Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-08-24, n. 201805049
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Pubblicato il 24/08/2018
N. 05049/2018REG.PROV.COLL.
N. 05222/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5222 del 2014, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo, in persona del Ministro pro tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
la società Oasi Beach s.r.l., non costituita in giudizio;
nei confronti
il Comune di Gallipoli, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia – Lecce – Sez. I n. 2487 del 2013;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il Cons. Dario Simeoli e udito per le parti l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la società Oasi Beach s.r.l. impugnava dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia il provvedimento del Comune di Gallipoli n. 38 del 2012, avente ad oggetto il diniego dell’autorizzazione paesaggistica per l’intervento finalizzato al mantenimento delle strutture funzionali all’attività balneare sino alla scadenza della concessione demaniale, nonché della presupposta nota della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto prot. n. 22701 del 19 dicembre 2012.
La ricorrente censurava che: - l’amministrazione non aveva evidenziato convincenti ragioni di contrasto con i valori paesaggistici;- la permanenza del chiosco-bar di mq. 14, infatti, non impediva il libero godimento del contesto;- la struttura non alterava la conservazione del bene demaniale poiché posizionata su un tratto di arenile privo di cordone dunale ed orientata verso l’interno della spiaggia;- la struttura aveva carattere reversibile ed era realizzata in legno e materiali ecocompatibili;- il mantenimento della struttura per l’intero anno era ammesso dall’art. 11, comma 4- quater , della legge regionale 23 giugno 2006, n. 17.
2.– Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza n. 2487 del 2013, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava il provvedimento impugnato per difetto di motivazione e violazione di legge.
Il giudice di prime cure rilevava, in particolare, quanto segue: «[…] L’impugnato diniego è stato formulato sulla scorta del parere contrario del 19/12/2012 della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, che si è così espressa: “considerato che le opere di progetto consistenti nella permanenza annuale delle strutture relative allo stabilimento balneare “Oasi Beach”, per tipologia di intervento contrastano con i valori paesaggistici del contesto interessato, caratterizzato dalla presenza di vegetazione, litorale sabbioso e dune, configurandosi come intervento stabile e impedendo il libero godimento del contesto”. Ciò posto, si osserva che l’art. 11, quarto comma della L.R. 23 giugno 2006, n. 17 stabilisce che: “La gestione di stabilimenti balneari e di altre strutture connesse alle attività turistiche ricadenti su aree demaniali regolarmente concesse è consentita per l’intero anno, al fine di svolgere attività collaterali alla balneazione, con facoltà di mantenere le opere assentite, ancorché precarie, qualora, prima della scadenza della concessione, sia stata prodotta regolare istanza di rinnovo e, comunque, sino alle relative determinazioni dell’autorità competente”.
Il mantenimento delle opere è consentito con salvezza della tutela del paesaggio (art. 11 cit., comma 4-quinquies: “I soggetti interessati devono munirsi preventivamente del nulla-osta dell'autorità competente in materia”). Si impone pertanto la valutazione della compatibilità con il contesto paesaggistico della permanenza della struttura, la quale deve poggiare su una concreta lesione al valore tutelato, che verrebbe prodotta qualora fossero mantenute le opere al termine della stagione estiva. In altri termini, deve trattarsi di un “quid novi”, che induce a dover “ritirare” la valutazione positiva dal punto di vista paesaggistico, nel senso cioè che la collocazione delle opere nel periodo estivo può essere consentita, mentre per il restante periodo dell’anno si verifica una specifica compromissione ai valori tutelati, tale da escludere l’assenso alla conservazione delle opere. Nel caso di specie, la valutazione della Soprintendenza fa leva sulla circostanza che trattasi di intervento stabile che impedisce il libero godimento del contesto, caratterizzato dalla presenza di vegetazione, litorale sabbioso e dune. Per il primo aspetto, la valutazione si risolve in una tautologia, poiché il mantenimento annuale è di per sé “stabile” (inteso come permanenza nel tempo e non per la fissità della struttura, che deve restare amovibile). Eppure, poiché la legge lo consente, non basta tale evidenza a rendere incompatibile la permanenza della struttura, mentre l’impedimento al libero godimento del contesto si verifica anche d’estate e non è chiarito perché esso sia maggiormente rilevante in inverno. Per altro verso, la presenza di vegetazione, litorale sabbioso e dune non può essere addotta per giustificare il diniego, trattandosi delle stesse caratteristiche del sito che non impedivano l’assenso alla collocazione delle opere durante l’estate, senza che in tal caso sia chiarito se la conservazione annuale della struttura possa (in ipotesi) alterare la conservazione del bene demaniale. In conclusione, non è evidenziato lo specifico contrasto ai valori paesaggistici, che comporterebbe il mantenimento annuale della struttura, che la ricorrente considera di minimo impatto […]».
3.– Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo ha quindi proposto appello, chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto del ricorso proposto in primo grado.
4.– La società appellata non si è costituita nel presente giudizio di appello.
5.‒ All’esito dell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.‒ L’appello è fondato.
2.‒ Va premesso che, nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, con l’entrata in vigore (dal 1° gennaio 2010) dell’art. 146 del codice approvato con il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, la Soprintendenza esercita, non più un sindacato di legittimità ex post (come previsto dall’art. 159 del citato codice nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009) sulla autorizzazione già rilasciata dalla Regione o dall’ente delegato, con il correlativo potere di annullamento, ma un potere che consente di effettuare ex ante valutazioni di merito amministrativo, con poteri di cogestione del vincolo paesaggistico (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, Sez. VI 15 maggio 2017, n. 2262;Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844;Sez. VI, 4 giugno 2015, n. 2751).
2.1.‒ In linea di diritto, il giudizio affidato all’organo ministeriale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.
3.‒ Ciò posto in premessa, non è corretta la statuizione del giudice di prime cure, secondo cui il parere negativo della Soprintendenza avrebbe violato l’art. 11, comma 4, della legge della Regione Puglia n. 17 del 2006. Sono necessari alcuni spunti ricostruttivi.
3.1.‒ L’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini del precedente art. 142 (tra i quali rientrano i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia) non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendono intraprendere al fine di ottenere il rilascio della autorizzazione paesaggistica;quest’ultima costituisce atto autonomo da valere come presupposto rispetto al permesso di costruire e agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.
3.2.‒ L’art. 11, comma 4- bis , della legge della Regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa) aveva previsto che: «il mantenimento per l’intero anno delle strutture precarie e amovibili di facile rimozione, funzionali all’attività turistico-ricreativa e già autorizzate per il mantenimento stagionale, è consentito anche in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela territoriale, paesaggistica, ambientale e idrogeologica».
Sennonché, la Corte costituzionale, con sentenza n. 232 del 2008, ha affermato che tale norma – consentendo il mantenimento delle opere precarie in questione oltre la durata della stagione balneare, in mancanza della necessaria positiva valutazione di compatibilità paesaggistica – violava le competenze esclusive statali in materia di tutela ambientale e paesaggistica. La disposizione regionale è stata, pertanto, dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione al citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
3.3.‒ A seguito della predetta sentenza, la legge della Regione Puglia 2 ottobre 2008, n. 24 ha introdotto nel testo dell’art. 11 della legge n. 17 del 2006 i seguenti commi: «a parziale modifica dell’articolo 3.07.4, punto 4.1, lettera b), del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT) paesaggio, approvato con Delib.G.R. 15 dicembre 2000, n. 1748 tutte le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno» (comma 4-ter);«la rimozione delle strutture di cui al comma 4-ter avviene alla scadenza dell’atto concessorio, se non rinnovato, ovvero anche anticipatamente per sopravvenute esigenza di tutela ambientale» (comma 4-quater);«i soggetti interessati devono munirsi preventivamente del nulla-osta dell’autorità competente in materia» (comma 4-quinquies).
3.4.‒ L’attuale formulazione della normativa consente che venga rilasciata una concessione che non impone, al termine della stagione estiva, la rimozione delle strutture funzionali all’attività. Tuttavia, l’ottenimento del titolo abilitativo, per evitare la riproduzione di una norma già dichiarata incostituzionale, deve intendersi come espressamente condizionata all’ottenimento del nulla osta delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente e del paesaggio. Non può infatti ammettersi che una legge regionale introduca innovazioni al regime della compatibilità paesaggistica, come regolata dal più volte citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e da effettuare caso per caso, costituendo l’autorizzazione di cui trattasi atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4642;Sez. VI, sentenza n. 5293 del 2013).
4.‒ Su queste basi, il diniego della Soprintendenza è adeguatamente motivato.
La condizione della temporaneità della concessione si fonda infatti sulla ragionevole necessità di limitare allo stretto necessario il danno che l’ambito paesaggistico ‒ di un litorale di dichiarata bellezza paesaggistica, caratterizzato da ridotte dimensioni della fascia costiera e dalla presenza di dune e vegetazione autoctona, di cui si intende preservare l’aspetto naturale e inedificato, pur senza comprometterne la fruizione nel periodo estivo ‒ subirebbe per effetto di tali strutture. Si tratta peraltro di valutazione conforme al Piano Paesaggistico Territoriale Tematico per il Paesaggio (PUTT/P), approvato con DGR n. 1748/00, il quale per le zone di valore eccezionale prescrive: «conservazione e valorizzazione dell’assetto attuale;recupero delle situazioni compromesse attraverso l’eliminazione dei detrattori» (art. 2.02).
Questa Sezione ha già avuto modo di affermare, in relazione a fattispecie analoghe, che i «contesti, estivo e invernale, in cui gli stabilimenti si inseriscono sono diversi», il che implica che differente può essere l’impatto che un manufatto può avere a seconda del periodo che viene in rilievo. La concessione per il solo periodo estivo «si giustifica anche alla luce di un complessivo bilanciamento degli interessi rilevanti e in considerazione che l’incidenza sull’ambiente è comunque temporalmente limitata» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4759 del 2012). Va aggiunto che, come condivisibilmente rimarcato dal Ministero, la necessità di procedere allo smontaggio di manufatti a fine stagione è prescrizione idonea ad incentivare il titolare dello stabilmente ad adottare le tipologie costruttive che maggiormente ne favoriscono l’integrazione nel paesaggio.
4.1.‒ In definitiva ‒ pur consentendo, in astratto, l’art. 1 della legge regionale n. 24 del 2008 il mantenimento per l’intero anno di strutture, funzionali alla balneazione ‒ l’autorizzazione paesaggistica può comunque imporre che strutture precarie, collocate in uno stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva, per una più ampia visuale del litorale marino e per il pieno godimento delle zone interessate dal vincolo paesaggistico. Deve ritenersi quindi che la valutazione tecnica espressa dall’Amministrazione, non violando il principio di ragionevolezza, rientra in ambito ad essa riservato, con la conseguenza che l’atto impugnato si sottrae alle censure formulate con il ricorso di primo grado.
5.‒ Per le ragioni che precedono, l’appello risulta fondato.
5.1.‒ Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite del doppio grado di giudizio, attesa la particolarità della vicenda e il carattere risalente della controversia.