Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-02-02, n. 201500462

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-02-02, n. 201500462
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500462
Data del deposito : 2 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05770/2013 REG.RIC.

N. 00462/2015REG.PROV.COLL.

N. 05770/2013 REG.RIC.

N. 06081/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5770 del 2013, proposto dalla società Nuova Scotto Nicola e Figli S.n.c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati G G e B N, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via S. Caterina da Siena, 46

contro

Comune di Monte Argentario, in persona del sindaco, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato N G, con domicilio eletto presso lo Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18

nei confronti di

Emporio del Sub di Tocco G&C. s.n.c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvana Lombardi e Lorenzo Silvestrini, con domicilio eletto presso Lorenzo Silvestrini in Roma, circonvallazione Clodia, 165



sul ricorso numero di registro generale 6081 del 2013, proposto dalla società Nuova Scotto Nicola e Figli S.n.c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati G G e B N, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via S. Caterina da Siena, 46

contro

Comune di Monte Argentario, in persona del sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato N G, con domicilio eletto presso lo Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18

nei confronti di

Emporio del Sub di Tocco G&C. s.n.c., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvana Lombardi e Lorenzo Silvestrini, con domicilio eletto presso Lorenzo Silvestrini in Roma, circonvallazione Clodia, 165

per la riforma:

- quanto al ricorso n. 5770 del 2013: della sentenza in forma semplificata del T.A.R. della Toscana, Sezione III;
n. 1093/2013;

- quanto al ricorso n. 6081 del 2013: della sentenza in forma semplificata del T.A.R. della Toscana, Sezione III;
n. 1092/2013


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monte Argentario e della società Emporio del Sub di Tocco G&C. s.n.c.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il Cons. C C e uditi per le parti l’avvocato Clarizia per delega dell’avvocato Greco, l’avvocato Paola Salvatore per delega dell’avvocato Giallongo, e l’avvocato Sanino per delega dell’avvocato Lombardi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Nuova Scotto Nicola e Figli s.n.c. (d’ora in poi: ‘la Nuova Scotto’ o ‘la società appellante’) riferisce di essere attiva nel settore della diportistica navale e di avere gestito per alcuni decenni, in regime di concessione, una parte degli specchi acquei del porto di Porto Ercole (per una superficie complessiva di mq. 3720), ivi mantenendo un punto di ormeggio per unità da diporto costituito (fra l’altro) da un pontile, una passerella e i relativi annessi.

La concessione demaniale marittima n. 21/2005 del 6 ottobre 2005 rilasciata in suo favore prevedeva la data di scadenza del 31 dicembre 2006.

A fronte della richiesta di rinnovo della concessione in godimento, il Comune di Monte Argentario rilasciava in un primo momento la concessione n. 18 del 2007 (in scadenza al 31 dicembre 2010) la quale veniva tuttavia annullata con sentenza di questo Consiglio di Stato 30 settembre 2010, n. 7239, per mancanza di adeguata pubblicità della procedura.

Il Comune di Monte Argentario decideva quindi di mettere a gara anche il lotto 11 - già oggetto della concessione n. 21 del 2005 - e la gara veniva in un primo momento aggiudicata alla società Emporio del Sub di T G &
C. s.n.c. (d’ora in poi: ‘la Emporio del sub’ o ‘la società appellata’). L’odierna ricorrente impugnava gli atti di quella procedura ma, a seguito dell’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione in questione, il ricorso veniva dichiarato improcedibile con sentenza del T.A.R. della Toscana 23 luglio 2012, n. 1358.

Medio tempore questo Consiglio di Stato, con sentenza 2 maggio 2011, n. 2565, aveva respinto il ricorso in ottemperanza proposto dall’odierna appellante avverso gli atti di indizione della gara, ritenendoli assunti in violazione del giudicato rinveniente dalla precedente pronuncia n. 7239/2010.

Il Comune di Monte Argentario ha quindi espletato nuova gara (ancora una volta in relazione al lotto 11) alla quale l’odierna appellante ha partecipato. Anche in questo caso, tuttavia, la gara è stata vinta dalla Emporio del Sub s.n.c.

Gli atti di indizione della procedura e l’aggiudicazione in favore della Emporio del Sub sono stati impugnati dalla Nuova Scotto dinanzi al T.A.R. della Toscana il quale, con sentenza 10 luglio 2013, n. 1092/2013, ha accolto il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria Emporio del Sub al fine di contestare la stessa ammissione alla gara dell’odierna appellante e ha in parte respinto, in parte dichiarato irricevibile e in parte improcedibile il ricorso principale.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla ‘Nuova Scotto’ (ricorso n. 608172013) la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Violazione delle regole e dei principi in tema di interpretazione e qualificazione dell’azione – Violazione degli artt. 32 e 37 c.p.a.;

2) Erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso principale per effetto del preliminare esame del ricorso incidentale – Violazione dell’art. 1, paragrafo 3 della direttiva 89/665/CE – Sentenza della Corte di giustizia dell’UE 4 luglio 2013 in causa C-100/12 – Erroneo accoglimento della censura proposta con il ricorso incidentale concernente la violazione dell’articolo 38, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 163 del 2006 – Violazione della lex specialis e dei principi di massima partecipazione e di affidamento;

3) Omesso esame degli ulteriori motivi di ricorso di primo grado, qui riproposti .

Medio tempore era accaduto che il Comune di Monte Argentario, avendo rilevato la persistente occupazione dell’area coincidente con il ‘lotto 11’ da parte della società appellante, avesse adottato un’ordinanza di sgombero (provvedimento in data 19 aprile 2013).

Il provvedimento in questione veniva impugnato dalla Nuova Scotto dinanzi al T.A.R. della Toscana (ricorso n. 708/2013) il quale respingeva il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello (ricorso n. 5770/2013) dalla Nuova Scotto la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della l. n. 241 del 1990, dei principi del giusto procedimento scaturente dal giudicato di conservazione degli atti di continuità amministrativa – Violazione dell’articolo 10 della l. 16 marzo 2001, n. 88, dell’articolo 1, comma 18 della l. 26 febbraio 2010, n. 25;
dell’articolo 16, comma 1 della l.r. Toscana 23 dicembre 2009, n. 77 – Violazione degli articoli 54 e 1161 del cod. nav. – Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta e sviamento;

2) Violazione degli artt. 3 e 10 della l. n. 241 del 1990 – Ececsso di potere per difetto di istruttoria;

3) Eccesso di potere sotto un ulteriore profilo per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà e sviamento – Violazione del principio di autodeterminazione amministrativa.

In entrambi i giudizi di appello si sono costituiti il Comune di Monte Argentario e l’aggiudicataria società Emporio del sub di T G le quali hanno concluso nel senso dell’infondatezza degli appelli .

Con ordinanza n. 3314/2013 (resa all’esito della Camera di consiglio del 27 agosto 2013) è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza n. 1093/2013.

Con ordinanza n. 3316/2013 (resa in pari data) è stata altresì respinta l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza n. 1092/2013.

Risulta agli atti che nel settembre del 2013 il Comune di Monte Argentario sia tornato effettivamente nella disponibilità delle aree a suo tempo detenute dalla società appellante e che le stesse siano attualmente gestite, in regime di concessione, dall’appellata società ‘Emporio del Sub’.

Alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014 i due ricorsi in epigrafe sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 5770/2013 proposto da una società attiva nel settore della diportistica navale avverso la sentenza del T.A.R. della Toscana n. 1093/2013 con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento del 19 aprile 2013 con cui il Comune di Monte Argentario le ha ingiunto la rimessione in pristino di un’area demaniale marittima in precedenza detenuta in concessione.

Giunge altresì alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 6081/2013 proposto dalla medesima società avverso gli atti con cui il Comune di Porto Ercole ha dapprima deliberato di indire una procedura aperta per l’affidamento in concessione demaniale dell’area già in precedenza affidatale e, in seguito, ha affidato la concessione in parola alla Emporio del Sub di T G &
c. s.n.c.

2. I ricorsi in epigrafe devono essere riuniti per evidenti ragioni di connessione soggettiva e in parte oggettiva.

3. Il Collegio ritiene che, ai fini del decidere, assuma rilievo del tutto preliminare l’esame dei motivi con cui l’appellante Nuova Scotto ha lamentato la mancata valutazione (da parte del Comune di Monte Argentario prima e del T.A.R. poi) dell’intervenuta proroga ex lege della concessione demaniale marittima n. 21/05 (la quale, in corretta applicazione dell’articolo 10, comma 1 della l. 16 marzo 2001, n. 88 sarebbe venuta in scadenza al 31 dicembre 2008 e poi al 31 dicembre 2014 - o quanto meno, al 31 dicembre 2012, considerato che tale concessione non risultava interessata dalla decisione di annullamento n. 7239/2010 -).

Secondo l’appellante, del resto, anche a non voler condividere i rilievi appena svolti, si sarebbe dovuta applicare nel caso in esame la proroga ex lege di cui al comma 18 dell’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (e di cui al comma 1 dell’articolo 16 della l.r. Toscana n. 77 del 2009, di analogo contenuto) che hanno disposto la proroga delle concessioni del tipo di quella per cui è causa sino al 31 dicembre 2015 (termine ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2020 dal comma 1 dell’articolo 34- duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 in combinato disposto con il comma 547 dell’articolo 1 della l. 24 dicembre 2012, n. 228).

Laddove il Comune (e in seguito il T.A.R.) avessero correttamente apprezzato la sussistenza di una delle richiamate proroghe ex lege , avrebbero dovuto necessariamente concludere nel senso dell’insussistenza:

- dei presupposti per bandire una nuova gara (si tratta degli atti impugnati nell’ambito del ricorso di primo grado conclusosi con la sentenza n. 1092/2013 - impugnata in appello con il ricorso n. 6081/2013 -);

- dei presupposti per disporre lo sgombero dell’area (si tratta del provvedimento impugnato nell’ambito del ricorso di primo grado conclusosi con la sentenza n. 1093/2013 – impugnata con il ricorso n. 5770/2013 -).

L’argomento relativo all’intervenuta proroga ex lege della concessione demaniale n. 21/2005 è stato utilizzato dall’odierna appellante per due volte nel corso della complessiva vicenda.

La Nuova Scotto ha prospettato una prima volta tale motivo nell’ambito del ricorso al T.A.R. 259/2013 (si tratta del ricorso avverso gli atti con cui il Comune ha nuovamente indetto una procedura aperta per l’affidamento in concessione dell’area). Con la sentenza n. 1092/2013 il T.A.R. ha respinto il motivo in questione ravvisandone la tardività: ed infatti tale motivo di ricorso è stato ritenuto rivolto avverso un presunto profilo di illegittimità degli atti impugnati (il che sarebbe dovuto avvenire nel termine di decadenza), laddove non sarebbe predicabile l’invocata riqualificazione del presunto vizio (operata in sede di motivi aggiunti in primo grado) come relativo alla nullità degli stessi atti di indizione della procedura.

In sede di appello la Nuova Scotto ha chiesto la riforma in parte qua della sentenza osservando che, laddove i primi Giudici avessero correttamente interpretato il motivo di ricorso per come originariamente articolato, si sarebbero avveduti del fatto che esso fosse davvero volto a censurare profili di nullità degli atti impugnati, ragione per cui la relativa censura sarebbe stata tempestivamente proposta.

L’appellante ha prospettato una seconda volta l’argomento relativo all’intervenuta proroga ex lege della concessione n. 21/2005 nell’ambito del ricorso al T.A.R. 708/2013 (si tratta del ricorso avverso gli atti con cui il Comune ha ingiunto la rimessione in pristino dell’area).

Con la sentenza n. 1093/2013 il T.A.R. ha respinto il motivo in questione rilevando: a ) che non sussistono i presupposti per invocare la proroga ex lege della concessione ai sensi del comma 18 dell’articolo 1 del decreto-legge 194 del 2009 in quanto, per effetto della sentenza di questo Consiglio 7239/2010, la concessione n. 18/2007 era stata annullata con effetto ex tunc, in tal modo facendo venir meno l’esistenza stessa di un titolo concessorio alla data di entrata in vigore dello stesso decreto n. 194; b ) neppure sussistono i presupposti per invocare l’intervenuta proroga ex lege della concessione in quanto la normativa a tal fine invocata si applica in modo esclusivo alle concessioni a finalità turistico-ricreativa e non può trovare applicazione nel caso – che qui ricorre – di concessioni per punti di ormeggio per unità da diporto.

In sede di appello la Nuova Scotto ha lamentato l’erroneità della sentenza n. 1093/2013 per avere i primi Giudici ritenuto che la proroga fosse stata invocata in relazione alla sola concessione n. 18/2007 e non anche in relazione alla concessione n. 21/2005 (in tal modo travisando gli atti di causa).

Inoltre, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:

- che l’annullamento in sede giurisdizionale della concessione n. 18/2007 aveva restituito piena operatività alla pregressa concessione n. 21/2005 (imponendo, quindi, la corretta valutazione della proroga di quest’ultima);

- che, in base alla giurisprudenza amministrativa, la normativa in tema di proroga ex lege di durata delle concessioni trova applicazione anche nel caso – che qui ricorre – di concessioni per punti di ormeggio per unità da diporto;

- che laddove l’amministrazione avesse (peraltro doverosamente) riattivato il procedimento relativo all’attribuzione della concessione per cui è causa all’indomani dell’annullamento in sede giurisdizionale della concessione n. 18/2007 avrebbe necessariamente (e con atto meramente ricognitivo) dovuto dare atto dell’intervenuta proroga ex lege della pregressa concessione n. 21/2005.

3.1. I motivi in tal modo riproposti non possono essere condivisi.

3.1.1. Si osserva al riguardo che, anche a prescindere dalla questione relativa alla tempestività nella proposizione del motivo di ricorso concernente l’intervenuta proroga ex lege della concessione per cui è causa (si tratta di un aspetto che, pure, è stato ritenuto dirimente nell’ambito della delibazione cautelare d’appello – ordinanza n. 1846/2013 -), il motivo in questione risulta nondimeno infondato nel merito.

E siccome (per le ragioni che fra breve si esporranno) la Nuova Scotto non poteva a buon diritto vantare l’intervenuta proroga del titolo concessorio, non si fa qui luogo ad esaminare la questione relativa alla qualificazione (in termini di nullità ovvero di annullabilità) del presunto vizio che inficerebbe le determinazioni di indizione della nuova gara. Ciò, per l’assorbente ragione dell’insussistenza di tale vizio.

3.1.2. Va premesso che la sentenza n. 1093/2013 non risulta condivisibile laddove afferma che la proroga di cui all’articolo 1, comma 18 del decreto-legge n. 194 del 2009 resterebbe esclusa nel caso delle concessioni aventi ad oggetto punti di ormeggio per unità da diporto (che non sarebbero riconducibili alla nozione di ‘strutture ‘turistico-ricreative’).

E’ stata correttamente richiamata, in senso contrario, la giurisprudenza di questo Consiglio la quale ha chiarito che la richiamata disposizione di proroga trova in effetti applicazione anche nel caso – che qui ricorre – delle concessioni aventi ad oggetto punti di ormeggio per unità da diporto (in tal senso: Cons. Stato, VI, 18 aprile 2013, n. 2151).

Tuttavia, pur potendosi ammettere – in via astratta - che la proroga ex lege riguardasse anche tale tipologia di concessioni, il punto è che nel caso in esame non ricorrevano i presupposti perché una siffatta proroga potesse essere in concreto invocata.

3.2. Come si è detto in precedenza, i primi Giudici hanno respinto la tesi dall’appellante osservando che l’annullamento della concessione n. 18/07 disposto da questo Giudice di appello (sentenza n. 7239/2010) sortiva effetto ex tunc e quindi comportava che, alla data di entrata in vigore della disposizione di proroga (si tratta del comma 18 dell’articolo 1 del decreto-legge n. 194 del 2009, entrato in vigore il 30 dicembre 2009), non vi fosse alcuna concessione la cui durata potesse in realtà essere prorogata.

Va qui premesso che considerazioni in tutto analoghe valgono per la previsione – di analogo contenuto – di cui al comma 1 dell’articolo 16 della legge regionale 23 dicembre 2009, n. 77.

In sede di appello la Nuova Scotto ha osservato che l’argomentazione svolta dai primi Giudici prenderebbe le mosse da “ [un] inspiegabile quanto grossolano equivoco ” (pag. 8 dell’atto di appello): quello secondo cui l’odierna appellante avrebbe invocato l’operatività della proroga in relazione alla concessione n. 18/07 e non (come in realtà era avvenuto) in relazione alla concessione n. 21/05.

Il Collegio prende atto di tale prospettazione ma osserva che, impostati in tal modo i termini della questione, la richiamata proroga ex lege non poteva comunque essere invocata.

Ciò in quanto la concessione demaniale marittima n. 21/05 era già venuta a scadenza al 31 dicembre 2006 e pertanto non risultava più operativa alla data di entrata in vigore della più volte richiamata disposizione di proroga, entrata in vigore solo il 30 dicembre 2009. Per le stesse ragioni, non sussistevano le ragioni per invocare l’ulteriore proroga legale di cui all’articolo 34- duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012.

Né risulta in atti che l’odierna appellante abbia contestato l’imposizione di un termine di durata solo quadriennale per la concessione in parola (la cui durata copriva, appunto, il periodo di quarantotto mesi dal 1° gennaio 2003), invocando – come ha poi tardivamente fatto nella sede giudiziale – la diversa durata sessennale del titolo.

Del resto, l’imposizione della durata del vincolo concessorio pertiene al segmento autoritativo della fattispecie e, quand’anche difforme rispetto al pertinente paradigma normativo, concreta un vizio di illegittimità dell’atto concessorio che deve essere impugnato entro l’ordinario termine di decadenza.

Ne risulta pertanto destituita di fondamento la tesi dell’appellante, secondo cui la durata sessennale del rapporto costituirebbe una sorta di effetto naturale del rilascio della concessione in quanto tale, ragione per cui la pretesa a vederne riconoscere la (corretta) durata si configurerebbe quale posizione di diritto soggettivo passibile di mero accertamento in sede giurisdizionale, come tale e in quanto determinante una impossibilità giuridica dell’oggetto.

3.3. A sostegno delle proprie tesi l’appellante ha richiamato la sentenza di questo Consiglio 13 giugno 2011, n. 3554 la quale avrebbe enunciato il principio secondo cui il titolare di una concessione demaniale marittima potrebbe invocare anche ex post la corretta determinazione della durata del titolo, laddove non abbia tempestivamente impugnato il provvedimento che ne ha (in ipotesi, erroneamente) determinato tale durata.

Il Collegio osserva, tuttavia, che la sentenza n. 3554/2011 non enuncia il principio in questione e che essa è stata resa in relazione a una vicenda non assimilabile a quella che qui ricorre.

In quel caso veniva in rilievo una concessione demaniale (correttamente) rilasciata per una durata quadriennale in un periodo in cui non era ancora entrato in vigore il nuovo comma 2 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, per come introdotto dall'articolo 10 della l. 16 marzo 2001, n. 88 (il quale ha esteso, appunto, a sei anni la durata ordinaria delle concessioni demaniali marittime).

Veniva, altresì, in rilievo la questione se l’estensione ex lege (da quattro a sei anni) della durata delle concessioni riguardasse anche le concessioni in essere alla data di entrata in vigore della novella normativa del 2001.

Ebbene, in quell’occasione il Consiglio di Stato, dopo aver ritenuto che l’estensione ex lege della durata delle concessioni demaniali operasse anche con riguardo alle concessioni già in essere, osservò che il titolare della concessione relativa al casus decisus non avrebbe potuto – né dovuto – impugnare la determinazione relativa alla durata solo quadriennale del proprio titolo, per la semplice ragione che tale durata era conforme al paradigma normativo vigente al momento della sua emanazione (al punto 3.1. della motivazione si legge infatti che “ (…) la concessione di cui si discute - emessa nel periodo di vacatio legis della nuova disciplina - non avrebbe potuto essere oggetto di impugnativa con riferimento alla durata di sei anni da quest'ultima prevista, non potendosi assumere come parametro di legittimità dell'atto, al momento della relativa emanazione, una disposizione legislativa non ancora efficace. Non può dunque condividersi, sotto tale profilo, l'argomentazione della sentenza appellata, secondo cui la censura di violazione dell'art. 10 della citata l. n. 88/2001 non avrebbe potuto essere proposta, non essendo stato tempestivamente contestata la durata quadriennale, conforme alla normativa previgente ”).

Si tratta – come è del tutto evidente – di un caso ben diverso da quello che qui ricorre, in cui la fissazione di un termine solo quadriennale di durata era ben noto sin dall’inizio alla Nuova Scotto la quale – se ne avesse ravvisato la non conformità a legge – avrebbe ben potuto ( rectius : dovuto) insorgere tempestivamente avverso tale parte della determinazione amministrativa.

Concludendo sul punto, l’appello in epigrafe non può trovare accoglimento per la parte in cui postula che, pure a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale della concessione n. 18/07, il rapporto concessorio con il Comune di Monte Argentario fosse comunque ancora in essere, a causa della proroga ex lege della precedente concessione n. 21/05 (la quale avrebbe impedito sia di avviare una nuova procedura di gara, sia di ingiungere il rilascio dell’area olim in concessione).

3.4. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato, si osserva altresì che il contegno tenuto dalla società appellante nell’ambito della vicenda di causa risultava del tutto incompatibile con la tesi – qui sostenuta – della non intervenuta decadenza della concessione n. 21/05 e della pretesa proroga ex lege di tale titolo.

Al riguardo si osserva: a ) che, all’approssimarsi della scadenza della concessione n. 21/05 (e precisamente, in data 19 settembre 2006) l’odierna appellante ebbe a richiedere il ‘rinnovo’ di tale concessione; b ) che nell’ambito della concessione n. 18/07 (il cui testo era firmato dal legale rappresentante dell’appellante per accettazione del relativo contenuto) si dava espressamente atto dell’intervenuta decadenza della concessione n. 21/05 alla data del 31 dicembre 2006; c ) che, conseguentemente, la tesi qui sostenuta della mancata scadenza del titolo si pone in evidente contrato con il generale divieto del venire contra factum proprium , espressione di un generale canone di correttezza in ambito sostanziale prima ancora che processuale (per una più generale enunciazione del principio, v. Cons. Stato, III, 7 aprile 2014, n. 1630; id ., 8 febbraio 2013, n, 703).

3.5. Per ragioni connesse con quelle appena esposte, neppure può trovare accoglimento il motivo con cui si è affermato: a ) che all’indomani della sentenza di annullamento n. 7239/2010 (per come interpretata, nel suo concreto contenuto conformativo, dalla successiva sentenza n. 2562/2011) sussistesse in capo all’amministrazione un obbligo di provvedere in ordine alla pregressa istanza di rinnovo del titolo concessorio; b ) che, laddove l’amministrazione avesse correttamente provveduto in ordine a tale istanza, non avrebbe potuto esimersi dal riconoscere la perdurante vigenza della concessione n, 21/05, operando la più volte richiamata proroga legale (ovvero, operando più semplicemente la durata correttamente individuata in base al pertinente paradigma normativo).

Quanto al primo aspetto, si osserva che, nonostante l’indubbia enfasi che l’odierna appellante ha posto sul contenuto della sentenza di questo Consiglio n. 2562/2011 (peraltro, a sé sfavorevole), l’esame compiuto della relativa motivazione (riportata dalla società appellante solo per stralcio) induce a conclusioni ben diverse.

Ivi si legge che “ a tutto concedere, la questione della proroga legale del titolo concessorio, in quanto questione ‘nuova’ nei termini proposti nel ricorso per ottemperanza, potrebbe se del caso trovare ingresso, nel concorso di tutte le restanti condizioni legittimanti [enfasi aggiunta], soltanto in un nuovo giudizio di cognizione avverso quelle determinazioni amministrative adottate dal Comune di Monte Argentario e che si rivelino assuntivamente lesive della dedotta pretesa alla proroga legale del titolo concessorio ”.

In definitiva questo Consiglio non affermava (come pure ha tentato di sostenere in questa sede l’appellante) che l’avvenuto annullamento della concessione del 2007 comportasse l’obbligo per l’amministrazione di valorizzare la persistente efficacia della pregressa concessione del 2005;
ma – più semplicemente – si limitava a riaffermare il piano principio secondo cui, laddove la ricorrente avesse inteso sollevare questioni di legittimità diverse da quelle ex novo – e quindi, inammissibilmente - proposte in sede di ottemperanza, avrebbe dovuto farlo nell’ambito di un diverso ricorso (naturalmente, ricorrendone le condizioni legittimanti).

Ma il punto è che tali condizioni non risultano nel caso di specie soddisfatte.

3.6. Ancora, non possono essere in alcun modo condivise: a ) la tesi secondo cui l’effetto conformativo discendente dalla sentenza di questo Consiglio n. 7239/2010 (che aveva annullato la concessione n. 18/07) si sarebbe limitato ad imporre la riedizione del potere amministrativo emendato dai soli vizi relativi alla pubblicità nell’esame della domanda di rinnovo (pag. 10 dell’atto di appello); b ) che l’annullamento della concessione del 2007 “ avendone comportato la caducazione con efficacia ex tunc (c.d. ‘effetto demolitorio’), ha ricostituito la situazione giuridica soggettiva preesistente (c.d. ‘effetto ripristinatorio’) con conseguente piena operatività del pregresso titolo concessorio n. 21/05, rimasto valido perché non colpito dalla detta decisione del Consiglio di Stato n. 7239/2010 ed efficace, producendosi i suoi effetti giuridici per disposto di legge e, perciò, in modo automatico (…) ”.

Al riguardo si osserva in primo luogo che la richiamata sentenza di questo Consiglio n. 7239/2010 non si era limitata a rilevare che il rinnovo della concessione in favore dell’odierna appellante fosse avvenuto in violazione delle regole in tema di pubblicità, ma che tale rinnovo avesse altresì comportato un notevole vulnus ai principi (in primis: di matrice eurounitaria) di piena messa in concorrenza di utilità di notevole rilievo economico (ivi si legge che “ è noto (...) che "l'indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie fa sì che la sua sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di un'area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, così da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione" (Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2009, n. 902) ”).

Ne consegue che la tesi qui riproposta dall’appellante non può essere in alcun modo condivisa in quanto sembra postulare che, a fronte dell’annullamento di un affidamento disposto sia per la violazione di regole di trasparenza che di par condicio concorrenziale, l’amministrazione potrebbe ( rectius : dovrebbe, in via conformativa) limitarsi a riconfermare il medesimo affidamento in favore del medesimo soggetto, semplicemente peritandosi di assicurare a tale affidamento – nuovamente illegittimo – un più adeguato grado di pubblicità

Per quanto riguarda, poi, l’argomento dinanzi richiamato sub b ), si osserva che non è dato in alcun modo comprendere come sia possibile che l’annullamento in sede giurisdizionale di un affidamento illegittimo in quanto intervenuto al di là di ogni (doverosa) procedura competitiva possa comportare quale effetto naturale quello della ricostituzione ( rectius : reviviscenza) di un pregresso affidamento, anch’esso disposto al di fuori di qualunque procedura di evidenza pubblica e comunque già venuto a scadenza alcuni anni addietro.

3.7. Per ragioni connesse a quelle appena esposte, neppure può trovare accoglimento l’ulteriore motivo di ricorso con cui la Nuova Scotto ha lamentato che, anche in assenza di alcuna proroga ex lege , il Comune di Monte Argentario avrebbe almeno dovuto concludere con atti espressi il procedimento avviato con l’istanza finalizzata ad ottenere il rinnovo della concessione demaniale n. 21/05.

Al riguardo ci si limita ad osservare che tutti gli atti adottati dal Comune appellato all’indomani della sentenza di questo Consiglio n. 7239/2010 (e concretatisi nella messa a gara della concessione del lotto n. 11, nonché nell’ingiunzione a rilasciare l’area) risultavano del tutto incompatibili con il rinnovo in parola e presupponevano l’impossibilità di tale rinnovo stante l’intervenuto decorso del termine finale originariamente fissato (31 dicembre 2006).

Il complesso degli atti in questione, in quanto radicalmente incompatibile con l’invocato rinnovo, implicava il rigetto implicito delle istanze a tal fine formulate secondo un’impostazione di cui si è appena confermata la correttezza. Dal che consegue altresì l’infondatezza dell’argomento (ricorso n. 5770/20134, pag. 12) secondo cui, all’indomani della richiamata sentenza n. 7239/2010, in capo al Comune di Monte Argentario “ sussisteva un obbligo di provvedere in forma espressa e necessariamente in senso favorevole alla ricorrente ”.

3.8. Per le medesime ragioni deve essere respinto il secondo motivo del ricorso n. 5770/2013 con cui si è lamentato il difetto di motivazione e di istruttoria che vizierebbe l’ingiunzione di sgombero in data 19 aprile 2013.

A tacer d’altro si osserva che il provvedimento in questione ha motivato in premessa (in modo sintetico ma certamente intellegibile e compiuto) in ordine alle circostanze in fatto e in diritto che deponevano nel senso della carenza di un titolo legittimante la permanenza sul lotto 11, anche in considerazione dell’avvenuto espletamento della gara per il nuovo affidamento in concessione del medesimo lotto.

3.9. E ancora, per le ragioni già evidenziate non può trovare accoglimento il terzo motivo del ricorso in appello n. 5770/2013 con cui la Nuova Scotto ha lamentato che, in sede di adozione del provvedimento di sgombero, non si fosse tenuto conto del carattere non definitivo degli atti che ne costituivano il fondamento (con particolare riguardo agli atti con cui era stata indetta la nuova gara per l’affidamento del lotto 11).

Al riguardo ci si limita ad osservare: a ) che il provvedimento di sgombero impugnato in primo grado, al momento della sua adozione, risultava validamente supportato dall’esistenza di atti amministrativi pienamente efficaci (in quanto non sospesi, seppure impugnati in sede giurisdizionale); b ) che, in ogni caso, le impugnative rivolte avverso gli atti presupposti dal provvedimento di sgombero sono infondate sulla base di quanto statuito dalla presente sentenza.

3.9.1. Un’ulteriore considerazione riguarda l’avvertenza inclusa nel bando di gara per l’affidamento in concessione del lotto n. 11 la quale informava che l’area da attribuire in concessione “ è attualmente detenuta sine titulo da soggetto privato e pertanto l’adozione della concessione demaniale è subordinata alla positiva definizione del procedimento volto ad ottenere la restituzione del bene che questo ufficio attiverà successivamente all’aggiudicazione definitiva ”.

L’appellante osserva che la clausola in questione recasse una sorta di autovincolo a carico del Comune il quale non avrebbe potuto procedere all’adozione dell’ingiunzione di sgombero fino alla definizione della gara.

L’argomento non può tuttavia essere condiviso: i ) sia perché la clausola in questione non presentava alcun contenuto prescrittivo (sostanziandosi in una mera informativa di carattere notiziale rivolta, in definitiva, al concorrente che avesse vinto la gara e non certo all’occupante sine titulo ); ii ) sia perché la sua apposizione non impediva comunque al Comune di adottare atti e provvedimenti (quale l’ingiunzione in data 19 aprile 2013) comunque prodromici alla ri-acquisizione dell’area; iii ) sia perché, comunque, l’obbligo di rilasciare l’area in capo all’appellante conseguiva in ogni caso (e a prescindere dalle vicende dell’ordinanza di sgombero) dall’infruttuosa partecipazione alla gara per l’affidamento del lotto e dall’aggiudicazione in favore di altro operatore il quale aveva – quindi – pieno titolo ad entrare finalmente nella disponibilità dell’area data in concessione.

3.10. Il complesso delle osservazioni sin qui svolte rende palese la legittimità dell’operato del Comune sia per quanto riguarda l’indizione della gara ( rectius : delle gare) per l’affidamento in concessione del lotto per cui è causa, sia per quanto riguarda l’ingiunzione di sgombero.

Ciò esime il Collegio dall’esame del motivo di appello con cui si è contestato il passaggio della sentenza con il quale è stato respinto il motivo di ricorso relativo alla violazione, nel caso in esame, dell’articolo 54 del Codice della navigazione marittima, (secondo cui “ qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro il termine a tal fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell’ordine, provvede di ufficio a spese dell’interessato ”).

E infatti, quand’anche i provvedimenti impugnati in primo grado risultassero in parte qua illegittimi (il che, comunque, non è in quanto sussisteva nel caso di specie li presupposto applicativo dell’articolo 54, consistente nell’occupazione abusiva dell’area), ciò non sortirebbe comunque effetto viziante o caducante sulle determinazioni nel loro complesso, in quanto il richiamo all’articolo 54 del Codice della navigazione rappresentava solo uno dei presupposti in fatto e in diritto posti a fondamento di tali determinazioni.

Sotto tale aspetto il Collegio si limita a richiamare il consolidato orientamento secondo cui in caso di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento, è sufficiente che una sola resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti indenne, risultando conseguentemente privo di utilità l'esame delle altre censure (in tal senso: Cons. Stato, IV, 5 aprile 2013, n. 1902; id , VI, 4 novembre 2013, n. 5286; id ., 4 ottobre 2013, n. 4901).

4. Devono a questo punto essere esaminati i motivi del ricorso in appello n. 6081/2013 con il quale, come anticipato, si è chiesta la riforma della sentenza n. 1092/2013 la quale ha dichiarato in parte irricevibile e in parte improcedibile il ricorso avverso gli atti con cui il Comune di Monte Argentario aveva indetto una nuova gara per l’affidamento del ‘lotto 11’, aggiudicandola infine alla ‘Emporio del Sub’ di T G.

4.1. Il primo motivo è stato già esaminato in sede di delibazione sul ricorso in appello n. 5770/2013 e si sono già esposte le ragioni per cui esso non può trovare accoglimento (ragioni alle quali ci si limita qui a fare rinvio).

Conseguentemente, deve confermarsi che il Comune di Monte Argentario ben potesse procedere ad espletare la gara per l’affidamento in concessione dell’area per cui è causa.

Occorre, tuttavia, stabilire se la gara sia stata legittimamente espletata e aggiudicata.

4.2. Devono, quindi, essere esaminati il secondo e il terzo motivo di appello, con i quali si chiede la riforma della sentenza n. 1092/2013

- per la parte in cui ha ritenuto (in applicazione dei principi di diritto enunciati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio n. 4 del 2011) che l’esame del ricorso incidentale di carattere ‘paralizzante’ articolato in primo grado dalla ‘Emporio del sub’ dovesse essere svolto in via prioritaria in quanto idoneo – laddove ritenuto fondato – a palesare la carenza di legittimazione o di interesse in capo alla ricorrente principale (odierna appellante) e

- per la parte in cui non ha esaminato i motivi (qui puntualmente riproposti) con i quali si era già osservato che, piuttosto. la stessa Emporio del sub avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara.

4.3. Al riguardo il Collegio osserva che, effettivamente, ai fini della presente decisione occorre fare applicazione dei principi di diritto che, in tema di ordine logico di esame del ricorso principale e di quello incidentale di primo grado, sono stati da ultimo enunciati dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 25 febbraio 2014, n. 9.

E’ stato ivi stabilito che, in ossequio al superiore principio di economia processuale, il giudice possa, in concreto, ritenere preferibile esaminare prioritariamente il ricorso principale (quanto meno nei casi in cui esso sia palesemente infondato, irricevibile, inammissibile o improcedibile, sulla scorta del paradigma sancito dagli artt. 49, co. 2, e 74 c.p.a.). Tale facoltà “ non deve essere negata, a priori, sempre che il suo esercizio non incida sul diritto di difesa del controinteressato e consenta un’effettiva accelerazione della definizione della controversia ” (ivi, punto 8.1. della motivazione).

Ebbene, il Collegio ritiene che dei principi appena richiamati possa farsi proficua applicazione nel caso in esame, atteso che i motivi del ricorso principale di primo grado proposti dalla Nuova Scotto (qui riproposti) risultavano infondati, mentre era effettivamente meritevole di accoglimento il ricorso incidentale della Emporio del Sub, finalizzato all’esclusione dalla gara della Nuova Scotto.

4.4. In particolare, l’appello principale proposto dall’appellante è infondato laddove lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado per la parte in cui ha affermato che la Nuova Scotto avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per un vizio relativo alle dichiarazioni sul possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

Esso è parimenti infondato laddove lamenta il mancato accoglimento (e, prima ancora, il mancato esame) dei motivi con cui si era chiesto di pronunziare l’esclusione della Emporio del Sub, nonché l’annullamento dell’intera procedura di gara per illegittimità di alcune clausole della lex specialis .

4.4.1. Partendo dal primo dei richiamati profili si osserva che i primi Giudici, in accoglimento del ricorso incidentale articolato dalla Emporio del Sub, hanno stabilito che l’odierna appellante avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per l’assegnazione del ‘lotto 11’ per violazione dell’articolo 38, comma 1, lettera c) (ciò in quanto, nonostante la società appellante sia costituita nella forma della società in nome collettivo e nonostante nella sua compagine figurino tre soci illimitatamente responsabili, soltanto uno di essi aveva reso la dichiarazione relativa all’insussistenza delle cause di esclusione di cui alla richiamata lettera c )).

Con l’appello in epigrafe la Nuova Scotto osserva di aver puntualmente osservato, in sede di predisposizione della documentazione di gara, la previsione del relativo Disciplinare, il quale stabiliva che il documento relativo alle dichiarazioni sui requisiti di moralità “ è da compilare e sottoscrivere (…) dal socio o dal direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo ” (il che era puntualmente avvenuto nel caso in esame, atteso che il documento in parola era stato in effetti sottoscritto dal direttore tecnico della società).

In definitiva, se è vero che, per quanto riguarda la società appellante, la dichiarazione in ordine ai requisiti di cui all’articolo 38, comma 1, lettera c ), cit. era stata resa da uno solo dei soci illimitatamente responsabili, è pur vero che ciò era avvenuto in esatto adempimento delle previsioni del Disciplinare di gara, il quale non imponeva che la dichiarazione in ordine al possesso dei richiamati requisiti fosse resa (anche) da altri soggetti, ma indicava come sufficiente che la dichiarazione fosse resa anche dal solo direttore tecnico.

4.4.1.1. Il motivo è infondato.

Al riguardo si osserva che la sezione XII del bando (la quale rinviava al contenuto dell’allegato 2 al disciplinare) si riferiva con chiarezza alle dichiarazioni da rendere ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 163 del 2006 (si tratta, del resto di normativa di ordine pubblico insuscettibile di subire deroghe ad opera della lex specialis di gara, che ad ogni modo va interpretata in senso conforme alla predetta normativa).

E’ noto al riguardo che, per quanto riguarda le società in nome collettivo (quale l’odierna appellante), la disposizione da ultimo richiamata connette l’esclusione dalle gare all’intervenuta condanna - per alcuno dei reati ivi contemplati - nei confronti “ dei soci o del direttore tecnico ”.

E’ quindi del tutto evidente che, stanti le finalità di rilevante interesse pubblico cui presiedono gli obblighi dichiarativi di cui all’articolo 38, cit., la dichiarazione relativa all’insussistenza delle condanne ostative richiamate dall’articolo 38, comma 1, lettera c) del ‘Codice dei contratti’ debba essere resa sia dai soci, sia dal direttore tecnico e che, pur nel silenzio sul punto da parte della lex specialis di gara, debba ritenersi l’inserzione automatica e comunque l’operatività della relativa clausola escludente, ai sensi dell’articolo 1339 cod. civ..

Si tratta, del resto (come di recente chiarito dalla sentenza dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio n. 16 del 2014) di fare coerente applicazione della disposizione – frutto di un rigoroso orientamento legislativo che non spetta a questo Giudice sindacare – di cui all’articolo 46, comma 1- bis del ‘Codice dei contratti’, il quale impone l’esclusione dalle pubbliche gare (e a prescindere dalle previsioni della lex specialis ) nel caso di mancato adempimento a prescrizioni doverose previste dal medesimo ‘Codice’ (fra cui, ai fini che qui rilevano, quella in tema di dichiarazione delle condanne potenzialmente incidenti sulla moralità professionale del concorrente).

La medesima sentenza dell’Adunanza plenaria ha altresì chiarito:

- che la sanzione espulsiva connessa al mancato rispetto degli obblighi dichiarativi ex art. 38, derivando da una previsione imperativa di legge, opera anche in presenza di clausole della lex specialis apparentemente più favorevoli (come quelle della cui applicazione qui si discute);

- che, in presenza di dichiarazioni radicalmente mancanti pur se doverose (quali quelle dei due soci accomandatari della Nuova Scotto) resta precluso all’amministrazione il ricorso al c.d. ‘soccorso istruttorio’ (il quale, concretandosi nella possibilità di produrre ex post una dichiarazione integralmente omessa, si tradurrebbe in una lesione del principio della ‘par condicio’ concorrenziale).

Per quanto concerne, più in dettaglio l’invocato riconoscimento del beneficio del soccorso istruttorio (ovvero, in una prospettiva in parte diversa, della scusabilità dell’errore) si osserva:

- che l’appellante non può invocare nel caso in esame l’applicazione del principio di cui al comma 1- bis dell’articolo 46 del decreto legislativo 263 del 2006, nella formulazione ratione temporis vigente. Ciò in quanto, secondo quanto chiarito dalla stessa Adunanza plenaria di questo Consiglio n. 9 del 2014, il ricorso a tale istituto/principio consente di completare dichiarazioni o documenti già presentati (ma non di introdurre documenti nuovi), solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione dell'impresa;
esso non può pertanto essere mai utilizzato per supplire a carenze dell’offerta o radicali omissioni dichiarative, sicché non può essere consentita al concorrente negligente la possibilità di completare l'offerta successivamente al termine finale stabilito dal bando, salva la rettifica di semplici errori materiali o refusi;

- che neppure l’appellante può invocare l’applicazione del comma 2- bis dell’articolo 38 e del comma 1-ter dell’articolo 46 del ‘Codice dei contratti’ - per come introdotti ad opera dell’articolo 39 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 – (i quali, a talune condizioni, consentono ora di riconoscere il ‘soccorso istruttorio’ in caso di “ mancanza, [di] incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni ” rese ai fini della partecipazione alla gara). Ed infatti (come è stato affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio 30 luglio 2014, n. 16) la disposizione di cui al richiamato articolo 39 assume valenza innovativa e non meramente ricognitiva di un preesistente principio di diritto e non può pertanto trovare applicazione in relazione a procedure competitive avviate (al pari di quella per cui è causa) prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2014.

4.4.1.2. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto sin qui osservato, si osserva che a conclusioni diverse da quelle appena individuate non potrebbe giungersi neppure se si esaminasse la questione dell’invocato errore scusabile alla luce dell’obiettivo tenore della lex specialis di gara.

Ciò in quanto, anche ad ammettere che la dichiarazione di cui all’articolo 38, comma 1, lettera c ) potesse essere resa in buona fede dal solo direttore tecnico e anche ad ammettere che questi potesse rendere un’unica dichiarazione cumulativa in ordine ai requisiti riferibili agli altri soggetti tenuti a renderla – arg. ex Ad. Plen. 16/2014, cit. -), il punto è che il signor Michele Scotto si è limitato a rendere la dichiarazione relativa alla propria posizione, omettendo radicalmente di renderla in relazione agli altri (due) soci illimitatamente responsabili. Il che rappresenta una violazione invero inescusabile della pertinente disciplina legale, posta peraltro a presidio di prevalenti interessi pubblici (quale quello della piena affidabilità dei soggetti partecipanti alle pubbliche gare e della par condicio concorrenziale).

4.4.1.3. Correttamente, quindi, i primi Giudici hanno affermato che la Nuova Scotto avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura.

4.4.2. Come si è anticipato in precedenza, sono infondati i motivi del ricorso principale con cui sono stati riproposti: i ) gli argomenti volti a censurare la radicale illegittimità della procedura di gara ; ii ) gli argomenti volti a censurare la mancata esclusione dalla gara della Emporio del Sub (infine risultata aggiudicataria).

4.4.2.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che è infondato il motivo con il quale si è lamentata l’applicazione delle disposizioni del ‘Codice dei contratti’ in luogo di quella di cui all’articolo 37 del Codice della navigazione che, nella tesi dell’appellante, avrebbe dovuto governare la procedura.

Al riguardo è stato correttamente eccepito che il Comune appellato abbia comunque ritenuto (nell’ambito della propria discrezionalità e in sede di sostanziale autovincolo) di applicare comunque la richiamata disciplina codicistica.

Depone in tal senso la sezione VI del bando di gara la quale chiariva che “ (…) la procedura selettiva avverrà nel rispetto dei principi generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento e proporzionalità desumibili [dal Codice dei contratti]. Oltre ai principi generali troveranno applicazione le norma del Codice dei contratti solo ove espressamente richiamate nel presente bando e nel disciplinare (…) ”.

Per quanto riguarda, poi, le previsioni in rema di requisiti di ordine generale di cui all’articolo 38 del medesimo ‘Codice’ (la cui applicazione, per le ragioni dinanzi illustrate, è risultata dirimente ai fini del decidere), si osserva che esse risultano certamente applicabili alla materia delle concessioni di servizi.

Al riguardo va qui richiamato il condiviso orientamento secondo il quale il principio di cui all’articolo 38, cit. presenta un carattere di generalità e trova quindi applicazione anche nelle gare dirette all'affidamento di concessioni di servizi. Si tratta, del resto, di un fondamentale principio di ordine pubblico economico che soddisfa l'esigenza di avere un soggetto contraente con l'Amministrazione che sia affidabile sotto il profilo morale e degli altri requisiti richiesti. Siffatto principio generale attiene al profilo sostanziale, alla necessità cioè che alla gara possa partecipare un soggetto effettivamente affidabile perché in possesso dei requisiti di moralità, ma non anche al profilo dichiarativo e formale, cioè alla sussistenza di un obbligo legale di dichiarare comunque l'assenza di cause ostative (in tal senso: Cons. Stato, VI, 27 giugno 2014, n. 3251; id ., VI, 21 maggio 2013, n. 2725).

4.4.3. E’ parimenti infondato (e, prima ancora, inammissibile) il motivo di appello, qui riproposto, con cui si è lamentata la radicale illegittimità della lex specialis di gara in relazione al criterio di selezione che prevedeva l’attribuzione di uno specifico punteggio a fronte della bitumatura di alcune strade comunali, così come il motivo di ricorso con il quale si è contestata la legittimità dell’elemento di valutazione n. 3 (in base al quale sarebbero stati attribuiti 20 punti aggiuntivi in relazione al numero di posti barca/giorno messi a disposizione del Comune di Monte Argentario).

I motivi in parola sono inammissibili per carenza di un interesse specifico alla loro proposizione. E infatti l’appellante non ha allegato alcun elemento atto a stabilire che, in assenza dei richiamati criteri, essa avrebbe potuto aggiudicarsi la gara per cui è causa e che, quindi, la loro articolazione le abbia arrecato uno specifico nocumento ai fini dell’aggiudicazione.

4.4.4. Allo stesso modo è inammissibile il motivo con cui si è lamentata la illegittimità del bando di gara per avere contraddittoriamente individuato l’oggetto del contratto dapprima come ‘concessione demaniale marittima’ (Sezione II) e in seguito come contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi in ambito portuale (Sezione VI).

Anche in questo caso, non è dato comprendere quale nocumento abbia arrecato alla società appellante la lamentata discrasia (peraltro, di ordine meramente qualificatorio) e se essa abbia in qualche misura inciso sulla possibilità per essa di vedersi aggiudicare la concessione.

4.4.5. E’ inoltre infondato il motivo di appello con cui si è ribadito il motivo di ricorso relativo alla illegittimità dell’articolazione di sub-criteri di valutazione in una fase della procedura successiva all’apertura dei plichi contenenti l’offerta tecnica.

Nella tesi dell’appellante, l’operato della Commissione si porrebbe in contrasto con la previsione dell’articolo 83 del Codice dei contratti e con la pertinente giurisprudenza comunitaria (viene richiamata la sentenza della Corte di giustizia 24 gennaio 2008 in causa C-532/06) e nazionale.

In particolare, l’operato della Commissione risulterebbe illegittimo per avere essa introdotto, in una fase avanzata della procedura, elementi di valutazione nuovi e diversi rispetto a quelli enunciati dal bando e per avere motivato in modo insufficiente e incongruo in ordine all’attribuzione dei singoli punteggi.

Secondo l’appellante, del resto, l’operato della Commissione era in ultima analisi preordinato a determinare comunque la vittoria della Emporio del Sub, nei cui confronti essa palesava un ingiustificato atteggiamento di favor.

Il motivo è infondato in quanto dall’esame degli atti di gara (e, segnatamente, del verbale in data 19 dicembre 2012) emerge che la Commissione non abbia articolato dei veri e propri sub-criteri di valutazione, ma soltanto specifiche modalità operative volte ad attribuire giudizi sintetici in forma letterale (del tipo ‘sufficiente’, ‘buono’, etc., a ciascuno dei quali era abbinata una percentuale del punteggio massimo attribuibile), ferma restando la generale articolazione dei criteri di valutazione per come individuati in sede di lex specialis di gara.

Pertanto, al di là della non perspicua terminologia utilizzata dalla stessa Commissione, non di veri e propri sub-criteri si trattava, quanto – piuttosto – di più precise modalità di attribuzione del punteggio le quali non incidevano sull’articolazione dei criteri in senso proprio per come definiti dalla lex specialis , ma si limitavano a determinare il modo in cui sarebbero stati effettuati i computi volti ad abbinare un valore numerico a ciascun giudizio inerente alle singole voci di valutazione (peraltro, conformemente al comma 5 dell’articolo 83 del ‘Codice’, il quale vincola le amministrazioni a individuare con un unico parametro finale l’offerta economicamente più vantaggiosa).

4.4.6. Si osserva infine che è infondato il motivo di appello con cui si è ribadita la doglianza relativa alla mancata esclusione della Emporio del Sub nonostante sussistessero in atti elementi del tutto univoci che avrebbero testimoniato l’esistenza di una relazione di controllo con altro concorrente in gara (il signor Tocco Aldo, titolare dell’omonima ditta individuale, peraltro legato da vincoli di parentela con il titolare della società aggiudicataria) e la riferibilità di entrambe le offerte a un unico centro decisionale.

Va premesso che l’articolo 38 del ‘Codice di contratti’ (al comma 1, lettera m- quater ) e al comma 2) dispone l’esclusione dei candidati in relazione di ‘collegamento sostanziale’ fra loro in due distinte ipotesi: a ) quella del controllo societario ai sensi dell’articolo 2359 cod. civ. (laddove sia dimostrabile che le due offerte siano riferibili a un unico centro decisionale); b ) quella in cui fra due concorrenti sussista una qualsiasi relazione, anche di fatto, dalla cui connotazione sia possibile desumere che le offerte siano imputabili a un unico centro decisionale.

Ora, l’appellante non ha allegato alcun elemento atto a ritenere che fra la società aggiudicataria e la ditta individuale del signor A T sia configurabile un rapporto di controllo ai sensi del richiamato articolo 2359 (peraltro, un siffatto rapporto non appare agevolmente ipotizzabile fra una società e una ditta individuale).

Per le medesime ragioni, non risulta nel caso di specie violato alcuno degli obblighi dichiarativi imposti dal bando di gara, atteso che gli obblighi in parola risultavano riferiti dal bando in modo univoco alle ipotesi di controllo societario di cui al richiamato articolo 2359.

Resta da indagare se il complesso delle circostanze in atti deponga univocamente nel senso della sussistenza, fra le due entità in questione, di una relazione di fatto tale da ricondurre la formulazione delle relative offerte a un unico centro decisionale.

Giova premettere al riguardo che, nel sistema normativo anteriore alle modifiche di cui al decreto-legge n.135 del 2009, la sussistenza di situazioni di controllo o di collegamento rappresentava in modo pressoché automatico ragione di esclusione dalla gara, a prescindere dalla prova in concreto circa il reciproco condizionamento delle offerte. In pratica, la prova circa la sussistenza di una relazione di controllo/collegamento e la prova circa la riferibilità delle offerte a un unico centro decisionale tendevano, nella pratica applicativa e negli orientamenti giurisprudenziali, a confondersi e a coincidere.

E’ altresì noto che con la sentenza 19 maggio 2009 in causa C-538/07 la Corte di giustizia ha affermato la contrarietà al diritto comunitario di una disposizione nazionale (quale l’articolo 34 del ‘Codice dei contratti’ nella sua originaria formulazione e in combinato disposto con la pregressa formulazione dell’articolo 38) “ la quale, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara ”.

Ne è conseguita – come pure è noto – la riformulazione, ad opera del decreto-legge 25 settembre 2009, n, 135, degli articoli 34 e 38, comma 2 del ‘Codice’, nonché l’inserimento, nell’ambito del comma 1 dell’articolo 38, di una nuova lettera m- quater ).

Il complessivo disegno normativo che ne è derivato ha comportato il superamento del pregresso sostanziale automatismo in base al quale l’accertamento degli indici di controllo o di collegamento deponeva altresì in modo pressoché automatico nel senso della sussistenza di un concordamento delle offerte e della loro riferibilità a un unico centro decisionale.

Ciò comporta che l’esame degli elementi in fatto rilevanti ai fini dell’esclusione debba oggi essere svolta con ancora maggiore rigore che nel passato, non potendosi far conseguire sic et simpliciter l’esclusione del concorrente dalla gara dal solo dato relativo al controllo o al collegamento (il quale, nel nuovo angolo prospettico, rappresenta condizione necessaria ma non anche sufficiente per disporre l’esclusione, dovendo essere accompagnato da ulteriori e univoci elementi riferibili al contenuto delle offerte in quanto tali).

E il fatto che le più recenti modifiche normative abbiano individuato il punto centrale della questione nel dato concreto del concordamento del contenuto delle offerte (e non anche nell’astratta possibilità di un tale concordamento) è confermato dall’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 38, cit., secondo cui nelle ipotesi di cui al comma 1, lettera m- quater la verifica e l’eventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica ”.

La giurisprudenza di questo Consiglio successiva alla richiamata novella normativa ha a sua volta avuto modo di sottolineare l’estremo rigore che deve presiedere all’esame in concreto circa l'esistenza di elementi oggettivi e concordanti tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti (Cons. Stato, V, 20 agosto 2013, n. 4198).

Ebbene, tanto premesso dal punto di vista generale si osserva che gli elementi in fatto addotti dall’odierna appellante a sostegno del presente motivo di ricorso (con particolare riguardo a quelli relativi alla modalità e alla tempistica di presentazione delle offerte), pur se suggestivamente prospettati, sembrano confermare soltanto la sussistenza di forme fattuali di collegamento fra le due entità, ma non forniscono alcun elemento idoneo a ritenere anche che il contenuto intrinseco delle offerte costituisse il frutto di un illecito concordamento delle rispettive condotte, né che l’esistenza di ‘un unico centro decisionale’ fosse confermata dalla consistenza oggettiva di tale contenuto.

Anche per questa ragione l’appello in epigrafe deve essere respinto.

5. Per le ragioni sin qui esposte i due ricorsi in epigrafe, previa riunione, devono essere respinti.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti in relazione ai due gradi del giudizio anche in considerazione della complessità delle quaestiones facti sottese alla presente decisione.

Non sussistono, quindi, i presupposti per accogliere la domanda proposta dal Comune di Monte Argentario volta a sentir pronunziare a carico dell’appellante una condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. e ai sensi del comma 1 dell’articolo 36 del cod. proc. amm.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi