Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-16, n. 202302747

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-03-16, n. 202302747
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302747
Data del deposito : 16 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/03/2023

N. 02747/2023REG.PROV.COLL.

N. 06001/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6001 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato M M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Principe Eugenio, n. 15,

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
la Questura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza, resa in forma semplificata, del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I-ter, n. -OMISSIS-, che ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto del Questore di Roma che ha respinto l’istanza volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 19 gennaio 2023 il Cons. G F e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 13 dicembre 2021 la Questura di Roma ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, presentata dal cittadino nigeriano -OMISSIS-.

Il provvedimento reiettivo ha tratto fondamento dalla circostanza che lo straniero è stato condannato, con sentenza della Corte d’Appello di Trento del 5 febbraio 2020, divenuta irrevocabile in data 24 giugno 2020, alla pena di 3 anni di reclusione e 14.000,00 euro di multa per aver commesso, in concorso con altri, il reato di detenzione e trasporto illecito di sostanze stupefacenti di cui agli artt. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e 110 c.p., con la pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato.

2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Lazio, lo straniero ha impugnato tale provvedimento deducendo l’erroneità dell’automatismo espulsivo derivante dalla condanna riportata.

3. Il Tar Lazio, con sentenza, resa in forma semplificata, n. -OMISSIS- ha respinto il ricorso, ritenendo il provvedimento questorile adeguatamente motivato anche con valutazioni comparative con la durata del soggiorno e scevro da tutte le censure contenute in ricorso.

4. La citata sentenza n. -OMISSIS- è stata impugnata con appello notificato il 23 giugno 2022 e depositato il successivo 21 luglio, censurando la mancata valorizzazione da parte del primo giudice del percorso di reinserimento sociale dello straniero a seguito dell’espiazione della pena irrogatagli.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio senza espletare difese scritte.

6. La Questura di Roma non si è costituita in giudizio.

7. Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata respinta l’istanza di misure cautelari.

8. Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

Va premesso che, nel caso in esame, viene in rilievo il combinato disposto degli artt. 4 e 5, d.lgs. n. 286 del 1998.

L’art. 4, comma 3, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera b), l. 30 luglio 2002, n. 189 stabilisce che non è ammesso in Italia lo straniero: “...che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (...) o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380 commi 1 e 2 del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti (...)”;
l’art. 5, comma 5 dello stesso decreto prevede che “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.

In merito alla legittimità del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per la pregressa condanna per reati ostativi – quale è quella che ha raggiunto l’appellante – la giurisprudenza è consolidata (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 26 giugno 2015, n. 3210) e la norma del T.U. sull’immigrazione ha superato il vaglio di legittimità costituzionale in quanto la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita “a monte” dallo stesso legislatore: ne consegue che nelle ipotesi tipizzate non è necessaria alcuna autonoma valutazione da parte del Questore sulla pericolosità sociale del cittadino straniero.

Solo se sussistono vincoli familiari – che nel caso sottoposto al Collegio non sono stati indicati – il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero, ai sensi dell’art. 5, comma 5, ultimo periodo, d.lgs. n. 286 del 1998. Invero, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato (sul punto, Corte cost. n. 202 del 2013), “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.

Applicando tali coordinate ermeneutiche nel caso all’esame, risulta dirimente la circostanza che lo straniero sia stato condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, ossia per un reato inerenti gli stupefacenti, ostativo all’ammissione di uno straniero in Italia e alla regolarizzazione della sua posizione.

Trattandosi di una condanna ostativa alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 4, comma 3, del T.U. immigrazione non era necessario effettuare alcuna valutazione ulteriore rispetto alla pericolosità sociale dello straniero, avendo il legislatore già operato in via preliminare una valutazione presuntiva, in relazione alla tipologia di reato e all’oggetto della tutela penale. Nel caso di specie, il Questore ha comunque espressamente evidenziato le ragioni di pericolosità sociale dello straniero, rilevando che il comportamento dello stesso, qualora permanesse sul territorio nazionale, potrebbe costituire una minaccia per la pubblica incolumità, avuto anche riguardo alla tipologia del reato commesso, che è tale da far ritenere che frequenti abitualmente le organizzazioni criminali dedite al traffico di stupefacenti e che parte del suo sostentamento sia proveniente da attività criminose.

Come è stato chiarito, il meccanismo ostativo viene meno solo in presenza di legami familiari dello straniero in Italia, assenti nel caso di specie. La Questura – con affermazione rimasta incontestata tra le parti – non ha mancato di rilevare che “non risulta che il richiedente abbia, sul territorio della Repubblica Italiana, dei figli minori a carico né è emerso che il proprio nucleo famigliare (coniuge e figli minori), si sia ricostituito grazie alla procedura di ricongiungimento, oppure si trovi già unito o comunque si sia formato senza la necessità di un apposito provvedimento”.

Tanto basta per ritenere il provvedimento questorile pienamente legittimo e supportato da sufficiente motivazione, qualificandosi il diniego in parola come atto vincolato. Invero, l’intervenuta condanna dell’appellante è, in tal caso, elemento necessario e sufficiente ad impedire il rilascio del permesso di soggiorno, come hanno ritenuto la Questura e il primo giudice, con valutazione che va esente da censura.

La vincolatività dell’atto in presenza di condanne ostative e in assenza di legami familiari sul territorio nazionale non permette, pertanto, di valorizzare la posizione lavorativa dello straniero.

2. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.

L’assenza di difese scritte da parte del Ministero dell’Interno, costituito in giudizio, giustifica la compensazione delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio. Nulla per le spese nei confronti della Questura di Roma, non costituita in giudizio.

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