Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-02-06, n. 202301247
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Pubblicato il 06/02/2023
N. 01247/2023REG.PROV.COLL.
N. 00689/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 689 del 2018, proposto dalla Società Agricola San Mario s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati O A, M G e A L, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L in Roma, viale dei Parioli, n. 67;
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Regione Campania, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Marzocchella, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli, n. 29;
la Città metropolitana di Napoli, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Cristiano, Massimo Maurizio Marsico, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
il Comune di Giugliano in Campania, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Russo, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luigi Napolitano in Roma, via Girolamo da Carpi, n. 6;
il Consorzio unico di bacino delle Province di Napoli e Caserta in liquidazione, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Renato Labriola, Mena Minafra, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione quinta, n. 4849 del 17 ottobre 2017.
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Regione Campania, della Città metropolitana di Napoli, del Comune di Giugliano in Campania e del Consorzio unico di bacino in liquidazione delle Province di Napoli e Caserta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2022 la Cons. E L e Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il contenzioso in esame concerne l’accertamento della responsabilità delle amministrazioni evocate in giudizio per l’omissione e comunque per il ritardo nelle attività di controllo e di vigilanza nonché di messa in sicurezza e di bonifica delle aree risultate gravemente inquinate nel Comune di Giugliano in Campania e dell’Area Vasta inserita nel 1998 tra i siti di interesse nazionale per la bonifica dei suoli inquinati (discarica ex Resit località Scafarea);è richiesta la condanna al pagamento del risarcimento dei danni subiti dalla società Agricola San Mario s.r.l. che sono stati dalla stessa quantificati in euro in euro 18.337.443,49, previo eventuale accertamento a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria.
1.1. In punto di fatto l’appellante richiama i seguenti elementi:
a) la Società Agricola San Mario s.r.l., costituita il 31 maggio 2004, ha acquistato, in data 28 luglio 2004 e 21 settembre 2005, alcuni suoli siti in Giugliano in Campania per la coltivazione di prodotti agricoli, attività che sarebbe stata interrotta, a partire dall’anno 2012, a causa del diffuso inquinamento ambientale della zona;
b) con l’ordinanza n. 49 del 22 settembre 2010, il Comune ha inibito l’uso dell’acqua di falda necessaria per l’irrigazione dei terreni;
c) a seguito degli esami dei campioni prelevati da una ditta incaricata dalla ricorrente, a quest’ultima è stato consentito di proseguire l’attività produttiva;
d) con due ordinanze contingibili e urgenti del 15 giugno 2012 e del 20 agosto 2012 il Comune di Giugliano in Campania ha disposto la chiusura dei due pozzi presenti sul sito, ubicato in prossimità della discarica ex Resit, località Scafarea, in considerazione degli esiti di ulteriori controlli eseguiti dall’ARPAC, i quali avevano rivelato il superamento dei valori di rischio per la salute umana (CSR) per alcuni parametri;
e) i due provvedimenti sono stati impugnati dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che ha respinto il ricorso.
2. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, la società ha agito per l’accertamento delle responsabilità per avere subito ingenti danni conseguenti al blocco dell’attività produttiva, quali, innanzitutto, la perdita del raccolto del 2012.
Inoltre, la chiusura dell’azienda avrebbe determinato l’impossibilità di completare i lavori oggetto di un programma di investimento elaborato dalla società per la realizzazione di tre impianti fotovoltaici su serre, autorizzati con decreti regionali del 24 giugno 2011 e del 17 ottobre 2014, con un dispendio di consistenti somme di denaro nonché del contributo accordato dalla Regione Campania, con decreto n. 37 del 9 febbraio 2012.
2.1. In base all’assunto della inerzia, nell’esercizio dei poteri conferiti in materia di bonifiche e di inquinamento, prima delle amministrazioni preposte in via ordinaria e poi del Commissario di Governo, la società ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni da quantificarsi in euro 18.337.443,49 oltre interessi legali e rivalutazione, come da perizia di parte.
3. Il T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, con la sentenza impugnata:
a) ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione amministrativa sull’azione risarcitoria;
b) ha assorbito le ulteriori eccezioni sollevate dalle parti resistenti in quanto ha ritenuto che la domanda risarcitoria per responsabilità aquiliana delle Amministrazioni evocate in giudizio fosse infondata nel merito, non risultando provati i presupposti idonei a sostenere la proposta azione;
c) ha compensato le spese di giudizio.
3. La società ha proposto appello avverso la suindicata sentenza sollevando un unico articolato motivo:
I. ERROR IN PROCEDENDO in relazione agli artt. 64 c.p.a. e 2697 c.c.
ERROR IN JUDICANDO in relazione agli artt. 2043 c.c., 242, comma 4, 248 e 250 del d.lgs. n. 152/2006, gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva europea 2004/35.
3.1. In particolare la società ricorrente, al punto B2 dell’atto di appello, argomenta in ordine alla sussistenza della prova del danno poiché non sarebbe sufficiente a dimostrare la legittimità dell’azione amministrativa la circostanza per cui il Tribunale Superiore delle acque pubbliche ha respinto le impugnative avverso le due ordinanze con le quali il Comune di Giugliano ha disposto la chiusura dei pozzi il cui emungimento era essenziale per l’esercizio dell’attività aziendale.
3.2. In secondo luogo, il giudice di primo grado non avrebbe tenuto in considerazione che è stato dimostrato che gli enti resistenti con le loro azioni od omissioni “hanno consentito l’uso scellerato del territorio, non hanno individuato, come era loro dovere (artt. 242, comma 4, 248 e 250 del d.lgs. n. 152/2006), il responsabile dell’inquinamento né, in assenza della indicata individuazione, hanno provveduto d’ufficio, come imposto per legge (art. 250 cit.), alla eliminazione delle cause inquinanti risanando, nella specie, le falde acquifere alle quali attingono i pozzi posti sulle aree oggetto di causa” .
3.3. In terzo luogo, sotto il profilo della sussistenza dell’elemento psicologico, le Amministrazioni sarebbero state a conoscenza degli obblighi a cui le medesime erano tenute.
3.4. In quarto luogo, l’evento dannoso ingiusto e il danno patrimoniale conseguente sarebbero state dimostrate dalla perizia tecnica.
3.5. In quinto luogo, sussisterebbero la colpa e il nesso di causalità essendo stati violati da parte delle Amministrazioni le disposizioni che attribuiscono e ripartiscono tra loro compiti e funzioni (e dunque i relativi doveri) ed in particolare l’art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, disposizione che prevede l’obbligo di provvedere d’ufficio alla messa in sicurezza e alla bonifica del sito.
3.6. In sesto luogo (punto B3) dell’atto di appello), nelle more del giudizio dinanzi al T.a.r. si è svolto anche il processo penale n. 24961/10 r.g.n.r. nei confronti di uno dei sub-commissari nominati per la gestione dell’emergenza rifiuti tra il 2000 e il 2004, di tecnici incaricati e di funzionari della Provincia di Napoli: costoro sono stati condannanti per reati connessi all’inquinamento ambientale della discarica Resit.
La sentenza emessa n. 14/16 delll’11 gennaio 2017, resa in sede penale e la consulenza (i cui testi sono stati ampiamente riportati nell’atto di appello) non sarebbero stati tenute in considerazione dalla sentenza di primo grado impugnata.
3.7. In settimo luogo (punti B4 e B5), il principio di derivazione comunitaria “chi inquina paga” sarebbe stato erroneamente interpretato dalla sentenza appellata poiché il privato che inquina ha l’obbligo di risarcire, “ma l’Amministrazione, a sua volta, non deve inquinare e se inquina o non impedisce che altri inquini o non provvede a recuperare l’ambiente dall’inquinamento deve risarcire il danneggiato senza potersi esimere e neppure voler invocare un beneficio di escussione”.
In altri termini vi sarebbero due titoli di responsabilità autonomi che ineriscono a soggetti diversi e per comportamenti diversi.
4. Si è costituita in giudizio la Regione Campania, che ha eccepito in primo luogo, la inammissibilità della domanda risarcitoria sotto due distinti profili:
a) poiché proposta oltre il termine di decadenza di 120 giorni fissato dall’art. 30 c.p.a. decorrente – in tesi – dall’adozione delle due ordinanze comunali n. 65 e n. 84 del 2012;
b) poiché, qualora non si ritenga applicabile il richiamato termine decadenziale introdotto dal c.p.a., il termine di prescrizione – quinquennale ex art. 2947 c.c. - avrebbe come dies a quo il momento in cui il danno si è verificato in modo percepibile consentendo l’esercizio dell’azione ai sensi dell’art. 2935 c.c.
4.1. La Regione Campania ha inoltre eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva poiché fin dai tempi dell’emanazione del d.P.R. n. 915 del 192, le competenze regionali in materia di rifiuti sono state di carattere organizzativo e pianificatorio e non di diretta gestione e sorveglianza, attribuite ai Comuni e alle Province.
4.2. La Regione inoltre ha rilevato la genericità della domanda risarcitoria proposta e il mancato assolvimento della prova da parte dell’appellante e si è opposta alla richiesta istruttoria di disporre una consulenza tecnica d’ufficio.
5. Si è costituito in giudizio il Comune di Giugliano in Campania, che ha argomentato in ordine alla propria estraneità nella gestione dei rifiuti giacché con d.P.C.M. 11 febbraio 1994 è stato nominato il Commissario delegato per fronteggiare lo stato di emergenza;donde l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti del Comune medesimo.
6. Si è costituito in giudizio il Consorzio di bacino in liquidazione delle Province di Napoli e Caserta, che ha depositato memoria di replica il 24 giugno 2022.
7. L’appellante ha depositato memoria e memoria di replica rispettivamente in data 10 giugno e 22 giugno 2022.
8, Si sono costituiti in giudizio il 12 luglio 2022 la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
8. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2022 l’avvocato di parte appellante ha eccepito la inammissibilità per tardività della memoria depositata dal Consorzio di bacino.
9. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2022 la causa è stata spedita in decisione.
10. In via preliminare, il Collegio può prescindere dalle eccezioni di irricevibilità e/o inammissibilità dell’appello (Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 27 aprile 2015) sollevate dalle parti resistenti in quanto la domanda è infondata nel merito, non risultando provati i presupposti idonei a sostenere la proposta azione risarcitoria per responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., delle amministrazioni evocate in giudizio.
101. In via ulteriormente preliminare, il Collegio rileva la inammissibilità dei seguenti depositi:
a) della relazione a firma del dott. Geologo B, in data 6 dicembre 2017, depositata per la prima volta in appello da parte della società istante in quanto si tratta di deposito effettuato in violazione del divieto dei nova in appello sancito dall’art. 104 comma 2 c.p.a.;
b) della memoria di replica del Consorzio unico di bacino in quanto depositata il 24 giugno 2022 alle ore 17,33 e quindi tardivamente.
11. Sulle censure dedotte dalla società istante, il Collegio richiama la sentenza emessa su r.g.n. 2201/2018 da questa Sezione n. 6349 del 20 ottobre 2020, su fattispecie analoga e quindi avente valore di precedente ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d) c.p.a..
12. La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda la configurabilità di una responsabilità da illecito aquiliano, ai sensi dell’art. 2043 c.c., della Pubblica Amministrazione per l’inquinamento causato nel fondo, adibito a coltivazioni agricole di proprietà dell’appellante, dall’attività e dalla stessa presenza della confinante discarica di rifiuti e per il suo aggravamento in conseguenza della carenza di attività di messa in sicurezza e bonifica del sito;ciò che avrebbe comportato l’inquinamento della falda acquifera con compromissione della capacità produttiva del terreno limitrofo.
13. In particolare, il T.a.r. per la Campania non avrebbe considerato che le due ordinanze emesse dal Comune di Giugliano n. 65 e n. 81 rispettivamente il 15 giugno 2012 e il 20 agosto 2020, con le quali è stata ordinata la chiusura dei pozzi con il conseguente arresto dell’attività della istante, dimostrerebbero la presenza del danno all’attività arrecato dall’inquinamento.
14. Una ulteriore questione sottoposta dalle appellanti all’esame del Collegio riguarda la sussistenza di una responsabilità di tipo omissivo delle amministrazioni resistenti che non avrebbero individuato il responsabile dell’inquinamento né, in assenza della indicata individuazione, hanno provveduto d’ufficio, come previsto dall’art. 250 d.lgs. d.lgs. n. 152 del 2006, alla eliminazione delle cause inquinanti risanando, nella specie, le falde acquifere alle quali attingono i pozzi posti sulle aree oggetto di causa.
15. In particolare, il T.a.r. per la Campania non avrebbe tenuto conto della sentenza emessa in sede penale, in relazione all’inquinamento della falda acquifera causato dalla discarica Resit, dalla Corte d’appello di Napoli n. 14/16 del 15 luglio 2016-11 gennaio 2017, a carico del sub commissario per l’emergenza rifiuti tra il 2000 e il 2004, di funzionari della Provincia di Napoli e di tecnici incaricati di certificare le opere di messa in sicurezza della discarica nonché della relazione di consulenza tecnica resa in quel giudizio.
16. Sarebbero integrati pertanto gli elementi del danno ingiusto, del nesso causale, dell’elemento psicologico e del danno da risarcire, quest’ultimo quantificato con la perizia tecnica depositata nel giudizio di primo grado.
17. Premesso che non sono in contestazione l’esistenza di uno stato di compromissione ambientale anche nell’area ove è stata allocata la discarica ex Resit (come si desume dall’adozione del decreto del Ministro dell’Ambiente del 10 gennaio 2010, pubblicato in G.U. n. 48 del 28 febbraio 2000, nell’ambito della previsione di una azione di bonifica riguardante il Litorale Domizio flegreo e l’Agro Aversano nonché dalle plurime Ordinanze di Protezione civile susseguitesi nel tempo), le censure mosse alla sentenza di primo grado non risultano fondate e vanno respinte, poiché è da condividere la ricostruzione che la stessa delinea circa il mancato assolvimento dell’onere probatorio, da porre in capo al danneggiato ex art. 2697 c.c. e in ordine alla insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale in capo alle amministrazioni convenute, con particolare riferimento all’elemento soggettivo (dolo o colpa) e alla dimostrazione del danno risarcibile.
17.1. In primo luogo, il Collegio rileva come la censura relativa alle ordinanze emesse dal Comune di Giugliano in Campania sia stata dedotta in primo grado come elemento causativo del danno derivante dalla impossibilità di utilizzare i pozzi mentre in appello la censura viene fatta valere per dimostrare la sussistenza dell’inquinamento.
In ogni caso il rilievo non conduce ad avvalorare la tesi dell’appellante poiché:
a) sotto il primo profilo dedotto in primo grado, l’impugnativa delle ordinanze è stata respinta dal Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, che ha ritenuto la loro legittimità sicché non è configurabile il presupposto dell’illegittimità dell’azione amministrativa idonea ad integrare un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c.;
b) sotto il secondo profilo dedotto in grado d’appello, la censura non coglie nel segno poiché l’oggetto del giudizio in esame è costituito non dalla esistenza dell’inquinamento nell’area in questione, bensì da una domanda di attribuzione di responsabilità a soggetti pubblici vari, alternatisi in un lungo lasso di tempo nella gestione della crisi ambientale nella Regione Campania.
17.2. In secondo luogo, il Collegio rileva che la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, le cui motivazioni sono state pubblicate l’11 gennaio 2017, esula dal thema decidendum del presente contenzioso essendo la sentenza successiva al deposito del ricorso di primo grado (deposito dell’Avvocatura del 4 maggio 2017).
Peraltro, l’accertamento della responsabilità in sede penale avvenuto a mezzo della richiamata sentenza è di molto successivo ai fatti commissivi e omissivi che avrebbero cagionato il danno, per cui, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, non se ne può inferire una responsabilità delle Amministrazioni che si sono succedute nel tempo nella gestione dei rifiuti nella Regione Campania.
17.3. Sotto diverso angolo prospettico, non valgono a radicare la responsabilità dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nei confronti del privato per il danno ambientale arrecato da altro soggetto privato, gli artt. 242, 248 e 250 d.lgs. n. 12 del 2006 citati dall’appellante (pag. 7 dell’atto di appello).
17.4. Si richiama in proposito la ricostruzione delineata dalla citata sentenza n. 6349 del 2020 di questa Sezione: “Sotto tale angolo prospettico, tutt’affatto diversi sono i presupposti dell’azione prevista dagli artt. 309 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché a mezzo di essa, che può essere attivata su impulso di regioni, province autonome, enti locali, persone fisiche o giuridiche nonché organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell'ambiente, si intende tutelare il valore “Ambiente”, che costituisce l’oggetto di uno specifico interesse pubblico rispetto a casi di danno o anche di semplice minaccia di danno ambientale.
In tal caso, quindi, il bene della vita tutelato in via diretta dal Legislatore non è l’interesse particolare di un soggetto che chiede di essere risarcito per il danno cagionato alla propria sfera patrimoniale, bensì l’interesse alla tutela ambientale posto in capo al Ministero dell’Ambiente che, su sollecitazione dei soggetti sopra indicati, adotta le necessarie misure di precauzione, prevenzione e contenimento del danno a seguito della apposita valutazione discrezionale che è chiamato a svolgere ai sensi del comma 3 dell’art. 309 d.lgs. cit.
Le disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 hanno consentito allo Stato di ottenere il risarcimento del danno ambientale da parte del responsabile, ma non consentono di ritenere che lo Stato medesimo – o altre pubbliche amministrazioni – di per sé rispondano del danno cagionato ad un singolo proprietario da un illecito cagionato da un terzo: se un soggetto cagiona un danno ad un proprietario, rendendo ‘inservibile’ il fondo con una condotta che ne comporta il suo inquinamento, il proprietario danneggiato può agire solo nei confronti dell’autore della condotta illecita, mentre lo Stato è titolare della pretesa risarcitoria per la lesione arrecata all’ambiente e può agire nei confronti del medesimo autore della condotta illecita, nonché nei confronti del proprietario del fondo inquinato, qualora sussistano i relativi presupposti.
E’ pur vero che i soggetti pubblici e privati sopra indicati sono legittimati ad agire ai sensi dell’art. 310 T.U. cit. secondo i principi generali, per l'annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui al d.lgs. 152/2006, nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’ambiente e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, ma si tratta pur sempre di azioni volta a stimolare iniziative concrete a tutela dell’interesse generale ambientale che risulta essere stato leso e non di azioni risarcitorie a tutela di singoli beni privati.
Il Ministro dell’ambiente deve farsi parte attiva nell’adottare le misure di contenimento dei danni ambientali e di messa in sicurezza (e perciò può essere compulsato a mezzo di azioni giurisdizionali a cui sono legittimati i soggetti sopra indicati, ivi comprese le associazioni di tutela ambientale), ma non è soggetto passivo dell’azione di danno.”
17.5. Alla luce dell’accertamento negativo circa la sussistenza degli elementi del nesso causale nonché oggettivo e soggettivo necessari ad integrare lo schema della responsabilità ex art. 2043 c.c., non risulterebbe rilevante l’esame delle censure svolte dall’appellante con riferimento alla sussistenza del pregiudizio da risarcire.
Per completezza il Collegio ritiene tuttavia di esaminare anche le censure che si riferiscono al pregiudizio risarcibile.
17.6. Sul tema deve ribadirsi la inammissibilità del deposito della relazione tecnica geologica effettuato soltanto in appello e quindi in violazione del divieto di cui all’art. 104 comma 2 c.p.a.
Inoltre, va pertanto respinta la domanda, non circostanziata, di consulenza tecnica d’ufficio, giacché tale mezzo di prova non può trovare accesso nel giudizio amministrativo se non in presenza di indizi sufficienti forniti dalla parte che la richiede, il che non è avvenuto nel caso in esame.
Infatti, la domanda di CTU proposta in relazione alla perizia depositata in primo grado è (doc. n. 35 all. ricorso di primo grado) è generica e fonda sulla spettanza anche di contributi pubblici, spettanza incerta nell’ an e nel quantum .
18. Conclusivamente, alla luce delle suesposte motivazioni, l’appello va respinto.
19. Sussistono giusti motivi, in relazione alla complessità delle questioni trattate, per disporre la integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese di giudizio e degli onorari del secondo grado.