Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-04, n. 202101031

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-02-04, n. 202101031
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101031
Data del deposito : 4 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2021

N. 01031/2021REG.PROV.COLL.

N. 00996/2018 REG.RIC.

N. 03875/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 996 del 2018, proposto da


ASPIAG

Service s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C B, M S, G Z e F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio M S in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S B, M C, L F, R V G e L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Podini Holding s.p.a. e Twentyone s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Massimo Luciani, Nausicaa Mall, Dieter Schramm, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Massimo Luciani in Roma, l.go Tevere Raffaello Sanzio;

Unione Commercio Turismo e Servizi Alto Adige. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Mazzei, Andrea Reggio D'Aci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Reggio D'Aci in Roma, via Federico Confalonieri n. 5;

Federdistribuzione non costituito in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 3875 del 2020, proposto da


ASPIAG

Service s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C B, M S, G Z e F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio M S in Roma, viale Parioli, 180;


contro

Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M C, L F, Michele Purrello, Alexandra Roilo, R V G, L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Podini Holding s.p.a. e Twentyone s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Nausicaa Mall e Dieter Schramm, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Massimo Luciani in Roma, l.go Tevere Raffaello Sanzio;

Unione Commercio Turismo Servizi Alto Adige, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Mazzei, Andrea Reggio D'Aci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Reggio D'Aci in Roma, via degli Scipioni 268;

Comune di Bolzano non costituito in giudizio;

nei confronti

Federdistribuzione, non costituita in giudizio;

per la revocazione

quanto al ricorso n. 996 del 2018:

della sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 21 giugno 2017 n. 03003;

quanto al ricorso n. 3875 del 2020:

della sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 3 ottobre 2019 n. 06651;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2021 il Cons. D S e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 25, co.2, del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 996 del 2018,

ASPIAG

Service s.r.l. propone istanza per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 21 giugno 2017 n. 03003, con la quale, non definitivamente pronunciando, sono stati accolti gli appelli proposti da Provincia Autonoma di Bolzano, Podini Holding s.p.a. e Twentyone s.r.l. per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano, n. 83/2016, resa tra le parti e concernente: diniego autorizzazione alla variazione di settore merceologico, su una superficie di mq 4.974.

I fatti di causa sono stati così riassunti nella sentenza revocanda.

“1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano accoglieva il ricorso n. 117 del 2014, proposto dalla A Service S.r.l. avverso il provvedimento del Comune di Bolzano n. 49 del 27 gennaio 2014, notificato il 31 gennaio 2014, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia della comunicazione di A Service S.r.l. del 23 marzo 2012 (prot. n. 25499 del 30 marzo 2012), con cui la ricorrente aveva notiziato l’Amministrazione comunale di Bolzano della propria intenzione di variare il settore merceologico, da “prodotti per l’agricoltura” a tutti i settori merceologici, su una superficie di mq 4.974, nell’esercizio di commercio al dettaglio sito in Bolzano, via Buozzi n. 30, in zona produttiva di interesse provinciale.

1.1. Il Comune di Bolzano, già con precedente provvedimento del 25 luglio 2012, aveva dichiarato l’inefficacia di detta comunicazione sulla base dell’art. 5 l. prov. 16 marzo 2012, n. 7, recante il divieto all’esercizio del commercio al dettaglio nelle zone produttive (eccettuati alcuni settori merceologici particolari), compresi il trasferimento, l’ampliamento o la concentrazione di autorizzazioni rilasciate in passato.

1.2. Contro il provvedimento inibitorio del 25 luglio 2012 A Service S.r.l. aveva presentato ricorso al locale T.r.g.a..

Nelle more di tale giudizio, era intervenuta – su ricorso principale presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – la sentenza della Corte Costituzionale 15 marzo 2013, n. 38, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 5 l. prov. n. 16 marzo 2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale), sostitutivo dell’art. 44-ter l. prov. 11 agosto, n. 13 (l. urb. prov.) recante la disciplina del commercio al dettaglio nelle zone produttive e posto esplicitamente a fondamento del gravato provvedimento inibitorio (o di diniego), per contrasto con il disposto dell’art. 31, comma 2, d.-l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, e per il suo tramite con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con la conseguente espunzione dall’ordinamento, con efficacia retroattiva, della norma dichiarata incostituzionale.

La citata disposizione legislativa provinciale, pur consentendo nelle zone produttive la prosecuzione delle attività di vendita al dettaglio già autorizzate o già iniziate prima dell’entrata in vigore della legge provinciale n. 7/2012, al comma 4 aveva vietato che le relative strutture destinate alla vendita al dettaglio potessero essere ampliate, trasferite o concentrate, mentre i primi tre commi dello stesso articolo 44-ter l. urb. prov. come sopra sostituito, pure dichiarati costituzionalmente illegittimi, avevano previsto che il commercio al dettaglio nelle zone produttive fosse ammesso soltanto come eccezione (comma 1), per le categorie merceologiche indicate (comma 2) e per i relativi accessori determinati ed ammessi da una successiva deliberazione della Giunta provinciale (comma 3).

Il T.r.g.a., in conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5 l. prov. n. 7/2012, con sentenza n. 346/2013 dell’11 dicembre 2013, aveva accolto il ricorso, annullando il provvedimento inibitorio del Comune del 25 luglio 2012.

1.3. Successivamente a tale pronuncia, il Comune di Bolzano era tornato a riesaminare la comunicazioni originaria del marzo 2012 e, esaurita l’istruttoria, ha emanato il gravato provvedimento del 27 gennaio 2014, pronunciando una nuova inibitoria (o diniego) in relazione alla predetta comunicazione.

La nuova inibitoria si fondava sulla sopravvenuta l. prov. 8 marzo 2013, n. 3 (entrata in vigore il 13 marzo 2013, prima della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 38/2013 dell’11-15 marzo 2013 sulla G.U. del 20 marzo 2013) che, all’articolo 3, apportando una novella all’art. 44-ter l. prov. n. 13/1997 (l. urb. prov.), ha sostanzialmente reiterato le limitazioni al commercio al dettaglio nelle zone produttive.

1.4. Nelle more del giudizio di primo grado è stata impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale, con ricorso proposto in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’articolo 3 della legge provinciale n. 3/2013 poi sostituita (senza che la Corte Costituzionale si fosse ancora pronunciata sul ricorso) retroattivamente dalla l. prov. 23 ottobre 2014, n. 10, che, all’articolo 8, riformulava, sempre in termini limitativi, la disciplina del commercio al dettaglio nelle zone produttive.

Pure l’art. 8 l. prov. n. 10/2014, nel corso del giudizio di primo grado, è stato impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale, dal Governo con ricorso principale, nonché, in via incidentale, dal T.r.g.a. (nell’ambito di altra causa, iscritta sub r.g. n. 117/2013) con ordinanza di rimessione del 14 novembre 2014, con la quale la questione di illegittimità costituzionale è stata estesa anche all’art. 3, comma 3, l. prov. n. 3/2003, ossia alla disciplina dell’art. 44-ter, comma 3, l. urb. prov. posta a base del provvedimento impugnato nel presente giudizio.

1.5. Il T.r.g.a. con la sentenza in epigrafe, dopo aver in un primo momento, con ordinanza n. 130 del 13 aprile 2015, disposto il rinvio della causa in attesa della definizione dei menzionati giudizi di costituzionalità, re melius perpensa riteneva logicamente preliminare l’esame del primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente A Service S.r.l. aveva censurato la violazione della disciplina in materia di segnalazione certificata di inizio attività (S.c.i.a.) per essere il provvedimento inibitorio intervenuto dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla presentazione della relativa comunicazione da parte dell’impresa ricorrente.

1.5.1. Il T.r.g.a. accoglieva tale motivo di ricorso ed annullava il gravato provvedimento n. 49 del 27 gennaio 21014, per violazione sia della disciplina statale di cui all’art. 19 l. n. 241/1990, sia di quella provinciale di cui agli artt. 21-bis l. prov. n. 17/1993 e 2 l. prov. n. 7/2012 – richiamando, quanto al rapporto tra legislazione statale e legislazione provinciale in materia di procedimenti autorizzatori semplificati, la sentenza n. 121/2014 della Corte Costituzionale, la quale, sulla base della considerazione che la S.c.i.a. attiene ai livelli di tutela essenziali uniformi su tutto il territorio nazionale, aveva affermato, in ossequio all’articolo 117, comma 2, lettera m), Cost., la supremazia della legislazione statale su quella regionale e provinciale –, attesa l’adozione dell’atto inibitorio oltre il menzionato termine, insuscettibile di interruzione o sospensione, e stante l’impossibilità di riqualificare l’atto medesimo sub specie di provvedimento di annullamento in autotutela, in difetto dei relativi requisiti.

1.5.2. Il T.r.g.a. respingeva invece la domanda risarcitoria, per difetto di allegazione e di prova dell’elemento della colpevolezza e dell’ammontare del danno.

1.5.3. Il T.r.g.a. dichiarava, infine, l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato dalle imprese Podini Holding S.p.A. e Twentyone S.r.l. (che gestiscono il centro commerciale di interesse provinciale, l’unico ammesso dalla normativa provinciale), in quanto le stesse sarebbero titolari di un mero interesse economico di fatto, e non già di un interesse giuridico legittimante l’intervento, poiché «la normativa, comunitaria e nazionale (così come interpretata dalla Corte Costituzione nella sentenza n. 38/2013), è tutta improntata alla liberalizzazione delle attività economiche ed al bando di situazioni di monopolio che gli intervenienti tendono invece a difendere» e «l’intervento nel processo a difesa di semplici interessi economici ‘contra ius’ è inammissibile» (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

2. Avverso tale sentenza interponevano appello le società Podini Holding S.p.A. e Twentyone S.r.l., intervenute ad opponendum in primo grado, con ricorso rubricato sub r.g. n. 5016 del 2016, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) «Violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 50 c.p.a., anche in riferimento alla normativa provinciale che disciplina il centro commerciale di rilevanza provinciale quale eccezione al generale divieto del commercio al dettaglio nelle zone produttive (art. 44-ter della l. p. 13 del 1997, inserito dall’art. 13 della l. p. n. 3 del 2007, novellato dall’art. 5 della l. p. n. 7 del 2012 e successivamente dall’art. 3 della l. p. n. 3 del 2013;
art. 44 LUP, inserito dall’art. 8, comma 4, della l. p. n. 10 del 2014). Error in iudicando per non aver qualificato le odierne appellanti Podini Holding s.p.a. e Twentyone s.r.l. quali controinteressate in senso sostanziale e portatrici di interesse qualificato - Errata decisione sull’asserita inammissibilità dell’intervento»;

b) «Violazione e/o errata applicazione della normativa sulla SCIA riferita alle attività commerciali in Provincia di Bolzano (art. 2 L.P. 7/2012);
Violazione e/o omessa applicazione della delibera della Giunta provinciale n. 1324 dd. 10.09.2012»;

c) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 della l.p. n. 7 del 2012 (ovverosia art. 44-ter della l.p. n. 13 del 1997 nella versione originaria entrata in vigore in data 21.03.2012);
omessa applicazione della norma nella versione introdotta con l.p. n. 3 del 2013, entrata in vigore in data 13.03.2013, anche in riferimento all’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011»;

d) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 della l.p. n. 7 del 2012 nella versione originaria entrata in vigore in data 21.03.2012. Violazione ovvero omessa applicazione dell’art. 8 comma 11 L.P. 10/2014»;

e) «In subordine. Violazione e falsa applicazione dell’art. 44 comma 2 della l.p. n. 13 del 1997 nel testo in vigore prima dell’entrata in vigore della l.p. n. 10 del 2013, e/o dell’art. 44-ter l.p. n. 13 del 1997 nella formulazione introdotta con l.p. n. 7 del 2012 e/o con l.p. n. 3 del 2013. Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ritiene definitivamente venuto meno il divieto di commercio al dettaglio nelle zone produttive a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 38/2013»;

f) «In secondo subordine. Violazione e/o errata ovvero omessa applicazione dell’art. 44-ter applicabile ratione temporis (art. 44 nella formulazione oggi vigente) L.P. 13/1997. Violazione dell’art 4.5. della Delibera della G.P. n. 1588/2009 (Piano provinciale per le grandi strutture di vendita). Violazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990»;

g) «In via ulteriormente subordinata. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l.p. n. 7 del 2012. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990. Omessa considerazione dell’avvenuta interruzione dei termini».

Le società appellanti chiedevano pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, la reiezione del ricorso di primo grado di A Service S.r.l..

3. Avverso la stessa sentenza interponeva separato appello la Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso rubricato sub r.g. n. 5143 del 2016, deducendo i seguenti motivi:

a) «Erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 21/bis l.p. 17/1993 e dell’art. 2 l.p. 7/2012;
erronea qualificazione della comunicazione dd. 23.3.2012 quale SCIA;
violazione del principio del ne bis in idem», riferendo quest’ultimo profilo di censura alla pregressa sentenza del T.r.g.a. n. 346/2013, di annullamento del precedente provvedimento inibitorio all’esito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5 l. prov. n. 7/2012;

b) «Erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies l. 241/1990»;

c) «Erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 l.p. 7/2012 che ha modificato l’art. 44-ter l.p. 13/1997 e dell’art. 3 l.p. 3/2013 che ha successivamente sostituito l’art. 5 l.p. 7/2012 e, quindi, anche l’art. 44/ter l.p. 13/1997»;

d) «Erroneità della sentenza impugnata per omessa applicazione e/o violazione e/o falsa applicazione dell’art. 44 l.p. 13/1997;
erronea statuizione in ordine all’assenza di base normativa su cui fondare il provvedimento impugnato del Comune di Bolzano»;

e) «Erroneità della sentenza impugnata per omessa applicazione e/o violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, comma 11, della legge provinciale 23 ottobre 2014, n. 10».

L’appellante Provincia chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, la reiezione dell’avversario ricorso di primo grado.

4. In entrambe le cause di appello si costituiva l’originaria ricorrente A Service S.r.l., chiedendo la reiezione degli avversari ricorsi in appello, in rito e nel merito, e la conferma dell’impugnata sentenza, nonché riproponendo espressamente i motivi assorbiti di primo grado.

5. Nell’ambito della causa d’appello sub 3. interveniva in giudizio l’Unione commercio turismo servizi Alto Adige, quale associazione di categoria delle imprese associate esercenti il commercio al dettaglio nella Provincia e nel Comune di Bolzano, aderendo all’appello proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano e chiedendone l’accoglimento.

5.1. Nell’ambito della stessa causa interveniva altresì in giudizio la Federdistribuzione - Federazione delle Associazioni delle Imprese e delle Organizzazioni Associative della Distribuzione Moderna Organizzata, in qualità di associazione di categoria delle grandi strutture di vendita, opponendosi all’accoglimento dell’appello.

6. All’udienza pubblica del 26 gennaio 2017 le cause sono state trattenute in decisione.”

L’appello veniva quindi deciso con la sentenza impugnata, dove la Sezione così provvedeva:

“Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti e tra di loro riuniti (ricorsi n. 5016 del 2016 e n. 5143 del 2016), li accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il primo motivo del ricorso di primo grado;
dispone la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione dei giudizi di legittimità costituzionale pendenti dinanzi alla Corte Costituzionale, meglio indicati nella parte-motiva della presente sentenza;
riserva alla sentenza definitiva, in esito all’eventuale riassunzione del giudizio, la decisione su ogni altra questione, in rito, nel merito e sulle spese.”

La sentenza non definitiva 21 giugno 2017 n. 03003 veniva gravata con ricorso per revocazione iscritto al n. 996 del 2018.

Nel giudizio di revocazione, si sono costituite Provincia Autonoma di Bolzano, Podini Holding s.p.a., Twentyone s.r.l. e Unione Commercio Turismo e Servizi Alto Adige, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Con la successiva sentenza 3 ottobre 2019 n. 06651, la Sezione rispondeva anche alle ulteriori questioni sollevate negli atti di appello, così provvedendo:

“Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti e tra di loro riuniti (ricorsi n. 5016 del 2016 e n. 5143 del 2016), li accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado;
dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.”

Anche questa sentenza era oggetto di impugnazione per revocazione, con ricorso iscritto n. 3875 del 2020.

Nel secondo giudizio di revocazione, si sono costituite Provincia Autonoma di Bolzano, Podini Holding s.p.a., Twentyone s.r.l. e Unione Commercio Turismo e Servizi Alto Adige, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2021, i ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in decisione.


DIRITTO

1. - In via preliminare ed a norma dell’art. 70 del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei due diversi ricorsi per revocazione, in quanto riguardanti due diverse sentenze - la prima delle quali non definitiva - emesse nell’ambito dello stesso giudizio e quinti attinenti la stessa vicenda.

2. - Ancora in via preliminare, va rimarcata la non accoglibilità dell’istanza di rinvio, proposta dalla parte istante in data 14 gennaio 2021, stante la fissazione all’udienza del 18 febbraio 2021 del ricorso di nrg. 7194 del 2019, relativo alla procedura di individuazione dell’unico centro commerciale di rilievo provinciale, disposta dalla Provincia di Bolzano con la DGP 238 del 2013, annullata dalla sentenza del TRGA di Bolzano n. 157 del 2019 e appellata (anche) dalla stessa Provincia.

Il detto contenzioso evidenzia sicuramente una vicinanza per materia ma non ha alcun rapporto processualmente vincolante con la questione qui in esame, anche in relazione alla diversità di rito (di revocazione in questa sede, di cognizione nell’altra) in corso.

3. - Venendo ora al merito delle questioni proposte, va immediatamente notata l’inammissibilità dei ricorsi per revocazione come qui riuniti.

4. - Iniziando ovviamente la disamina dai temi rescindenti e partendo dal primo dei ricorsi per revocazione, viene in rilievo il primo motivo di diritto, rubricato “1. Errore di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. per erronea supposizione della insussistenza di una disposizione di legge provinciale idonea a configurare l’istanza di A quale SCIA”, nel quale si sostiene che sentenza revocanda sia affetta da errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. in quanto fonda l’accoglimento del primo motivo d’appello sulla pretesa insussistenza di una norma provinciale che consentisse di qualificare le comunicazioni di A quali SCIA e ciò ancorché tale norma fosse esistente e pienamente vigente, nonché espressamente richiamata nella comunicazione della odierna ricorrente.

Deve peraltro evidenziarsi che il detto primo motivo, qui riferito alla sentenza non definitiva, è stato poi integralmente ripetuto anche nel primo motivo del ricorso avverso la sentenza conclusiva del giudizio. Pertanto, le osservazioni che seguono saranno riferite ad entrambe le doglianze.

4.1. - La censura non ha fondamento.

In via di fatto, va evidenziato che il capo della sentenza non definitiva impugnata espressamente recita:

“contrariamente a quanto affermato nell’appellata sentenza, alla fattispecie sub iudice non trova applicazione il regime della S.c.i.a., né secondo la disciplina statale né secondo quella provinciale, con conseguente erroneità della statuizione di annullamento per asserita adozione tardiva del provvedimento inibitorio oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla citata disciplina.

“Invero, con riferimento temporale alla data del 23 marzo 2012 in cui è stata presentata l’istanza/comunicazione di variazione in oggetto, nell’ordinamento provinciale trovava applicazione il ‘regime autorizzatorio previo’ previsto dalla l. prov. n. 17 febbraio 2000, n. 7 (Nuovo ordinamento del commercio), nella versione all’epoca vigente.”.

Sostiene invece la parte istante come, nel caso in esame, potesse essere applicabile l’art. 2 della L.P. 7 del 2012, fattispecie che era stata espressamente e testualmente richiamata all’interno della comunicazione presentata da A, dando così fondamento al vantato errore revocatorio.

Tuttavia, occorre ricordare come l’errore revocatorio, rilevante ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. è, per giurisprudenza pacifica (da ultimo, Cons. Stato, III, 21 novembre 2019, n. 7938) quello che appare con immediatezza, essendo di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche. In sostanza l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;
ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice.

Nel caso in esame, invece, la sentenza revocanda ha espressamente argomentato sulle ragioni che hanno portato a ritenere inapplicabile la disciplina de qua. Si legge infatti di seguito al capo riportato:

“Infatti, nell’ordinamento provinciale l’istituto della S.c.i.a. ha avuto attuazione, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, solo in forza della deliberazione della Giunta provinciale n. 1324 del 10 settembre 2012 (pubblicato nel B.U. n. 40/I-II del 2 ottobre 2012 e recante «Attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività»), attuativa dell’art. 21-bis l. prov. 22 ottobre 1993, n. 17 (Disciplina del procedimento amministrativo e del diritto di accesso ai documenti amministrativi), aggiunto dall’art. 18, comma 2, l. prov. 23 dicembre 2010, n. 15, i cui primi due commi nel testo all’epoca in vigore statuiscono testualmente: «(1) Allo scopo di semplificare le attività dei cittadini e delle imprese e di ridurre gli oneri e i costi amministrativi, è introdotta la segnalazione certificata di inizio attività. (2) Con deliberazione della Giunta provinciale sono determinati i casi in cui l’esercizio di una attività privata, subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, da parte di autorità amministrative o organi collegiali, può essere intrapreso su segnalazione dell’interessato all’amministrazione competente».

Né poteva ritenersi applicabile, in via diretta e immediata, la disciplina statale della S.c.i.a., di cui all’art. 19 l. n. 241/1990 nel testo all’epoca vigente, in quanto:

- ai sensi dell’art. 29 comma 2-quinques, l. n. 241/1990, come introdotto dall’art. 10, comma 1, lettera b), numero 2), l. 18 giugno 2009, n. 69, «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione»;

- se in linea generale, ai sensi del precedente comma 2-ter dello stesso art. 29 – esso pure introdotto dall’art. 10, comma 1, lettera b), numero 2), l. 18 giugno 2009, n. 69, nel testo ratione temporis applicabile – «Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano», nondimeno alle Regioni a statuto speciale e alle Provincie autonome di Trento e di Bolzano compete, in via esclusiva, di recepire nella propria legislazione e di regolare il procedimento relativo alle attività soggette a comunicazione, dichiarazione, segnalazione di avvio dell’attività, e quindi anche di individuare i casi di esclusione dal regime semplificato, in ciò ovviamente differenziandosi l’ambito della loro competenza legislativa rispetto a quella concorrente delle Regioni ordinarie;

- tale scelta è peraltro stata riproposta, da ultimo, dall’art. 4 d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126 [Attuazione della delega in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), a norma dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124] che, nel dettare la disciplina transitoria della riforma dell’istituto della segnalazione certificata di inizio di attività, ha introdotto, a carico delle regioni e degli enti locali, un termine (al 1° gennaio 2017) per l’adeguamento dei rispettivi ordinamenti ai novellati artt. 18-bis, 19 e 19-bis, l. n. 241/1990, richiamando l’intero art. 29 cit. e dunque anche la distinzione fra Regioni ordinarie e Regioni a statuto speciale (e Province autonome di Trento e Bolzano);

- l’applicazione immediata e diretta della normativa statale è pertanto esclusa proprio dalla riserva di legislazione regionale contenuta nell’art. 29, comma 2-quinquies, l. n. 241/1990, equivalente a clausola di salvaguardia del regime di autonomia speciale (v. su tali principi, per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 7 settembre 2016, n. 3824);

- a fronte della mancata abrogazione o modificazione del comma 2-quinquies dell’art. 29 l. n. 241/1990 ad opera dell’art. 49 d.-l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122 (il quale, al comma 4, ha invece apportato una modificazione al precedente comma 2-ter dello stesso art. 29), la disposizione di cui al comma 4-ter dell’art. 49, laddove statuisce che la disciplina di cui al precedente comma 4-bis (sostitutivo dell’art. 19 l. n. 241/1990) «sostituisce direttamente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale», deve essere letta nel senso che resta salva la riserva di cui all’art. 29, comma 2-quinquies, l. n. 241/1990 con riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Bolzano (con la precisazione che nella sentenza Corte Cost. n. 121/2014, richiamata nell’appellata sentenza, non si affronta la questione del rapporto dell’art. 49, comma 4-ter, d.-l. n. 78/2010 con l’art. 29, comma 2-quinquies, l. n. 241/1990, la quale pertanto esula dai limiti oggettivi del decisum costituzionale).

Da quanto sopra discende che la comunicazione del 23 marzo 2012 va qualificata alla stregua di istanza di ‘autorizzazione previa’ ai sensi della l. prov. n. 7/2000 vigente all’epoca della presentazione dell’istanza, alla quale non è applicabile ratione temporis il regime semplificato della S.c.i.a., all’epoca non ancora recepito nell’ordinamento provinciale.”

Da come si legge, la sentenza ha argomentato ampiamente sulle ragioni per cui ha ritenuto inapplicabile al caso in esame la disciplina SCIA. Il che elide in radice ogni ipotesi di sussistenza dell’errore revocatorio, in quanto qui si assiste ad una disamina articolata sulla normativa in vigore, rendendo insostenibile l’esistenza di una fattispecie rilevante per fondare il motivo proposto.

5. - Con il secondo motivo di diritto, recante “2. Errore di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccezione pregiudiziale di improcedibilità e inammissibilità dell’appello”, si lamenta la mancata pronuncia sulla sussistenza di un preesistente giudicato in ordine alla riconosciuta legittimità delle SCIA presentate da A nel 2012, fattispecie che imponeva al giudice di appello di pronunciarsi su tale profilo, trattandosi di questione logicamente e sostanzialmente pregiudiziale rispetto a qualsiasi ulteriore valutazione di ammissibilità ovvero di fondatezza delle impugnazioni avversarie.

Anche in relazione al secondo motivo, riferito alla sentenza non definitiva, deve sottolinearsi come sia stato poi integralmente ripetuto anche nel secondo motivo del ricorso avverso la sentenza conclusiva del giudizio. Pertanto, le osservazioni che seguono saranno riferite ad entrambe le doglianze.

5.1. - La doglianza non può essere condivisa.

La censura deve essere vagliata alla luce della successiva sentenza definitiva, qui congiuntamente impugnata, dove la Sezione si è fatta espressamente carico del tema, rispondendo così all’eccezione proposta. Si legge infatti in questa seconda decisione, al punto 10.3.1.:

“Si precisa al riguardo che – tenuto conto della natura impugnatoria dei giudizi intentati da A avverso il provvedimenti di diniego del 2012 prima e il provvedimenti di diniego del 2014 poi, e considerato che i due giudizi (quello definito con la sentenza n. 347/2013, ormai passata in giudicato, avente ad oggetto il provvedimento di diniego del 2012, e il presente giudizio, vertente sul provvedimento di diniego del 2014) hanno ad oggetto provvedimenti tra di loro distinti, fondati su diversi presupposti normativi e diverse motivazioni, e si distinguono pertanto per la diversità degli elementi identificativi del thema decidendi – deve escludersi, anche sotto tale profilo, qualsiasi incidenza sul presente giudizio del giudicato formatosi sulla pronuncia annullatoria del provvedimento del 2012 (ciò, ad ulteriore precisazione del rilievo al riguardo svolto nella sentenza non definitiva n. 3001/2008, § 8.3., ultimo capoverso, pronunciata nell’ambito delle parallele cause riunite r.g. n. 5006/2016 e n. 5144/2016). Infatti, il T.r.g.a., nella sentenza n. 347/2013, di annullamento del provvedimento basato sulla normativa previgente dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza Corte cost. n. 38/2013, ha espressamente precisato che la legge applicabile, da individuare secondo il principio tempus regit actum, era quella in vigore al momento dell’emanazione del gravato provvedimento, ossia la l. prov. n. 7/2012, ed ha espressamente escluso l’applicabilità, al provvedimento ivi impugnato, della l. prov. n. 3/2013, in quanto entrata in vigore dopo l’adozione dell’atto di diniego del 2012.”

Pertanto, la ragione revocatoria espressa appare infondata in fatto, atteso che, con la sentenza con cui è stato concluso il giudizio, la Sezione ha espressamente preso posizione sull’eccezione sollevata.

6. - Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “3. Contrarietà a precedente giudicato ai sensi dell’art. 395 n. 5 c.p.c..”, viene rilevato come la sentenza sia altresì affetta da vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395 n. 5 c.p.c. secondo cui "le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione".

Come per i precedenti, anche il terzo motivo riferito alla sentenza non definitiva è stato esteso alla sentenza conclusiva del giudizio. Pertanto, le osservazioni che seguono saranno riferite ad entrambe le doglianze.

6.1. - La censura non ha pregio.

Come rilevato in relazione al motivo che precede, la stessa sentenza che ha definito il giudizio ha riscontrato la diversità di presupposti in ordine ai precedenti giudicati ritenuti contrastanti.

L’esistenza del contrasto è stata dunque oggetto di espressa pronuncia in sede di decisione e, quindi, non può essere qui vagliata nel senso di rimettere in discussione quanto ivi statuito, atteso che la rilevanza del motivo revocatorio di cui all’art. 395 n. 5 c.p.c. è subordinata alla circostanza che il giudice non abbia pronunciato sull'eccezione di giudicato esterno (Cons. Stato, V, 22 settembre 2017, n. 4434;
Cass. civ., VI, 20 giugno 2017, n. 15346;
Cass. civ., II, 8 gennaio 2014, n. 155;
Cons Stato, IV, 4 febbraio 2004, n. 388), vicenda qui invece interamente realizzatasi.

Pertanto, anche il detto motivo risulta inammissibile.

7. - Conclusivamente, i ricorsi per revocazione così riuniti vanno dichiarati inammissibili. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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