Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-27, n. 201908100

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-27, n. 201908100
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908100
Data del deposito : 27 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/11/2019

N. 08100/2019REG.PROV.COLL.

N. 09017/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9017 del 2008, proposto dal sig. P M, rappresentato e difeso dagli avvocati M G C e A S, e con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L B in Roma, Corso Trieste n. 128;

contro

il Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso, da ultimo, dagli avvocati F M F,. A A e G R, e con gli stessi elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 18, presso lo studio Grez &
Associati srl.

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 7147/2007, resa tra le parti e concernente sanzioni edilizie.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2019 il Cons. G L e udito l’avvocato Giuseppe Pecorilla su delega dell’avvocato G R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello notificato al Comune di Napoli il 28 ottobre 2008 e depositato il 18 novembre 2008 il sig. P M ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 7147/2007 del 31 luglio 2007, la quale si è pronunciata sul ricorso n. 6291/2006, recante anche richiesta risarcitoria, e sui successivi motivi aggiunti.

L’impugnativa era stata proposta dal suddetto signor P M e dalla signora Francesca Luongo:

- quanto al ricorso introduttivo: per l’annullamento, con gli atti connessi, della disposizione dirigenziale n. 1191 del 7 aprile 2006 con cui la Direzione centrale VI - Servizio edilizia privata ed antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli aveva disposto la demolizione, e in caso di inottemperanza l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale, di opere abusive realizzate in Via vicinale Cupa Arianova n. 72 e consistite nella realizzazione di: tettoia in lamiere miste di 700 mq circa a mt.3,30 di altezza sorretta da muratura perimetrale di recinzione preesistente;
tettoia in lamiere zincate di mq.60 circa a mt.4,80 di altezza;
installazione di 30 containers ciascuno di circa mq 5,00x 2,50 di altezza posti al di sotto delle tettoie;

- quanto ai motivi aggiunti: per l’annullamento, con gli atti connessi, della disposizione dirigenziale n. 744 del 29 dicembre 2006 con cui il la suddetta Direzione centrale VI - Servizio edilizia privata ed antiabusivismo edilizio del Comune di Napoli aveva disposto il diniego sull’istanza di accertamento in conformità presentata ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 e rinnovato l’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.

La sentenza gravata ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo (perché proposto successivamente ad istanza d’accertamento di conformità) e respinto i motivi aggiunti, compensando le spese.

L’appello reca sette ordini di censure, esposte più in dettaglio nella parte in diritto della presente sentenza in applicazione del principio di sinteticità di cui all’articolo 3 del Codice del processo amministrativo.

Il Comune di Napoli si è costituito e ha depositato memoria in data 17 ottobre 2009, chiedendo il rigetto del ricorso con ogni conseguenza di legge.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 29 gennaio 2014 parte appellante ha depositato, in data 25 luglio 2014, domanda di fissazione di udienza.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 22 ottobre 2019.

DIRITO

Nessuno dei motivi d’appello è fondato.

1.1 - Diversamente da quanto asserito dall’appellante, la presentazione dell'istanza di cancellazione della causa dal ruolo, non opposta dalla controparte, non precludeva al primo giudice la decisione della causa nel merito.

L’appellante richiama in proposito il principio del potere dispositivo delle parti nel processo, e cita a mo’ di esempio la possibilità per il ricorrente di determinare la perenzione del processo in assenza di istanza di fissazione di udienza entro il termine di legge;
e rileva che il principio opera anche in presenza dell'art. 45 (“ Norme relative all'azione penale ”) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ( n.d.r. : il cui comma 2, prima della abrogazione operata dall'art. 4, comma 1, n. 26), dell'Allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104: prevedeva: “ Nel caso di ricorso giurisdizionale avverso il diniego del permesso in sanatoria di cui all'articolo 36, l'udienza viene fissata d'ufficio dal presidente del tribunale amministrativo regionale per una data compresa entro il terzo mese dalla presentazione del ricorso ”) giacché esso introduce un principio di favor per il ricorrente.

Ma la cancellazione della causa dal ruolo non è atto dovuto che consegua alla semplice formulazione della relativa domanda. Trattasi invece di espressione del potere discrezionale del presidente del collegio, che qualora ritenga la causa matura per la decisione correttamente può ritenere di non rinviarne la trattazione, a meno che il ricorrente non eserciti il suo potere dispositivo sull’azione in toto , rinunciando ad essa definitivamente con gli istituti all’uopo predisposti: nel processo amministrativo vige sì il principio dispositivo dell’azione, ma nel giudizio vengono in rilievo, oltre agli interessi privati, anche gli interessi pubblici coinvolti nella controversia (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823).

Correttamente pertanto, e peraltro con adeguata motivazione, cui si rinvia, la sentenza appellata ha disatteso la domanda di cancellazione dal ruolo.

1.2 - Il mezzo successivo afferma che il T ha errato nel ritenere inammissibile (per la mancata specificazione delle circostanze di fatto su cui essa poggiava) la prima censura dei motivi aggiunti, la quale aveva affermato che l'assoluta illegittimità della sanzione irrogata discendeva, incontestabilmente, dalla totale inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto che ne consentivano l'applicazione, trattandosi di tettoie la cui realizzazione era soggetta a denuncia di inizio attività ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, lettere e.5 ed e.6 ), 10, comma 1, lettera a) , e 22, comma 1, del citato d.P.R. n. 380/2001, trattandosi di manufatti leggeri a carattere temporaneo e/o di pertinenze.

In proposito si osserva che a fronte della specifica descrizione dell’abuso (“ realizzazione di: tettoia in lamiere miste di 700 mq circa a mt.3,30 di altezza sorretta da muratura perimetrale di recinzione preesistente;
tettoia in lamiere zincate di mq.60 circa a mt.4,80 di altezza;
installazione di 30 containers ciascuno di circa mq 5,00x 2,50 di h posti al di sotto delle tettoie
”) la prima censura dei motivi aggiunti si limitava ad affermare in fatto che le opere sanzionate consistevano nell’abbattimento e rifacimento di preesistenze in loco , per poi proseguire nella descrizione di quali debbano intendersi gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche alla luce della legge della regione Campania 28 novembre 2001, n. 19 e del relativo Regolamento di attuazione, nonché della Circolare del Ministero delle infrastrutture dei trasporti n. 4174 del 2003, anche con riferimento al concetto di diversa distribuzione dei volumi (non più “sagoma” ma “ingombro”);
e richiamando la competenza concorrente, ai sensi del Titolo V della Costituzione, della legislazione regionale rispetto a quella statale;
nonché rilevando l’assimilazione al concetto di ristrutturazione quello della “sostituzione edilizia”;
e concludendo per la piena legittimità delle opere sanzionate.

A fronte di ciò appare condivisibile l’assunto del T il quale:

- ha rilevato che la premessa al primo dei motivi aggiunti – la quale, senza contestare che le tettoie hanno determinato la realizzazione di un nuovo capannone e conseguente aumento di volumetria, ha affermato, genericamente e senza distinguere tra le varie tipologie di tettoie ed i containers installati, che l'intervento in questione costituisce opera precaria destinata ad assolvere esigenze contingenti e limitate nel tempo e comunque realizzabili con D.I.A. – è infondata, oltre che non provata in punto di fatto;

- ha ritenuto inammissibile il predetto primo motivo del ricorso per motivi aggiunti in quanto avulso da ogni riferimento fattuale oltre che, nel riferirsi alle ristrutturazioni edilizie, contrastante con la premessa suddetta, la quale aveva definito gli interventi in questione come strutture precarie;

- ha rilevato: “ nel processo amministrativo è inammissibile la censura dedotta a fronte della inottemperanza all'onere processuale di dare esauriente e precisa indicazione dei motivi su cui la pretesa è fondata, inclusa la specificazione delle circostanze di fatto da cui la reale consistenza della stessa possa desumersi [….]”.

Il T, peraltro, pur condivisibilmente affermando l’inammissibilità della censura, ha comunque ritenuto di esprimersi, per completezza, sulle singole censure dei motivi aggiunti (vedi infra , in sede di esame delle ulteriori censure d’appello).

1.3 - Diversamente da quanto affermato nel terzo motivo d’appello il T non ha omesso completamente l'esame della censura limitandosi, senza disporre una necessaria istruttoria, “ a ritenerne l'inammissibilità sulla base della apodittica affermazione dell'Amm.ne che tratterebbesi, nella specie, di nuovi volumi ”: il T invece ha correttamente rilevato (a fronte delle caratteristiche delle notevoli opere realizzate) la genericità dell'asserzione del ricorrente secondo la quale per l’opera sanzionata la natura di intervento conservativo di volume preesistente (e dunque di conformità alle previsioni degli artt. 31 e 33 della Variante generale al P.R.G.) si poteva desumere dalla sola annotazione dei vigili urbani, nel verbale di contestazione dell'infrazione, circa la constatazione della preesistenza di " muratura perimetrale di recinzione ”.

1.4 - Parimenti non fondata è l’asserzione d’appello secondo cui il T non avrebbe valutato la censura di primo grado che prospettava a carico del Comune l’omissione degli accertamenti, di cui all’articolo 33 del d.P.R. n. 380/2001, volti ad accertare la possibilità di sostituire il ripristino dello stato dei luoghi con una sanzione pecuniaria;
nonché l’omissione, da parte del Comune, della relativa motivazione.

In proposito appare sufficiente riportare il testo della relativa pronuncia della sentenza appellata: “ il lamentato difetto di motivazione non ricorre in quanto il provvedimento impugnato, non solo riporta l'iter procedimentale percorso e la compiuta istruttoria ma esplicita altresì, compiutamente ed analiticamente, le ragioni ostative al rilascio della richiesta sanatoria e le motivazioni sottese al rinnovo dell'ordine di demolizione, in relazione alla normativa di riferimento in materia edilizia ed urbanistica;
va rilevato, poi, che il provvedimento che ordina la demolizione di manufatti abusivi è atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo e quindi abusivamente (fra le tante, C.d.S., VI, 28 giugno 2004, n. 4743) e dunque non abbisogna di congrua motivazione in ordine alla valutazione della possibilità di procedere al ripristino o meno dello stato dei luoghi, essendo la possibilità di disporre la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ipotesi del tutto residuale e non riferibile alla fattispecie in esame
”;
completando il rilievo con la considerazione che, come sinteticamente ma sufficientemente rilevato dal T, la invocata ipotesi di cui all’articolo 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 - ipotesi che si riferisce alla possibile irrogazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile - appare effettivamente non riferibile alla fattispecie in esame;
sia perché non è dato di ravvisare, né è stata dimostrata dall’appellante, un’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi, sia perché, come noto, l’applicabilità della sanzione pecuniaria sostitutiva disciplinata dall'art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 rappresenta solo un'ipotesi subordinata, da valutare su prospettazione dell’interessato o quando emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione (v., per tutte, Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 novembre 2016, n. 4855).

1.5 - Il mezzo successivo lamenta che in primo grado si era evidenziata l'illegittimità della statuizione comunale nella parte in cui disponeva la demolizione delle opere presunte abusive anziché disporne l'acquisizione al patrimonio del Comune secondo quanto stabilito dall’articolo 31, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001;
e che “ il provvedimento, inoltre, difettava di qualunque motivazione in ordine alla scelta effettuata che era configurata dalla norma in maniera residuale ”.

In proposito la sentenza appellata sarebbe affetta da grave vizio perché priva di qualsiasi considerazione in proposito.

La censura va riferita non al ricorso di primo grado introduttivo del giudizio, ma ai motivi aggiunti, poiché tutta la tematica del ricorso introduttivo è stata chiusa dalla relativa pronuncia di inammissibilità, non contestata nell’appello.

Ciò premesso, la presente censura è inammissibile, poiché se in effetti la disposizione dirigenziale n. 744 del 29 dicembre 2006 impugnata con i motivi aggiunti ha disposto la demolizione delle opere abusive e non anche l'acquisizione al patrimonio comunale, non risulta ne è prospettato uno specifico interesse dell’appellante a lamentare il mancato inserimento nell’atto impugnato dell’ulteriore e afflittiva sanzione dell’acquisizione del bene al patrimonio del Comune.

1.6 - L’appello lamenta altresì che il T ha valutato con illegittima indulgenza la denunciata violazione dei principi in tema di partecipazione al procedimento.

La censura è infondata, perché in proposito il T ha correttamente rilevato che il provvedimento di rigetto dell'istanza di concessione edilizia in sanatoria, essendo il relativo procedimento a istanza di parte, non necessitava dell’avviso di inizio procedimentale;
e che comunque il Comune, con nota prot. n. 4037 del 9 novembre 2006, aveva comunicato al ricorrente, ai sensi dell’articolo 10- bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria.

1. 7 - Da ultimo l’appellante afferma essere non comprensibile il rigetto della finale considerazione dei motivi aggiunti la quale invocava un principio generale di “edificabilità di fatto”, desumibile dalla normativa in tema di espropriazione per pubblica utilità di cui all’articolo 5- bis , commi 3 e 5, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359.

In proposito va premesso che la disposizione è stata poi abrogata agli articoli 58 dei decreti legislativi 8 giugno 2001, n. 325 e n. 327;
e che gli articoli 37 dei medesimi decreti legislativi riferiscono espressamente la edificabilità di fatto non alla materia edilizia ma “ ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni in tema di determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area edificabile o legittimamente edificata ”.

In ogni caso il suddetto concetto di “edificabilità di fatto” appare estraneo alla tematica della sanatoria di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001, sanatoria vincolata al suddetto accertamento della “doppia conformità” alla disciplina urbanistica. E il richiamo all'art. 5- bis del decreto-legge n. 333/1992 è inconferente, trattandosi di disposizione dettata in riferimento ai procedimenti di esproprio, e dunque non incidendo tale norma sulla legittimità o meno dello opere edilizie oggetto di causa (confr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 ottobre 2018, n. 6176).

Pertanto correttamente il T ha rilevato in proposito che il concetto di “edificabilità di fatto” risulta avulso da qualsiasi prescrizione in materia e in contrasto principi dell’intera legislazione in materia urbanistica ed edilizia.

2. - L’appello va dunque respinto.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

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