Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-11-22, n. 202107772

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-11-22, n. 202107772
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202107772
Data del deposito : 22 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/11/2021

N. 07772/2021REG.PROV.COLL.

N. 08386/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8386 del 2014, proposto dai signori -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Luigi Maria D’Angiolella, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato T in Roma, via Terenzio, n. 7,

contro

l’A.s.l. -OMISSIS- - Azienda Sanitaria Locale di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato V G, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato M C A in Roma, via Cesare Federici, n. 2,

nei confronti

del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la -OMISSIS-, resa inter partes , concernente l’accertamento del diritto all’equo indennizzo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’A.s.l. -OMISSIS- - Azienda Sanitaria Locale di -OMISSIS- e del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 il consigliere Giovanni Sabbato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. -OMISSIS-, proposto innanzi al T.a.r. per la -OMISSIS-, i signori. -OMISSIS- (vedova -OMISSIS-), -OMISSIS-e -OMISSIS-, quali eredi del signor -OMISSIS- - dipendente dell’A.s.l. -OMISSIS- di -OMISSIS-, assunto presso l’ex Ente Ospedaliero “ -OMISSIS- ” di -OMISSIS- quale Ausiliario di Amministrazione, poi transitato all’ex U.s.l. -OMISSIS- e all’A.s.l. -OMISSIS- quale commesso - hanno chiesto l’annullamento del parere del CPPO reso nell’adunanza n.-OMISSIS-con conseguente rigetto dell’istanza di equo indennizzo avanzata a seguito del decesso del signor -OMISSIS- subentrato per l’aggravarsi della patologia “ -OMISSIS- ”.

2. A sostegno dell’impugnativa avevano evidenziato, tra l’altro, il diverso tenore del parere espresso dalla CMO in quanto, ove l’Amministrazione intenda discostarsene, si richiede una specifica motivazione.

3. Il Tribunale amministrativo adìto (Sezione V) ha respinto il gravame al suo esame reputando infondate le censure sollevate.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che “ l’Amministrazione intimata non aveva motivi per discostarsi dal parere del CPPO nella misura in cui non vi erano elementi comprovanti la sua inattendibilità ed era stato significato come l’infermità “-OMISSIS-” sia una forma morbosa dovuta a proliferazione disordinata dello -OMISSIS-, sulla cui insorgenza e sul cui decorso non potevano aver nocivamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, gli addotti eventi del servizio ”.

5. Avverso tale pronuncia i signori -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, in qualità di eredi del signor -OMISSIS-, hanno interposto appello, notificato il 25 settembre 2014 e depositato il 20 ottobre 2014, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 4- 9), quanto di seguito sintetizzato:

I) la sentenza sarebbe erronea non avendo il T.a.r.

considerato che

il parere favorevole della CMO, emesso ai sensi dell’art. 5 del d.l. n. 387/87 quando il dipendente era ancora in vita, ha carattere definitivo in ordine al nesso di causalità tra la morte e l’infermità che ha colpito il dipendente, come evidenziato sulla base di specifica censura non esaminata dal giudice di prime cure così incorrendo anche nel vizio dell’omessa pronuncia;

II) il T.a.r. non si sarebbe pronunciato sulla censura con cui si denunciava il mancato esercizio del potere di autotutela sul parere della CMO, palesandosi questo come atto definitivo, censura che pertanto in questa sede si ripropone;

III) il T.a.r. non avrebbe considerato che l’Amministrazione, nel recepire acriticamente il parere del Comitato, non avrebbe esplicitato le ragioni di fatto e di diritto che l’hanno condotta a disattendere le conclusioni cui era pervenuto la CMO in ordine alla sussistenza del nesso di causalità;

IV) il T.a.r. nemmeno avrebbe considerato, ai fini della verifica circa la sussistenza dell’equo indennizzo, le caratteristiche del servizio espletato dal dipendente al fine di verificare l’esposizione a sostanze patogene.

6. L’appellante ha concluso per l’accoglimento dell’appello e, quindi, per l’annullamento e/o la riforma dell’impugnata sentenza.

7. In data 10 novembre 2014, il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Comitato per le Pensioni Privilegiate si sono costituiti in giudizio.

8. In data 27 novembre 2014 si è costituita l’ASL -OMISSIS- con memoria di controdeduzioni concludendo per la declaratoria o comunque per il rigetto dell’opposto gravame.

9. In data 15 luglio 2021, parte appellante ha depositato memoria conclusionale insistendo per l’accoglimento dell’appello.

10. L’appello, discusso alla pubblica udienza del 21 settembre 2021, è stato ivi introitato in decisione.

11. Come esposto in narrativa, il thema decidendum su cui verte l’appello in esame attiene alla verifica circa i presupposti per il riconoscimento dell’equo indennizzo in favore di un dipendente dell’A.s.l. con mansioni di ausiliario ospedaliero e poi di commesso, in merito al quale, come si dirà, si registra un consolidato orientamento di questo Consiglio che traccia i confini entro i quali può dispiegarsi il sindacato del giudice amministrativo.

11.1 Va invero evidenziato, al riguardo, che il giudizio medico legale afferente alle domande di equo indennizzo si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale che, in quanto tali, “ sono sottratti al sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo salvi i casi in cui si ravvisi un’irragionevolezza manifesta o un palese travisamento dei fatti, ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale ” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 885). Se è vero che il Comitato di verifica, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che gli compete, non opera alcuna comparazione tra interesse pubblico primario e secondario – attività, questa, che sarebbe senz’altro insindacabile in sede giudiziale – il sindacato del giudice amministrativo in tale ambito è, sì, di tipo intrinseco, ma limitato ad ipotesi di mancata valutazione di circostanze di fatto ovvero ad irragionevolezza manifesta o palese travisamento dei fatti. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, il giudice amministrativo può censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, in quanto il suo apprezzamento, inevitabilmente opinabile, finirebbe per affiancarsi a quello altrettanto opinabile dell’Amministrazione, sostituendolo ed invadendo l’ambito delle attribuzioni riservate alla medesima. Come evidenziato dalla parte appellata, alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale in subiecta materia , va ribadito che le valutazioni del CPPO - in qualità di organo tecnico per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità o lesione che ha poi assunto la denominazione di Comitato di verifica con il succitato d.P.R. 29 ottobre 2001‚ n. 461 - sono insindacabili se adeguatamente motivate e, soprattutto, se coerenti con le circostanze di fatto emerse nel corso del procedimento.

11.2 Tra l’altro, anche l’esame della documentazione all’uopo prodotta dall’interessato in prime cure rientra nell’alveo dell’esercizio di un potere di discrezionalità tecnica attribuito alla pubblica Amministrazione, con la conseguenza che il giudice potrà esercitare il proprio sindacato solo in caso di macroscopiche illegittimità, “ ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione procedente ” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 23 aprile 2019, n. 2593). Le competenze del Comitato di verifica non possono in alcun modo essere surrogate, soprattutto alla luce del disposto dell’art. 11 del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, che fa menzione dei soli pareri di tale organo collegiale per l’accertamento della riconducibilità delle cause di infermità o lesione ad attività lavorativa, non prendendo in considerazione eventuali valutazioni svolte da altri organi, quali la CMO, essendo il solo Comitato di verifica preso in considerazione dall’articolato del su menzionato decreto.

11.3 Venendo al merito dell’appello, ed in particolare del primo motivo, si deve evidenziare, preliminarmente, che parte appellante lamenta che il T.a.r. avrebbe obliterato talune censure non provvedendo quindi ad esaminarle, tanto da riproporle pedissequamente.

Ebbene, tale pretesa mancanza non integra la fattispecie della rimessione della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 105 c.p.a., non assurgendo al rango di difetto assoluto di motivazione. Infatti il carattere devolutivo dell’appello giustifica il rinvio, a norma dell’art. 105 c.p.a., della causa al Tribunale solo ove sia raggiunta la soglia del difetto assoluto di motivazione (come rammentato dalla Sezione con la sentenza 12 agosto 2019, n. 5657 alla luce delle pronunce dell’Adunanza plenaria ivi richiamate). Ne consegue che la mancata disamina di talune censure articolate col ricorso introduttivo della lite non inficia la sentenza di prime cure per la sussistenza degli estremi della carenza motivazionale di grado assoluto che giustifica la revocazione della sentenza in luogo dello scrutinio delle obliterate doglianze in questa sede di giudizio.

In particolare, col primo mezzo, l’appellante deduce che il T.a.r. non avrebbe esaminato la censura con la quale si era sostenuto che il parere della CMO fosse da considerare ormai definitivo dopo il decesso del dipendente e pertanto non potesse essere sovvertito dal contributo consultivo del CPPO

Tale rilievo è infondato proprio in considerazione dell’evidenziata differente funzione dei contributi consultivi della CMO e del Comitato, in quanto dopo l’entrata in vigore degli artt. 6, comma 1, e 11, comma 1, d.P.R. n. 461 del 2001, la prima deve effettuare soltanto la diagnosi delle infermità e le loro conseguenze sull’integrità fisica – per la quale, quindi, si rende necessaria la sottoposizione del dipendente a visita medica – mentre la valutazione della riconducibilità all’attività lavorativa delle cause delle infermità rientra esclusivamente nella competenza del Comitato di Verifica per le cause di servizio.

11.4 Da tanto consegue l’infondatezza anche del secondo mezzo, con cui si lamenta il mancato esercizio del potere di autotutela ai fini della necessaria rimozione del parere CMO prima di poter nuovamente intervenire sulla domanda di equo indennizzo proprio perché tale deduzione postula la natura del contributo della CMO quale atto terminale dell’ iter procedimentale, natura che, per le ragioni anzidette non possiede.

11.5 Infondato è anche il terzo mezzo, col quale l’appellante torna a dedure i vizi del difetto di motivazione e di istruttoria, non avendo il Comitato argomentato circa le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni della CMO in ordine alla ricorrenza del nesso causale tra il servizio espletato e l’infermità che ha condotto il dipendente al decesso.

In realtà, il giudice amministrativo “ non deve accertare la sussistenza di un nesso di causalità tra la patologia insorta ed i fatti di servizio ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2019, n. 6091), in quanto

tale valutazione spetta al predetto Comitato quale organo tecnico munito di speciale competenza tecnica e di variegata composizione professionale. Invero, alla Commissione medica ospedaliera spetta il giudizio diagnostico sulle infermità e lesioni denunciate dal pubblico dipendente e, per il caso che da esse siano residuati postumi invalidanti a carattere permanente, l’indicazione della categoria di menomazioni alle quali essi devono ritenersi ascrivibili mentre al Comitato di verifica sulle cause di servizio spetta il diverso compito di accertare l’esistenza di un nesso causale fra le patologie riscontrate dalla Commissione a carico del pubblico dipendente e l’attività lavorativa da lui svolta (Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2010, n. 3411). Non può darsi, quindi, l’auspicato rilievo al parere favorevole della Commissione medica ospedaliera recepito nella Delibera di D.G. n. 2062/98, non avendo tale organo competenza ad esprimersi sulla dipendenza da causa di servizio dell’infermità rilevata secondo il paradigma procedimentale scolpito dalla disciplina di riferimento.

11.5 Infondato è anche il quarto motivo, come sopra sintetizzato.

Va precisato, infatti, che il giudizio negativo espresso dal Comitato di verifica, alla luce del suo quadro motivazionale e nei limiti del sindacato del giudice amministrativo dianzi rassegnati, risulta immune dai rilievi di parte, in quanto, come correttamente rilevato dal Tribunale amministrativo, non emerge che le condizioni di lavoro che hanno connotato l’attività svolta dall’appellante abbiano potuto quantomeno concorrere nel determinismo della patologia accusata.

A tal riguardo, parte appellante, descrive alcuni passaggi critici del percorso lavorativo del dipendente, che avrebbero avuto un’efficienza quantomeno concausale nell’innescare il quadro morboso suddescritto, ed in particolare:

- “ contatto con i liquidi biologici dei pazienti ” potenzialmente infetti da -OMISSIS- per il periodo in cui (anni 1973-1974) il dipendente ha svolto attività come “ Ausiliario di Amministrazione ” presso il Reparto di Medicina generale all’O.C. di -OMISSIS-

Il Collegio non può che condividere la tesi del T.a.r. e cioè che non vi è nessuna prova della esistenza di un nesso causale o concausale, fondato su un elevato grado di probabilità, tra le infermità denunciate e il comportamento tenuto durante il servizio prestato.

Resta fermo che nelle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità denunciate da pubblici dipendenti, anche ai fini della liquidazione dell’equo indennizzo, il sindacato che il giudice della legittimità è legittimato a compiere sulle determinazioni assunte dagli organi tecnici, che si fondano su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale, deve necessariamente intendersi limitato ai soli casi di travisamento dei fatti e di macroscopica illogicità nonché alla verifica della regolarità del procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2012, n. 4049), circostanze che, nel caso di specie, non appaiono sussistere.

In realtà, il quadro complessivo della motivazione posta a corredo del parere impugnato lascia agevolmente intendere che il Comitato di verifica ha escluso nel caso di specie, opportunamente transitando verso una dimensione di concretezza, la possibile rilevanza causale delle condizioni di lavoro alla luce delle risultanze documentali acquisite. Ha infatti il Comitato evidenziato che “ trattandosi di forma morbosa dovuta a proliferazione disordinata dello -OMISSIS-, sull’insorgenza e decorso della quale non possono aver nocivamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, gli addotti eventi del servizio, durante il quale non risulta che a causa dello stesso il soggetto abbia sofferto di epatite virale, ovvero sia stato sottoposto all’azione nociva di agenti epatotossici ”. E’ di tutta evidenza che il Comitato di verifica non solo non è incorso in una qualsiasi forma di contraddizione logica, ma si è anche adeguatamente soffermato sulle caratteristiche del servizio espletato dal dipendente escludendo la ricorrenza di qualsiasi relazione anche concausale con l’infermità accertata, esprimendo delle valutazioni tecnico-discrezionali, come detto, non sindacabili in questa sede, pena l’indebita sostituzione dell’autorità giurisdizionale a quella amministrativa, tranne nelle ipotesi in cui lo stesso risulti viziato da manifesta irragionevolezza, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale, nonché nell’ipotesi di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito (Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2019, n. 2169). Il tenore della motivazione che connota il contributo consultivo del Comitato di verifica ed il quadro complessivo della descritta vicenda di causa, oltre che la documentazione prodotta in atti, consentono di escludere che ricorra una qualsiasi delle suddette ipotesi in grado di inficiare la legittimità del giudizio negativo espresso dall’organo consultivo competente.

Parte appellante insiste nel ritenere che il servizio espletato dal dipendente avrebbe una efficienza causale con la patologia epatica diagnosticata al dipendente limitandosi a formulare un generico riferimento alla “ possibilità di contagio ” senza quindi fornire alcuna precisa indicazione, comunque non emergente ex actis , circa le modalità di svolgimento dell’attività di ausiliario ospedaliero con specifico riferimento alla frequenza degli episodi in cui è stato effettivamente a contatto con liquidi biologici dei pazienti e all’adozione o meno delle misure necessarie a scongiurare la possibile trasmissione di agenti patogeni.

12. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

13. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo applicando i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi