Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-12-21, n. 202108489
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Pubblicato il 21/12/2021
N. 08489/2021REG.PROV.COLL.
N. 03060/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3060 del 2021, proposto da
U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro 13;
nei confronti
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuliana Ferraro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza Capo di Ferro 13;
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, resa tra le parti, che ha annullato l’informazione antimafia prot. n. -OMISSIS-, emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria nei confronti dell’impresa individuale odierna appellata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di “-OMISSIS-” e del -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2021 il Cons. Giovanni Pescatore e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ditta “-OMISSIS-”, dedita all’attività di vendita al dettaglio di generi alimentari, è stata colpita da interdittiva antimafia, emessa, in data 3 febbraio 2020, ai sensi e per gli effetti degli artt. 91 e 100 del D.lgs. n. 159/2011. Ad essa ha fatto subito séguito, in data 6 febbraio 2020, l’ordinanza comunale di chiusura dell’attività di vendita.
2. Nel provvedimento prefettizio si dà conto del fatto che la titolare della ditta, -OMISSIS-:
a) è coniuge convivente di -OMISSIS-, ritenuto organico alle cosche di ‘ndrangheta “-OMISSIS-coinvolto in diverse operazioni di P.G., più volte tratto in arresto e, da ultimo, condannato dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria ad anni 8 di reclusione, per associazione di tipo mafioso, nell’ambito dell’operazione Fehida (sentenza annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione in data 4 aprile 2017);
b) è, rispettivamente, figlia e sorella di -OMISSIS-, sottoposta ad amministrazione giudiziaria il 18 gennaio 2011 perché destinataria di decreto di sequestro nell’ambito del procedimento penale n.-OMISSIS-e destinataria del provvedimento di diniego all’iscrizione nella “White List” n. -OMISSIS-della Prefettura di Reggio Calabria. -OMISSIS-è, inoltre, indagato per turbata libertà degli incanti nell’ambito dell’Operazione -OMISSIS-;
c) è figlia di -OMISSIS-
La Prefettura ha conclusivamente ritenuto che “ lo stretto rapporto di parentela e quindi di frequentazione necessaria intercorrente tra la titolare della ditta in esame” e i familiari “costituiscono elementi che, proiettati in un contesto socio-ambientale notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di organizzazioni ndranghetiste – il cd. “-OMISSIS-”-, confermano la sussistenza di un pericolo di condizionamento, se non di vera e propria infiltrazione mafiosa nella ditta che qui ne occupa ”.
3. Con sentenza n. -OMISSIS-resa su ricorso della ditta interessata, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria ha annullato l’interdittiva, a cagione della ritenuta assenza di riscontri in merito ad una conduzione collettiva dell’impresa, tale da farla sussumere in una regìa di tipo familiare.
Non risulterebbe provato, in particolare, né che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate dalla mafia, anche indirettamente, attraverso il coniuge o gli altri parenti, né che vi sia un possibile coinvolgimento degli stessi negli affari ed interessi dell’impresa. Anzi, significativo apparirebbe al riguardo il fatto che l’attività economica esercitata dalla ditta ricorrente, consistente nella vendita al dettaglio di prodotti ortofrutticoli, sia del tutto estranea ad ogni genere di rapporto contrattuale con le Pubbliche Amministrazioni e costituisca l’unico mezzo di sostentamento della titolare e dei suoi due figli minori.
Il TAR ha aggiunto che « i legami di natura parentale non possono, pertanto, da soli, essere ritenuti idonei a sostenere in via autonoma una informativa negativa, assumendo, tuttavia, rilievo qualora emerga una “concreta verosimiglianza dell’ipotesi di controllo o di condizionamento sull’impresa da parte del soggetto unito da tali legami al responsabile o all’amministratore della impresa stessa, ovvero un intreccio di interessi economici e familiari dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell’oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare, costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l’infiltrazione mafiosa nell’impresa considerata” (C.G.A.R.S. n. 313 del 9 giugno 2014) ».
4. Appellano in questa sede il Ministero dell’Interno e la Prefettura - U.T.G. di Reggio Calabria.
5. Si è costituita la ditta interdetta, replicando alle deduzioni avversarie e chiedendone la totale reiezione.
6. A seguito dell’integrazione del contraddittorio nei confronti del -OMISSIS- (disposta con ordinanza n. -OMISSIS-), della conseguente costituzione dell’amministrazione comunale e dell’accoglimento dell’istanza cautelare (ordinanza n. -OMISSIS-), la causa è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 16 dicembre 2021.
7. L’appello contesta l’assunto contenuto nella pronuncia di primo grado secondo il quale il provvedimento prefettizio sarebbe motivato con esclusivo riferimento ai legami di parentela della sig.ra -OMISSIS-.
Al contrario, la parte appellante segnala come Prefettura, da un lato, abbia evidenziato la relazione di convivenza tra quest’ultima e il coniuge -OMISSIS-;e, dall’altro, abbia connotato di rilevanza il “rapporto di parentela”, qualificandolo in relazione alla pregnanza dei legami considerati, alla natura delle “controindicazioni” esistenti a carico dei familiari della -OMISSIS- e, da ultimo, al contesto socio-ambientale nel quale il nucleo familiare è inserito ed è attiva l’impresa.
8. L’appello è fondato.
8.1. In termini generali, la giurisprudenza di questa sezione (v., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. -OMISSIS-e n. -OMISSIS-) si è già fatta carico di precisare che tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l’impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa o societaria, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori, in grado di denotare, in concorso con altri, il possibile rischio di infiltrazione o di condizionamento mafioso (il caso esaminato nella pronuncia n. -OMISSIS-riguardava, appunto, una impresa a ristretta base familiare, operante in un Comune sciolto per mafia).
8.2. Nell’ambito di questa giurisprudenza, per quanto qui rileva, si è ulteriormente precisato che:
- l'amministrazione può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l'impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata;
- tale influenza può essere desunta dalla doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico", che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza, diretta o indiretta, del capofamiglia e dell'associazione;
- a comprovare la verosimiglianza di tale pericolo assumono rilevanza da un lato, sia circostanze obiettive, come la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti che pur non abbiano dato luogo a condanne;sia le peculiari realtà locali, ben potendo l'amministrazione evidenziare come sia stata accertata l'esistenza su un'area più o meno estesa del controllo di una "famiglia" e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti;
- il puntuale riferimento ai vincoli familiari con soggetti controindicati, doverosamente ricorrente nei provvedimenti prefettizi, non esprime, dunque, alcuna presunzione tesa ad affermare che il legame parentale implica necessariamente la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, ma vale a descrivere la situazione, concreta ed attuale, nella quale l'impresa si trova ad operare;
- la rilevanza sintomatica di tali legami può risultare ulteriormente corroborata, oltre che dai caratteri ad essa intrinseci o estrinseci sin qui riepilogati, anche dal fatto che la parte ricorrente, una volta messa a parte della misura interdittiva, non abbia dato prova di alcuna sua scelta di allontanarsi o di emanciparsi dal contesto familiare di riferimento.
8.3. Quanto alle valutazioni indiziarie ritraibili dalla composizione della compagine imprenditoriale, la giurisprudenza di questa sezione ha già affermato, tra l’altro, che la circostanza della natura individuale della base societaria non può essere dequotata a dato di valenza meramente formale, essendo essa valutabile in relazione ai caratteri del contesto criminale di matrice mafiosa nel quale essa opera, per come delineato dalle risultanze istruttorie.
9. Nel caso di specie, gli elementi di contestualizzazione delle relazioni parentali emergono effettivamente dal testo dell’atto impugnato in primo grado e pongono capo ad una trama di inferenze presuntive niente affatto opache o irrilevanti ai fini preventivi.
9.1. E’ innanzitutto innegabile la valenza sintomatica e latamente condizionante del rapporto di coniugio , stanti le implicazioni solidali che impegnano reciprocamente i due coniugi tra di loro, sotto i plurimi profili della convivenza quotidiana, della condivisione dei mezzi materiali e di un progetto di vita comune, cui conseguono obblighi di fattiva e reciproca assistenza.
È riconosciuta, d’altra parte, la valenza sintomatica del rapporto parentale che “ per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete lasci ritenere per la logica del più probabile che non che l’impresa abbia una regìa familiare ” (Cons. St., sez. III, n. 1743/2016).
La naturale e logica carica inferenziale degli elementi caratterizzanti, come vincolo strettamente solidale e potenzialmente condizionante, il rapporto di coniugio , può al più essere attenuata da argomenti di senso contrario (nel caso in esame del tutto assenti), riferiti ad un allentamento dell’unione matrimoniale, in via giuridica o quantomeno di fatto.
D’altra parte, se tra gli elementi indiziari di rilievo ai fini della prevenzione antimafia è pacificamente inclusa la frequentazione di soggetti controindicati o malavitosi, non si vede come si possa negare rilevanza, a fortiori , alla contiguità che si instaura in un regime di vita caratterizzato da una consuetudine stretta e quotidiana, oltre che da cointeressenze affettive e giuridiche così nitide e cogenti come quelle proprie del vincolo matrimoniale.
La stessa giurisprudenza citata dalla parte appellata (pag. 9 della memoria di costituzione) fornisce indiretta conferma di quanto sopra, laddove riconosce che “ se il mero legame di parentela non è sufficiente a contaminare con i sospetti di contiguità alla criminalità organizzata, va tuttavia considerato che il giudizio è diverso, qualora ai legami familiari corrisponda anche la condivisione di aspetti della vita quotidiana (e non vi sia alcun segno di allontanamento dai condizionamenti della famiglia, ovvero di scelta di uno stile di vita e di valori alternativi), tanto più se ai contatti personali si accompagnino cointeressenze economiche o comunque collegamenti tali da far supporre una comunanza di attività ” (Tar Bari, sez. III, 16 luglio 2018, n. 1084).
9.2. Ciò chiarito, mette conto considerare che sul conto del coniuge della -OMISSIS- rileva il dato informativo che lo indica come soggetto già sottoposto alla sorveglianza speciale di P.S., gravato da vari precedenti per traffico di stupefacenti – reato notoriamente strumentale all’attività dell’associazione mafiosa, art. 97, comma 6 D. Lgs. n. 159/2011 – e quale componente organico alla cosca di ‘ndrangheta -OMISSIS-attiva nella Locride, territorio di riferimento della ditta ricorrente, come da informativa dell’autorità di P.S. del 2018.
9.3. Di non decisivo rilievo è invece il fatto che in data 4.4.2017 la Corte di Cassazione abbia cassato con rinvio la sentenza di condanna, pronunciata nei suoi confronti dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, ad anni 8 di reclusione per associazione di tipo mafioso. La citata sentenza, infatti, pur ritenendo non del tutto acclarata l’affiliazione mafiosa del sig. -OMISSIS-, ha comunque ritenuto provata “ l’esistenza di un rapporto di fiducia ” con la cosca mafiosa -OMISSIS-e di una relazione di “ affidamento sulla capacità e sulla complice omertà dell’imputato ” (v. Cass., sez. I penale, n. 13933/2017, pag. 30).
9.4. Va mondato dal rilievo di astrattezza anche il giudizio reso dalla Prefettura con riguardo agli ulteriori plurimi legami familiari – relativi al padre, alla madre ed ai fratelli della sig.ra -OMISSIS-.
Gli stessi, infatti, lungi dall’essere stati considerati in modo atomistico e avulso da elementi di contorno, sono stati inquadrati nel contesto socio-ambientale di riferimento dell’impresa (c.d. -OMISSIS-), notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di organizzazioni ‘ndranghetiste e certamente assumibile quale dato inferenziale o presuntivo della sussistenza del pericolo di condizionamento, anche se non di vera e propria infiltrazione mafiosa. In siffatti contesti criminosi, infatti, il legame di parentela deve ritenersi di per sé rilevante ove si consideri la funzione ed il valore altamente simbolico e vincolante che il c.d “vincolo di sangue” assume nella cultura della ‘ndrangheta e nella struttura clanica di queste famiglie, le quali attraverso matrimoni e “comparati” costituiscono o consolidano alleanze, intensificando in tal modo la propria egemonia sul territorio di riferimento.
Si è già detto, nella disamina di fattispecie simili, che “ tale influenza può essere desunta non dalla considerazione che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, sicché anche il soggetto che non sia attinto da un pregiudizio mafioso può subire nolente l’influenza del capofamiglia ” (Cons. St., sez. III, n. 1743/2016).
9.5. La parte appellata, d’altra parte, non ha allegato alcun elemento atto a depotenziare la pregnanza dei suddetti legami parentali, sotto il profilo della loro attualità, concretezza e consistenza, il che apre il campo ad ovvie e del tutto ragionevoli inferenze presuntive che dagli stessi è lecito trarre in considerazione sia del carattere primario dei vincoli familiari considerati (che uniscono la -OMISSIS- al padre, alla madre ed ai fratelli);sia della loro pluralità e convergenza su un unico nucleo ristretto, a suo volta inserito in un’area territoriale notoriamente pervasa dalla dominanza criminale.
9.6. Non appare idoneo ad intaccare tale valutazione neppure il rilievo che a carico della ricorrente non sono evidenziati pregiudizi dal momento che, per un verso, è noto che le organizzazioni mafiose tendono a preporre alle imprese soggetti incensurati in modo da “schermare” l’infiltrazione;per altro verso, è lo stesso art. 91, co. 5, del d.lgs. n. 159/2011 a prevedere che “ il Prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi dell’impresa ”, mentre, sensi dell’art. 85, co. 3, “ gli accertamenti antimafia si estendono anche ai familiari conviventi di maggiore età ”.
9.7. È, del resto, pacificamente riconosciuto che il Prefetto non indaga l’appartenenza, organica o esterna, dell’imprenditore all’associazione mafiosa, ma valuta la ricorrenza del pericolo che l’impresa possa subire un condizionamento mafioso, diventando strumento, anche indiretto, dell’organizzazione criminale per il perseguimento dei suoi scopi illeciti. Ed a questo proposito deve tenersi conto del fatto che gli scopi della associazione mafiosa comprendono anche attività collaterali quali la “ripulitura”, il riciclaggio dei proventi illegali ed il controllo del territorio di riferimento della cosca, attuato anche attraverso il condizionamento, diretto o indiretto, delle svariate intraprese economiche che in esso si insediano o intendono insediarsi. Rispetto a questi scopi, spesso attuati attraverso una pluralità di soggetti satellitari alla cosca, non è di decisiva rilevanza la mole delle singole e strumentali attività di impresa, potendo tutte cumulativamente concorrere agli scopi di fiancheggiamento innanzi menzionati.
9.8. In ogni caso, la configurazione strettamente individuale dell’impresa non indebolisce ma semmai rafforza l’ordine di considerazioni sin qui tracciato, in quanto evidenzia una sua maggiore esposizione al rischio di condizionamento (v. Cons. Stato, sez. III, n. 4740/2012 e sez. VI, n. 5879/2010), proprio per il fatto che la sua organizzazione è minimamente strutturata;risponde ad una singola figura apicale dominante (strettamente contigua a soggetti controindicati), in alcun modo bilanciata nel suo potere di indirizzo;ed opera in una piccola dimensione territoriale, a sua volta caratterizzata dalla forte pervasività della forza intimidatrice mafiosa. Si tratta di considerazioni anche queste munite di un sostrato “fattuale” (la dimensione dell’impresa, il quadro socio-territoriale nel quale essa opera, gli elementi sintomatici della sua vicinanza ad epicentri malavitosi) - oltre che rappresentative delle peculiarità sociologiche ricorrenti nell’area di riferimento - che si prestano ad essere integrate ed orientate da valutazioni presuntive che concorrono a delineare in termini sufficientemente puntuali e aderenti al “reale” la peculiare situazione ambientale nella quale l'impresa è attiva ed a fondare una legittima ipotesi prognostica sulla dinamica relazionale nella quale la stessa si trova ad operare.
10. Contrariamente a quanto asserito dalla parte appellata, quindi, nel caso in esame non vi è stata un’automatica ed apodittica valutazione del solo dato del rapporto parentale, bensì l’apprezzamento di un insieme di indici considerati nel loro insieme, che hanno condotto ad un giudizio di verosimile e probabile condizionamento delle scelte e degli indirizzi dell’impresa.
Del resto, come noto, la valutazione di verosimiglianza e il giudizio probabilistico sono strumenti tipici della logica indiziaria propria delle misure di prevenzione antimafia, notoriamente avulsa, come ripetutamente sottolineato dagli interpreti, dall’aspirazione ad attingere le certezze tipiche dell’accertamento della responsabilità penale.
11. Alla luce di un siffatto quadro, la sentenza impugnata appare avere impropriamente ed erratamente devalutato, nella loro consistenza e significatività, gli elementi indicati dalla Prefettura.
Trova, a contrario , piena conferma quanto già rilevato in sede cautelare nel senso che “ il quadro indiziario posto a base del provvedimento interdittivo, diversamente da quanto assume la sentenza impugnata, sembra denotare l’esistenza di una situazione familiare assai compromessa con la criminalità di stampo mafioso, con l’elevato rischio, secondo il parametro prognostico della probabilità cruciale, di una regia collettiva e, dunque, di una influenza diretta sulle scelte gestionali dell’impresa da parte della stessa criminalità ” (ordinanza n. -OMISSIS-).
12. Per quanto esposto, l’appello va accolto, dal che consegue, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso di primo grado.
13. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo nei rapporti con le amministrazioni appellanti. Possono invece essere compensate nei confronti del -OMISSIS-, stante la marginalità della sua posizione rispetto alle questioni centrali della contesa.