Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-06-07, n. 202204632

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-06-07, n. 202204632
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204632
Data del deposito : 7 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/06/2022

N. 04632/2022REG.PROV.COLL.

N. 01074/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1074 del 2016, proposto da
Riproter Gestioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P F, E R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M S M in Roma, via Antonio Gramsci, 24;

contro

Comune di Soragna, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria 2;
Provincia di Parma, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Selvaggi in Roma, via Adda, 55;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna- Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), 24 giugno 2015, n. 196, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Soragna e della Provincia di Parma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il consigliere Angela Rotondano e preso atto della richiesta di passaggio in decisione, senza discussione, presentata dagli avvocati Ferraris, Robaldo, Conti e Cortesi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Riproter Gestioni s.r.l. (di seguito “Riproter” ) propone appello avverso la sentenza in epigrafe con cui il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna- Sezione staccata di Parma, nella resistenza delle Amministrazioni intimate, ha respinto il suo ricorso (notificato il 15 ottobre 2012 e depositato il successivo 31 ottobre) per l’annullamento della determinazione dirigenziale del 29 giugno 2012 recante il diniego della Provincia di Parma al rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione ed esercizio di un impianto di compostaggio e contestuale produzione di energia da fonti rinnovabili da ubicarsi nel Comune di Soragna, località Castellina, via di Gazzolo n. 47, nonché di tutti gli atti del procedimento, impugnati “se e in quanto lesivi” , rigettando altresì la connessa domanda risarcitoria e condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

2. L’appello è stato affidato ai seguenti motivi di diritto: “1) Erroneità della sentenza in merito al parziale accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione passiva del Comune. Violazione dell’articolo 35, comma 1, lett. b) del D.lgs. 104/2010 ; II. Erroneità della sentenza in merito alla reiezione del primo e del terzo motivo del ricorso. Eccesso di potere per sviamento, per violazione dell’articolo 39 delle NTA del PRG, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità manifesta. Violazione dell’articolo 12 del d.lgs. 387/2003. Violazione dell’articolo 208 del d.lgs. 152/2006. III. Erroneità della sentenza in merito alla reiezione del secondo motivo di ricorso. Eccesso di potere per sviamento, illogicità, carenza di motivazione, ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 208 del d.lgs. 152/2006. IV. Erroneità della sentenza in merito al rigetto della domanda risarcitoria. IV.2.) Sulla colposità delle condotte tenute dal Comune e dalla Provincia;
IV.

3. Danno emergente”
.

2.1. Si sono costituiti la Provincia di Parma (eccependo in limine il proprio difetto di legittimazione passiva) e il Comune di Soragna, che hanno esposto le ragioni di infondatezza nel merito dell’appello, insistendo per il suo rigetto anche con riferimento alla domanda risarcitoria riproposta dall’appellante.

2.2. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno ulteriormente illustrato, con memorie e repliche, le proprie tesi difensive.

2.3. All’udienza pubblica del 25 novembre 2021, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

3. Con l’appello proposto la società Riproter, premessa una sintetica ma compiuta ricostruzione dei fatti di causa, censura la sentenza di primo grado sia nella parte in cui ha ritenuto parzialmente carente la legittimazione attiva del Comune di Soragna, sia nella parte in cui ha ritenuto infondate le doglianze avverso il diniego di autorizzazione unica, essenzialmente motivato sul rinvio al parere negativo del Comune per difetto di conformità urbanistica dell’impianto e per mancato rispetto di talune prescrizioni imposte dalla Provincia di Parma con la Determina dirigenziale prot. n. 3965 del 5 novembre 2008 in fase di screening , in punto di viabilità e di costituzione di una Commissione di controllo sulle emissioni in accordo con il Comune.

L’appellante, muovendo dunque dall’assunto, sostenuto anche in primo grado, secondo cui la Provincia avrebbe dovuto rilasciare l’autorizzazione o de plano (ritenendo sussistere la conformità urbanistica) o, in subordine, con effetto di variante, formula quattro motivi di gravame avverso la sentenza, che di seguito si sintetizzano.

3.1. In particolare, con un primo motivo di impugnazione, l’appello contesta le statuizioni di prime cure che hanno accolto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal Comune secondo cui la natura meramente endoprocedimentale del parere reso in sede di Conferenza di servizi escluderebbe la legittimazione passiva della predetta amministrazione rispetto alla domanda di annullamento proposta dalla ricorrente con riferimento al provvedimento di diniego assunto dalla Provincia.

3.2. Con un secondo ordine di censure si critica la sentenza appellata laddove ha respinto il primo e il terzo motivo del ricorso, trattati congiuntamente, ritenendo nello specifico non contraddittorio il comportamento tenuto dal Comune (il quale aveva invece inopinatamente mutato avviso benché il procedimento di verifica di VIA si fosse concluso favorevolmente salvo prescrizioni, poi regolarmente adempiute a dire della società) e inoltre non conforme l’impianto de quo alla disciplina urbanistica vigente del Comune.

3.2.1. La sentenza non si sarebbe così avveduta né dell’identità tra i progetti sottoposti a verifica di VIA, prima, e all’esame finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica, poi, né dell’effettivo rispetto delle prescrizioni imposte alla Riproter atteso che: a) il ciclo di produzione del biogas e del compost non prevedeva l’utilizzo di sostanze chimiche o artificiali (come si evince dalla Relazione tecnica di parte depositata in atti); b) non era in concreto superato il limite del quantitativo massimo annuo di compost fissato nel decreto conclusivo della VIA; c) non sarebbe stato necessario neppure realizzare ulteriori opere viabilistiche oltre a quelle esistenti a supporto del traffico locale vista la diminuzione del quantitativo di rifiuti organici necessari al funzionamento dell’impianto; d) l’impegno a costituire la Commissione congiunta non era mai venuto meno.

3.2.2. Quanto poi all’asserita non conformità dell’impianto alla disciplina urbanistica vigente il primo giudice, oltre a fornire un’errata interpretazione della norma pianificatoria ( id est l’art. 39 delle NTA del PRG) la quale, per converso, non prevederebbe affatto che l’impianto di compostaggio debba avere “dimensione sostanzialmente locale” , risultandone altrimenti illegittimamente limitata la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 della Costituzione, avrebbe pure attribuito erroneamente rilievo alla natura, industriale o agricola , dell’impianto: e ciò sebbene la disciplina applicabile- il citato art. 39, la normativa in materia di gestione di rifiuti di cui al d.lgs. 152/2006 e lo stesso art. 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003- consenta la realizzazione di un impianto di compostaggio in area agricola e, di conseguenza, a prescindere dalla qualificazione dell’attività, l’insediamento dell’impianto in questione nel compendio individuato dall’appellante.

3.2.3. Sotto altro concorrente profilo non sarebbe neppure condivisibile l’assunto della sentenza secondo cui la Provincia avrebbe correttamente subordinato il rilascio dell’autorizzazione richiesta alla previa approvazione di una variante al PRG: la legge (cfr. art. 208 del d.lgs. 152/2006 e art. 12 del d.lgs. 387/2003) prevede infatti che l’autorizzazione unica costituisca, “ove occorra” , variante allo strumento urbanistico;
di talché l’incompatibilità, secondo le previsioni dello strumento urbanistico, dell’area ove localizzare l’impianto non rileverebbe ai fini autorizzatori.

La Provincia avrebbe dovuto pertanto rilasciare l’autorizzazione (con il su indicato effetto “automatico” di variante) anziché rimettere al Comune la decisione finale di adottare e approvare la variante urbanistica.

3.3. Con il terzo motivo di gravame l’appellante (lamentando “eccesso di potere per sviamento, illogicità, carenza di motivazione, ingiustizia manifesta” e “violazione dell’articolo 208 del d.lgs. 152/2006 ) sostiene l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il secondo motivo di ricorso che censurava il provvedimento di diniego per avere la Provincia tanto omesso di adottare il legittimo provvedimento richiesto con effetto di variante automatica al PRG (malgrado le positive risultanze della Conferenza di servizi) quanto acriticamente recepito il parere negativo del Comune, senza svolgere la benché minima autonoma istruttoria.

La sentenza avrebbe così errato nel ritenere “insuperabile” il dissenso del Comune serbato sul presupposto della mera non conformità urbanistica dell’impianto, contro le previsioni di cui all’art. 208, comma 6, del d.lgs. 152/2006: infatti, nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione ai sensi di quest’ultima norma il parere negativo del Comune, “tanto più se reso su ragioni esclusivamente urbanistiche” , non vincola la Provincia (o la Regione, laddove competente) a una determinazione negativa.

Nel caso di specie poi neppure sussisteva in effetti l’addotta non conformità urbanistica dell’intervento, non in contrasto con la pianificazione comunale.

In ogni caso il parere negativo del Comune era destinato a recedere, a fronte delle valutazioni positive delle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento: infatti, il provvedimento conclusivo di approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione e gestione degli impianti di raccolta e smaltimento rifiuti opera anche in funzione sostitutiva di visti, autorizzazioni e concessioni degli enti partecipanti, costituendo, all'occorrenza, anche variante allo strumento urbanistico e dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori, assorbendo in via definitiva ogni specifica manifestazione di volontà decisoria degli altri soggetti istituzionali, di modo che la conformità urbanistica non costituirebbe “presupposto astrattamente necessario per la definizione della procedura” .

Insomma, secondo l’appellante, non costituendo la classificazione urbanistica dell'area di per sé ostacolo al rilascio dell'autorizzazione ambientale, la localizzazione dell'impianto ben poteva essere autorizzata anche su un'area incompatibile secondo le previsioni dello strumento urbanistico, il quale, in tal caso, “restava automaticamente variato in senso conforme alla destinazione dell'impianto autorizzato” ;
di conseguenza, nell’ambito della conferenza di servizi (retta da un criterio maggioritario senza poteri di veto in capo alle singole amministrazioni partecipanti) il parere contrario del Comune (che è amministrazione non specificamente preposta alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute) non aveva rilievo ostativo per il rilascio dell’autorizzazione ambientale.

Inoltre, l’appellante ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui la destinazione agricola di una determinata area (destinazione che è volta soprattutto “a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione” : così Consiglio di Stato, sez. V, 28 giugno 2012, n. 3818;
Consiglio di Stato, Sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7243;
id., 18 settembre 2007, n. 4861) non è di per sé incompatibile alla realizzazione nelle predette aree di impianti di trattamento rifiuti, siano essi di smaltimento o di recupero, “tanto più che questi ultimi devono essere ragionevolmente localizzati al di fuori della zona abitata” . Parimenti, l’appellante ha evidenziato che il potere di pianificazione del territorio non può precludere insediamenti industriali in zone a destinazione agricola, salvo che in casi eccezionali: ciò in considerazione del fatto che la destinazione agricola ha lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non già quello di precludere, in via assoluta e radicale, qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante.

Sotto altro concorrente profilo, non sarebbe poi condivisibile neppure l’ulteriore argomentazione della sentenza, a sostegno della legittimità dell’impugnato diniego, circa la non conformità del progetto da autorizzarsi rispetto a quello sottoposto a screening di VIA, conclusasi in senso favorevole all’odierna appellante, salvo il rispetto delle indicate prescrizioni.

3.4. Infine, con un quarto e ultimo motivo di doglianza l’appellante ripropone la domanda risarcitoria respinta dal Tribunale a motivo della ritenuta legittimità dei provvedimenti impugnati e ne chiede l’accoglimento, sussistendone qui i presupposti, sia sotto il profilo soggettivo, stante la colposità delle condotte tenute da entrambe le amministrazioni intimate, sia sotto il profilo oggettivo: ha insistito quindi per la condanna di queste ultime al risarcimento dei danni subiti, tanto a titolo di danno emergente (in relazione agli oneri di progettazione dell’impianto e alle spese di consulenza) quanto di lucro cessante, correlato al mancato ricavo dal funzionamento dell’impianto che, secondo il business plan della società appellante, non potrebbe essere inferiore all'utile preventivato;
in tale voce andrebbero poi considerate sia le somme derivanti dal ciclo di gestione dei rifiuti (compost e conferimenti delle biomasse), sia quelle relative alla vendita dell'energia elettrica al gestore della rete, oltre all’ulteriore danno per minori ricavi conseguente all'entrata in vigore del Decreto del 6 luglio 2012, applicabile agli impianti entrati in esercizio dopo il 1 gennaio 2013, che prevede incentivi economicamente meno redditizi.

3.5. Nella memoria di replica l’appellante ha poi ribadito le su indicate prospettazioni, assumendo che le argomentazioni difensive delle amministrazioni avrebbero inammissibilmente operato una “sostanziale integrazione postuma del provvedimento impugnato” , fondato invece su implausibili, erronee e laconiche motivazioni.

Ha quindi evidenziato come l’istanza autorizzativa riguardasse “ un impianto di biodigestione di rifiuti organici, dal quale sarebbe stato prodotto compost di qualità (destinato ad essere utilizzato come c.d. end of waste, essendo un fertilizzante avente le caratteristiche previste dal punto 5 dell’Allegato 2 del D.lgs. 75/2010) ed energia elettrica” : vale a dire un progetto “già all’epoca all’avanguardia” , perché finalizzato a “realizzare obiettivi di riciclo e recupero di materia” mediante “ un’iniziativa virtuosa, in quanto destinata a trasformare rifiuti organici in un prezioso fertilizzante” .

Ha poi ancora rimarcato l’inconsistenza motivazionale del provvedimento impugnato siccome fondato, per un verso, sulla mera asserita non conformità urbanistica, per altro verso sul parere negativo reso dal Comune, al quale è stata inopinatamente attribuita valenza basilare per il rilascio dell’autorizzazione.

4. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione passiva della Provincia in forza di normativa sopravvenuta.

4.1. La Provincia sostiene infatti che, in ragione del riordino di funzioni ai sensi dell’art. 69, commi 1 e 2, della Legge regionale 30 luglio 2015, n.13, sarebbe ad essa subentrata nella titolarità dei rapporti e dei contenziosi in subiecta materia la Regione Emilia Romagna, e segnatamente l’ARPAE (Agenzia Regionale Prevenzione Ambiente Energia).

4.2. L’eccezione è infondata.

4.3. L’art.69, commi 1 e 2, della Legge regionale 30 luglio 2015, n.13 ( Conclusione dei procedimenti amministrativi in corso ) prevede che: “1. A garanzia della continuità amministrativa, i procedimenti amministrativi in corso alla data di decorrenza dell’esercizio delle funzioni oggetto di riordino sono conclusi dall’ente subentrante, fatto salvo quanto diversamente stabilito da specifiche disposizioni. Ai procedimenti in corso continuano ad applicarsi le discipline procedimentali vigenti alla data del loro avvio.

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