Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-04-27, n. 201701954
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Pubblicato il 27/04/2017
N. 01954/2017REG.PROV.COLL.
N. 06395/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6395 del 2011, proposto da:
Ministero dello Sviluppo Economico e Comunicazioni, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Fotocompositrice Anzola s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati M M, L M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppa Finanze in Roma, via Fabio Massimo, 107;
per la riforma
della sentenza 18 maggio 2010, n. 4771 del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sezione I.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio di Fotocompositrice Anzola s.r.l.;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2017 il Cons. V L e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli e l’avvocato L M.
FATTO e DIRITTO
1.– Fotocompositrice Anzola s.r.l. ha ottenuto con decreto del Ministero del Ministero dell’industria (ora Ministero per lo sviluppo economico) 29 aprile 1992, n. 1 un contributo sotto forma di credito di imposta, ai sensi degli articoli 5 e 6 della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese).
Il Ministero, con decreto 20 settembre 1996, n. 140, ha revocato il contributo.
2.– L’impresa, con ricorso notificato in data 25 ottobre 1996, ha impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, il predetto decreto n. 140 del 1996. La ricorrente ha affermato di non aver ricevuto tale decreto, ma soltanto la sua comunicazione, e pertanto, « ipotizzando che la motivazione della revoca sia la medesima di quella di analoghi e coevi provvedimenti », ha basato il contenuto del ricorso sulla circostanza che il provvedimento fosse motivato da una irregolarità della perizia allegata.
3.– Il Tribunale amministrativo, con ordinanza 25 marzo 2010, n. 6, ha ordinato al Ministero resistente di produrre in giudizio l’atto impugnato.
L’amministrazione non ha adempiuto.
4.– Il Tribunale, con sentenza 18 maggio 2010, n. 4771, « preso atto dell’inadempimento all’ordinanza istruttoria », ha “stigmatizzato” il comportamento dell’amministrazione e ritenuto che le ragioni della revoca fossero quelle indicate dalla ricorrente stessa.
Sulla base di queste premesse, il primo giudice ha accolto il ricorso, ritenendo che tra le cause tipiche di revoca previste dall’art. 13 della legge n. 317 del 1991 non rientri la fattispecie rappresentata da irregolarità della perizia.
5.– Il Ministero ha proposto appello avverso la suddetta sentenza. In particolare, con il primo motivo di gravame ha dedotto l’erroneità della decisione in quanto la perizia giurata sarebbe il primo elemento richiesto dalla domanda, con la conseguenza che l’insussistenza di uno dei suoi requisiti osterebbe alla concessione dell’agevolazione e legittimerebbe la revoca della stessa da parte dell’amministrazione. Con il secondo motivo, ha dedotto l’erroneità della decisione per avere il Tribunale amministrativo erroneamente interpretato l’art. 10, comma 2, della legge n. 317 del 1991. In particolare, si assume che tale norma imporrebbe che la certificazione attestante l’effettività della realizzazione dell’intervento oggetto di finanziamento provenga da un ingegnere o da un perito industriale, con la conseguente inammissibilità della perizia giurata di un professionista non iscritto all’albo.
6.– Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.
7.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 20 aprile 2017.
8.– L’appello non è fondato.
La regola probatoria, posta dall’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., impone alle parti « l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni ».
Si tratta di una disposizione che rappresenta l'applicazione, nel giudizio amministrativo, del principio dell’onere della prova sancito dall’art. 2697 cod. civ. (Cons. Stato, sez. III, 11 febbraio 2013, n. 746;detto principio era ritenuto applicabile anche prima dell’adozione del codice del processo amministrativo: Cons. Stato, sez. VI, 7 luglio 2008, n. 3381).
Nella fattispecie in esame, l’amministrazione appellante non ha assolto a tale onere probatorio.
Essa, per dimostrare la legittimità dell’atto impugnato, avrebbe dovuto depositarlo in giudizio. Il Ministero non solo non ha provveduto in tal senso ma è rimasto inadempiente anche a seguito di un espresso ordine istruttorio del Tribunale amministrativo. Ne consegue che, in mancanza di tale produzione documentale, non è possibile accertare i fatti posti a base delle deduzioni difensive dell’amministrazione appellante. In particolare, non è dato comprendere come sia stata articolata la motivazione posta a base della determinazione impugnata e dunque valutarne la conformità al quadro normativo di riferimento. E’ bene aggiungere che l’atto di appello nulla riporta in ordine a tale aspetto e comunque qualunque produzione in appello di nuova documentazione non sarebbe ammissibile ai sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm.
9.– L’appellante è condannato al pagamento, in favore della parte resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che vengono determinate in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.