Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-07-13, n. 201004534
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Testo completo
N. 04534/2010 REG.DEC.
N. 03985/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 3985 del 2009, proposto da:
Casa Cura San Secondo Sas di Trotti Maina Guglielmo &C.Liq., rappresentata e difesa dagli avv. R I, E S, D V, con domicilio eletto presso Studio Legale Vaiano-Izzo in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
contro
Regione Piemonte, rappresentata e difesa dagli avv. G P, A Rava, con domicilio eletto presso G P in Roma, viale Giulio Cesare N.14;
Azienda Sanitaria Locale "AT" (gia' A.S.L. n. 19 di Asti);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE II n. 00485/2009, resa tra le parti, concernente REVOCA AUTORIZZAZIONI PER APERTURA ED ESERCIZIO ATTIVITA' SANITARIE (RIS.DANNI).
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Piemonte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2010 il Cons. R C e uditi per le parti gli avvocati Izzo, Vaiano, Pafundi e Rava;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La Casa di Cura S. Secondo s.a.s., proprietaria dell'omonima clinica privata con sede in Asti, era stata autorizzata - con deliberazione della Giunta regionale del Piemonte n. 54-3467 del 16.1.1990 - all'esercizio dell'attività sanitaria per 90 posti letto, di cui 79 in regime di provvisorio accreditamento sulla base della successiva D.G.R. n. 156-2188 del 6.8.1997.
In data 1.1.2003 la predetta società era posta in liquidazione volontaria per effetto della scadenza del termine societario pattiziamente convenuto e il 5.5.2003 stipulava un contratto di affitto di azienda relativo alla casa di cura con la G.S.A.P. s.r.l..
Risolto in data 4.5.2005 il contratto di affitto, la Casa di Cura S. Secondo riassumeva la gestione diretta dell’attività.
Con deliberazione n. 61-2596 del 10 aprile 2006 la Giunta Regionale del Piemonte autorizzava - per un periodo non superiore a mesi sei - la Casa di Cura S. Secondo all'esercizio temporaneo delle attività sanitarie autorizzate e provvisoriamente accreditate, fermo restando l’adempimento delle prescrizioni di cui alla determinazione del Dirigente nr. 48 del 14.03.2006 e la riduzione dei posti letto autorizzati e provvisoriamente accreditati da 79 a 69.
Successivamente, la stessa Giunta regionale dapprima respingeva l'istanza di proroga dell'autorizzazione sanitaria temporanea e disponeva la sospensione dell'autorizzazione all'esercizio delle attività sanitarie (deliberazione n. 40 - 4060 del 17 ottobre 2006) e, poi, revocava definitivamente l'autorizzazione all'apertura e all'esercizio di tutte le autorità sanitarie a suo tempo rilasciate alla Casa di Cura San Secondo s.a.s. in liquidazione (deliberazione n. 71 - 5060 del 28 dicembre 2006).
Tali provvedimenti venivano impugnati davanti al Tar per il Piemonte con tre autonomi ricorsi dalla Casa di cura S. Secondo, che chiedeva anche il risarcimento dei danni.
Con sentenza n. 485/2009 il Tar per il Piemonte ha riunito e respinto i tre ricorsi.
La Casa di Cura San Secondo s.a.s. in liquidazione ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.
La Regione Piemonte si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione da parte della Casa di Cura San Secondo s.a.s. in liquidazione di una serie di atti con cui la Regione Piemonte ha dapprima limitato temporalmente l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie concessa alla casa di cura e per poi sospenderla e revocarla in modo definitivo.
Con le prime censure l’appellante contesta l’autorizzazione provvisoria per sei mesi rilasciata dalla Regione il 10 aprile 2006, sostenendo che le originarie autorizzazioni non erano mai venute meno, che la comunicazione della riassunzione della gestione diretta della casa di cura a seguito della risoluzione del contratto di affitto di azienda era da tempo nota alla Regione e che la gestione della società finalizzata all’individuazione di un acquirente dell’azienda è consentita nella fase di liquidazione societaria.
I motivi sono privi di fondamento.
Anche ipotizzando la vigenza delle precedenti autorizzazioni, con il nuovo provvedimento la Regione ha inteso con evidenza limitarne l’efficacia temporale ad un periodo di sei mesi in considerazione dello stato di liquidazione della società e della riassunzione della diretta gestione dell’attività.
Tale limitazione temporale non solo deve ritenersi consentita, ma costituisce un beneficio di carattere eccezionale, concesso dall’amministrazione alla Casa di cura proprio in considerazione dello stato di liquidazione della società.
Infatti, una società regolarmente sciolta continua a sopravvivere come soggetto collettivo, all'unico scopo di liquidare i risultati della cessata attività sociale, sicché non è consentito ai liquidatori, in virtù degli artt. 2278 e 2279 c.c., intraprendere nuove operazioni, intendendosi per tali quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o definizione dei rapporti in corso, ma che costituiscono atti di gestione dell'impresa sociale (Cassazione civile , sez. lav., 19 gennaio 2004 , n. 741).
In sostanza, durante la fase della liquidazione la società non è estinta, ma essa continua ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione, sia pure con un restringimento della capacità, derivante dalla modificazione dello scopo che non è più quello dell'esercizio dell'impresa, bensì quello della sua liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito con i terzi (Cassazione civile , sez. II, 2 aprile 1999 , n. 3221).
Sulla base di tali principi, si poteva al massimo dubitare della possibilità durante la fase della liquidazione di stipulare un contratto di affitto di azienda (in senso contrario, in relazione ad un contratto di locazione: Cassazione civile , sez. III, 17 novembre 1997 , n. 11393) o di consentire la stessa gestione temporanea per sei mesi (Cassazione civile , sez. I, 8 ottobre 1979 , n. 5190, secondo cui durante la liquidazione è preclusa la possibilità di contrarre nuovi debiti, che non siano strettamente indispensabili alle operazioni liquidatorie, e si traducano in nuove iniziative imprenditoriali con assunzione di nuovi rischi). Tali questioni non costituiscono oggetto della presente controversia, ma le considerazioni svolte conducono ad escludere la fondatezza delle tesi della ricorrente, secondo cui lo stato di liquidazione non assumerebbe alcun rilievo ai fini delle autorizzazioni in essere e non sarebbe preclusivo per l’ordinario svolgimento dell’attività di gestione della casa d cura.
I limiti derivanti ai poteri del liquidatore dagli artt. 2278 e 2279 c.c. non sono compatibili con la prosecuzione dell’ordinaria attività sociale e il problema che poteva porsi era quello della legittimità dell’autorizzazione anche solo temporanea, e non quello dell’illegittimità della limitazione temporanea dell’autorizzazione.
E’ peraltro del tutto irrilevante che l’amministrazione abbia di fatto consentito la prosecuzione dell’attività da parte dell’appellante, intervenendo non immediatamente dopo la risoluzione del menzionato contratto di affitto di azienda.
Infine, in relazione al mancato accoglimento dell’istanza di proroga dell’autorizzazione provvisoria, si rileva che la deliberazione del 17 ottobre 2006 e il precedente atto del 9 ottobre 2006 sono stati impugnati dalla Casa di cura S. Secondo senza però la proposizione di motivi autonomi inerenti la mancata proroga, che ha comunque costituito conseguenza necessitata delle considerazioni svolte in precedenza circa i limiti derivanti dallo stato di liquidazione e di quelle di cui al punto seguente in ordine alle inadempienze addebitate all’appellante.
3. Con le ulteriori censure l’appellante contesta i provvedimenti di sospensione e revoca dell’autorizzazione, deducendo che tali atti si pongono in palese contraddittorietà con la precedente autorizzazione provvisoria nel frattempo scaduta;che non sussistevano i presunti inadempimenti contestati alla casa di cura e che non sarebbe stata seguita la procedura prevista dall’art. 9 della L.R. n. 5/1987, che richiede la previa diffida prima di procedere a sospensione e revoca.
Anche tali censure sono infondate.
In primo luogo la sospensione e la definitiva revoca delle autorizzazione si pone in solo apparente contrasto con la autorizzazione provvisoria ormai scaduta;infatti, la limitazione temporale dell’autorizzazione provvisoria era stata impugnata dalla Casa di cura e legittimamente la Regione ha concluso un procedimento di diversa natura (sanzionatoria), peraltro iniziato prima della scadenza dell’autorizzazione provvisoria.
Sotto il profilo procedimentale si rileva che la diffida, la cui assenza è dedotta dalla ricorrente, è costituita dalla determinazione n. 48 del 14 marzo 2006 del dirigente della direzione “Controllo delle attività sanitarie” della Regione, con cui la Casa di cura era stata invitata ad ottemperare entro trenta giorni ad una serie di prescrizioni, corrispondenti a rilievi svolti in sede di vigilanza, con avvertenza che in caso di inottemperanza si sarebbe proceduto alla sospensione delle autorizzazioni sanitarie.
Tali prescrizioni sono state anche richiamate nel provvedimento di autorizzazione provvisoria e, di conseguenza, la Casa di cura era stata posta in condizione di regolarizzare la propria situazione.
Tale regolarizzazione non è avvenuta, come risulta chiaramente dal verbale di sopralluogo della Commissione di vigilanza dell’A.S.L. n. 19 del 15 settembre 2006.
Da tale verbale emergono una serie di gravi inosservanze, incompatibili con la prosecuzione dell’attività e che rilevano in via autonoma rispetto al problema dello stato di liquidazione della società.
In sede di sopralluogo sono state riscontrate le carenze già evidenziate nel marzo del 2006 e sono stati rilevati nuovi connessi profili di violazione, che costituiscono l’esito del controllo richiesto dalla Regione in relazione a determinate criticità.
L’appellante tenta di spostare l’attenzione su presunte nuove contestazioni, che avrebbero richiesto una nuova diffida prima di procedere alla sospensione dell’attività, ma in realtà si tratta dei medesimi profili di criticità, emersi nel marzo del 2006, aggravati in sede di dettagliata verifica della situazione di fatto e degli elementi di giustificazione presentati dalla Casa di cura.
In particolare, sono emersi i seguenti elementi:
- organizzazione dell’attività inidonea a garantire la presenza medica minima prevista per una casa di cura con posti letto non inferiori a quindici;
- l’assenza del medico responsabile delle U.F. di medicina generale e assenza dei requisiti in capo al medico responsabile dell’unità di lungodegenza;
- assenza della figura di fisioterapisti;
- assenza di realizzazione delle opere necessarie per mettere la struttura in regola con la normativa antincendio (opere dichiaratamente non realizzate perché troppo onerose per una società in liquidazione);
- assenza di locali collettivi di soggiorno e presenza di letti obsoleti in scadenti condizioni di manutenzione, inidonei per i degenti che devono restare a letto e che presentano lesioni da decubito.
Tali elementi sono più che sufficienti per giustificare la sospensione dell’autorizzazione e la successiva revoca definitiva e confermano l’inadempimento della società rispetto alle prescrizioni della Regione e indirettamente anche l’impossibilità per una società in liquidazione a fare fronte agli interventi necessari per garantire il corretto esercizio dell’attività sanitaria.
Anche i provvedimenti di sospensione e revoca dell’autorizzazione devono, quindi, ritenersi legittimamente emanati dalla Regione Piemonte.
4. La riconosciuta legittimità degli atti impugnati priva l’istanza risarcitoria del primo elemento su cui la domanda è stata fondata, costituito appunto dalle illegittimità provvedimentali, fonte dei danni asseritamene subiti a seguito dell’interruzione dell’attività sociale prima della definizione delle trattative in corso per la cessione dell’azienda.
Anche tale domanda deve, quindi, essere respinta.
Parimenti deve essere respinta la richiesta, in via subordinata, del riconoscimento di un indennizzo ex art. 21-quinques della legge n. 241/90.
Dall’ordinaria revoca dei provvedimenti amministrativi, oggi disciplinata dal citato art. 21-quinques, vanno distinte le fattispecie di “revoca – sanzione” o “revoca – decadenza”, mediante le quali l’amministrazione può disporre, nei casi previsti dal legislatore, il ritiro di un provvedimento favorevole come specifica conseguenza della condotta del destinatario, quando essa violi specifiche previsioni normative;in questi casi, infatti la revoca non dipende da valutazioni di opportunità, ma è la conseguenza (vincolata) di una violazione della legge.
E’ evidente come in queste ipotesi, non si pone neanche il problema della corresponsione di un indennizzo, essendo il ritiro del provvedimento legato ad una condotta addebitabile alla parte privata, e non certo a valutazioni di opportunità da parte dell’amministrazione.
5. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.
In considerazione della peculiarità in fatto della controversia, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.