Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-03-04, n. 202201589
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 04/03/2022
N. 01589/2022REG.PROV.COLL.
N. 07951/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7951 del 2015, proposto da
GIUSEPPA GRANDIOSO, rappresentata e difesa dagli avvocati G L, S C, con domicilio fisico eletto presso lo studio Carola Tartaglione in Roma, via Achille Capizzano, n. 12;
contro
COMUNE DI MARCIANISE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato G A, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Mangazzo in Roma, via G.G. Belli, n. 39;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 2982 del 2014;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Marcianise;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2022 il Cons. D S;
Nessuno è comparso per le parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
- la signora G G presentava domanda di condono in data 29 dicembre 1987, ai sensi della legge n. 47 del 1985, avente ad oggetto due appartamenti per civile abitazione di mq 123,77 ciascuno in Marcianise, via Catania, al primo piano, e un piano rialzato ad uso residenziale, per complessivi mq 223,92, versando nel corso degli anni a titolo di oblazione la somma complessiva di € 15.608,00 (oltre oneri concessori);
- il Comune rilasciava la concessione edilizia in sanatoria n. 2485 del 30 marzo 2005, che, tuttavia, con successivo provvedimento del 21 luglio 2008 (preceduto dalla nota del 19 giugno 2008, notificata il 23 giugno 2008, recante la comunicazione di avvio del procedimento), ‘revocava’, respingendo nel contempo la domanda di condono del 1987, in quanto presentata oltre il termine previsto dalla legge n. 47 de 1985;
- con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la signora G G impugnava l’anzidetto provvedimento del 21 luglio 2008, deducendo a fondamento della domanda di annullamento i seguenti vizi:
i) il Comune non aveva segnalato per un lungo lasso di tempo la tardività della domanda di condono, provvedendo, anzi, al rilascio della concessione in sanatoria;
ii) lo stesso Comune avrebbe dovuto prima procedere all’annullamento in autotutela del titolo rilasciato e solo dopo respingere l’istanza di condono;
iii) l’annullamento d’ufficio della concessione in sanatoria del 2005 difettava comunque dei presupposti di legge, ed in particolare di una adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento;
- il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 2982 del 2014, respingeva il ricorso con compensazione delle spese di lite;
- avverso la predetta sentenza ha proposto appello la signora G G, riproponendo nella sostanza i motivi già proposti in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza appellata;
- in particolare, secondo l’appellante, la sentenza di primo grado sarebbe erronea in quanto:
a) il giudice non avrebbe tenuto in debita considerazione tutte le circostanze che hanno portato ad ingenerare nell’appellante un legittimo affidamento circa l’accoglimento dell’istanza di condono, rilevando a tal fine, non solo il lasso temporale di quasi 30 anni trascorso tra l’istanza ed il diniego, ma anche il fatto che, durante questo lunghissimo periodo, l’Amministrazione comunale aveva richiesto integrazioni della pratica al cittadino, aveva accettato varie rate della intera somma dovuta a titolo di oblazione e di oneri concessori ed, infine, aveva finanche concesso un permesso di costruire in sanatoria;
b) l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio avrebbe richiesto, oltre al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, anche la valutazione concreta della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi sussistenti in favore della sua conservazione e tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo;
- si è costituito in giudizio il Comune di Marcianise, eccependo l’inammissibilità dell’appello proposto (per svariate ragioni, quali: la violazione del dovere di specificità delle censure di cui all’art. 101, comma 1, c.p.a.;la mancata impugnazione del sopravvenuto ordine di demolizione;il non avere la ricorrente sollevato alcuna doglianza sostanziale concernente il mancato rispetto del termine), e per il resto insistendo per il rigetto del gravame;
Considerato in diritto che:
- con ordinanza n. 2037/URB del 31 agosto 2012, il Comune di Marcianise, sul presupposto del diniego della domanda di condono (presentata in data 10 dicembre 2004, ai sensi della legge n. 326 del 2003, ma relativa al medesimo abuso di mq 223,92, realizzato all’interno del fabbricato sito in via Catania), ha ingiunto alla signora Grandioso Giuseppa la demolizione delle opere abusivamente realizzate;
- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, con sentenza n. 3848 del 2013, ha rigettato il ricorso n. 5280 del 2012 proposto dall’odierna appellante avverso l’ordinanza di demolizione n. 2037 del 31 agosto 2012;
- dalle verifiche compiute interpellando il sistema informativo della Giustizia amministrativa, non risulta proposto appello avverso la predetta sentenza n. 5280 del 2012, e ciò dovrebbe determinare il sopravvenuto difetto di interesse allo scrutinio del presente giudizio, stante l’inoppugnabilità della misura reale di ripristino e la conseguente cristallizzazione dell’assetto di interessi ivi sotteso;
- cionondimeno, nel caso di specie è preferibile derogare all’ordine logico di esame delle questioni ‒ e quindi di tralasciare ogni valutazione sull’inammissibilità e procedibilità dell’appello ‒ e di risolvere la lite nel merito;
- la sentenza di primo grado deve essere interamente confermata;
- come rimarcato dal giudice di primo grado, l’atto impugnato racchiude due statuizione autonome, emergenti nella parte motiva e nel dispositivo, e segnatamente: i) da un lato, costituisce ‘revoca’ (ma deve parlarsi tecnicamente di ‘auto-annullamento’) della concessione edilizia n. 2485 del 2003;ii) dall’altro, respinge l’istanza di condono presentata il 29 dicembre 1987;
- ebbene, è fuori contestazione che l’istanza di condono presentata il 29 dicembre 1987 era tardiva rispetto al termine ultimo previsto dalla legge, il quale scadeva il 30 giugno 1987 (difatti, il decreto-legge 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 13 marzo 1988, n. 68, ha disposto, da ultimo, che « [i]l termine per la presentazione della domanda di concessione o autorizzazione in sanatoria, di cui all'articolo 35, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, resta fissato al 30 giugno 1987 […]»;
- l’insanabilità delle attività edificatorie realizzate in contrasto con la vigente disciplina urbanistica e per le quali erano oramai spirati i termini per la sanatoria straordinaria, integrava sia una insuperabile ‘causa ostativa’ ai fini dell’accoglimento dell’istanza del 1987 (in tali casi, il termine biennale, spirato il quale si forma il silenzio assenso sul condono edilizio, neppure decorre), sia un vizio di illegittimità della concessione in sanatoria nel frattempo concessa;
- su queste basi, non poteva invocarsi neppure un legittimo affidamento del privato, sia con riguardo al rigetto dell’istanza di condono, sia con riguardo all’atto di autotutela;
- quanto al tempo trascorso tra l’istanza di condono ed il diniego, è dirimente ricordare che, secondo la giurisprudenza consolidata, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso;deve quindi essere esclusa la necessità di motivare sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata (così la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017);
- quanto ai presupposti dell’annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria, è noto che si fronteggiano qui due esigenze diametralmente contrapposte: da un lato, l’interesse pubblico alla salvaguardia del governo del territorio;dall’altro, la tutela dell’affidamento risposto sulla certezza degli effetti giuridici prodotti dai titoli ampliativi accordati;
- l’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017 ‒ pur statuendo che l’annullamento di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'adozione dell’atto di ritiro, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole ‒ ha condivisibilmente temperato tale onere motivazionale, in considerazione dell’«auto-evidenza degli interessi pubblici tutelati» e della concreta consistenza della invocata posizione di affidamento legittimo;
- nel caso di specie, l’auto-evidenza degli interessi pubblici tutelati va ravvisata nella impellente necessità, per l’Amministrazione locale di un territorio profondamente ferito e compromesso (anche) dall’abusivismo edilizio, di contrastare in modo risoluto e senza cedimenti i comportamenti illegali, in considerazione della gravità del pregiudizio così recato all’interesse pubblico;
- sotto altro profilo, è dirimente considerare la scarsa inconsistenza della ‘base affidante’ del proprietario responsabile della realizzazione di un immobile abusivo di oltre 200 mq, e al quale soltanto erta imputabile il ritardo nella presentazione dell’istanza di condono;
- non vengono invece in rilievo, ratione temporis, le recenti riforme che hanno inciso sui presupposti per l’esercizio del potere di autotutela decisoria (la legge n. 124 del 2015 − nel segno di una tendenziale riduzione dei poteri discrezionali dell’amministrazione, al fine di garantire maggiore certezza e stabilità ai rapporti giuridici dei soggetti la cui azione risulta condizionata dalle decisioni amministrative – ha, in particolare, introdotto la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per la valida adozione dell’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori e attributivi di vantaggi economici);
- l’appello deve essere dunque integralmente respinto;
- le spese di lite del secondo grado di giudizio possono compensarsi integralmente, in considerazione della peculiare fattispecie controversa;