Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-06-14, n. 201602568

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-06-14, n. 201602568
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201602568
Data del deposito : 14 giugno 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03654/2015 REG.RIC.

N. 02568/2016REG.PROV.COLL.

N. 03654/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3654 del 2015, proposto da:
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato R M, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove 21;

contro

D A C, D A C, D A L, D A N e L A, rappresentati e difesi dall’avv. F F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Paganica, 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione II- bis n. 2705/2015, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizio - demolizione opere.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei soggetti indicati in epigrafe;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 17 settembre 2015 il consigliere A P;

Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I sig.ri D A C, Carla, Luca, Nazzareno e L A sono comproprietari di un immobile sito in Roma, via del Casaletto, 450.

La sig.ra D A C, in data 10 dicembre 2004, presentava istanza di condono (prot. n. 554538) intesa ad ottenere la concessione in sanatoria ex lege 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del d.-l. 30 settembre 2003, n. 269 e l.r. Lazio 8 novembre 2004, n. 12 per opere abusive realizzate sul manufatto di sua proprietà destinato a civile abitazione.

Si tratta della realizzazione, in assenza di titolo abilitativo, di una superficie di mq. 90, di altezza di circa m. 2,90 pari ad un volume di mc 330,00 circa, con struttura portante in muratura, copertura a tetto a due falde rifinito e abitabile, composta all’interno di cucina, bagno, soggiorno e tre vani letto.

I ricorrenti hanno impugnato la reiezione dell’istanza di condono, intervenuta con determinazione dirigenziale 10 ottobre 2012, n. 151 di Roma Capitale (Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica – Direzione attuazione degli strumenti urbanistici – U.O. condono edilizio), che richiama la disposizione di cui all’art. 3, c. 1, lett. b) della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. n. 12.

Con motivi aggiunti hanno impugnato la determinazione dirigenziale di ingiunzione a demolire le opere non condonate, del Municipio XII di Roma Capitale, 18 giugno 2013, n. 1275.

Con ulteriori motivi aggiunti hanno impugnato la determinazione dirigenziale del 19 aprile 2006, prot. 65993/25/02, del Dipartimento Territorio della Regione Lazio, che definisce criteri in merito alla competenza dell’ente parco all’emissione del nulla osta previsto l.r. n. 29 del 1997, necessario al conseguimento del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, per le domande presentate ai sensi delle 1. 47 del 1985, 1. 724 del 1994 e 1. 326 del 2003.

Con sentenza n. 2705 del 17 febbraio 2015 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio accoglieva il ricorso in considerazione del fatto che “nel caso di specie, ove non c’è un assoluto divieto di edificazione, ferma restando la necessità che le opere siano conformi alla vigente disciplina urbanistica, la condonabilità è ammessa alla stregua del parere di compatibilità ambientale che deve essere rilasciato dall’ente gestore dell’area naturalistica e che va, dunque, ad esso richiesto nell’ambito del procedimento di valutazione della domanda di sanatoria”.

2. Ha proposto ricorso in appello Roma Capitale deducendo, per quel che qui interessa,

a) Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. b) l.r. n. 12 del 2004. Illogicità e contraddittorietà della motivazione su fatti decisivi.

In particolare Roma Capitale evidenzia che l’area su cui sorge l’immobile, come da nota del Dipartimento di programmazione ed attuazione urbanistica prot. n. 35378 “risulta gravato dai seguenti vincoli: beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. a) del Codice [ dei beni culturali e del paesaggio ] e deliberazione della Giunta della Regione Lazio n. 798 del 16 febbraio 1988, con il quale il territorio della “Valle dei Casali” in Roma è stato sottoposto a vincolo paesistico ai sensi della legge n. 1497 del 1939;
beni paesaggistici ex art. 134 comma 1, lett. a) del Codice - e - D.M. del 24 febbraio 1986;
beni paesaggistici ex art. 134 comma 1, lett. b) del Codice - c - fossi;
beni paesaggistici ex art. 134 comma 1, lett c) del Codice - c - casale;
beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - f - parchi;
PTP 15/10 Valle dei Casali TOb/2;
parchi e riserve l. reg.le Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 ( Norme in materia di aree naturali protette regionali ), art. 44 ( Aree naturali protette istituite ), comma 1, lett. j) riserva naturale della Valle dei Casali.

Roma Capitale deduce che la norma su cui si controverte va intesa nel senso di escludere assolutamente la condonabilità di ogni tipo di opere situate nei parchi o nelle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali, nonché nei monumenti naturali, nei siti di importanza comunitaria o nelle zone a protezione speciale, indistintamente perché è questo che dispone la norma, ovvero che le opere ricadenti in tali zone “non sono comunque suscettibili di sanatoria” (il termine “comunque”, altrimenti, non avrebbe alcun senso lessicale).

Gli abusi realizzati in zona “riserva naturale”, (l.r. 6 ottobre 1997, n. 29 - Tenuta Valle dei Casali), non possono essere sanati ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. b) l.r. Lazio n. 12 del 2004: la sanatoria è impedita “comunque”.

b) Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, c. 1, della L. n. 47 del 1985.

L’amministrazione, in presenza di un abuso non sanabile, non doveva richiedere alcun parere all’ente parco “Valle dei Casali”.

3. Gli appellati hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso in appello per mancata contestazione della parte di sentenza che riconosce la natura relativa del vincolo.

4. Gli appellati hanno riproposto ai sensi e per gli effetti dell’articolo 101, comma 1, Cod. proc. amm., delle censure non esaminate e ritenute assorbite dalla sentenza appellata:

a) violazione e falsa applicazione dell’articolo 10- bis l n. 241 del 1990;
violazione e falsa applicazione dei principi in materia di partecipazione procedimentale;
difetto di istruttoria.

b) difetto di motivazione;
violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 l. n. 241 del 1990;
difetto dei presupposti di fatto e di diritto;
difetto di istruttoria;
(sotto altro profilo rispetto a quanto dedotto nel precedente motivo di diritto) violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. n. 47 del 1985;
violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.-l. n. 269 del 2003;
violazione e falsa applicazione art. 3 l.r. Lazio n. 12 del 2004;
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 39, l. n. 308 del 2004.

c) censure proposte con i motivi aggiunti avverso l’ordine di demolizione:

ca) difetto di istruttoria;
erroneità dei presupposti in fatto e in diritto;
travisamento dei fatti;
irragionevolezza;
illogicità;
violazione e falsa applicazione dell’articolo 15 l.r. Lazio n. 15 del 2008;
violazione e falsa applicazione dell’articolo 31 d.P.R. n. 380 del 2001;
violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di esercizio del potere repressivo-sanzionatorio.

cb) violazione e falsa applicazione dell’articolo 15, comma 5, l.r. Lazio n. 15 del 2008;
difetto d’istruttoria;
difetto di motivazione;
erroneità dei presupposti di fatto e di diritto.

d) censura proposta con gli ulteriori motivi aggiunti avverso la nota della Regione Lazio —Dipartimento Territorio prot. n. 65993125102 del 19 aprile 2006: violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 l. n. 47 del 1985;
violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 d.-l. n. 269 del 2003;
violazione e falsa applicazione art. 3 l.r. Lazio n. 12 del 2004;
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 39, l. n. 308 del 2004;
difetto dei presupposti di fatto e di diritto;
difetto di istruttoria.

5. Va esaminata prioritariamente l’eccezione di inammissibilità del ricorso in appello per mancata contestazione della parte di sentenza che riconosce la natura relativa del vincolo.

6. L’eccezione è infondata.

Roma Capitale, appellante, ha dedotto testualmente: <<Se l’abuso edilizio è stato costruito in zona “riserva naturale”, come nel caso di specie (v. parchi e riserve l.r. n. 29 del 6 ottobre 1997 - Tenuta Valle dei Casali ), ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) l.r. Lazio n. 12 del 2004 è impedita (“comunque” dice la norma) la sua sanabilità>> .

Tale deduzione, a giudizio del Collegio, esprime appieno la contestazione della sentenza nella parte in cui presuppone la relatività del vincolo, laddove per l’appellante Amministrazione la zona è gravata da vincolo di inedificabilità assoluta.

7. Tra i motivi riproposti riveste natura logicamente preliminare, essendo vizio procedimentale, la dedotta violazione dell’articolo 10- bis l. n. 241 del 1990, formulata contro la determinazione dirigenziale 10 ottobre 2012, n. 151 di Roma Capitale, impugnata con il ricorso introduttivo.

La censura è infondata in punto di fatto.

Dal provvedimento impugnato risulta che in data 28 maggio 2012 con nota prot nr. 41604, l’U.C.E., ai sensi dell’art. 10- bis l. n. 241 del 1990, ha comunicato agli appellati il preavviso di rigetto dell’istanza di condono prot. nr. 0/554538 sot. 0, relativamente all’insistenza dell’opera abusiva in area ricadente all’interno della perimetrazione del parco “ Valle de Casali ”.

8. È pacifico che l’immobile ricade in zona vincolata. I medesimi appellati, in memoria di costituzione in giudizio, affermano di aver presentato domanda di accertamento di incompatibilità paesaggistica perché l’immobile ricade in area vincolata.

Il diniego di condono è motivato con il richiamo al fatto (indicazione della zona in cui risulta commesso l’abuso) in relazione alla legge invocata (legge regionale) che impedisce una sanatoria.

9. La sentenza impugnata muove dall’art. 3, comma 1, lettera b) , l.r. Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12, il quale dispone: «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, d.-l. n. 269 del 2003 e successive modifiche, dall’articolo 32 della l. n. 47 del 1985, come da ultimo modificato dall’articolo 32, comma 43, del citato d.-l. n. 269 del 2003, nonché dall’articolo 33 l. n. 47 del 1985, non sono comunque suscettibili di sanatoria […] b) le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima dell’apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali» .

La sentenza afferma che anche per opere abusive situate in parchi e aree protette è possibile la sanatoria perché essa “ dipende dalla verifica dell’ulteriore presupposto della non conformità alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (T.A.R. Lazio, II, 7 aprile 2014, n. 3755;
id. 8 gennaio 2007, n. 52).

10. L’appello è fondato, considerato il tenore e la rubrica dell’articolo 3 l.r. Lazio 8 novembre 2004, n. 12 ( Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi ), regolante la fattispecie, che recita: « Cause ostative alla sanatoria edilizia », in contrapposizione alla rubrica dell’articolo 2, che invece indica le: « Opere abusive suscettibili di sanatoria ».

Vero è che rubrica legis non est lex : nondimeno l’intitolazione di una disposizione è, in difetto di opposti assunti, elemento utile ai fini dell’interpretazione corretta della legge: e non v’è margine per assumere che vi siano, nella disposizione, spazi per assentire la sanatoria straordinaria domandata.

Le opere indicate nell’articolo 2 sono sanabili.

Le stesse opere (come nel caso di specie), se realizzate all’interno dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali, non sono sanabili: l’avverbio “ comunque ” non lascia spazio a diverse interpretazioni.

In altri termini la norma (così afferma la sentenza impugnata) non ha il mero significato di estendere l’insanabilità delle opere anche per vincoli introdotti successivamente alla realizzazione dell’abuso, principio già acquisito anche per effetto di Cons. Stato, Ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20, secondo cui l’autorità preposta alla tutela del vincolo deve, ex art. 32, primo comma, l. n. 47 del 1985, verificarne la sussistenza con riferimento al momento in cui valuta la domanda di sanatoria poiché oggetto del giudizio è l’attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente.

11. Restano da esaminare le residue censure riproposte dagli appellati, essendo già stato esaminato, e rigettato, il motivo con cui era stato dedotto il vizio di difetto di motivazione del diniego di condono.

12. Non ha accoglimento il motivo che censura l’ordinanza di demolizione, impugnata con i primi motivi aggiunti per omessa considerazione degli effetti pregiudizievoli derivanti dall’eventuale esecuzione dell’ordine, perché la demolizione dell’opera abusiva comprometterebbe irreparabilmente anche la porzione attualmente sanata.

La deduzione del vizio in esame doveva essere provata con adeguata consulenza tecnica, che, invece, non è stata prodotta in giudizio.

13. La dedotta violazione dell’art. 15, comma 5, l.r. n. 15 del 2008, in base ai sensi del quale «non si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2 ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso» , è allo stato inammissibile per difetto di interesse: la concreta determinazione delle aree da acquisire dipende infatti dai successivi comportamenti degli appellati e dagli eventuali provvedimenti dell’amministrazione di esatta determinazione dei confini dell’area.

14. È inammissibile la censura proposta con i secondi motivi aggiunti avverso la nota della Regione Lazio - Dipartimento Territorio, prot. n. 65993125102 del 19 aprile 2006.

Poiché l’immobile interessato dal diniego ricade in area esclusa da qualsiasi possibilità di condono, la nota impugnata non poteva esplicare alcun effetto nella vicenda controversa.

15. In conclusione il ricorso in appello va accolto con conseguente rigetto del ricorso di primo grado, unitamente ai motivi aggiunti.

16. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

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