Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-11-27, n. 201806706

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-11-27, n. 201806706
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806706
Data del deposito : 27 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/11/2018

N. 06706/2018REG.PROV.COLL.

N. 01745/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1745 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati L M, A L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A L in Roma, via Panama 58;

contro

Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti e pubblicata il 6 settembre 2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia intimata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2018 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti l’avvocato A L e l'avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame in epigrafe l’appellante chiede l’annullamento della sentenza della Sezione Prima del Tar del Lazio, n. -OMISSIS-, pubblicata il 6 settembre 2017 con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso l’ordinanza di rilascio ex art. 2 decies, comma 2, legge 575/65, emessa nei confronti dell’odierno appellante dall’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ed avente ad oggetto l’appartamento sito in -OMISSIS-.

Tale atto veniva adottato a seguito del decreto di confisca del 22.02.2006 emesso nell’ambito del procedimento iscritto al n. -OMISSIS-dal Tribunale di Palermo -Sezione Misure di Prevenzione, definitivo a far data dal 04.06.2013 per effetto della pronuncia resa dalla Suprema Corte di Cassazione.

Avverso la decisione di prime cure l’appellante deduce che:

1) il TAR Lazio non avrebbe correttamente valutato il fatto che l’atto impugnato, pur ponendo ad esclusivo presupposto dell’ingiunzione di sfratto il provvedimento di confisca del cespite di proprietà della signora -OMISSIS-, ha poi completamente omesso di contemplarla. Da qui, dunque, l’osservazione censorea secondo cui l’ingiunzione di restituzione del bene non è stata notificata, né tantomeno rivolta, all’effettivo legittimato passivo, ovverosia al soggetto che ha subito l’ablazione per effetto della confisca. Né tale vizio potrebbe ritenersi superabile, come erroneamente ritenuto dal giudice di prime cure, in virtù del generico ed atecnico richiamo al “nucleo familiare” del signor -OMISSIS-;

2) le peculiarità concrete della vicenda qui in rilievo avrebbero dovuto indurre il giudice di primo grado ad un attento riesame delle conclusioni della giurisprudenza di settore (Consiglio di Stato, sez. III, n. 2993/2016) quanto all’obbligo di assicurare effettività alle garanzie di partecipazione al procedimento in ragione del fatto che:

- gli occupanti sin dal 2011 versano all’Agenzia un’indennità di occupazione;

- mancherebbe un rapporto di ragionevole contiguità temporale nelle determinazioni dell’Agenzia intimata;

- non risulta ancora individuata la precipua finalità di destinazione pubblicistica del bene qui in rilievo.

Resiste in giudizio l’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

All’udienza del 4.10.2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.

Vale qui ribadire che il provvedimento gravato in prime cure costituisce lo sviluppo attuativo del decreto emesso, nell'ambito del procedimento n. -OMISSIS-, dal Tribunale di Palermo — Sezione Misure di Prevenzione, in data 22/02/2006, e divenuto definitivo a seguito di Sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in data -OMISSIS-.

Con il suddetto decreto è stato, invero, confiscato in pregiudizio dell’odierno appellante, tra gli altri, l’appartamento sito in -OMISSIS-, identificato al catasto al foglio -OMISSIS-

Com’è noto, in siffatte evenienze il bene viene acquisito al patrimonio indisponibile dello Stato ed è ope legis conformato da un vincolo di destinazione a finalità pubbliche.

In funzione dell’attuazione concreta di tale speciale regime, oltre che in rigida esecuzione del summenzionato provvedimento giudiziale, si ascrive, dunque, il provvedimento prot. n. -OMISSIS-, con il quale l'Agenzia Nazionale ha ordinato il rilascio del cespite in questione, provvedendo peraltro ad eseguirlo il 13.3.2018.

Tanto premesso, rileva il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto, il giudice di prime cure ha fatto buon governo dei principi regolatori predicabili in subiecta materia .

Anzitutto, priva di pregio si rivela l’osservazione censorea incentrata sulla pretesa erroneità del provvedimento impugnato – non rilevata dal TAR - nella individuazione della platea dei legittimi destinatari dell’avversata intimazione.

Sul punto, il giudice ha correttamente rilevato che “ il preteso acquisto del cespite in questione a titolo ereditario, è fatto oggetto di mera allegazione da parte del ricorrente ma non anche di prova, in quanto l’interessato non produce al riguardo alcuna allegazione. Ne consegue che diversamente, deve rilevarsi che il cespite è stato oggetto di confisca, come risulta dalle trascrizioni dello stesso decreto presso l'Ufficio Provinciale di Palermo — Territorio Servizio di Pubblicità immobiliare (-OMISSIS-), da dove si evince che lo stesso è stato assunto al patrimonio indisponibile dell'Erario. Ne consegue che le argomentazioni rappresentate dal ricorrente, al fine di evitare il sequestro e la confisca dei beni, già esposte nell'ambito del procedimento di prevenzione e, all’evidenza, valutate negativamente nei vari gradi di giudizio (Tribunale Penale, Corte d'Appello e Corte di Cassazione), non possono in questa sede assumere rilievo ”.

In sede di gravame l’appellante si duole, però, del fatto che l’ingiunzione di restituzione del bene non è stata notificata, né tantomeno rivolta, alla signora -OMISSIS-, vale a dire all’effettivo legittimato passivo, ovverosia al soggetto che ha subito l’ablazione per effetto della disposta confisca.

Anche così strutturata la doglianza in commento non può essere condivisa.

Anzitutto, dirimente si rivela in senso ostativo alla pretesa qui coltivata la carenza, in capo all’appellante, della legittimazione a far valere presunte lesioni della sfera giuridica di soggetti terzi, nella specie la sig.ra -OMISSIS-, ancorché legati al medesimo appellante da rapporto di coniugio.

Opinando diversamente si consentirebbe, del tutto irritualmente, in evidente spregio al divieto di sostituzione processuale di cui al combinato disposto degli artt. 39, comma 1, cod. proc. amm. e 81 cod. proc. civ, di far valere un diritto altrui.

Di contro, secondo il suddetto generale principio processuale l’azione deve essere proposta dal soggetto titolare della posizione giuridica soggettiva che si assume lesa, salvo che ricorrano ipotesi tassative di legittimazione ad agire straordinaria che, eccezionalmente, consentano la detta sostituzione processuale, evenienze qui non in rilievo.

Sotto diverso profilo, nemmeno può essere sottaciuto che l’avversato titolo ingiuntivo trae alimento delle risultanze consacrate nel decreto di confisca, oramai definitivo, e del quale costituisce mero sviluppo esecutivo. Orbene, nel costrutto recepito nel divisato provvedimento giurisdizionale, il cespite in argomento risultava riconducibile all’odierno appellante siccome ricadente nella sua effettiva disponibilità, costituendo la sua intestazione nominale alla -OMISSIS- una mera forma di interposizione fittizia.

Sicché sembra del tutto coerente con le suddette premesse l’opzione esercitata dalla qui intimata Agenzia di orientare l’esercizio della pretesa di rilascio nei confronti del Sig. -OMISSIS-, siccome già effettivo dominus dell’immobile e, comunque, colui che ne poteva concretamente disporre. Tanto vieppiù è a dirsi alla data di adozione dell’atto di sgombero, considerata l’oramai maturata ablazione del diritto proprietario di cui la Sig.ra -OMISSIS- era (formalmente) titolare, risultando reciso qualsivoglia legame, anche formale, con il precedente assetto proprietario.

Del pari non hanno pregio le residue doglianze con cui l’appellante lamenta la mancata valorizzazione delle censure di difetto di istruttoria e di motivazione e di violazione delle garanzie partecipative, ritenendo qui non predicabili le implicazioni connesse alla natura di “atto dovuto” del provvedimento impugnato.

Lo stesso appellante mostra di conoscere l’orientamento di questa Sezione ben sintetizzata nella pronuncia n. 2993/2016, secondo cui, in linea di principio:

- l'adozione dell'ordinanza di sgombero costituisce per l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, atto dovuto, ai sensi dell'art. 47, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159;

- l'Agenzia ha il potere-dovere di ordinare di lasciare libero il bene, avendo quest’ultimo acquisito, per effetto della confisca, un'impronta rigidamente pubblicistica, che non consentirebbe di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, che determinano l'assimilabilità del regime giuridico del bene confiscato a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile;

- il dovere dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di ordinare di lasciare libero il bene confiscato non è condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione dello stesso;

- non occorre inviare l'avviso di avvio del procedimento previsto dall'art. 7 della legge n. 241/1990.

Pur tuttavia, l’appellante confida in un riesame dei suddetti arresti giurisprudenziali in ragione del fatto che, da un lato, gli occupanti fin dal 2011 verserebbero all’Agenzia un’indennità di occupazione e, dall’altro, non vi sarebbe un rapporto di ragionevole contiguità temporale tra il decreto di confisca e l’ordine di sgombero.

Ritiene il Collegio che anche sotto tale distinto profilo la decisione di primo grado si rivela immune dai vizi dedotti.

Ed, invero, del tutto coerentemente con la disciplina di settore il T.A.R. ha affermato che la rigida natura pubblicistica del bene, per effetto della confisca, non ne consente nemmeno una temporanea distrazione dal vincolo di destinazione a finalità pubbliche, costituendo semmai il ritardo fin qui maturato una ragione ulteriore per porre fine ad un uso del cespite non in linea con le coordinate evincibili dalla disciplina di settore (l. n. 575 del 1965 e, ora, d. lgs. n. 159 del 2011), costituendo pertanto l’ordine impartito dall’Agenzia una doverosa applicazione di tali disposizioni in vista della concreta assegnazione al bene della destinazione pubblicistica secondo le finalità e nei modi previsti dalla legislazione di settore nel preminente interesse pubblico.

Tale rilievo è di per se stesso assorbente assumendo rispetto ad esso carattere recessivo anche le ulteriori argomentazioni censoree incentrate sul pagamento di un’indennità di occupazione e sull’affidamento medio tempore maturato.

Va, dunque, qui ribadito che il provvedimento di sgombero, alla luce delle ragioni sin qui esposte, è atto dovuto, per la sua natura vincolata ai sensi dell'art. 47, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011 e dell'art. 823, comma secondo, c.c., e nessun temperamento resta consentito vieppiù in presenza di forme di godimento sine titulo , come quella in essere.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, l’appello va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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