Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-02-04, n. 201400493
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N. 00493/2014REG.PROV.COLL.
N. 02833/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2833 del 2011, proposto da:
A L, rappresentato e difeso dagli avv. P P, A A, G P, con domicilio eletto presso G P in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Comune di Parma, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. G C, A S R, con domicilio eletto presso Salvatore Alberto Romano in Roma, viale Xxi Aprile, 11;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. dell’ EMILIA-ROMAGNA - SEZIONE STACCATA DI PARMA- SEZIONE I n. 00010/2011, resa tra le parti, concernente approvazione progetto per ampliamento parcheggio - esproprio terreno - ris. danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Parma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il Consigliere F T e uditi per le parti gli Avvocati Piva e Rainaldi, per delega dell'Avv. Romano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna – Sede di Parma - ha respinto il ricorso di primo grado, corredato da numerosi motivi aggiunti, proposto dalla parte odierna appellante e volto ad avversare tutti gli atti adottati dal comune di Parma in relazione ad una procedura espropriativa che coinvolgeva i terreni dagli stessi posseduti.
L’ odierno appellante aveva premesso di essere nel Comune di Parma, in via Emilia Est, di un ampio appezzamento di terreno, recentemente espropriato dall’Amministrazione comunale, limitatamente al mapp. 422, per realizzarvi un parcheggio scambiatore e che, in nome della dichiarata esigenza di ampliare detto parcheggio, il Comune di Parma aveva deciso di procedere ad un secondo esproprio.
In particolare, con nota del 5 novembre 2008 il Dirigente alla Pianificazione gli aveva dato comunicazione dell’avvio del procedimento espropriativo, ai sensi dell’art. 9 della legge reg. n. 37 del 2002, con riferimento all’intervenuta deliberazione consiliare n. 127/21 del 21 ottobre 2008 (recante l’approvazione del progetto preliminare e l’adozione di variante al POC) e alla conseguente apposizione di vincolo espropriativo sui mapp. 503 e 504;il progetto preliminare prevedeva un importo complessivo di € 3.953.000,00, di cui € 2.000.000,00 corrispondenti ai lavori e la restante somma a disposizione dell’ente locale (dalla relazione tecnica illustrativa allegata al progetto preliminare risultava un quadro economico in cui è prevista la voce “espropri e indennità” per € 1.190.000,00).
Egli era insorto prospettando i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto varii profili sintomatici imputando all’Amministrazione di avere ricompreso nell’iter espropriativo e nella variante urbanistica anche una porzione di terreno estranea al progetto preliminare (e per di più destinata ad un utilizzo solo futuro e del tutto ipotetico) di avere valutato sussistente la pubblica utilità di un’opera in realtà inidonea a procurare un effettivo beneficio alla comunità locale, di avere avviato la procedura ablatoria senza provvedere alla copertura della spesa per l’indennità di espropriazione – stante anche l’omessa inclusione dell’intervento nel programma triennale dei lavori pubblici –, di avere approvato il progetto preliminare nonostante la perdurante carenza di conformità urbanistica dell’opera – essendo a tale scopo insufficiente la mera adozione della variante al POC –, di avere indetto una gara per l’individuazione del partner privato affidatario della realizzazione dell’opera pubblica malgrado l’omessa previa definizione della procedura espropriativa (dovuta alla carenza di copertura finanziaria), di non avere considerato che, in presenza della proprietà privata dell’area, il compimento dell’opera avrebbe potuto essere legittimamente assegnato solo al proprietario stesso, di non avere quanto meno atteso la conclusione della gara (e così acquisito l’effettiva disponibilità della somma necessaria all’espropriazione) prima di promuovere la procedura ablatoria.
Aveva pertanto chiesto l’ annullamento degli atti di approvazione del progetto preliminare dell’opera, di adozione e (sopraggiunta) approvazione della variante al POC, di indizione della gara per la scelta del partner privato, di diniego del permesso di costruire da esso stesso richiesto per un intervento edilizio sulla sua area ed aveva articolato anche la richiesta di risarcimento del danno.
Il T ha analiticamente e singolarmente preso in esame le dedotte censure e le ha respinte.
Quanto alla lamentata estensione della procedura espropriativa anche alla parte di area non immediatamente adibita ad opera pubblica e neppure effettivamente inclusa nel progetto preliminare, ha richiamato l’art. 39, comma 3, della legge reg. n. 20 del 2000 (norma abrogata nel 2009 ma applicabile alla fattispecie ratione temporis) che così disponeva:, la “delibera di approvazione del progetto di opere comunali di cui al comma 5 dell’art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 costituisce adozione di variante al P.O.C. e viene approvata con il procedimento disciplinato dall’art. 34 …” prevedendo che la relativa procedura dovesse, quindi,seguire l’ordinario iter di revisione urbanistica delle aree da destinare a nuove funzioni.
Ad avviso del primo giudice, ciò comportava, da un lato, l’irrilevanza della circostanza che il progetto preliminare non riguardasse direttamente anche l’area da utilizzare in futuro per l’espansione del parcheggio in quanto la procedura coincideva con quella ordinaria di modifica del POC e perciò conservava la sua validità ed efficacia pur se svincolata dall’approvazione del progetto – stante l’inequivocabile volontà dell’Amministrazione locale di variare in parte qua la destinazione urbanistica pregressa –.
Secondariamente, da ciò discendeva che detta operazione, proprio perché con valenza meramente urbanistica, non determinava per questa parte l’avvio di una procedura espropriativa ma recava solo una legittima diversa classificazione urbanistica di ambito territoriale che si voleva riservare alla localizzazione di un ulteriore intervento pubblico, in aggiunta a quello oggetto del progetto preliminare.
La denunciata insussistenza di un reale interesse pubblico alla realizzazione dell’opera, investiva profili di merito insindacabili non emergendo una macroscopica irrazionalità nella scelta, a fronte della dichiarata opportunità di localizzarvi servizi accessori alla sosta prima insussistenti e di ampliare la capienza del parcheggio in vista di un’ottimale attuazione del “piano urbano della mobilità”.
Quanto alla dedotta carenza di copertura finanziaria della spesa per indennità di espropriazione, la reiezione della censura si imponeva a cagione della circostanza che all’atto dell’approvazione del progetto preliminare non era ancora intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera: nulla si opponeva, quindi, a che il reperimento dei fondi necessari avvenisse nella successiva fase del procedimento. La segnalata circostanza che l’intervento in questione non era stato incluso nel programma triennale dei lavori pubblici, non precludeva l’ulteriore corso della procedura, purché la realizzazione dell’intervento avvenisse sulla base di un piano finanziario autonomo suscettibile di approntamento fino al sopravvenire de la dichiarazione di pubblica utilità (Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2010 n. 663).
E’ stata parimenti disattesa la censura incentrata sulla prospettata illegittimità dell’approvazione del progetto preliminare per carenza di conformità urbanistica dell’opera, in armonia con l’orientamento giurisprudenziale (v. TAR Basilicata 2 gennaio 2008 n. 6) secondo cui il presupposto della conformità urbanistica deve sussistere al momento dell’approvazione del progetto definitivo – solo tale livello di progettazione comportando la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (v. art. 12 del d.P.R. n. 327/2001) –, mentre l’art. 16, comma 3, della legge n. 109 del 1994, e ora il corrispondente testo dell’art. 93, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, si limitavano a prevedere che il progetto preliminare dovesse consentire l’avvio della procedura espropriativa.
Ciò appariva coerente con la previsione del già richiamato art. 39, comma 3, della legge reg. n. 20 del 2000, laddove faceva coincidere l’approvazione del progetto preliminare con la mera adozione di una variante al POC, solo in un secondo tempo dovendosi completare la relativa procedura.
Il T ha infine disatteso le ulteriori doglianze volte a criticare la scelta di indire una gara per la scelta del partner privato cui affidare, in regime di concessione, la realizzazione dell’opera e la gestione delle relative attrezzature, con a suo carico l’onere di copertura della spesa per l’indennità di espropriazione.
Ad avviso del T, l’opzione per una simile forma di realizzazione dell’opera si presentava coerente con la ragion d’essere dei «contratti di partenariato pubblico privato» (che, ai sensi dell’art. 3, comma 15-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, sono i “…contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità … compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati … Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste …”) che (v. Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008 n. 1) costituiscono forme di cooperazione tra Amministrazioni pubbliche e soggetti privati motivate essenzialmente dalla difficoltà di reperimento delle risorse necessarie ad assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio alla collettività, onde il ricorso a capitali ed energie private diventa in tali situazioni un mezzo quasi irrinunciabile nel difficile compito di garantire un’azione amministrativa efficiente ed efficace, fortemente improntata a criteri di economicità, anche ove si tratti solo di alleggerire gli oneri economico-finanziari delle casse pubbliche.
Non inficiava quindi le determinazioni assunte la circostanza che il privato fosse chiamato a procurare i fondi per l’espropriazione dell’area su cui deve realizzare l’opera allo stesso affidata in concessione, essendo insito in tale strumento negoziale che il privato debba supplire in tutto o in parte all’ente concedente nel fornire le risorse finanziarie occorrenti allo scopo e che, quindi, la procedura si completi necessariamente dopo la ricerca del contraente privato e l’accordo con questi circa la sua partecipazione alla copertura della spesa, mentre l’approvazione del progetto preliminare, non comportando la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, si collocava in una fase meramente preparatoria e per questo doveva precedere la scelta del partner privato che finanziava l’intervento pubblico.
Neppure era favorevolmente scrutinabile l’addotta pretesa di vedersi direttamente assegnata la realizzazione dell’opera in quanto proprietario dell’area interessata: l’Amministrazione comunale si era infatti correttamente attenuta al principio di concorsualità sotteso al disposto dell’art. 30, comma 10, della legge reg. n. 20 del 2000 (“Per selezionare gli ambiti nei quali realizzare nell’arco temporale di cinque anni interventi di nuova urbanizzazione e di sostituzione o riqualificazione tra tutti quelli individuati dal P.S.C., il Comune può attivare un concorso pubblico, per valutare le proposte di intervento che risultano più idonee a soddisfare gli obiettivi e gli standard di qualità urbana ed ecologico-ambientale, definiti dal P.S.C. Al concorso possono prendere parte i proprietari degli immobili situati negli ambiti individuati dal P.S.C. nonché gli operatori interessati a partecipare alla realizzazione degli interventi. Alla conclusione delle procedure concorsuali il Comune stipula, ai sensi dell’art. 18, un accordo con gli aventi titolo alla realizzazione degli interventi …”), che nei casi di c.d. “pianificazione urbanistica negoziata” contemplava la possibilità che ai relativi interventi provvedessero non solo i proprietari ma anche operatori privati scelti a mezzo di una procedura ad evidenza pubblica.
Ciò, quando già l’Amministrazione aveva individuato l’area interessata – non potendo evidentemente l’ampliamento del parcheggio di che trattasi realizzarsi in un luogo diverso –, determina l’indizione di una gara che non si estendeva alla selezione dell’ambito territoriale dell’intervento quanto piuttosto investiva il contenuto del rapporto concessorio da instaurare con il prescelto, che ben poteva essere lo stesso proprietario, come espressamente previsto dal «disciplinare integrante il bando di gara».
Detto schema che non contraddiceva il disposto dell’art. 30, comma 10, della legge reg. n. 20 del 2000, ma ne appariva una corretta attuazione, pur nella particolarità della fattispecie concreta, peraltro coerente anche con il vincolo che per la scelta del partner privato nelle operazioni di ristrutturazione urbanistica si ricavava dalla disciplina delle concessioni di lavori pubblici di cui agli artt. 143 e 144 del d.lgs. n. 163 del 2006, in conformità dei principi comunitari di trasparenza, imparzialità e tutela della concorrenza.
Il T, conclusivamente, ha integralmente respinto il mezzo.
L’odierna parte appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendone la riforma e sostanzialmente riproponendo gli argomenti contenuti nel mezzo di primo grado disatteso dal Tribunale amministrativo.
In particolare parte appellante ha ripercorso le vicende sottese alla procedura espropriativa ed ha ribadito (primo e quinto motivo di appello) la censura incentrata sulla asserita violazione degli artt. 28,30,32 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000 e dell’art. 42 della Costituzione in quanto la procedura avviata vincolava un area a fronte di un’opera pubblica del tutto ipotetica:di 70.000 metri quadri 32.000 venivano destinati ad ampliamento del parcheggio scambiatore;i residui metri quadri ad una futuribile area di espansione del parcheggio, e servizi accessori, dei quali era dubbia la futura (e comunque ipotetica destinazione).
In ogni caso più di metà dell’area assoggettata al vincolo di futuro esproprio era priva di alcun progetto di opera pubblica il che implicava la illegittimità dell’avvio della procedura espropriativa e della variante adottata.
Con la seconda doglianza si è riproposta la tesi della inutilità dell’ ampliamento del parcheggio scambiatore in quanto quello esistente era già del tutto inutile: il T aveva respinto la censura sulla scorta di argomenti apodittici, mentre se avesse compulsato la situazione dell’area avrebbe percepito la irrazionalità ed illogicità della scelta.
La carenza di copertura finanziaria (terza censura) era assoluta, l’opera non era inserita nel piano triennale 2009/2011, e la circostanza dedotta dal T che non fosse ancora intervenuta la approvazione del progetto preliminare (e quindi la dichiarazione di p.u. dell’ opera) non poteva essere posta a base della reiezione della censura.
L’area era agricola e non si vedeva come potesse raggiungersi la conformità urbanistica del progetto preliminare (quarta censura, incentrata sulla violazione degli artt. 28,30,32 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000):il T aveva disatteso la doglianza sul rilievo che la conformità doveva sussistere al momento dell’approvazione del progetto definitivo:ma nel caso di specie ciò non sarebbe mai potuto avvenire.
Il sesto complesso motivo, fondato sulla asserita violazione dell’art. 60 del Rue di Parma e sull’art.3 comma 15 ter del d.Lgs. n. 163/2006 e sull’ art. 30 comma 10 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000 era volto sostenere la erroneità della tesi del T con la quale era stata riconosciuta la legittimità della scelta di indire una gara per la scelta del partner privato cui affidare, in regime di concessione, la realizzazione dell’opera e la gestione delle relative attrezzature, con a suo carico l’onere di copertura della spesa per l’indennità di espropriazione facendo generico riferimento ai «contratti di partenariato pubblico privato.
Al contrario, le indicate norme prevedevano che il comune potesse realizzare l’opera direttamente su una propria area, ovvero assegnare direttamente la realizzazione dell’opera al proprietario dell’area interessata.
In alternativa, ex art. 30 comma 10 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 20/2000 il Comune avrebbe dovuto pubblicare un bando per la realizzazione di parcheggi scambiatori sul proprio territorio comunale, rivolgendosi ai privati proprietarii di aree con adeguata destinazione d’uso.
Il modi di procedere del Comune era errato anche sotto tale profilo, ed erroneamente il T non aveva colto detta illegittimità.
L’appellata amministrazione comunale di Parma ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello e facendo presente che l’intero appello era incentrato sull’equivoco riposante nel non avere colto che era stato unicamente apposto un vincolo preordinato all’espropriazione (mercè la contestata variante) slegato dal parallelo e precedente provvedimento espropriativo.
Inoltre l’appello proponeva inammissibili censure attingenti il merito dell’azione amministrativa: esso pertanto doveva essere integralmente disatteso.
Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello è infondato e va respinto.
1.1.Per il vero, rileva il Collegio che si potrebbe dubitare della stessa ammissibilità dell’atto di appello, in quanto questo si limita a reieterare le argomentazioni contenute nel mezzo di primo grado senza alcun rilevante contributo critico all’iter motivo della sentenza;prescindendo però da tale aspetto, ne rileva il Collegio la endemica fragilità, in quanto incentrato su un equivoco, dal quale è discesa una impostazione delle censure tesa ad equiparare –inammissibilmente – il vincolo finalizzato all’esproprio (e le norme ad esso applicabili) alla concreta intrapresa della procedura espropriativa.
2.Esaminando partitamente le censure, con il primo motivo l’appellante – non tenendo conto della lata discrezionalità (ex aliis, ancora di recente: Cons. Stato Sez. VI, 13-02-2013, n. 893)che assiste l’Ente locale nella futura destinazione di aree del proprio territorio censura la variante ed il progetto preliminare laddove questo prevede l’espropriazione di complessivi mq. 70.000 di terreno, comprensivi di mq. 32.000 per l’ampliamento del parcheggio scambiatore e di mq. 38.000 per una “area di futura espansione del parcheggio e dei servizi accessori”.
Orbene: nella decisione surrichiamata è stata di recente didascalicamente illustrata la possibilità che alla detta lata discrezionalità possano opporsi limiti.
Ivi è stato condivisibilmente affermato, infatti, che (Cons. Stato Sez. VI, 13-02-2013, n. 893) le scelte di tipo urbanistico sono connotate da una lata discrezionalità : situazioni che esigono un'approfondita motivazione degli strumenti urbanistici generali (o loro varianti) sono generate (ad es.) dal superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, in rapporto alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;dalla lesione dell'affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, da accordi intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree;da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su un'istanza di concessione, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un' area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo”.
Nel caso di specie (ove nessuna delle tali evenienze, od altra assimilabile, è sussistente e neppure prospettata) invece la censura muove dalla sostanziale inutilità del futuro parcheggio (ed anche, per il vero di quello già realizzato) e si spinge a sostenere che, quanto alla restante parte da realizzare, il vincolo impresso sia finalizzato ad un ’esproprio “ipotetico”.
2.1. La censura non ha pregio.
Nei termini descritti, tutti i vincoli finalizzati all’esproprio contengono un dato ipotetico: e per questo “nasce” a tutela della posizione del privato e si rende necessaria dell’ordinamento la posizione espressa dalla Corte costituzionale, con la “storica” sentenza 20 maggio 1999, n. 179 (dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, e 2, primo comma, della L. 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo).
Il che ha portato la uniforme giurisprudenza amministrativa ad affermare (ex multis Cons. Stato Sez. V, 13-04-2012, n. 2116) che “i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l'imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta;b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l'esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l'approvazione dei piani urbanistici esecutivi;c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell'ambito dell'art. 42 Cost..”.
Detta tesi è poi stata positivamente recepita, come è noto, da una disposizione del dPR n. 327/2001 (l’art. 9) in quanto ivi è certamente affermato il principio della decadenza del vincolo preordinato all’esproprio.
La decadenza del vincolo imprime appunto un limite temporale alla “ipotesi” (che riposa nella futura intrapresa della realizzazione dell’area in un tempo contenuto, pena la decadenza del vincolo).
Se così è, di nulla può dolersi l’appellante se il vincolo impresso sia più esteso dell’area interessata dal progetto preliminare: l’Amministrazione decide liberamente la tempistica realizzativa delle opere che si propone di erigere, con il solo rispetto del barrage temporale di decadenza.
E sulla circostanza che tale modus operandi (scindente l’ampiezza del progetto rispetto a quella della variante) non fosse vietato si rinviene dell’art. 39, comma 3, della legge reg. n. 20 del 2000 applicabile alla fattispecie ratione temporis laddove esso prevede che la “delibera di approvazione del progetto di opere comunali di cui al comma 5 dell’art. 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1 costituisce adozione di variante al P.O.C. e viene approvata con il procedimento disciplinato dall’art. 34 …”
La circostanza che ancora nulla sia stato realizzato, nulla prova se non che l’amministrazione ha invano impiegato parte del tempo dedicato alla futura erezione dell’opera, e rischia che esso venga a scadenza.
Ma la dinamica legislativa è proprio finalizzata ad impedire scelte (legittime seppur furbescamente orientate) del privato che – prima dell’apposizione del vincolo e dell’adozione della variante – chieda il rilascio del permesso di costruire, con le note implicazioni in tema di onere motivazionale, valutazione dell’affidamento, etc (ed è ciò che è avvenuto nel caso di specie, laddove l’appellante, che non aveva mai così operato in precedenza, dopo l’adozione della variante ha chiesto il rilascio di permesso di costruire che, ovviamente è stato rigettato).
2.2. La censura va disattesa pertanto, così come va recisamente respinto il secondo motivo, teso ad un inammissibile e non consentito sindacato di merito sulla asserita inutilità dell’ opera: sindacato, all’evidenza, che per le già chiarite ragioni il Collegio non ha intenzione di compiere, ed il quinto motivo che censura il progetto per genericità, non tenendo conto che già secondo la prescrizione di legge (ma vedi più diffusamente infra) “il progetto preliminare può limitarsi a definire le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni possibili.”.
2.3. Quanto (terza censura) alla affermata carenza di copertura finanziaria la circostanza che l’opera in questione non risultasse inserita nel programma triennale dei lavori pubblici 2009/2011 (d.lgs. n. 163/2006 e d.P.R. n. 554/99) non è dirimente.
E’ rimasto infatti incontestato che all’atto dell’approvazione del progetto preliminare non era ancora intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Per altro verso, l’appellante non pare avere inteso l’ulteriore sviluppo motivo del T allorchè si duole che il primo giudice non avesse verificato la sussistenza o meno del piano finanziario autonomo.
E’ insegnamento consolidato della ante vigente giurisprudenza – di inalterata validità- quello per cui “il difetto di inserimento dell'opera nel programma triennale non rende illegittima la sua realizzazione nel caso in cui sia finanziata attraverso fondi differenti rispetto a quelli contemplati in ambito di redazione del programma stesso, in quanto in base all'art. 14 n. 9, L. n. 109 dell'11 febbraio 1994, sost. dall'art. 4, L. n. 413 del 1998, 'le opere pubbliche, non inserite nel programma triennale , possono essere realizzate sulla base di un autonomo piano di finanziamento che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco” (T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 16-04-2004, n. 1162 ).
Ciò implica che l’opera, ovviamente ed a fortiori, sia progettabile ma soprattutto che affermazione della doverosità della “ricerca “ del piano finanziario autonomo antecedentemente alla emissione dichiarazione di pubblica utilità costituisca affermazione frutto di un evidente errore:la sentenza è in parte qua immune da censure.
2.4. Il quarto motivo va disatteso (esso sarebbe certamente inammissibile perché in nulla critica la sentenza reiterando la stessa obiezione motivatamente disattesa in primo grado) alla stregua del principio per cui il progetto preliminare "deve consentire l'avvio della procedura espropriativa", ma non prescrive il presupposto dell'attuale conformità urbanistica , mentre tale presupposto deve necessariamente sussistere soltanto al momento dell'approvazione del progetto definitivo, poiché solo tale livello di progettazione costituisce dichiarazione di pubblica utilità dell'opera pubblica o di pubblica utilità. Detto corollario è armonico alla previsione di cui all’ art. 93 D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) secondo il quale la progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva. Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni possibili. Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo.(ex aliis Cons. Stato Sez. VI, 11-11-2013, n. 5365, ma si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 21-10-2013, n. 5094 per l’affermazione secondo cui solo nel caso di approvazione di un progetto definitivo o esecutivo è connessa la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera).
2.5. Più attento esame merita la sesta ed ultima censura.
L’appellante ritiene che il comma 10 dell’art. 30 della legge reg. n. 20 del 2000 (“per selezionare gli ambiti nei quali realizzare nell'arco temporale di cinque anni interventi di nuova urbanizzazione e di sostituzione o riqualificazione tra tutti quelli individuati dal P.S.C., il Comune può attivare un concorso pubblico, per valutare le proposte di intervento che risultano più idonee a soddisfare gli obiettivi e gli standard di qualità urbana ed ecologico-ambientale, definiti dal P.S.C. Al concorso possono prendere parte i proprietari degli immobili situati negli ambiti individuati dal P.S.C. nonché gli operatori interessati a partecipare alla realizzazione degli interventi. Alla conclusione delle procedure concorsuali il Comune stipula, ai sensi dell'art. 18, un accordo con gli aventi titolo alla realizzazione degli interventi. Per gli ambiti di riqualificazione, l'attività di cui al presente comma è svolta, sulla base di quanto previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, della legge regionale n. 19 del 1998, assicurando la massima partecipazione e cooperazione dei soggetti pubblici e privati, nelle forme più idonee individuate dall'Amministrazione comunale, con particolare attenzione al coinvolgimento dei cittadini che risiedono o operano nell'ambito da riqualificare ovvero negli ambiti urbani interessati dagli effetti della riqualificazione . La deliberazione di approvazione del POC si esprime sulle specifiche proposte avanzate da amministrazioni, associazioni e parti sociali”) si debba interpretare nel senso che sarebbe vietato per il Comune rivolgersi ad altri che non siano i privati proprietarii dei suoli e parimenti interessati alla realizzazione dell’opera, salvo realizzarlo su area propria.
Non è intellegibile al Collegio, invero, da dove l’appellante tragga elementi per affermare tale draconiana alternativa (che implicherebbe la conseguenza di dovere rinunciare alla esecuzione dell’opera, od allo strumento del partenariato, ove non vi siano proprietarii di aree con quelle determinate caratteristiche interessati alla realizzazione dell’opus): in contrario senso, riposa –oltre che la logica- la lettera disposizione sopra indicata che, infatti, in senso diametralmente opposto alla ricostruzione patrocinata da parte appellante stabilisce che “al concorso possono prendere parte i proprietari degli immobili situati negli ambiti individuati dal P.S.C. nonché gli operatori interessati a partecipare alla realizzazione degli interventi” con ciò all’evidenza non cumulando le due condizioni ed ammettendo che vi possano essere operatori – non proprietari, chè altrimenti la distinzione non avrebbe avuto senso- interessati alla (sola) realizzazione dell’opera.
Non è inutile sottolineare, poi, che simile ipotizzata restrizione si porrebbe in controtendenza rispetto al favor dimostrato dal Legislatore verso il contratto di partenariato (comma 15-ter dell’art. 3 del d.lgs n. 163/2006 “ai fini del presente codice, i «contratti di partenariato pubblico privato» sono contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, l'affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste. Possono rientrare altresì tra le operazioni di partenariato pubblico privato l'affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell'opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell'opera per il committente o per utenti terzi. Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 44, comma 1-bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat.”) e che anche per tal via, quindi, la tesi appellatoria sia arbitraria, non poggi su alcun dato normativo, e vada pertanto respinta.
Anche detta ultima censura è del tutto infondata quindi, e va disattesa, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso .
3.Conclusivamente, l’appello è destituito di fondamento e va respinto.
4.La natura e la particolarità della controversia consente la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti