Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-02, n. 201800021

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-02, n. 201800021
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800021
Data del deposito : 2 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/01/2018

N. 00021/2018REG.PROV.COLL.

N. 07522/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7522 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
F C, rappresentata e difesa dagli avvocati V C, G S e D B, con domicilio eletto presso la Segreteria della VI Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
e V E M G, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata;

contro

il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (MIUR), in persona del legale rappresentante “ pro tempore ”, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Mario D'Ascoli, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA - SEZIONE III BIS, n. 7387/2015, resa tra le parti, concernente mancata ammissione ai percorsi abilitanti speciali (PAS);


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di mera forma del MIUR;

Vista l’ordinanza collegiale istruttoria della Sezione n. 3526 del 2017;

Visti gli atti di motivi aggiunti proposti dall’appellante V. E. M. G;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 14 dicembre 2017 il cons. M B e uditi per le parti l’avvocato Umberto Cantelli, per delega dell'avv. V C, per le appellanti, e l’avv. Maria Vittoria Lumetti dell’Avvocatura generale dello Stato per il MIUR;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto nel 2013 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Roma, le signore F. C e V. E. M. G, docenti precarie, rispettivamente laureate in Lettere e in Scienze Geologiche, inserite nelle graduatorie di III fascia d’istituto per la classe di concorso A037 e A059, premesso di avere prestato, a partire dall’a. s. 2007 - 2008, servizio di insegnamento, presso istituti legalmente riconosciuti, rispettivamente per 540 giorni, la signora C, e per 969 giorni, la signora G, hanno impugnato il regolamento n. 81 del 25 marzo 2013 e il d.d.g. n. 58 del 25 luglio 2013, nella parte in cui tra i requisiti di accesso, i provvedimenti suindicati richiedono che il docente debba avere prestato 180 giorni di servizio con il vincolo temporale di tre anni per un totale di 540 giorni omettendo di includere gli istituti legalmente riconosciuti, sicché le ricorrenti, che espongono di avere espletato comunque 540 giorni di servizio (o di più), ma in un lasso temporale differente, non scaglionati in tre anni, come rigidamente fissato dal regolamento e dal decreto, e presso scuole legalmente riconosciute, sono state escluse dalla partecipazione ai PAS al fine di conseguire l’abilitazione all’insegnamento.

L’art. 4, comma 1 ter, del d. m. 25 marzo 2013, n. 81, nel modificare l’art. 15 del d. m. 10 settembre 2010, n. 249, sui requisiti e sulle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado,

dispone che « Ai (PAS) possono partecipare i docenti non di ruolo…che, sprovvisti di abilitazione ovvero di idoneità alla classe di concorso per la quale chiedono di partecipare e in possesso dei requisiti previsti al comma 1, abbiano maturato, a decorrere dall'anno scolastico 1999/2000 fino all'anno scolastico 2011/2012 incluso, almeno tre anni di servizio in scuole statali, paritarie ovvero nei centri di formazione professionale. Il servizio prestato nei centri di formazione professionale riconducibile a insegnamenti compresi in classi di concorso è valutato solo se prestato per garantire l'assolvimento dell'obbligo di istruzione a decorrere dall'anno scolastico 2008/2009. Ai fini del presente comma è valido anche il servizio prestato nel sostegno ».

L’art. 1 (sulla « Attivazione di corsi speciali per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento »), ai commi 1 e 3, del d.d.g. n. 58 del 25 luglio 2013 stabilisce che:

- «1. Gli Atenei e le Istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica istituiscono, ai sensi dell’art. 15 commi 1 ter e 16 bis del DM 249/10, corsi speciali, di durata annuale, per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, riservati alle sotto elencate categorie di docenti che siano privi della specifica abilitazione e che abbiano prestato, a decorrere dall’a.s. 1999/2000 e fino all’a.s. 2011/2012 incluso, almeno tre anni di servizio, con il possesso del prescritto titolo di studio, in scuole statali, paritarie ovvero nei centri di formazione professionale limitatamente ai corsi accreditati dalle Regioni per garantire l’assolvimento dell’obbligo di istruzione»;

- «3. Ai fini del raggiungimento dei requisiti di cui al comma 1, è valutabile il servizio prestato nell’ anno scolastico, ossia quello corrispondente ad un periodo di almeno 180 giorni ovvero quello valutabile come anno di servizio intero, ai sensi dell’art. 11, comma 14, della legge 3 maggio 1999, n. 124» .

Il suddetto requisito si raggiunge anche cumulando i servizi prestati, nello stesso anno e per la stessa classe di concorso, nelle scuole statali, in quelle paritarie e nei centri di formazione professionale.

A tal fine, è valutabile anche il servizio prestato in diverse classi di concorso, purché almeno un anno scolastico di servizio sia stato prestato nella classe di concorso per la quale si intende partecipare.

Con i ricorsi sono stati impugnati anche gli elenchi definitivi dei candidati ammessi ed esclusi dai PAS, pubblicati dai Direttori generali degli Uffici scolastici regionali (in seguito, USR) della Calabria e della Lombardia.

In particolare, la signora C ha esposto di essere stata ammessa con riserva alla partecipazione ai PAS dallo stesso USR della Calabria e di avere conseguito il titolo abilitante in data 18 luglio 2014.

Per quanto riguarda la signora G, con decreto del presidente del Tar Lazio - III sezione bis, n. 2505 del 2014, ritenuta l’irreparabilità del pregiudizio, in considerazione della attivazione dei PAS, e impregiudicata ogni questione di merito, è stata accolta l’istanza cautelare ex art. 56 del c.p.a. e la ricorrente è stata ammessa con riserva ai PAS. La misura cautelare monocratica è stata confermata dal Tar nella sede collegiale con l’ordinanza n. 3155 del 2014. Dagli atti (v. la nota dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in data 6 luglio 2015, in atti) risulta che anche la signora G ha sostenuto e ha superato l’esame di abilitazione all’insegnamento per la classe di abilitazione A059 –Matematica e Scienze nella Scuola secondaria di I grado, e che “ ha conseguito con riserva il titolo di abilitazione presso l’Università del Sacro Cuore in data 28 maggio 2015 ”.

Con la sentenza in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso con condanna delle ricorrenti al rimborso delle spese.

Le signore C e G hanno appellato.

Premesso di avere impugnato anche gli atti di esclusione dai PAS, le appellanti, a quanto è dato comprendere, svolgono in particolare le deduzioni che seguono:

a) sarebbe illegittimo il non avere considerato il servizio di insegnamento prestato presso gli Istituti legalmente riconosciuti;

b) quanto alla subordinazione dell’accesso ai PAS alla dimostrazione di avere prestato servizio di insegnamento, per almeno un anno, dei tre previsti, nella classe di concorso per la quale si chiede l’accesso ai percorsi abilitativi (nella specie, la classe A059 –Scienze matematiche, per la ricorrente G, e la A037 –Filosofia e Storia, per la ricorrente C), si sostiene che dalle autocertificazioni di servizio si ricava con chiarezza che le ricorrenti hanno svolto servizio esclusivamente sulle classi di concorso per le quali intendevano partecipare;

c) sulla prestazione del servizio di insegnamento “scaglionata” nel tempo, dagli atti risulta che la signora C ha prestato 540 giorni di servizio d’insegnamento tra l’a. s. 2008 - 2009 e l’a. s. 2009 - 2010;
e che la signora G ha prestato oltre 900 giorni di servizio tra l’a. s. 2007 - 2008 e l’a. s. 2012 - 2013.

Nell’atto di appello è richiamato in particolare il precedente giurisprudenziale di questa Sezione che, con la sentenza n. 2750 del 2015, ha accolto un appello proposto avverso una sentenza di primo grado di rigetto di un ricorso promosso per l’annullamento « del decreto ministeriale n. 58 del 25 luglio 2013, pubblicato in G.U. n. 60 del 30 luglio successivo, di attivazione dei corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento (PAS - Percorsi Abilitanti Speciali) nella parte in cui, ai commi 1 e 3 dell'art. 1, stabilisce quale requisito di ammissione l'avere prestato un precedente servizio di 540 giorni suddivisi in 3 anni scolastici da minimo 180 giorni ognuno », e ciò sul rilievo che « il requisito di partecipazione previsto nella normativa previgente» , (vale a dire la l. n. 124 del 1999), « istitutiva di sessioni riservate di esami o di corsi speciali a fini abilitativi è sempre stato individuato in almeno 360 giorni di servizio nel complesso nel periodo considerato e che non risulta motivata l'introduzione della diversa previsione di cui al decreto ministeriale impugnato in parte qua ».

Ad avviso delle appellanti, gli atti generali impugnati avrebbero « inasprito quanto sancito dalla legge ». In particolare, la mancata previsione del servizio di insegnamento prestato negli istituti legalmente riconosciuti sarebbe illegittima, per contrasto con la l. n. 124 del 1999 e prima ancora con la l. n. 62 del 2000, posto che gli istituti legalmente riconosciuti costituiscono una tipologia di scuola paritaria.

A tale riguardo, parte appellante produce una nota del MIUR - Dipartimento dell’Istruzione, n. 2306 del 23 ottobre 2013, avente a oggetto PAS – accertamento dei requisiti di accesso, dalla quale si ricava (v. p. 10.) che « è valutabile il servizio svolto nelle scuole paritarie purché sia stato prestato per 180 giorni e sia riconducibile a insegnamenti curriculari» .

Nell’appello è stato chiesto anche «in via residuale» di dichiarare la cessazione della materia del contendere, e ciò in base alla « sanatoria legale » di cui all’art. 4, comma 2 bis, del d. l. n. 115 del 2005, conv. dalla l. n. 168 del 2005, avendo le parti appellanti comprovato di avere conseguito, nelle more, il titolo di abilitazione.

In ogni caso, si soggiunge, il Consiglio di Stato dovrebbe dichiarare la improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse essendo sopraggiunto, nel corso del giudizio, un fatto nuovo idoneo, come tale, a considerare superata la precedente determinazione negativa.

Il MIUR ha svolto anche nel grado di appello, come in primo grado, una difesa di mera forma.

Con atto di motivi aggiunti notificato il 25 maggio 2017 e depositato in Segreteria il 26 maggio 2017, l’appellante signora G ha impugnato, essenzialmente per illegittimità derivata, l’atto n. 4279 del 16 maggio .2017 con il quale il dirigente dell’USR di Verona ha escluso l’insegnante dal concorso di cui al d.d.g. n. 106 del 2016 per la classe di concorso A028 –Matematica e Scienze, « per mancanza del titolo di abilitazione -art. 3, comma 1, del d.d.g. n. 106 del 23.2.2016 ».

A sostegno ulteriore della fondatezza delle tesi prospettate, parte appellante richiama un recente precedente giurisprudenziale di questa Sezione, ossia la sentenza n. 3193 del 2016.

In prossimità dell’udienza di discussione del 6 luglio 2017, parte appellante ha chiesto il rinvio dell’udienza per consentire l’«abbinamento» della trattazione di questo giudizio con la domanda di misure cautelari avanzata con riferimento alla impugnazione della esclusione dalla procedura concorsuale.

All’udienza del 6 luglio 2017 il ricorso è stato una prima volta trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 3526 del 2017 la Sezione, visti gli articoli 43, 46, 64, 65 e 73 del c.p.a., ha ritenuto anzitutto di assegnare al MIUR il termine previsto dal codice del processo amministrativo per eventuali deduzioni in ordine ai motivi aggiunti proposti.

Inoltre, dopo avere puntualizzato che, allo stato degli atti, non è dato comprendere se la mancata ammissione delle appellanti ai PAS sia dipesa anche dalla carenza dell’anno specifico di servizio di insegnamento nella classe concorsuale per la quale era stata presentata la domanda di partecipazione ai percorsi abilitanti, o no, la Sezione ha disposto incombenti istruttori.

In particolare, ha ritenuto di acquisire agli atti del giudizio, a cura del Dipartimento dell’Istruzione del MIUR, “ il quale a sua volta acquisirà le informazioni necessarie e opportune dagli USR della Calabria, della Lombardia e del Veneto, per quanto di rispettiva competenza, gli atti e i provvedimenti impugnati, oltre a una succinta –e, all’occorrenza, documentata- nota di chiarimenti sulla vicenda contenziosa, concernente anche il profilo che riguarda la riconducibilità, o meno, del servizio prestato presso gli istituti legalmente riconosciuti, al servizio svolto nella scuola paritaria ”.

La Sezione ha richiesto al MIUR di depositare la succinta e documentata nota di chiarimenti presso la Segreteria della VI Sezione, in via telematica, entro il 5 ottobre 2017, fermo rimanendo che la mancata risposta alla richiesta di chiarimenti potrà essere valutata anche alla luce di quanto stabilisce l’art. 64, commi 2 e 4, del c.p.a. , e che rimane impregiudicata anche la questione che riguarda l’eventuale declaratoria della cessazione della materia del contendere – o della improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse - in ordine alla controversia, in relazione all’applicabilità, o meno, al caso qui in esame, dell’art. 4, comma 2 bis, del d. l. n. 115 del 2005, conv. dalla l. n. 168 del 2005.

Il MIUR, al quale l’ordinanza collegiale istruttoria risulta essere stata ritualmente comunicata, non ha adempiuto a quanto richiesto dalla Sezione.

Nel settembre del 2017 l’appellante G ha notificato e depositato un ulteriore atto di motivi aggiunti, avverso una “ graduatoria di merito del concorso docenti 2016”, pubblicata in data 26 luglio 2017, nella parte in cui “ persevera nella omissione del nominativo dell’appellata escludendola dalla immissione in ruolo ”.

All’udienza del 14 dicembre 2017 il ricorso è stato nuovamente trattenuto in decisione.

2.L’appello è fondato e va accolto per le ragioni ed entro i limiti che verranno specificati in appresso.

2.1.1.Preliminarmente, occorre rilevare che il MIUR, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha svolto una difesa soltanto di forma sia in primo grado e sia in appello.

Inoltre, l’Amministrazione non ha adempiuto alla richiesta istruttoria formulata da questa Sezione con l’ord. coll. n. 3526 del 2017.

Pertanto, la controversia va decisa “allo stato degli atti”, e trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 64, commi 2 e 4, del c.p.a. .

2.1.2. Ancora in via preliminare, rammentato che entrambe le appellanti hanno conseguito con riserva il titolo di abilitazione al termine della frequenza dei “corsi PAS”, il Collegio può fare a meno di prendere posizione sull’applicabilità, o meno, al caso di specie, della c. d. “ sanatoria legale ” di cui all’art. 4, comma 2 bis, del d. l. n. 115 del 2005, conv. dalla l. n. 168 del 2005.

Al riguardo, parte appellante sottolinea che il TAR del Lazio, con svariate sentenze, tutte, a quanto consta, non appellate (v. sez. III bis, nn. 3885/2017, 10200/2015, 13113/2014, 11559/2014, 53/2014 e 50/2014, e altre ancora), ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione a ricorsi, analoghi a quello odierno, in tema di diniego di ammissione a tirocini formativi attivi (TFA), e anche su esclusioni dai c. d. “corsi PAS”, avendo le parti ricorrenti comprovato di avere conseguito, nelle more, l’abilitazione, con riserva dell’esito del ricorso giurisdizionale. “ Nella fattispecie ” –ha affermato il TAR del Lazio- non si verte in materia di pubblico concorso, nella cui ipotesi la giurisprudenza esclude in modo concorde che possa darsi luogo al principio dell’assorbimento, del quale il citato art. 4 costituisce un’applicazione, ma si rientra nell’ambito di procedure idoneative”. Nel contempo, il TAR ha ritenuto più volte che la cessazione della materia del contendere discenda dal fatto che i ricorrenti hanno conseguito il bene della vita al quale aspiravano.

Va segnalato che in altri casi, tuttavia (v. Cons. Stato, sez. VI, n. 5639 del 2015, p. 6.1., e ivi rif.), è stato affermato che l’art. 4, comma 2 bis, del d. l. n. 115 del 2005, conv. dalla l. n. 168 del 2005,

in base al quale conseguono a ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela, esprime una norma circoscritta all'idoneità degli aspiranti ad una professione priva di numero chiuso e che non richiede, quindi, procedure di selezione finalizzate al conferimento di un numero limitato di posti, come negli ordinari concorsi per il pubblico impiego: con la conseguenza che qualunque ipotesi di applicazione estensiva di fattispecie concorsuali riservate agli insegnanti, anche a prescindere dall'insussistenza, per i medesimi, di ordini professionali in senso stretto, non può che considerarsi infondata…

Occorre poi fare coerente applicazione del principio secondo cui le leggi eccezionali, ovvero quelle che recano deroga ad altre disposizioni di legge, non possono trovare applicazione oltre i casi e i tempi ivi espressamente contemplati (art. 14 disp. prel. cod. civ.) (sicchè) non può essere condivisa la tesi che postula l’estensione del citato art. 4, comma 2-bis, oltre i casi e le ipotesi ivi espressamente menzionate per ragione di materia…dall’esame del complessivo intervento normativo del 2005 (e della particolare declinazione offertane nell’ambito del relativo articolo 4) emerge che esso era limitato “in parte qua” alle sole ipotesi di “abilitazione professionale” e di acquisizione di specifici “titoli” riferibili alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, previo superamento di specifiche prove abilitative (art. 2229 cod. civ.). La riferibilità delle disposizioni di cui al richiamato art. 4 alle sole ipotesi richiamate al precedente capoverso risulta – oltretutto – confermata dalla rubrica dell’articolo in questione, il quale risulta espressamente dedicato alla disciplina delle “elezioni degli organi professionali”, nonché in “materia di abilitazione e di titolo professionale”. Pertanto, alla luce del carattere di “jus singulare” delle disposizioni da ultimo richiamate, consegue la non condivisibilità dell’argomento con cui si propone di estendere le norme ivi desumibili anche alla diversa ipotesi delle procedure finalizzate all’acquisizione dello status dirigenziale nell’ambito di amministrazioni pubbliche” (conf. Sez. VI, n. 3001 del 2013, n. 106 del 2012, n. 7002 del 2010 e n.4771 del 2010;
cfr. anche Ad. plen. n. 1 del 2015 e di recente sez. IV, sent. n. 4729/2017).

Similmente, questo Collegio può fare a meno di porsi e di risolvere il quesito se, analogamente a quanto è avvenuto in occasione di una controversia oggettivamente non priva di somiglianze con il ricorso odierno (cfr. sent. Cons. Stato, sez. VI, n. 6 del 2016), la causa possa essere definita con una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, e ciò muovendo dall’assunto del carattere spontaneo dell’adeguamento, da parte della P. A. , alla misura cautelare a suo tempo accordata.

2.2. Più radicalmente, l’appello va accolto, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado entro i limiti però dell’interesse fatto valere dalle appellanti.

In via preliminare di merito pare il caso di puntualizzare che, sulla base di quanto esposto in parte narrativa, le ricorrenti e odierne appellanti muovono dall’assunto per cui gli atti impugnati in primo grado richiedono, tra i requisiti di accesso ai PAS, che il docente debba avere prestato 180 giorni di servizio con il vincolo temporale di tre anni, per un totale di 540 giorni, omettendo di includere il servizio prestato presso istituti legalmente riconosciuti quale servizio valutabile ai fini del raggiungimento del periodo minimo di insegnamento prescritto, sicché le ricorrenti, che espongono di avere espletato comunque 540 giorni di servizio (o di più), ma in un lasso temporale differente, non scaglionato in tre anni, e presso scuole legalmente riconosciute, per ciò solo sono state escluse dalla partecipazione ai PAS, finalizzati all’ottenimento dell’abilitazione all’insegnamento.

Senonché, in via preliminare e di merito occorre considerare, come parte appellante non manca di porre in risalto, che questa Sezione, con la sentenza n. 2750 del 2015, ha annullato - evidentemente con effetti “ erga omnes ”, come si dirà meglio tra breve - il d.d.g. n. 58 del 2013 nella parte in cui, nell’individuare i requisiti di partecipazione ai PAS, richiedeva un servizio di insegnamento di 540 giorni (nel periodo considerato il quale, diversamente da quanto sembra presupporre la stessa difesa delle appellanti, abbraccia un arco di tempo alquanto lungo, che va dall’a. s. 1999 – 2000 all’a. s. 2011 – 2012), anziché un periodo di soli 360 giorni, e ciò in base al quadro normativo di riferimento ricostruito nella medesima sentenza n. 2750 del 2015 (alla quale si rinvia anche ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a. : sul tema conf., anche, Cons. Stato, sez. VI, sent. nn. 5440 del 2015 e 3193 del 2016).

L’annullamento “ in parte qua ” del d.d.g. n. 58/2013 spiega i suoi effetti anche nel presente giudizio, quantunque detto decreto non sia stato specificamente impugnato sotto questo aspetto.

Il decreto n. 58/2013 rappresenta, infatti, un atto generale inscindibile il cui annullamento in sede giurisdizionale non può che avere, a sua volta, effetti inscindibili e, dunque, “ erga omnes ”.

Si tratta, infatti, di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può sussistere per taluni e non esistere per altri.

Come in più occasioni ha precisato la giurisprudenza amministrativa (v., di recente, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1289 del 2016, e ivi rif. ulteriori), l’efficacia dell’annullamento giudiziale di un atto a natura regolamentare si estende a tutti i possibili destinatari, sebbene non siano stati parti del giudizio, perché gli effetti della sentenza si estendono al di là delle parti che sono intervenute nel singolo giudizio, dato che l’annullamento di un atto amministrativo a contenuto normativo ha efficacia “ erga omnes ” per la sua ontologica indivisibilità.

Ciò posto, va chiarito che la circostanza che le appellanti abbiano prestato un periodo di servizio (di più di 540 giorni complessivi ma) “scaglionato”, stando a quanto si afferma, in un arco di tempo di più di tre anni, è irrilevante dal momento che, come si è già osservato, l’intervallo di tempo da prendere in esame a questo fine va dall’a. s. 1999 - 2000 all’a. s. 2011 - 2012 incluso.

Quanto al numero e alle “caratteristiche” dei giorni di servizio di insegnamento richiesti, e prestati, per l’ammissione ai PAS (in ogni caso, come chiarito, 360 e non 540: il limite, più restrittivo, dei 540 giorni risulta come detto caducato in sede giurisdizionale da Cons. Stato, VI, n. 2750/2015 cit.), le appellanti deducono e comprovano di avere prestato un servizio di insegnamento di 540 giorni e più, “disteso” lungo un arco di tempo che va dal 2008 al 2010 per la ricorrente C, e dal 2008 al 2012 nel caso della G.

Nella sentenza impugnata si soggiunge che il d.d.g. n. 58/2013 richiede che almeno un anno scolastico di servizio sia stato svolto nella classe di concorso per la quale si intende partecipare.

Nella specie, dall’autocertificazione di servizio emerge che le ricorrenti hanno svolto servizio esclusivamente sulla classe di concorso per la quale intendevano partecipare.

Resta da vagliare il profilo di censura inerente al fatto che il servizio è stato prestato, per stessa ammissione delle ricorrenti, presso istituti legalmente riconosciuti (e, a quanto è dato capire, è anche, e proprio, per questo motivo che le appellanti non sono state ammesse ai PAS).

In proposito, rammentato ancora una volta che alla richiesta di chiarimenti operata a questo riguardo il MIUR non ha dato risposta, nel ricorso si sottolinea che l’art. 4, comma 1 ter, del d. m. n. 81 del 2013, nel modificare l’art. 15 del d. m. n. 249 del 2010, subordina l’ammissione ai PAS alla maturazione di almeno tre anni di servizio in scuole “ statali o paritarie ”.

Sotto questo specifico profilo, poiché gli istituti legalmente riconosciuti, in grado di rilasciare titoli di studio con valore legale, come la scuola statale, costituiscono o comunque possono rientrare in una tipologia di scuola paritaria, alla luce di quanto dispone la l. n. 62 del 2000 (cfr. anche la l. n. 124 del 1999);
che nelle scuole paritarie sono confluiti anche istituti legalmente riconosciuti, ne segue, allo stato degli atti, la riconducibilità del servizio di insegnamento prestato presso gli istituti legalmente riconosciuti indicati nelle domande di ammissione nell’ambito del servizio svolto in una scuola paritaria: dal che, la valutabilità dei servizi suddetti ai fini dell’ammissione ai PAS.

2.3. I motivi aggiunti proposti dalla G, per “illegittimità derivata”, avverso atti del 2017 di esclusione dal concorso di cui al d.d.g. n. 106/2016, e dalle graduatorie di merito, sono chiaramente inammissibili poiché proposti direttamente in appello.

E invero, nel processo amministrativo, i motivi aggiunti sono consentiti in appello solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati, allorché i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado: il che determina l’inammissibilità dell’impugnazione in appello di nuovi atti, ferma restando la possibilità per la parte, ove ne ricorrano le condizioni, di proporre avverso questi ultimi un autonomo ricorso giurisdizionale. In effetti, l’art. 104, comma 3, del c.p.a., laddove consente la proposizione di motivi aggiunti in appello qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati, ha codificato il pregresso orientamento giurisprudenziale che ammette i motivi aggiunti in grado d’appello al solo fine di dedurre vizi ulteriori degli atti già censurati in primo grado, e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi s’intenda impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di primo grado (v. Cons. Stato, sez. IV, n. 2328 del 2015).

2.4. Fermo questo profilo di inammissibilità parziale del ricorso, in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza il ricorso di primo grado va accolto per quanto di ragione e, per l’effetto, gli atti impugnati dinanzi al TAR vanno annullati nei limiti dell’interesse fatto valere dalle ricorrenti.

Nonostante l’esito del giudizio, le peculiarità della vicenda, amministrativa e processuale, e taluni aspetti da un lato di non piena perspicuità e dall’altro di controvertibilità della vicenda stessa giustificano in via eccezionale la compensazione delle spese e dei compensi del doppio grado tra le parti.

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