Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-11-15, n. 201806444

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-11-15, n. 201806444
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806444
Data del deposito : 15 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/11/2018

N. 06444/2018REG.PROV.COLL.

N. 04250/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4250 del 2018, proposto da
B M, rappresentato e difeso dall'avvocato F D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito 41;

contro

Banca D'Italia, rappresentato e difeso dagli avvocati S R C, M M, N D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Banca Network Investimenti S.p.A. in Liquidazione Coatta Amministrativa non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 03612/2018, resa tra le parti, concernente l'accertamento del diritto all'accesso dell'istante in relazione alla nota prot. n. 1228465/17 del 13.10.2017 (doc. 1) resa dalla Banca d'Italia – Unità di Risoluzione e Gestione delle Crisi – Divisione Liquidazioni e trasmessa a mezzo pec in data 13.10.2017, nella parte in cui quest’ultima ha accolto solo parzialmente l'istanza di accesso formulata dal dott. Morelli in data 31.08.2017, negando l'accesso ai documenti richiesti;
nonché di ogni altro atto presupposto e/o antecedente e/o consequenziale e/o in altro modo connesso a detta determinazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Banca D'Italia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2018 il Cons. D P e uditi per le parti gli avvocati F D C, S R C, N D G e M M;


RILEVATO IN FATTO.

Con l’originario ricorso il sig. Morelli esponeva di essere stato citato – in qualità di ex esponente dell’Istituto di BNI - tra gli altri, in giudizio dinanzi al Tribunale Civile di Milano per sentire “accertare e dichiarare la responsabilità solidale, contrattuale e/o extracontrattuale” e, conseguentemente, condannare “in via tra loro solidale, secondo le quote di danno a ciascuno singolarmente imputabili siccome dettagliate… , al risarcimento del danno arrecato a BNI ed ai suoi creditori”.

A fronte delle domande di accesso formulate, in conseguenza, al fine di acquisire tutta la documentazione necessaria alla difesa nel predetto giudizio, con l’originario gravame dinanzi al Tar l’odierno appellante contestava l’illegittimità della nota con cui, in data 13 ottobre 2017, Banca d’Italia, in riscontro alla seconda istanza di accesso dal predetto presentata in data 31 luglio 2017, ha accolto solo parzialmente quest’ultima, adducendo – a giustificazione del diniego in tale modo opposto - la “genericità” degli atti richiesti, la sussistenza del segreto professionale, il mancato possesso dei documenti, la carenza di inerenza con “l’interesse alla difesa in giudizio” e, ancora, la sottoposizione degli atti “a segreto istruttorio”.

In particolare, con il diniego (nota prot. n. 1228465/17 del 13.10.2017) impugnato dinanzi al Tar l’istituto odierno appellato riscontrava la nuova istanza accogliendola parzialmente con le seguenti motivazioni: “I. doc.ti nn. 1 e 2: la richiesta può essere accolta limitatamente ai provvedimenti finali adottati da questo Istituto;
quanto all’ulteriore documentazione indicata dalla S.V., l’istanza non può essere accolta perché del tutto generica, mancando in essa qualsiasi specificazione che consenta di identificare in modo puntuale sia i documenti domandati, sia l’indispensabilità della loro visione ai fini della tutela dell’interesse rappresentato …. si ritiene che l’ostensione dei soli provvedimenti finali già assicuri il soddisfacimento delle esigenze della S.V.;
II doc. 3: la richiesta non può essere accolta, ritenendosi condivisibili le considerazioni dal legale di fiducia di BNI in l.c.a. in tema di segreto professionale;
III doc. 4: la richiesta non può essere accolta;
infatti, premesso che le valutazioni in merito alla sussistenza dei presupposti, di fatto e di diritto, per l’esercizio dell’azione di responsabilità competono alla Liquidazione, si richiama quanto già osservato sub i) sulla genericità dell’istanza;
IV doc.ti 5,6,7: la richiesta non può essere accolta, poiché essa si riferisce a documenti che non sono in possesso della Banca d’Italia. Si precisa, al riguardo, che l’invio di atti di diffida da parte degli OO.LL. non richiede autorizzazioni da parte della Banca d’Italia, né l’invio ad essa di eventuale documentazione a supporto (ad es., pareri legali);
V doc.ti 8,9: la richiesta non può essere accolta, in quanto l’opposizione formulata dalla Liquidazione quale controinteressata è stata già valutata da questo Istituto in sede di riscontro della Sua precedente istanza, senza impedire l’accesso. Inoltre, non è dato rinvenire il requisito dell’inerenza tra tali atti e l’interesse alla difesa in giudizio, sotteso alla Sua richiesta;
VI doc. n. 10: la richiesta può essere accolta;
VII doc. n. 11: l’accesso non può essere concesso tenuto conto del regime di secretazione di cui all’art. 33, comma 4, L.F., e della possibile sottoposizione a segreto istruttorio della relazione ex art. 329 del Codice di procedura penale”.

Con sentenza n. 3612\2018 l’adito TAR respingeva il ricorso proposto dall’odierno appellante, reputando le giustificazioni opposte dall’Istituto condivisibili e, comunque, non adeguatamente confutate.

Con l’appello in esame venivano dedotti i motivi di censura avverso la sentenza di prime cure, nei termini di error in iudicando, manifesta contraddittorietà violazione degli artt. 24, 97, 113 e 117 comma 2 lett e) Cost,, 22 ss l. 241\1990 e dPR 184\2006.

Si costituiva l’appellata Banca chiedendo il rigetto dell’appello:

Alla camera di consiglio dell’8\11\2018 la causa passava in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO.

1. Preliminarmente, la soluzione della presente controversia impone, anche a fronte dei precedenti già espressi dalla sezione, un inquadramento generale della problematica, alla luce delle indicazioni fornite ancora di recente dalla Corte di giustizia UE.

In via generale, sul principio di trasparenza, dettato dall’art. 15 del TFUE, va richiamata la giurisprudenza comunitaria laddove ha già più volte rimarcato che tale norma si indirizza alle istituzioni, agli organi ed agli organismi dell’Unione e che, come tale, essa ha trovato attuazione, da ultimo, con il Regolamento (CE) 30 maggio 2001, n. 2001/1049/CE recante “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione”.

Come sottolineato dalla Corte di Lussemburgo (cfr. ad es. Grande Sezione, 4 settembre 2018, C-57/16, ClientEarth e altri nonché sentenza del 18 luglio 2017, Commissione/ Breyer,), tale regolamento segna “una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano adottate nel modo più trasparente possibile e più vicino possibile ai cittadini”, nel quadro, peraltro, del diritto di accesso ai documenti sancito dall'articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

La Corte, nella stessa occasione, ha aggiunto che “la trasparenza permette infatti di conferire alle istituzioni dell'Unione una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità nei confronti dei cittadini dell'Unione in un sistema democratico. Inoltre, consentendo che i diversi punti di vista vengano apertamente discussi, essa contribuisce ad accrescere la fiducia di detti cittadini”, dovendosi pertanto interpretare restrittivamente le eccezioni al diritto d’accesso, pur previste dal medesimo regolamento.

Inoltre la Corte ha affermato che il diritto di accesso, quale discendente dall’art. 15 del TFUE e dal Regolamento n. 2001/1049/CE, deve considerarsi esteso pure ai documenti formati da uno Stato membro che siano detenuti da un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione.

Sempre in via generale, sul principio di trasparenza, la tradizionale giurisprudenza della Corte di giustizia UE è ferma nel ritenere che esso, sancito dagli artt. 1 e 10 del TUE nonché dall'art. 15 del TFUE, “consente una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell'amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico” (cfr., tra le tante, Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 9 novembre 2010, C-92/09, Volker und Markus Schecke GbR e altri;
sentenza 6 marzo 2003, causa C-41/00 P, Interporc / Commissione).

2. In termini ancora generali, da richiamare in quanto applicativi in materia dell’invocato principio di trasparenza, in tema di diritto di accesso ad atti formati nell’ambito di attività di vigilanza e coperti da segreto d’ufficio la giurisprudenza della sezione (cfr. ad es. Cons. Stato, sez. VI, sentenza 6 luglio 2016, n. 3003), anche invocando la sentenza n. 460 del 2000 della Corte costituzionale, ha già avuto modo in passato di ribadire la natura recessiva delle esigenze di segretezza, che pure costituiscono la ratio dell’art. 4 del Testo Unico bancario, rispetto al diritto di accesso c.d. defensionale, laddove la conoscenza degli atti risulti necessaria per la difesa dell’interessato nell’ambito di un procedimento giudiziario.

Nello stesso senso, ed in conformità con il decisum della Corte di giustizia UE sopra richiamato, va altresì ricordata la giurisprudenza della sezione, con riferimento, ad esempio, al diritto d’accesso agli atti dei procedimenti sanzionatori della CONSOB (decisione 13 aprile 2006, n. 2068) oppure nell’ipotesi dei procedimenti disciplinari della stessa CONSOB (decisione 28 marzo 2003, n. 1647).

3.1 Sempre in via preliminare, alla luce dei principi sin qui richiamati, avendo la controversia ad oggetto l’istanza di accesso a documentazione detenuta dalla Banca d’Italia per finalità di vigilanza, va ricordato quanto già rilevato dalla sezione in materia, in specie laddove (ordinanza 15 novembre 2016, n. 4712) si è approfondito in generale il tema in esame, giungendo a dubitare della compatibilità tra la vigente normativa, italiana ed europea, che limita il diritto di accesso alle informazioni riservate ottenute in sede di vigilanza (con particolare riguardo al già menzionato art. 53, par. n. 1, della direttiva n. 2013/36/UE, il quale limita la possibilità di accesso solo ai casi in cui “le informazioni riservate che non riguardino i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio possono essere comunicate nell'ambito di procedimenti civili o commerciali”) ed il principio di trasparenza, di cui all’art. 15 TFUE.

In particolare si è avuto modo di evidenziare il rischio che quest’ultimo principio possa finire per essere svuotato di significato “ove l'interesse all'accesso risulti ancorato a interessi essenziali del richiedente” che siano “manifestamente omogenei” a quelli che già, in base alle stesse norme della direttiva del 2013, formano oggetto di eccezione alla regola del divieto di divulgazione (con richiamo, altresì, anche alle ulteriori figure di eccezione previste dagli artt. 22, par. n. 2, e 27 del Regolamento n. 2013/1024/UE, in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi esercitata dalla Banca Centrale Europea).

In tale contesto la sezione ha chiesto alla Corte di giustizia di specificare se l’art. 53, par. n. 1, della direttiva n. 2013/36/UE dovesse conciliarsi con il principio di trasparenza, nel senso quindi di consentire l’accesso pure laddove l’istanza non fosse stata proposta nell’ambito di un procedimento civile o commerciale già instaurato, e quindi anche nel caso in cui il richiedente, avesse avanzato la domanda di accesso “proprio al fine di verificare la concreta proponibilità di tali procedimenti civili o commerciali, in via preventiva rispetto ad essi”.

3.2 Con la pronuncia conseguente, datata 13 settembre 2018, la Corte di giustizia UE, nel rispondere al predetto quesito, ha ampliato le possibilità di accesso alle notizie riservate in materia di vigilanza bancaria e creditizia, ammettendola anche nelle ipotesi in cui il richiedente non si trovi già nell’ambito di un (precedentemente avviato) giudizio civile e commerciale (come letteralmente è richiesto dall’art. 53, par. n. 1, comma 3, della direttiva n. 2013/36/UE), ma sia semplicemente intenzionato ad avviare un simile giudizio per ottenere tutela dei propri interessi patrimoniali, lesi a seguito del fallimento o della messa in liquidazione coatta amministrativa di un ente creditizio;

- in tale ottica la Corte ha evidenziato come la direttiva n. 2013/36/UE (recante “Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE”) miri alla realizzazione del mercato interno nel settore degli enti creditizi, per il cui buon funzionamento è indispensabile una “stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti e una convergenza sensibilmente più accentuata delle loro prassi di regolamentazione e di vigilanza”;
tale direttiva istituisce un sistema di vigilanza incentrato sullo scambio di informazioni tra le competenti autorità di diversi Stati membri, il cui funzionamento richiede necessariamente che sia gli enti creditizi sorvegliati sia le autorità competenti possano avere la certezza (e la “fiducia”) che le informazioni riservate fornite conservino in linea di principio il loro carattere riservato, altrimenti risulterebbe compromessa l’agevole trasmissione delle informazioni necessarie;
in tale quadro, l’obbligo del segreto professionale, imposto come regola generale dall’art. 53, par. n. 1, della direttiva, è volto a salvaguardare anche l’interesse generale alla stabilità del sistema finanziario all’interno dell’Unione, salvi comunque i casi, tassativamente indicati dal medesimo art. 53, di possibile divulgazione delle informazioni riservate (cfr. Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 19 giugno 2018, C-15/16, B, spec. punti 31, 32 e 38, in Dir. e giustizia, 2018, con nota di G. MILIZIA, Non è opponibile il segreto commerciale se le informazioni sono vecchie di almeno cinque anni, ivi, fasc. n. 105 del 2018, 8 ss.).

Peraltro, sempre secondo la Corte, la norma che ammette la divulgazione di notizie riservate a beneficio delle sole persone direttamente interessate dal fallimento o dalla liquidazione coatta amministrativa di un ente creditizio (e che non riguardino i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio di tale ente), deve essere intesa nel senso che ciò avvenga “ai fini del loro utilizzo nell'ambito di procedimenti civili o commerciali”: da nessuna parte può dedursi che la divulgazione sia consentita unicamente nell'ambito di procedimenti civili o commerciali già avviati;
del resto, sarebbe contrario ai requisiti di buona amministrazione della giustizia costringere il richiedente ad avviare un procedimento civile o commerciale per ottenere l'accesso alle informazioni riservate in possesso delle autorità competenti.

L’eccezione ammessa, tuttavia, conformemente alla giurisprudenza comunitaria (viene richiamata la sentenza della III Sezione del 22 aprile 2010, C-346/08, Commissione/ Regno Unito, in Amb. sviluppo, 2010, 7, 668, in materia di immissioni di inquinanti in atmosfera da grandi impianti di combustione), deve essere interpretata restrittivamente, con la conseguenza che la divulgazione potrà considerarsi ammessa solo qualora il richiedente fornisca indizi precisi e concordanti che lascino plausibilmente supporre che le informazioni richieste risultino pertinenti ai fini di un procedimento civile o commerciale in corso o da avviare, il cui oggetto sia concretamente individuato ed al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate.

Al riguardo, la Corte ha altresì precisato come spetti, “in ogni caso, alle autorità e ai giudici competenti effettuare un bilanciamento tra l'interesse del richiedente a disporre delle informazioni di cui trattasi e gli interessi legati al mantenimento della riservatezza delle stesse informazioni coperte dall'obbligo del segreto professionale, prima di procedere alla divulgazione di ciascuna delle informazioni riservate richieste”, con richiamo alla sentenza della Sezione III del 14 febbraio 2008, C-450/06, Varec, punti 51 e 52, la cui massima così recita: “Le direttive comunitarie in tema di appalti devono essere interpretate nel senso che l'organo responsabile dei ricorsi deve garantire la riservatezza e il diritto al rispetto dei segreti commerciali rispetto alle informazioni contenute nei fascicoli comunicati dalle parti in causa, in particolare dall'amministrazione aggiudicatrice, pur potendo essa stessa esaminare tali informazioni e tenerne conto, restando compito di tale organo decidere in che misura e secondo quali modalità occorra garantire la riservatezza e il segreto di tali informazioni, per le esigenze di tutela giudicata effettiva e dei diritti di difesa delle parti nella controversia e, in caso di ricorso giurisdizionale, in modo che il procedimento rispetti, nel suo complesso, il diritto a un equo processo”.

4. Applicando tali coordinate al caso di specie l’appello è fondato, sia a monte, a fronte della assoluta carenza di motivazione della sentenza appellata in merito alla fattispecie esaminata, avendo compiuto un mero e generico rinvio agli argomenti del diniego senza alcun approfondimento delle congrue difese formulate dalle parti in causa, sia a valle, in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’invocato diritto di accesso, nei limiti che seguono.

4.1 In relazione a quanto chiarito ulteriormente dalla CGUE e sopra riassunto, nel caso di specie ci si trova in presenza di giudizi civili già pendenti, proposti avverso lo stesso odierno istante, rispetto ai quali risultano quindi attuali e concrete le esigenze di piena acquisizione documentale a fini di immediata difesa giudiziale, in termini quindi del tutto coerenti con le indicazioni formulate dalla giurisprudenza sovranazionale.

4.2 Per ciò che concerne la sussistenza dei presupposti per l’invocato diritto, in linea generale, come noto, ai sensi dell'art. 22 cit. tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all'art. 24, commi. 1, 2, 3, 5 e 6, mentre il successivo art. 24 comma 7 precisa che deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, sancendo in tal modo la regola della prevalenza, ai fini dell'accesso, del diritto alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici sulle contrapposte esigenze sottese alle cause di esclusione di cui ai precedenti commi.

È pur vero che, secondo la giurisprudenza prevalente, il tenore letterale e la ratio dell'art. 24, comma 7 cit., impongono un'attenta valutazione — da effettuare caso per caso — circa la stretta funzionalità dell'accesso alla salvaguardia di posizioni soggettive protette, che si assumano lese, con ulteriore salvaguardia, attraverso i limiti così imposti, degli altri interessi coinvolti, talvolta rispondenti a principi di pari rango costituzionale rispetto al diritto di difesa, con esclusione della prevalenza acritica di esigenze difensive anche genericamente enunciate.

Peraltro, nel caso di specie, a fronte di esigenze difensive specifiche, già concretizzatesi dalla citazione in giudizio dell’odierno appellante e chiaramente individuate, appare sussistente l’invocato diritto di accesso, in termini opposti alle generiche argomentazioni poste a fondamento della sentenza appellata e conformi alle aperture che, anche nella specifica materia in esame, ha riconosciuto lo stesso giudice europeo nei termini sopra riassunti.

4.3 In via generale, le necessità difensive - riconducibili ai principi tutelati in via prioritaria e fondamentale dall'art. 24 Cost. - sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti terzi ed in tal senso il dettato normativo richiede che l'accesso sia garantito "comunque" a chi debba acquisire la conoscenza di determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti.

La medesima norma tuttavia - come successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 l. n. 45/2001, art. 176, comma 1, d.lg. n. 196/2003 e art. 16 l. n. 15/2005) - specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l'accesso, dovendo quest'ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 28 settembre 2012 n. 5153).

4.4 Nella presente fattispecie tali ultimi elementi appaiono evidenziati con chiarezza, avendo parte istante chiarito e specificato le esigenze difensive, concernenti giudizi civili in corso, la relativa pertinenza e l’oggetto dei quali è concretamente individuato.

Al riguardo, dall’analisi della documentazione versata in atti emerge come l’odierno appellante sia stato citato in giudizio sulla base delle seguenti contestazioni: a) la violazione dei doveri di cui agli artt. 2392 e ss. c.c., nonché delle norme poste a disciplina della sana e prudente gestione della Banca, nonché degli obblighi inerenti alla conservazione della integrità del patrimonio sociale ed inoltre per aver attuato il Piano industriale 2007/2010;
b) la grave omissione, in violazione dei propri doveri di cui agli artt. 2392 e ss. c.c., per non avere adottato alcuna iniziativa volta a modificare od interrompere l’attuazione del pregiudizievole piano industriale di cui sopra;
c) la responsabilità per aver omesso di esercitare i doveri di legge, regolamentari e statutari, di predisporre e monitorare gli assetti organizzativi, amministrativi, di controllo e contabili, nonché il generale dovere di accuratezza, come pure violazione degli specifici obblighi posti a carico degli amministratori e sindaci di banche, di cui agli artt. 5, 53, lett. d) TUB e delle istruzioni di vigilanza

della Banca d’Italia (circolari n. 229/1999;
264010/2008);
d) il danno patrimoniale da esborsi a titolo di incentivi e bonus di fidelizzazione a favore di promotori finanziari della Rete sulla base del Piano eterodeterminato dai soci di BNI S.p.A. ed acriticamente ripreso ed applicato dagli amministratori per circa € 37.117.000,00;
e) il danno patrimoniale derivante da omessa richiesta di restituzione degli incentivi erogati a promotori finanziari receduti nel periodo 2008-2011 per un ammontare di circa € 7.830.000,00;
f) il danno patrimoniale da risarcimenti dovuti da BNI S.p.A. ai clienti in conseguenza di atti illeciti e distrattivi commessi dai promotori finanziari della Rete per circa € 2.032.872,94;
g) il danno patrimoniale da compensi, emolumenti e benefits corrisposti in ragione dei rispettivi incarichi ricoperti in BNI S.p.A. a fronte di prestazioni gravemente inadempienti, poste in essere con inescusabili e gravi violazioni dei loro doveri previsti dalla legge e dalla normativa regolamentare per circa € 3.658.477,00 (cfr. pag.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi