Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-02-12, n. 201300826
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N. 00826/2013REG.PROV.COLL.
N. 07966/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7966 del 2008, proposto da:
S M A, rappresentato e difeso dall'avv. F E L, con domicilio eletto presso Eugenio Felice Lorusso in Roma, via Cola di Rienzo 271;S F, M M, S A, V di S M A &C. S.a.s.;
contro
Comune di Palo del Colle, rappresentato e difeso dall'avv. G M, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;
nei confronti di
P F, Eredi di Lorusso Giovanni;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III n. 01699/2007, resa tra le parti, concernente adozione piano urbanistico generale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati F E L e G M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente gravame gli appellanti impugnano la sentenza del TAR –Puglia con cui è stato respinto il loro ricorso diretto all’annullamento della deliberazione del Commissario Straordinario n. 50 del 24.3.2006, con cui è stata adottata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 L.R. n. 20/2001, il Piano Urbanistico Generale del Comune di Palo del Colle.
L’appello è affidato alla denuncia di un’unica articolata rubrica concernente la violazione dei principi generali in materia di pianificazione urbanistica e del principio di buona amministrazione;nonché eccesso di potere sotto diversi profili.
Si è ritualmente costituito in giudizio il Comune di Palo del Colle che, con memoria, ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del motivo e nel merito la sua infondatezza.
Con memoria per la discussione e con la relativa replica, le parti hanno puntualizzato le proprie argomentazioni.
Con atto di rinuncia notificato in data 13 giugno 2011 l’appellante Francesco S ha dichiarato di rinunciare al gravame in relazione alla sua elezione al consiglio comunale.
Chiamata all'udienza pubblica,uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
___ 1. In primo luogo deve ritenersi processualmente irrilevante la dichiarazione del solo appellante Francesco S, il quale, in relazione alla sua elezione al consiglio comunale ha notificato, per parte sua, la rinuncia al ricorso.
Al riguardo si deve ricordare che, in base all'art. 84 del codice del processo amministrativo (e già prima l' art. 46 del Regio Decreto 17 agosto 1907, n. 642, di approvazione del regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), l'abbandono del ricorso è rimesso a colui che agisce.
Ma l’abdicazione a far valere le proprie ragioni deve essere reale e non meramente formale. Pertanto, anche in presenza delle prescritte formalità, spetta comunque al giudice verificare che l’effetto della rinuncia, dal lato sostanziale, sia effettivamente quello di determinare la definitività della situazione così come risulta cristallizzata alla sentenza, anteriormente alla proposizione dell’appello.
In caso di appello collettivo – proposto cioè “uno actu” da una pluralità di soggetti, ciascuno pro-quota, avverso la stessa sentenza sulla base di un identico ed indistinto interesse sostanziale dedotto in giudizio -- non può avere alcun rilievo la singola rinuncia, qualora non sia possibile rinvenire alcuna sostanziale distinzione delle singole posizioni per il carattere di inscindibilità oggettiva del contendere.
L’unitarietà ontologica degli interessi dedotti a fondamento dell’azione rende infatti evidente come, in ogni caso, il soggetto “rinunciante”, finirebbe comunque per avvantaggiarsi dell’eventuale accoglimento degli appelli e quindi dell’annullamento delle sentenze qui impugnate.
In tali ipotesi si deve perciò concludere che le iniziative formalmente abdicative della pretesa assunte da uno dei ricorrenti non sono realmente in grado di estinguere il giudizio nei soli suoi riguardi.
Nella fattispecie in esame, in assenza di atti di rinuncia all’eredità o comunque di definitiva cessione dei cespiti immobiliari da parte del Francesco S, era dunque evidente come la sua rinuncia, finiva per avere un carattere meramente formale, e quindi processualmente irrilevante, in quanto probabilmente diretta artificiosamente ad evitare l’applicazione dell'art. 63 co. 1° , n. 4, ovvero dell’art.47,III° co. del T.U. di cui al d.lg. n. 267/2000, nella parte in cui prevedono che non può ricoprire la carica di consigliere o assessore comunale colui che ha una lite pendente con il comune, e sia parte di un procedimento civile od amministrativo con l’amministrazione.
Non essendosi quindi effettivamente verificata la reale separazione tra posizione in giudizio e interesse materiale effettivamente fatto valere pro-quota dal S, la sua dichiarazione di rinuncia lascia dunque intatto nei suoi riguardi una condizione essenziale dell’azione, quale nella specie l’interesse processuale personale, attuale e concreto.
Il che, in definitiva sul punto, impedisce al Collegio di dichiarare l’estinzione del giudizio nei suoi confronti.
___2. Con l’unica rubrica gli appellanti lamentano l’illogicità della tipizzazione dell’area dei ricorrenti fatta dal Comune, che non avrebbe tenuto conto della situazione esistente.
Una più attenta e razionale valutazione avrebbe invece dovuto consigliare la sua tipizzazione quale “zona produttiva” a tutti gli effetti, in quanto tale scelta avrebbe sanato le situazioni di abusività sorte in passato e realizzato un contemperamento delle ragioni dell’edilizia spontanea da tempo insistente sul territorio con quelle di uno sviluppo territoriale ordinato e coerente con la rimanente parte del territorio comunale.
In tale prospettiva il TAR, che si sarebbe limitato ad affermare l’insindacabilità di scelte di merito, avrebbe del tutto omesso di considerare che l’area in questione avrebbe “di fatto” una destinazione industriale” senza cogliere il difetto di motivazione di scelte che non avrebbero tenuto conto delle preesistenze edilizia.
La prescrizione sarebbe stata in contraddizione con la precedente delibera del Consiglio comunale n. 15 del 5.6.2003 relativa al Documento Programmatico Preliminare del P.U.G.
Infine nel D.P.P. la “zona agricola” potrebbe comunque essere destinata ad attività produttive che non necessariamente dovrebbero essere ricondotte “alla terra”.
L’assunto è infondato.
A tale riguardo, ha in ogni caso ragione il primo giudice quando ricorda che le determinazioni di carattere urbanistico costituiscono valutazione di merito che come tale esulano dal sindacato del Giudice Amministrativo. Tali scelte sono, nel merito, di norma insindacabili,e fatti salvi solo i casi di errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle indicazioni pianificatorie del territorio comunale (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 22 maggio 2012 n. 2952).
Le zonizzazioni delle aree del territorio comunale non necessitano di specifica motivazione, fatto salvo solo il caso in cui si incida su posizioni giuridicamente differenziate per la preesistenza di piani e/o progetti di lottizzazione già approvati (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 12 giugno 2012 n. 3449).
A quest’ultimo riguardo ha dunque ragione il TAR quando ricorda che gli odierni appellanti -- proprietari di una lottizzazione abusiva composta da ben 15 capannoni artigianali e relative pertinenze -- non hanno una legittima posizione, giuridicamente meritevole di tutela all’impugnativa de quo, per cui le loro posizioni appaiono necessariamente recessive rispetto agli interessi pubblici al riequilibrio del territorio.
Né è vero poi che il provvedimento fosse viziato nei suoi presupposti fattuali in quanto, “in parte qua” , il Piano urbanistico generale ben teneva ben presente sia la reale situazione territoriale e sia il contenzioso in essere dal 2006 sulla lottizzazione abusiva degli appellanti.
E’ infatti la struttura stessa della disposizione concernente specificamente l’area degli appellanti che dimostra l’inconferenza del profilo.
La zona infatti è stata tipizzata con destinazione “D4 strutture produttive non autorizzate”, al cui riguardo l’art. 51 delle N.T.A. precisa poi che “ il PUG non intende intervenire nel merito ” ponendo due specifiche alternative:
- in caso di contenzioso favorevole agli abusivisti qualora “ la procedura legale non porti alla demolizione dei manufatti esistenti” si sarebbe ricorso ad un Piano di recupero;
- invece, nel caso di soccombenza degli stessi con l’abbattimento dei manufatti esistenti, il Piano impugnato stabiliva che l’area D4 sarebbe stata automaticamente “riclassificata con la normativa indicata nelle presenti Norme per le Zone agricole di tipo E1”.
L’attualità di tali determinazioni poi escludevano ogni possibile contraddizione tra il PUG del 2006 ed il precedente Documento Programmatico Preliminare del 5.6.2003.
In ogni caso non vi è alcun obbligo di procedere necessariamente al recupero del patrimonio edilizio illecito se questo pregiudica le facoltà, costituzionalmente garantite, del Comune di far luogo ad un corretto ed ordinato governo del territorio.
Al tale ultimo riguardo, se in linea generale la censura implica valutazioni di merito che come tale esulano dal sindacato del Giudice Amministrativo, si deve non di meno sottolineare, sotto i profili della logica e della razionalità, che l’esame complessivo della vicenda quale risulta al Collegio alla luce del rigetto dei diversi appelli deciso in data odierna in senso contrario alle aspettative degli appellanti (sui ricorsi riuniti . n.7959/2008;n.7960/ 2008;n.7961/2008, n. 7962/2008;n. 7963/2008;n. 7967/ 2008;e sul n. 7964/2008) porta a dover escludere la ricorrenza di palesi ed evidenti contraddizioni ed irrazionalità delle scelte.
Deve poi negarsi che la realizzazione di una stretta ed estesa rete di edificazioni, tali da costituire una vera e propria “zona industriale” potesse essere ritenuta compatibile con la Zona agricola, precipuamente destinata al mantenimento ed alla coltivazione della terra.
In conclusione si deve escludere la ricorrenza di palesi ed evidenti irrazionalità nella scelta di disciplinare in termini di alternativa l’area in questione in sede di PUG.
___ 3. In definitiva l’appello è infondato e deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.