Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-16, n. 201702314
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Pubblicato il 16/05/2017
N. 02314/2017REG.PROV.COLL.
N. 09096/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9096 del 2016, proposto da:
-O-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati F L (C.F. LDDFLC47C11B180F), F S (C.F. SCTFDN47T10F839D), A S (C.F. SGGLRT73H05F839N), con domicilio eletto presso F L in Roma, via G. G. Belli N. 39;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, e U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del Prefetto
pro tempore
, tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli - Sezione I, n. 4471/2016, resa tra le parti, concernente l’informativa antimafia interdittiva del 17 dicembre 2015, cat. 12b.16/ANT/AREA 1^, emessa dalla Prefettura di Caserta nei confronti della società ricorrente.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Caserta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2017 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati F L, A S e l'avvocato dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società -O- ha proposto ricorso presso il TAR Campania per l’annullamento dell’informativa antimafia interdittiva del 17 dicembre 2015, cat. 12b.16/ANT/AREA 1^, emessa nei suoi confronti dal Prefetto di Caserta, e successivamente confermata con nota del 18 gennaio 2016, cat. 12b.16/ANT/AREA 1^. La società ha, altresì, impugnato gli atti presupposti e consequenziali, fra cui: - le note della Questura di Caserta, Divisione Polizia Anticrimine, cat. Q2/2/ANT/BN, del 18 novembre 2014 e del 12 febbraio 2015;- la nota del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri di Caserta, prot. n. -O- del 5 gennaio 2015;- la nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, prot. n. -O-, del 4 novembre 2015;- la nota della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Caserta, prot. n. -O-, del 3 dicembre 2015;- le note della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Napoli – G.I.C.O., prot. n.-O-, del 30 aprile 2015 e prot. n. -O-, del 3 dicembre 2015;- la nota della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, prot. n. -O- 12796, del 22 giugno 2015;- la relazione istruttoria del Gruppo Ispettivo Antimafia presso la Prefettura di Caserta del 4 dicembre 2015.
2. Il TAR adito ha rigettato l’impugnativa sul presupposto che il provvedimento prefettizio risulta legittimamente fondato su una serie di elementi che, complessivamente considerati, sono sintomatico-presuntivi del pericolo di infiltrazione mafiosa.
2.1. In particolare, sono state considerate pregnanti le seguenti circostanze: a) lo stretto e duplice legame di parentela (di per sé solo non risolutivo, ma, pur sempre, fortemente indiziante) dei germani -O- sia con un esponente apicale del clan camorristico dei -O- (-O-, nato il 6 ottobre 1963) sia con un imprenditore ad esso organico (-O-);b) i contatti (almeno indirettamente) intrattenuti da -O- con -O-, capo dell’omonima fazione del predetto clan camorristico, così come rappresentati dal collaboratore di giustizia -O-;c) la rete di cointeressenze economiche con le società direttamente o indirettamente riconducibili al menzionato -O-, destinatario di svariate indagini penali per reati di associazione mafiosa, nonché attinto, per il tramite delle imprese da lui amministrate e/o controllate, da svariate misure interdittive antimafia;d) l’emissione di un’informazione di garanzia, per reato di associazione mafiosa, nei confronti dei germani -O- nell’ambito del procedimento penale iscritto a r.g. n. -O- presso il Tribunale di Napoli.
3. Avverso la sentenza ha proposto appello la società -O-
4. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Caserta si sono costituiti in giudizio ed hanno chiesto la reiezione del gravame.
5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 30 marzo 2017.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello la società deduce l’erroneità della sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui avrebbe attribuito rilevanza al mero legame di parentela dei germani -O- sia con -O-, esponente del clan camorristico dei -O-, sia con -O-, tratto in arresto per i reati di associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio in concorso, fittizia attribuzione di quote sociali e dei rapporti finanziari, finanziamenti illeciti a politici ed altro, con l'aggravante di avere commesso i fatti al fine di agevolare il clan dei -O-, fazione -O-.
In particolare, l’appellante lamenta che la Prefettura si sarebbe limitata a riportare il solo dato anagrafico dei legami di parentela, senza dare conto delle ulteriori circostanze dalle quali poter desumere i tentativi di infiltrazione mafiosa. Inoltre, quanto ai rapporti dei germani -O- con il cugino -O-, la società rappresenta che non vi era stata alcuna frequentazione, né la stessa sarebbe stata possibile in quanto -O- era divenuto da svariati anni collaboratore di giustizia. Con riferimento ai legami di parentela con -O-, l’appellante aggiunge che la società non era né poteva essere a conoscenza del fatto che questi sarebbe stato accusato di plurimi reati, inclusa l’associazione a delinquere di stampo mafioso; i fatti contestati, peraltro, sarebbero tutti ancora da accertare in sede penale; in ogni modo, -O- non avrebbe avuto alcuna influenza sull’attività della -O-
1.1. Il motivo non è fondato.
1.2. La tesi dell’appellante secondo cui la Prefettura di Caserta avrebbe attribuito rilevanza al mero legame di parentela con -O- e -O- è smentita documentalmente.
L’informativa interdittiva adottata nei confronti della società, infatti, si basa su una pluralità elementi che, complessivamente considerati, fondano il giudizio di sussistenza della permeabilità della -O- rispetto agli ambienti della criminalità organizzata di tipo camorristico.
1.3. In particolare, il provvedimento prefettizio è basato, anche mediante motivazione per relationem agli atti acquisiti nel corso del procedimento, sulle seguenti ulteriori circostanze:1) -O-oltre a risultare nell’elenco dei lavori disposti con il regime della somma urgenza, è stato indicato dal collaboratore di giustizia -O-come uno degli imprenditori legati a -O- del clan dei -O-. Il collaboratore ha specificato che tali imprenditori, fra cui appunto -O-“ sostenevano il clan, ottenendone in cambio non solo l’aggiudicazione di lavori pubblici grazie alle influenze illecite intessute da -O-, ma anche protezione rispetto alle possibili richieste estorsive di altre organizzazioni criminali, nel senso che i cantieri riconducibili a tali imprenditori non avevano nulla da temere da parte di altre consorterie camorristiche ” (cfr. pag. 2 dell’informativa interdittiva e pag. 13 dell’ordinanza cautelare di custodia in carcere emessa dall’VIII Sezione G.I.P. del Tribunale di Napoli nei confronti di -O- + altri, nel procedimento penale n. -O-);2) -O- è risultato destinatario di richieste estorsive da parte della camorra senza aver prontamente sporto denuncia: “ il fatto a cui allude il collaboratore attiene al processo per una richiesta estorsiva formulata ai danni di -O- (cugino e socio di -O-), per la quale -O- e -O- (forse il principale fiancheggiatore di -O-) sono stati già giudicati. In tale vicenda, emerge la singolare circostanza che il -O- non ha mai presentato una denuncia di estorsione, salvo il fatto di essere stato escusso dai Carabinieri a seguito dell’atto intimidatorio subito e che era a sua volta emerso nel corso delle intercettazioni ambientali all’interno dell’autovettura di -O-, poi sottoposto a fermo di indiziato di delitto. Il dato è dimostrativo del fatto che -O- (ma lo stesso discorso deve anche valere per il suo socio, -O-) sia stato costretto a presentare denuncia e che abbia poi provveduto a restituire l’importo concessogli a titolo di risarcimento, all’evidente fine di indurre il Tribunale ad applicare uno sconto di pena agli imputati ” (cfr. pag. 2 dell’informativa interdittiva e pag. 25 dell’ordinanza cautelare di custodia in carcere emessa dall’VIII Sezione G.I.P. del Tribunale di Napoli nei confronti di -O- + altri nel procedimento penale n. -O-);3) i germani -O- sono stati deferiti, in stato di libertà, dai Carabinieri del Reparto Anticrimine di Napoli perché ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 416-bis del codice penale (cfr. Nota della Questura di Caserta, cat.Q2/2/ANT./B.N, del 18 novembre 2014, richiamata a pag. 1 dell’informativa interdittiva);4) la società -O- partecipa nella -O- con il 45% del capitale sociale;altro 45%, invece, è detenuto dalla -O-, di cui è amministratore unico -O-, già destinataria di provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalla Prefettura di Caserta (cfr. pagina 2 dell’informativa interdittiva);5) sussistono, anche sulla base degli accertamenti del G.I.C.O. di Napoli (cfr. Nota prot. -O-, del 3 dicembre 2015, pag. 2, richiamata a pag. 1 dell’informativa interdittiva), ipotesi di connivenza tra le famiglie -O- e -O-, con particolare riferimento ai seguenti soggetti: a) -O-direttore tecnico e socio della -O-, legale rappresentante e socio della -O-, amministratore unico della -O-;b) -O-, amministratore e socio della -O-, amministratore della -O-;c) -O-, amministratore della -O-;d) -O-, amministratore e socio della -O- (a sua volta avente una partecipazione, insieme alla -O-, in -O-);e) -O-, la quale ha detenuto, dal 25 ottobre 2005 al 25 giugno 2008, il 50% del capitale sociale della -O-;6) la rete di cointeressenze nella -O- risalenti alla figura -O- (plurindagato per reati di associazione mafiosa e ritenuto organico al clan camorristico dei ‘-O-’, fazione -O-) è così composta (cfr. Nota del 3 dicembre 2015, prot. n. -O-, della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Caserta, pure richiamata a pag. 1 dell’informativa gravata):
- la -O-, socia maggioritaria della -O-, è partecipata dalla -O- e quest’ultima è, a sua volta, partecipata dalla -O-, amministrata da -O-, coniuge di -O-;
- la -O- è socia della -O-, partecipata dalla -O-, amministrata da -O-.
1.4. Si tratta, a ben vedere, di un quadro complesso, costituito dalla presenza di plurimi elementi sintomatico presuntivi di infiltrazione mafiosa, in cui i legami di parentela non assumono valore determinate in re ipsa , bensì in relazione a tutte le altre circostante ricostruite dalla Prefettura nel corso dell’istruttoria.
In altri termini, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non si è attribuita rilevanza al doppio legame parentale in sé e per sé considerato;i vincoli di parentela invero, hanno assunto uno specifico valore indiziario in relazione a tutti gli altri elementi e al contesto geografico e socio economico in cui tali legami si sono radicati.
Del resto, anche nella sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016, più volte citata dall’appellante a sostegno delle proprie deduzioni, la Sezione ha chiarito c he “6.4.3. Una tale influenza [quella dei legami di parentela] può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.
6.4.4. Sotto tale profilo, hanno rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).
(...) 8.1. La valutazione della prova presuntiva, giova qui ricordare, esige che dapprima il Prefetto in sede amministrativa (come poi il giudice amministrativo nell’esercizio dei suoi poteri quale giudice di legittimità) esamini tutti gli indizi di cui disponga, non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, così da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare ”.
1.5. Né può assumere rilievo alcuno la circostanza che -O-, cugino dei germani -O-, fosse divenuto nel frattempo un collaboratore di giustizia. Giova precisare che sebbene lo Stato valuti positivamente, e all’uopo premi, la volontà di chi coopera con le Istituzioni per l’accertamento dei delitti commessi dalla criminalità organizzata, ciò non fa venire meno, anzi presuppone, il precedente inserimento del collaboratore nella consorteria criminale. Conseguentemente, la circostanza valorizzata dall’appellante, in forza della quale dopo l’inizio della collaborazione con la giustizia, non sarebbe stata possibile una frequentazione con -O-, non è idonea ad inficiare il giudizio sul rischio infiltrativo, di cui il legame di parentela rappresenta un significativo - ma niente affatto isolato - elemento presuntivo.
1.6. Né miglior sorte può avere il rilievo che il processo a carico di -O- non si sia ancora concluso e che, pertanto, questi non potrebbe essere ritenuto, allo stato, un soggetto mafioso.
Invero, come pure precisato dalla sentenza di questa Sezione n. 1743, del 3 maggio 2016, cit. “ 5.1. È estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.
5.2. Occorre invece valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
5.3. Per questo gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione ”.
1.7. Non merita diversa considerazione la censura secondo cui la società non potesse essere al corrente dell’inserimento organico di -O- nel clan dei -O- perché i procedimenti a suo carico sono stati avviati in epoca successiva all’instaurazione delle cointeressenze economiche con i germani -O-.
E’ fin troppo ovvio che la reazione dello Stato è sempre successiva alla commissione dei fatti contestati. Pertanto se, per sottrarsi al fuoco dell’informativa antimafia, bastasse allegare che i fatti contestati si situano in epoca successiva all’instaurazione dei rapporti di cointeressenza economica, ciò finirebbe per costituire il più commodus discessus per qualsiasi soggetto che, indisturbato, volesse intrattenere rapporti con la criminalità organizzata: dapprima instaurandoli, per poi negarne la significatività nel momento dell’eventuale reazione dello Stato.
1.8. Infine, è privo di pregio l’assunto della ricorrente in appello per cui sarebbe dimostrato per tabulas che -O- non avrebbe mai esercitato alcuna effettiva ingerenza nelle scelte imprenditoriali della -O-, considerato che la società in circa 40 anni di attività nel settore delle commesse pubbliche non era mai stata destinataria di alcuna informativa interdittiva.
Ai fini dell’adozione di un’informazione antimafia interdittiva, non si chiede la prova dell’effettiva infiltrazione della consorteria criminale nella gestione dell’impresa, bensì la ricostruzione di un quadro di “ elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della «logica del più probabile che non», consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico ” (di recente, Cons. Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565). L’art. 84, comma 3, del Codice delle leggi antimafia, infatti, nello stabilire la nozione di informazione antimafia, fa riferimento alla s ussistenza di “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate” e non all’effettivo condizionamento dell’attività privata.
In ogni modo, anche a voler trascurare le precedenti considerazioni, non si vede come l’assenza di condizionamento possa essere dimostrata sulla base del mero rilievo che la società appellante non abbia mai ricevuto un’informativa interdittiva in circa 40 anni di attività. Trattasi, infatti, di circostanza per niente inequivoca, poiché indicativa di almeno altri tre scenari: (i) del fatto che i presupposti per l’adozione del provvedimento da parte del Prefetto non erano prima sussistenti oppure (ii) non conosciuti oppure (iii) non adeguatamente valorizzati dalle Istituzioni competenti.
2. Con il secondo motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza del TAR nella parte in cui ha attribuito rilevanza ai rapporti di cointeressenza tra la -O- e la -O-, riconducibile al predetto -O-, in merito alla costituzione della -O-
Ad avviso della ricorrente in appello, tale circostanza non avrebbe potuto assumere alcun valore indiziario, considerato che la suindicata società -O- venne costituita prima dell’adozione dell’informativa antimafia in danno di -O-e che, anzi, proprio per tale aspetto, non sarebbe mai stata resa operativa. Inoltre, proprio perché l’interdittiva nei confronti di -O-venne emessa successivamente alla costituzione della -O-, i germani -O- mai avrebbero potuto avere alcuna “percezione” della mafiosità degli altri soci.
In ogni modo, il fatto si situerebbe in un momento storico risalente nel tempo (2009) e, pertanto, sarebbe irrilevante sotto il profilo determinante dell’attualità di pericolo di condizionamento dell’impresa.
L’appellante lamenta, altresì, che la sentenza del TAR Campania avrebbe attribuito rilevanza a una vicenda neanche considerata dal Prefetto, ossia alla partecipazione della -O- nella società “-O-”, a sua volta compartecipata dalla -O-, amministrata dalla moglie di -O-.
2.1. Il motivo è infondato e va, conseguentemente, respinto.
2.2. In ordine ai profili temporali della censura non può che rinviarsi a quanto già chiarito al precedente paragrafo 1.7.
2.3. Inoltre, la circostanza che la -O- avesse costituito proprio con la -O-, riconducibile al più volte citato -O-, una società -O- assume uno specifico valore indiziario anche in ragione del legame di parentela di costui con i germani -O-.
Non si tratta, pertanto, come sostenuto dall’appellante, di un’informativa “a cascata”, che colpirebbe la -O- per il mero fatto di aver costituito una società -O- insieme alla -O- destinataria di un’informazione interdittiva.
Nel provvedimento prefettizio, infatti, tale circostanza ha assunto una certa pregnanza in ragione di una valutazione complessiva degli elementi raccolti, che hanno mostrato una forte contiguità tra la famiglia -O- e quella -O-, caratterizzata non solo dal vinculum sanguinis ma anche da cointeressenze economiche, di cui la vicenda della costituzione della società -O- rappresenta una significativa e concreta manifestazione.
2.4. In un tale contesto, non si può certo argomentare che la costituzione della società -O- sarebbe irrilevante perché situata in un momento storico risalente. Infatti, oltre a trattarsi soltanto dell’anno 2009, essa si inserisce in quel quadro di significativi rapporti fra i -O- e la famiglia -O- ed assume pertanto un valore indiziario attuale.
2.5. Infine, i documenti prodotti in giudizio smentiscono la prospettazione dell’appellante secondo cui la sentenza del TAR Campania avrebbe attribuito rilevanza a una vicenda neanche considerata dal Prefetto, ossia alla partecipazione della -O- nella società “-O-”, a sua volta compartecipata dalla -O-, amministrata dalla moglie di -O-.
L’informativa interdittiva, infatti, richiama (pag. 1) sia la nota del 3 dicembre 2015, prot. n. -O-, della Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia tributaria di Caserta, sia la nota di pari data, prot. n. -O-, del G.I.C.O. di Napoli, dalla cui congiunta lettura emergono appunto le cointeressenze di cui sopra.
Si tratta, quindi, di un’ammissibile motivazione per relationem , in forza della quale il contenuto degli atti richiamati va ritenuto parte integrante dei presupposti del provvedimento prefettizio.
3. Con il terzo motivo di appello, la società ricorrente censura la pronuncia del giudice di primo grado nella parte in cui, legittimando l’operato del Prefetto, ha attribuito rilevanza all’emissione dell’informazione di garanzia per il reato di associazione mafiosa nei confronti dei germani -O-, nell’ambito del procedimento penale iscritto presso il Tribunale di Napoli con n.R.G. -O-.
Secondo l’appellante si tratterebbe di circostanza irrilevante poiché alcuna misura è stata adottata nei confronti dei predetti germani, né tantomeno vi è stata richiesta di rinvio a giudizio e, anzi, gli sviluppi della vicenda certificherebbero l’estraneità assoluta dei -O- a qualsiasi ipotesi di coinvolgimento nell’azione del clan.
3.1.Il motivo non è fondato.
3.2. L’appellante muove dall’erroneo convincimento che vi sarebbe un perfetto parallelismo fra l’accertamento dei fatti in sede penale e la rilevanza di quei medesimi fatti ai fini dell’adozione di un’informativa antimafia.
Si tratta, tuttavia, di ambiti nettamente distinti.
Come ha recentemente ribadito questa Sezione, “ 5.1. È estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.
5.2. Occorre invece valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
5.3. Per questo gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
5.4. I fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono, infatti, dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, come meglio si dirà, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo.
5.5. Anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione di stampo criminale «comunque localmente denominata»), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia.
5.6. Infatti, la mafia, per condurre le sue lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si vale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa ” (Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).
3.3. Ne consegue che ben poteva il Prefetto di Caserta desumere significativi indizi circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa dagli atti del suindicato procedimento penale, ancorché quest’ultimo non sia pervenuto a un accertamento di responsabilità penale a carico dei germani -O-.
4. Con il quarto motivo la società deduce l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui, recependo supinamente la motivazione dell’informazione antimafia, avrebbe attribuito rilevanza ad una mancata denuncia di estorsione da parte di -O-.
In particolare, l’appellante sostiene che: - il predetto -O- avrebbe tempestivamente denunciato il delitto subito;- il Prefetto avrebbe confuso la dazione coatta di una somma di denaro estorta al -O- con un non meglio precisato “prelievo”;- le dichiarazione del collaboratore di giustizia -O-(denunciato dal -O- sia per estorsione sia per calunnia) circa la contiguità di -O- con il clan dei “-O-”, poste alla base dell’informativa, sarebbero state smentite dai fatti poiché alcun organo della -O- è stato coinvolto nel procedimento penale in cui la deposizione è stata resa;- -O-vittima dell’azione del clan, avrebbe anzi contrastato la consorteria criminale, costituendosi parte civile nel processo penale scaturito dalla propria denuncia e rifiutando l’offerta reale degli imputati, così da impedire che questi conseguissero il beneficio dell’attenuante ex art. 62, n.6, c.p.
4.1. Anche questo motivo è infondato.
4.2. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, richiamate dal provvedimento prefettizio, non indicano che la denuncia per la vicenda estorsiva non sia mai stata sporta, bensì che “ -O- (ma lo stesso discorso deve anche valere per il suo socio, -O-) sia stato costretto a presentare denuncia ”, dopo essere stato sentito dai Carabinieri “ a seguito dell’atto intimidatorio subito e che era a sua volta emerso nel corso delle intercettazioni ambientali all’interno dell’autovettura di -O-, poi sottoposto a fermo di indiziato di delitto ” (pag. 2 del provvedimento).
In altri termini, si allude al fatto che probabilmente la denuncia non sarebbe mai stata presentata ove il -O- non fosse stato escusso dai Carabinieri, che avevano a loro volta tratto la notitia criminis dall’analisi di talune intercettazioni ambientali.
4.3. Né sembra emergere l’asserita confusione da parte del Prefetto fra somme estorte al -O- e un non meglio precisato “prelievo”.
Il provvedimento richiama la deposizione di -O-proprio per il triplice valore indiziario che essa assume: di significatività del rapporto di parentela fra -O- e -O-;di contiguità di entrambi con il clan dei “-O-”, fazione -O-;di soggezione del -O- alle richieste estorsive del medesimo clan.
Tale quadro non può essere tacciato di illogicità, quasi che vi sia una incompatibilità tra l’essere destinatario di richieste estorsive e la contiguità con una specifica consorteria criminale. Infatti, è del tutto plausibile che un imprenditore guadagni la protezione e i favori di un clan, oltreché per l’intercessione di un parente inserito nella consorteria, cedendo alle richieste estorsive, ciò che viene appunto riferito dal collaboratore di giustizia.
4.4. Di talché, nel complesso della vicenda e ai fini del giudizio di legittimità dell’informativa, non può assumere alcun valore decisivo né il fatto che il -O- si sia successivamente costituito parte civile nel processo né che questi abbia denunciato per estorsione e per calunnia il suindicato collaboratore di giustizia.
4.5. Né alcun pregio ha l’argomentazione dell’appellante secondo cui il Prefetto avrebbe confuso la rinunzia dell’offerta reale rivolta dagli imputati, con la rinuncia - mai avvenuta - al risarcimento dei danni subiti e che, anzi, proprio la rinuncia all’offerta reale avrebbe impedito agli imputati di godere dell’attenuante ex art. 62, n.6, c.p.
La configurabilità di tale attenuante implica, nel caso che la persona offesa del reato non abbia voluto accettare il risarcimento, che il colpevole faccia offerta reale nei modi stabiliti dagli art. 1209 ss. c.c., e cioè che questa sia stata seguita dal relativo deposito o atto equipollente, sicché la somma sia a completa disposizione della persona offesa e successivamente il giudice possa valutare adeguatezza e tempestività dell'offerta, al fine di accertare l'effettiva resipiscenza del reo ( ex multis, Cassazione penale, sez. II, 06 luglio 2011, n. 36037). Pertanto, non è affatto vero che dal rifiuto dell’offerta reale di risarcimento discenda automaticamente l’inapplicabilità dell’attenuante nei confronti dell’offerente.
4.6. Infine, quanto al mancato coinvolgimento degli organi della -O- nel procedimento penale a carico di -O- + altri, si rinvia alle considerazioni di cui al precedente 3.2, dove si è già chiarito che i fatti posti alla base di un’informativa interdittiva non devono necessariamente avere una qualche rilevanza penale.
5. L’appello è pertanto respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.