Modifica della distribuzione interna con abbattimento, costruzione, spostamento di tramezzi e vani porta.
e) Ove mancante, creazione di un solaio intermedio tra piano terra e coperture.
f) Realizzazione di una serie di opere volte a rendere abitabili i volumi “sottotetto” così creati, per una superficie di mq. 215 circa al piano primo e mq. 30 circa al piano secondo (nel conteggio delle superfici del piano secondo sono esclusi i due bagni facenti parte dell’ampliamento del vano scala descritto in precedenza:
f1) PIANO PRIMO - apertura di n. 6 lucernari;apertura di nuovi vani finestra;realizzazione di tramezzature al fine di creare n. 7 stanze e n. 3 bagni;realizzazione d’impianti;posa in opera di finiture.
f2) PIANO SECONDO - realizzazione d’impianti;posa in opera di finiture.
g) All’esterno dell’edificio, nell’area compresa tra il fabbricato e Via dell’Almone, realizzazione di un piazzale pavimento di m. 33.00x9.00 circa ».
Il Tar respingeva il ricorso con sentenza n. 5968 del 28 maggio 2018 ritenendo la correttezza della qualificazione da parte dell’amministrazione degli interventi contestati e, quindi, legittima la conseguente misura demolitoria.
L’appellante impugnava la sentenza con ricorso depositato il 9 gennaio 2019 deducendo:
1. « ERRONEA APPLICAZIONE, DEGLI ARTT. 33, 34 E 88, C.P.A., PER OMESSO RISCONTRO DELLA VIOLAZIONE, PER FALSA OD OMESSA APPLICAZIONE, DELL’ART. 16, L.R. LAZIO N. 66/1988, DELL’ART. UNICO, L. N. 1902/1952, NONCHÉ DELL’ART. 12, COMMA 3, D.P.R. N. 380/2001, NONCHÉ IN VIOLAZIONE DELL’ART. 8, L.R. LAZIO N. 29/1997, CON CONSEGUENTE ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, MANIFESTA ILLOGICITÀ ED IRRAGIONEVOLEZZA, CARENZA DI MOTIVAZIONE »;
2. « ERRONEA APPLICAZIONE DEGLI ART. 33, 34 E 88, C.P.A., ALLA LUCE DELLA CONTESTATA VIOLAZIONE, PER FALSA OD OMESSA APPLICAZIONE, DELL’ART. 31, L. N. 457/1978 E DEGLI ARTT. 9, 10, 11 E 12, L. N. 47/1985, ANCHE ALLA LUCE DELL’ART. 136, D.P.R. N. 380/2001, ED IN DERIVATA VIOLAZIONE DELL’ART. 16, L.R. LAZIO N. 66/1988, NEI SENSI PRECISATI NELLA PRECEDENTE CENSURA, NONCHÉ IN ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO D’ISTRUTTORIA, ILLOGICITÀ ED IRRAGIONEVOLEZZA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI »;
3. « ERRONEA APPLICAZIONE DEGLI ART. 33, 34 E 88, C.P.A., IN OMESSO ACCOGLIMENTO DELLA CONTESTATA VIOLAZIONE, PER FALSA OD OMESSA APPLICAZIONE, DELL’ART. 31, L. N. 457/1978 E DEGLI ARTT. 9, 10, 11 E 12, L. N. 47/1985, ANCHE ALLA LUCE DEGLI ARTT. 3, 10, 22, 23, 37 E 136, D.P.R. N. 380/2001, NONCHÉ DELL’ART. 16, L.R. LAZIO N. 66/1988, NEI SENSI IN PRECEDENZA PRECISATI, NONCHÉ CON ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO D’ISTRUTTORIA, ILLOGICITÀ ED IRRAGIONEVOLEZZA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI ».
Roma Capitale si costituiva formalmente in giudizio il 15 gennaio 2019, e il 2 dicembre 2022 con diverso difensore, sviluppando le proprie difese con memoria del 23 dicembre successivo con la quale confutava le avverse censure chiedendo la reiezione dell’appello.
All’esito dell’udienza di smaltimento dell’arretrato del 23 gennaio 2023, la causa veniva decisa.
Con il primo motivo l’appellante censura la decisione di primo grado nella parte in cui riteneva applicabili ratione temporis le misure di salvaguardia di cui all’art. 16 della L.R. n. 66/1988 istitutiva del Parco, la cui efficacia doveva, invece, ritenersi cessata « col decorso di cinque anni dall’avvio » del regime provvisorio: termine già spirato alla data di adozione del provvedimento impugnato (22 maggio 2002).
Né, si afferma, l’effetto delle misure di salvaguardia potrebbe essere « recuperato » a seguito dell’adozione del Piano d’assetto, intervenuta con delibera del Consiglio Direttivo dell’Ente Parco n. 17 del 29 luglio 2002, poiché successiva all’impugnata misura demolitoria.
Deduce ulteriormente l’appellante che il Tar non avrebbe considerato che l’art. 8, comma 3, lett. r) della L.R. n. 29/1997, « Legge quadro regionale sulle aree naturali protette », avrebbe innovato il regime di salvaguardia di cui all’art. 16 della L.R. n. 66/1988 prevedendo che è vietata « qualsiasi attività edilizia nelle zone territoriali omogenee C), D) ed F) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, ad eccezione degli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), del d.p.r. 380/2001, purché non siano in contrasto con le finalità di cui all’articolo 2 e fermo restando quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, della l. 394/1991 ».
Il Parco dell’Appia, pertanto, in quanto ricadente in zona territoriale omogenea F ai sensi del D.M. n. 1444/1968, rientrerebbe nelle previsioni di cui all’art. 107, comma 1, lett. f) del N.P.R.G. (confermativo sul punto del precedente strumento urbanistico) a norma del quale « con riferimento alle zone territoriali omogenee di cui al DM n. 1444/1968 [...] sono classificate come zona territoriale omogenea F: [...] le Aree naturali protette ».
Tale inclusione comporterebbe che il divieto di esecuzione di interventi edilizi opererebbe « ad eccezione degli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), del d.p.r. 380/2001 ».
Ne deriverebbe, quindi, che il Tar avrebbe errato tanto nel ritenere operanti le misure di salvaguardia di cui alla L.R. n. 66/1988, quanto nel ritenere che queste inibissero qualsiasi intervento.
Il motivo è infondato.
Preliminarmente deve rilevarsi che non è oggetto di contestazione da parte dell’appellante la realizzazione delle opere come sopra elencate, ma la loro qualificazione e ammissibilità alla luce dell’invocato contesto normativo.
Ai sensi dell’art. 16, comma 1, della L.R. n. 66/1988 « entro i confini del comprensorio del parco è vietato: a) fino all'approvazione del piano d'assetto, di cui all'articolo 6, eseguire opere edilizie con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria nei limiti della lettera a) dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e di manutenzione straordinaria limitati alla sola tutela dell'integrità statica ed architettonica degli edifici (coperture, strutture ed elementi decorativi degradati) e che non comportino modifiche di destinazione d'uso e che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici … ».
Ai sensi dell’art. 8, comma 3, lett. r) della L. R. n. 29/1997 « all'interno delle zone A previste dall'articolo 7, comma 4, lettera a), numero 1), delle aree naturali protette individuate dal piano regionale, sono vietati: … r) qualsiasi attività edilizia nelle zone territoriali omogenee C), D) ed F) di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, ad eccezione degli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), del d.p.r. 380/2001, purché non siano in contrasto con le finalità di cui all’articolo 2 e fermo restando quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, della l. 394/1991 ».
Le fattispecie espressamente escluse mediante richiamo all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, riguardano, quindi, gli « a) interventi di manutenzione ordinaria »;gli « b) interventi di manutenzione straordinaria », gli « c) interventi di restauro e di risanamento conservativo » e, infine, gli « d) interventi di ristrutturazione edilizia ».
Alla tipologia da ultimo richiamata devono essere ricondotti, nel testo ratione temporis vigente, « gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica ».
Ciò premesso, deve escludersi che l’intervento in questione rientri nelle suindicate ipotesi di esenzione, compresa la definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. d).
Il complessivo intervento realizzato dall’appellante, infatti, dava vita, in ambito vincolato, ad un manufatto di consistenza, volumi, superfici e prospetti diversi da quello preesistente integrando in tal modo la fattispecie della c.d. ristrutturazione pesante di cui all’art. 10, comma 1, lett. c) del medesimo testo normativo che subordina al permesso di costruire « gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici … ».
Come da ultimo chiarito in sede di Adunanza di Sezione del 12 gennaio 2022, « la modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume della originaria costruzione », pacifica nel caso di specie, « non consentono di qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria, prevista dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del DPR n. 380 del 2001, rientrando invece lo stesso nella diversa categoria della ristrutturazione edilizia “pesante”, contemplata dall’articolo 10 del testo unico dell’edilizia » (Cons. Stato, Sez. I, Adunanza di Sezione del 12 gennaio 2022, n. 378).
La non riconducibilità dell’intervento all’esclusione in questione, determina l’operatività del divieto di cui al richiamato art. 16 della L.R. n. 66/1988 che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non può considerarsi decaduto per scadenza del temine quinquennale proprio delle misure di salvaguardia di matrice urbanistica essendo univoca la disposizione nella parte in cui estende l’efficacia del divieto « fino all'approvazione del piano d'assetto » intervenuta, come evidenziato dalla stessa appellante, successivamente all’adozione del provvedimento impugnato.
Deve a tal proposito essere evidenziato che il rilievo degli interessi di carattere ambientale, oggetto di specifica tutela costituzionale, non consente di assimilare le misure di salvaguardia di matrice paesaggistica di cui alla L.R. n. 66/1988 a quelle ordinarie di matrice urbanistica.
Ne deriva che alle prime, in quanto strumentali alla salvaguardia del particolare valore paesaggistico del parco, non possa essere esteso il carattere della temporaneità proprio delle seconde, né è ricavabile dalla legge alcun elemento a sostegno della tesi per la quale dette misure siano soggette a decadenza.
La riconducibilità dell’intervento alla tipologia della ristrutturazione pesante determina, altresì, il rigetto del terzo motivo di appello con il quale, sul presupposto che quanto realizzato integrasse una ristrutturazione leggera , non fosse necessario il conseguimento della licenza edilizia.
Con il secondo motivo, l’appellante censura la sentenza di primo grado laddove afferma « che - come hanno evidenziato le stesse Amministrazioni nei loro scritti difensivi - non rilevino le descrizioni delle tipologie degli abusi come descritte nelle leggi statali n. 457 del 1978 e n. 47 del 1985 (vigenti ratione temporis all’epoca di realizzazione degli abusi), proprio perché per il territorio dell’Ente Parco il sopra riportato art. 16 della legge regionale n. 66 del 1988 ha previsto un peculiare regime di salvaguardia, coerente con il particolare pregio paesaggistico e ambientale, oltre che archeologico, della zona ».
L’appellante deduce che alla data del 22 maggio 2002, di adozione dell’ordinanza impugnata, non fossero più applicabili le richiamate leggi nazionali atteso che il d.P.R. n.380/2001, ancorché definitivamente entrato in vigore il 1° gennaio 2003 a seguito di più rinvii, avrebbe in ogni caso avuto efficacia nel periodo intercorso fra il 1° e il 9 gennaio 2001 ed avrebbe, quindi, sin da quel tempo esplicato i propri effetti abrogativi ex art. 136 interessanti le citate fonti normative.
Sarebbe, pertanto, errata l’affermazione del Tar per la quale la disciplina ratione temporis vigente dovrebbe individuarsi « nelle leggi statali n. 457 del 1978 e n. 47 del 1985 ».
La doglianza è infondata.
La statuizione censurata, in disparte la questione relativa alla vigenza o meno ratione temporis delle citate leggi, non afferma la non conformità dell’intervento con riferimento alle « descrizioni delle tipologie degli abusi come descritte nelle leggi statali n. 457 del 1978 e n. 47 del 1985 » (la cui irrilevanza ai fini in esame è espressamente affermata), ma richiama il regime normativo di salvaguardia di cui alla L.R. n. 66/1988.
Con il medesimo capo di impugnazione, in relazione ai già descritti interventi oggetto di contestazione, l’appellante afferma che, ai fini in esame, andrebbero distinte « le opere idonee ad introdurre alterazioni non meramente marginali dell’aspetto esteriore dell’immobile (da prendersi in considerazione ai fini paesistici) », individuabili unicamente negli interventi di cui ai richiamati punti a), c) ed f1) « da quelle comportanti modifiche solo interne, ossia non percepibili dall’esterno e per ciò paesaggisticamente irrilevanti ».
In ogni caso, si afferma, anche gli interventi paesaggisticamente rilevanti andrebbero esenti dal regime dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 2, comma 1, dell’Allegato A al d.P.R. n. 31/2017 a nulla rilevando che, come sostenuto dal Tar, detta fonte sopravvenisse all’adozione del provvedimento impugnato, poiché si tratta di normativa che avrebbe codificato il « ben noto e consolidato principio dell’irrilevanza paesaggistica di tutti interventi introduttivi di alterazioni nulle o pressoché nulle dello stato esteriore dei luoghi ».
La censura è infondata.
In primis deve convenirsi con il Tar circa l’irrilevanza, ai fini in esame, della normativa sopravvenuta all’adozione del provvedimento essendo pacifico in giurisprudenza che « la legittimità di un provvedimento amministrativo va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione (cfr., tra le altre, Cons. Stato V, 23 ottobre 2014, n. 5249;id., IV, 11 novembre 2014, n. 5524, nonché, di recente, Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3890), in ragione del generale principio di legalità, per cui l’amministrazione non può che conformarsi alla legge vigente al momento in cui dà luogo alla sua manifestazione di volontà » (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2021, n. 5585).
In ogni caso, deve disattendersi la tesi dell’appellante per la quale, ai sensi del d.P.R. n. 31/2017, le opere di cui ai richiamati punti a), c) e f)1 del provvedimento impugnato sarebbero paesaggisticamente irrilevanti.
Come già rilevato, si tratta del già evidenziato spostamento delle murature perimetrali, delle variazioni dei prospetti con modifica ed apertura di nuovi vani porta e finestre, nonché, dell’apertura di n. 6 lucernari e della realizzazione di tramezzature per creare n. 7 nuove stanze e n. 4 bagni.
Tali interventi, per l’evidente impatto sulla consistenza e sui prospetti del manufatto originario e sul carico urbanistico, non potrebbero in ogni caso essere ricondotti alle esclusioni di cui all’Allegato della fonte normativa invocata (« opere interne che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici »;« rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura »;« opere di manutenzione di balconi, terrazze o scale esterne »;« integrazione o sostituzione di vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche »;« finiture esterne »;sostituzione di « manufatti quali infissi, cornici, parapetti, lattonerie, lucernari, comignoli e simili »;« interventi di coibentazione volti a migliorare l'efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma »;« consolidamento statico degli edifici, ivi compresi gli interventi che si rendano necessari per il miglioramento o l'adeguamento ai fini antisismici »;« eliminazione di barriere architettoniche »;installazione « di impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici »).
Ne deriva l’infondatezza delle ulteriori censure fondate sull’erroneo presupposto dell’irrilevanza paesaggistica di quanto realizzato e sulla conseguente (pretesa) inapplicabilità al caso di specie della sanzione demolitoria.
In ogni caso, l’appellante considera come non assoggettabili al regime del permesso di costruire i seguenti interventi:
- la realizzazione delle soppalcature, in quanto prive di impatto sul carico urbanistico e sulla volumetria complessiva;
- per le medesime ragioni, la sostituzione delle paratie in vetro e metallo, poste a delimitazione del volume ospitante la scala esterna, preesistenti all’intervento contestato;
- le diverse distribuzioni degli spazi interni mediante realizzazione di tramezzature;
- la pavimentazione esterna riconducibile ad una manutenzione del preesistente piazzale eseguibile ex art. 6 comma 1, lett. e ter del d.P.R. n. 380/2001).
La affermata qualificazione delle opere indicate non è condivisile.
Con riferimento alle soppalcature, deve disattendersi la tesi per la quale sarebbero urbanisticamente neutre in quanto non alteranti la volumetria complessiva del manufatto.
Come già affermato in giurisprudenza « la realizzazione di un soppalco non rientra nell'ambito degli interventi di restauro o risanamento conservativo, ma nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, qualora determini una modifica della superficie utile dell'appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico»: aggravio che sussisterebbe anche «se tali interventi, in ipotesi, non alterassero la volumetria complessiva degli edifici, non comportassero mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni di uso e non modificassero la sagoma e i prospetti dell'edificio, essi consistono in aggiunte che superano, all'evidenza, la finalità di manutenere e rinnovare parti degli edifici » (Cons. Stato, Sez. II, 3 dicembre 2019, n. 8268).
Da disattendere è, altresì, la tesi dell’irrilevanza dell’inglobamento del vano scale all’interno dell’edificio avvenuto, nel caso di specie, mediante una ridefinizione in ampliamento delle murature esterne, a tale scopo traslate: intervento che si presenta, pertanto, come una sostituzione di parti costitutive dell’edificio (mura perimetrali) che conferisce (al pari delle nuove aperture) un nuovo prospetto all’immobile.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire, « nel distinguere tra la tipologia dei principali interventi edilizi ricorrenti nella pratica - si è affermato che nell'ambito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui della L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lettera d), (oggi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3) - la semplice "ristrutturazione" si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali » (Cass. civ., Sez. II, 14 luglio 2021, n. 20079).
Nel caso di specie, inoltre, l’intervento non si risolveva nella sola sostituzione della protezione in vetro e metallo ma nella realizzazione, come sopra evidenziato, di un volume in muratura inglobante, oltre alla scala, una ulteriore superficie di m. 2,39 per 12, 65, su ciascuno di tre livelli di fabbricato, che creava nuove superfici utili.
Come contestato, inoltre, venivano realizzati un solaio intermedio tra piano terra e coperture (punto e) del provvedimento impugnato) e ulteriori opere per rendere « abitabili i volumi “sottotetto” così creati » (punto f1) successivo), destinando quanto realizzato ad un uso abitativo, per una « superficie di mq. 215 circa al piano primo e mq. 30 circa al piano secondo ».
Tale trasformazione, contrariamente a quanto dedotto in appello, comportando la creazione di nuovi volumi e superfici destinati ad un nuovo uso, è urbanisticamente rilevante necessitando, per tale ragione, di permesso di costruire.
La giurisprudenza, in presenza di simili fattispecie, ha già avuto modo di affermare che « la trasformazione di un sottotetto in uno spazio abitabile (circostanza incontestabile in presenza della realizzazione di tramezzature che consentivano di ricavare due camere da letto e un servizio igienico) è urbanisticamente rilevante in quanto incidente sul carico urbanistico e, come tale, necessita di un titolo abilitativo il cui difetto determina "una situazione di illiceità, che deve essere rilevata dall'amministrazione nell'esercizio del suo potere di vigilanza (cfr.Cons. St., Sez. VI, n. 6562/18)" (Cons. Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2021, n. 43) » (Cons. Stato, Sez. VI, 26 settembre 2022, n.8256).
Deve, quindi, disattendersi anche la tesi dell’irrilevanza della ridefinizione degli spazi interni mediante realizzazione di tramezzature che, come ben specificato dall’amministrazione in sede di adozione della misura impugnata, determinavano, anche grazie all’apertura di n. 6 lucernari e ulteriori vani finestra, la creazione di n. 7 stanze con rilevante incremento della superfice abitabile.
Non, può infine, considerarsi opera di mera risistemazione la realizzazione dell’area di sosta esterna mediante pavimentazione poiché, come anche in questo caso riconosciuto dalla giurisprudenza, « sono riconducibili entro la categoria della trasformazione edilizia urbanistica le opere che modificano significativamente la realtà urbanistica e territoriale, indipendentemente dal fatto che la loro realizzazione richieda attività edificatoria in senso stretto » inclusi « gli interventi di trasformazione del suolo, quali, ad esempio, la sua cementificazione (Cons. St., Sez. V., n. 1442 del 2001) o lo spianamento di un terreno al fine di ottenerne un piazzale (Cons. St., Sez. IV, n. 5035 del 2007), in quanto anche essi creano un nuovo assetto urbanistico: tali mutamenti di destinazione possono avere luogo solo se siano stati espressamente consentiti da una previsione urbanistica » (Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2018, n.4066).
Tutte le questioni vagliate fin qui esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
Per quanto precede, l’appello deve essere respinto.
La complessità in fatto e in diritto delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.