Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-07-12, n. 202205885
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 12/07/2022
N. 05885/2022REG.PROV.COLL.
N. 09363/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9363 del 2014, proposto da
Azienda agricola Masini Maurizio Giancarlo, l’Azienda agricola Masini Fernando Martino e l’Azienda Agricola La Corte s.s., in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentate e difese dall'avvocato M A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P, in Roma, via Nizza 59;
contro
Agea-Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, ed il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione seconda ter) n. 02997/2014, resa tra le parti, concernente quote latte - ris.danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agea-Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 6 luglio 2022 il Cons. C A e uditi per le parti l’Avv. M A e l’Avv. dello Stato Antonio Volpe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il contenzioso in esame concerne i provvedimenti di compensazione nazionale per i periodi 1995/1996, 1996/1997, 1997/1998, 1998/1999, 1999/2000 e 2000/2001 effettuati da AIMA ai sensi dell'art. 1, comma 1, D.L. n. 43/1999, convertito in Legge n. 118/1999.
Con il ricorso di primo grado le istanti, dopo aver ricostruito la normativa comunitaria e nazionale sul regime delle c.d. «quote latte», ipotizzavano una serie di violazioni di legge, nonché di normativa comunitaria, oltre che eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di potere per rettifica dei dati in mancanza di previsione normativa e disparità di trattamento.
2. Il T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. II-ter, con sentenza n. 2997 del 18 marzo 2014, dopo aver ritenuto che vi fossero i presupposti per pronunciare, ai sensi dell’art. 74 del D. lgs n. 104 del 2010, una sentenza in forma semplificata respingeva tutte le censure proposte in primo grado.
3. Con il ricorso in appello le istanti hanno preliminarmente dedotto l’erronea applicazione dell’articolo 74 del D. lgs. n. 104/2010. Il giudice di primo grado, infatti, avrebbe omesso di pronunciarsi su tutti i motivi di doglianza, tra cui anche alcuni decisivi per la decisione con la conseguenza che la sentenza nulla.
Nel merito, hanno poi lamentato plurimi profili di contrarietà con la normativa comunitaria di cui ai Regolamenti CEE n. 3950/1992, n. 536/1993, n. 1256/1999, vigenti ratione temporis , nonché riproposto censure inerenti i vizi strettamente formali di cui al ricorso di primo grado (violazione degli artt. 1 e 7 della l. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del Regolamento CEE n. 3950/92) ed eccesso di potere. Hanno quindi riproposto la rimessione alla Corte di Giustizia della CE, ex art. 177, lett. b), del Trattato UE, di alcune questioni pregiudiziali attinenti sia alla validità della normativa in materia di quote latte, sia all’interpretazione di alcune norme comunitarie contenute nella stessa e il rinvio alla Corte costituzionale della normativa applicata per asserita contrarietà con gli artt. 3, 4, 24, 25, 40, 42, 97, 117 e118 della Costituzione.
4. Si sono costituite le Amministrazioni per resistere, con atto meramente di stile.
5. Le aziende appellanti hanno versato in atti la copiosa giurisprudenza, nazionale e comunitaria, nel frattempo intervenuta sulla vicenda, nonché l’ordinanza del GIP di Roma del 5 giugno 2019 che ha sostanzialmente riconosciuto la «totale inattendibilità e falsità dei dati del sistema», pronunciandosi nell’ambito di un procedimento penale conseguito alla medesima vicenda. Con successiva memoria conclusiva, hanno ribadito le proprie prospettazioni, ricordando come nelle more del presente procedimento non solo è intervenuta la richiamata ordinanza del GIP di Roma, che avrebbe confermato, in sede penale, che la reale produzione italiana anche per il periodo di cui è causa era inferiore alla produzione dichiarata in sede UE, ma soprattutto, in sede comunitaria, la sentenza della Corte di Giustizia UE del 27 giugno 2019 in causa C-348/18, che ha sancito chiaramente la necessità che gli Stati membri che scelgono di quantificare il prelievo dovuto dai produttori previa compensazione tra le maggiori quantità prodotte con le quote inutilizzate, eseguano l’operazione in via lineare tra tutti, in base all’unico criterio stabilito dall’art. 2, par. 1 del Reg. (CEE) n. 3950/92, ossia «proporzionalmente ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore».
6. All’udienza di smaltimento del 6 luglio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Il giudice di prime cure ha dichiarato il ricorso infondato sulla base di considerazioni già svolte in numerose sentenze precedenti e riguardanti questioni analoghe affrontate con riguardo all’assegnazione retroattiva dei QRI, al mancato coinvolgimento delle regioni dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 520 del 1995 ed al contenuto delle relazioni redatte dal Nucleo Carabinieri nel novembre 2010 e nel febbraio 2011. Tali considerazioni venivano ritenute dirimenti per rigettare tutte le censure proposte con il ricorso tranne quella relativa alla imputazione degli interessi che è stata, invece, accolta.
8. Il Collegio, ritiene, in primis , di dover procedere ad un ennesimo inquadramento del sistema delle quote latte, che, come è noto, è cessato il 1° aprile 2015.
Con il termine quote-latte si suole far riferimento al sistema di contigentamento produttivo del sistema caseario il cui scopo era quello di ridurre lo squilibrio tra la domanda e l’offerta dello stesso. La Comunità Europea, con il Reg. 3950/92 (il quale prorogava il regime di prelievo supplementare già previsto dal regolamento (CEE) n. 865/84) e poi in seguito con il Regolamento 1788/2003 ed il Regolamento 1234/2007, regolamenti che nel caso di specie però non rilevano, ripartiva il quantitativo globale garantito (QGG) di latte a ciascun stato membro in quote individuali da assegnare ai produttori, il così detto QRI. Questo veniva aggiornato ogni anno prima dell’inizio del periodo di commercializzazione.
Nel caso in cui lo Stato Membro avesse constatato il superamento del monte di quote assegnato dall’Unione Europa, si procedeva alla quantificazione del prelievo supplementare (pari al 115%). Nel corso del periodo contingentale, lo Stato membro aveva la possibilità di compensare i superamenti delle quote individuali restituendo i quantitativi di riferimento individuali inutilizzati dei produttori che hanno esaurito le proprie quote per ridurre la produzione eccedentaria di altri produttori.
9. In via preliminare, va affrontata la questione relativa alla scelta del collegio di prime cure di decidere la sentenza in forma semplificata ex art. 74 c.p.a.
Il motivo è infondato.
9.1. Infatti, il tema delle «quote-latte» è stato, in verità, più volte affrontato. Non solo dal T.A.R ma anche da questo Consiglio, che ha già avuto modo di affermare la validità della sentenza breve che motiva per relationem , la quale ben può essere utilizzata, data la notorietà del tema e dato che, come prescrive l’art. 88 c. 2, lett. c) c.p.a. il giudice può risolvere la controversia con «[…] concisa esposizione dei motivi… in diritto, con rinvio a precedenti cui intende conformarsi […] » (Cons. Stato, sez III, n. 5150/2014), sicché tale scelta non appare irragionevole.
10. Venendo al merito, la Sezione ritiene opportuno ricordare come non solo il giudice di prima istanza, ma anche questo Consiglio si è occupato più volte funditus e ha pienamente risolto le questioni sollevate nell’odierna controversia, nel lungo tempo in cui queste ultime sono state proposte, in ogni possibile combinazione argomentativa.
10.1 Può pertanto premettersi solo sinteticamente che il mercato unico del settore lattiero-caseario non è basato, all’interno dell’Unione, solo su un sistema di prezzi, ma si articola in una serie di misure normative attraverso le quali essa ha cercato di controllare la domanda e l’offerta dei prodotti considerati (v., più diffusamente, Corte Cost., 7 luglio 2005, n. 272). All’interno di queste si inserisce la preventiva assegnazione del cosiddetto QRI, o quantitativo individuale, che costituisce la fase iniziale del successivo meccanismo di determinazione del prelievo supplementare conseguente al relativo splafonamento, all’esito anche della prevista compensazione nazionale.
10.2. Ciò considerato, la modalità di effettuazione del computo del QRI in relazione alle annate lattiere successive a quella 1995/1996 è stata oggetto nello specifico di analitica ricostruzione da parte di questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze in termini di correttezza non è motivo di discostarsi (cfr. ex plurimis , Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014, n. 5150). È dunque stato appurato che « il QRI non si può adesso, né si poté dire allora sconosciuto per nessuno dei produttori e per tutto il tempo intercorrente tra l’entrata in vigore del regol. n. 3950 e la definizione dei QRI per le annate lattiere dal 1995/96 in poi, fossero costoro aderenti o no ad una delle associazioni di categoria ». Invero, infatti, essi ne ebbero buona e seria consapevolezza, almeno in relazione alla loro produzione «storica», secondo l’art. 4 del Regolamento n. 3950/92/CE, con riguardo al quantitativo disponibile in azienda al 31 marzo 1993, poi al 31 marzo 1994 e via via con le proroghe fino al 2000, oltre che sulla scorta del rispettivo patrimonio bovino a disposizione. « Questo, ad avviso non del Collegio, ma della giurisprudenza più volte citata ed enfatizzata dall’appellante (cfr. C. giust. CE, 25 marzo 2004, cause riunite nn. 480/2000 e ss., parr. nn. 46/51 e 65/70), se non rende irrilevante, certo fa sbiadire la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento » (Cons. Stato, n. 5150/2014, cit. supra ;sulla presunzione di conoscenza del dato generata dalla sua «storicizzazione», cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014 n.5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n.5149).
10.3. Quanto detto a valere anche, ritiene il Collegio, in relazione al lamentato omesso completamento delle verifiche da parte delle Regioni e delle Province autonome, stante che egualmente non se ne è chiarito l’eventuale impatto sulla posizione concreta delle appellanti, che si sono limitate a richiamarne la previsione, quale riprova della necessità di controlli incrociati stante la – incontestata – difficoltà ricostruttiva da parte dell’Amministrazione operante. Tale difficoltà, infatti, così come la possibile erroneità del dato di partenza, peraltro proprio per lo più in ragione delle alterazioni ascrivibili alle certificazioni dei produttori, non può non imporre, e conseguentemente legittimare, la ricerca di metodiche anche induttive funzionali a determinare il dato richiesto, ferma restando una rigorosa azione di accertamento delle responsabilità dei singoli che a vario titolo hanno ostacolato il corretto funzionamento del sistema (cfr. ancora Cons. Stato, n. 3685/2018, cit. supra ).
10.4. Epurata, dunque, la vicenda, dagli asseriti profili di illegittimità rivenienti dal procedimento di determinazione a monte dei quantitativi individuali, occorre circoscrivere lo scrutinio ai soli aspetti mirati alla fase finale della determinazione del prelievo supplementare.
11. Il Collegio osserva come abbia valore preminente la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. VII, con la decisione del 27 giugno 2019) in esito ad un quesito formulato da questo Consiglio di Stato con ordinanza n. 3074 del 2018 che verteva sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 3950/92 del Consiglio. Il tema riguardava il criterio applicabile, di proporzionalità oppure affidato ad una discrezionalità degli stati membri, per la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne.
11.1. La Corte di Giustizia, infatti, ha riconosciuto che sebbene il regolamento in questione lasciasse agli Stati membri la scelta se procedere o meno ad una riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento complessivo a favore dei produttori che avevano effettuato delle consegne eccedentarie, ciò non comportasse una liberalità degli stessi quanto alle modalità con cui procedere alle suddette riassegnazioni. Infatti tale riassegnazione, con riguardo al periodo che va fino al 2001 deve essere effettuata tra i produttori che hanno superato i propri quantitativi di riferimento, in modo proporzionale e non secondo criteri di priorità fissati dallo Stato Membro.
11.2. In tal modo, la Corte smentisce la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l’indifferenza dell’utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi europei di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, sottolineando (ai paragrafi da 38 a 46 della sentenza) quanto segue: « l’argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l’acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz’altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore” e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, K und T E e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64) ».
12. Essendo, quindi, quella italiana una compensazione dalla giurisprudenza ormai considerata come basata su criteri difformi rispetto a quelli che avrebbero dovuto essere utilizzati, ne deriva la pregiudizialità della disamina in tale questione con la determinazione dell’accoglimento dell’appello ed il conseguente annullamento dei provvedimenti censurati in prime cure per l’illegittimità del criterio posto a fondamento dei calcoli sottostanti all’operazione di compensazione/riassegnazione. Si determina, dunque, la necessità da parte dell’Amministrazione di procedere ad un complessivo ricalcolo.
13. In considerazione del fatto che l’Amministrazione ha dato puntuale applicazione della legge, sia pure poi rivelatasi in contrasto col diritto europeo, non sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, peraltro proposta in via meramente generica.
14. Le difficoltà interpretative della disciplina nazionale e comunitaria, nonché l’oscillamento giurisprudenziale e la complessità della materia determinano l’individuazione di giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.