Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-09-24, n. 201906377
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Testo completo
Pubblicato il 24/09/2019
N. 06377/2019REG.PROV.COLL.
N. 08140/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 8140 del 2015, proposto dal signor S S, rappresentato e difeso dall'avvocato C D, domiciliato presso la Segreteria della Quarta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n 13;
contro
Il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato
ex lege
in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. 649/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 il pres. Luigi Maruotti;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso di primo grado n. 392 del 2014 (proposto al TAR per il Piemonte), l’appellante ha chiesto che sia ordinato al Ministero della giustizia di dare esecuzione al decreto della Corte d’appello di Torino rep. 1259 del 2012, depositato in cancelleria in data 20 giugno 2012 e munito di formula esecutiva il 3 dicembre 2012.
2. Con la sentenza n. 649 del 2015, il TAR:
- ha constatato che nel corso della camera di consiglio del 5 febbraio 2015 era stata segnalata al ricorrente la circostanza della assenza della prova della notifica del decreto presso la sede reale del Ministero, in via Arenula n. 70, Roma (ai sensi dell’art. 14, comma 1 bis, del decreto legge n. 669 del 1996, come convertito nella legge n. 30 del 1997);
- ha rilevato che il ricorrente nel corso del giudizio, con una memoria di data 27 febbraio 2015, ha escluso che il citato comma 1 bis si applichi quando sia proposto un giudizio d’ottemperanza innanzi al giudice amministrativo);
- ha dichiarato inammissibile il ricorso, richiamando la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2654) per la quale non può essere proposto il ricorso per l’ottemperanza ad un decreto di condanna, emesso in applicazione della legge n. 89 del 2001, quando non vi siano stati la notifica prevista dal sopra citato art. 14, comma 1 bis e il decorso del termine dilatorio di centoventi giorni.
3. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia dichiarato ammissibile e sia accolto, perché fondato.
Egli ha lamentato la violazione dell’art. 115 del codice del processo amministrativo, dell’art. 11 del regio decreto n. 1611 del 1933, della legge n. 89 del 2001, di vari articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché vari profili di eccesso di potere.
A supporto delle sue deduzioni, l’appellante ha dedotto che l’rt. 115 del codice del processo amministrativo non ha previsto la necessità della apposizione della formula esecutiva, quando sia proposto un ricorso per l’ottemperanza.
Inoltre, egli ha ritenuto ‘illogica’ la statuizione del TAR sulla necessità della notifica del titolo presso la sede reale dell’Amministrazione, poiché presso l’Avvocatura dello Stato vi è stata a suo tempo la notifica del ricorso per cassazione avverso la sentenza (cioè il decreto) della Corte d’appello, con la conseguente conoscenza della pronuncia giudiziale da parte dell’Amministrazione.
L’appellante ha altresì osservato che tra la notifica del ricorso e l’emissione della sentenza erano già passati centoventi giorni, previsti dalla legge solo quando si tratti dell’esecuzione forzata e non anche del giudizio d’ottemperanza ed ha richiamato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia sul termine di sei mesi da considerare congruo per adempiere, sia perché la richiesta di pagamento dell’importo, ai sensi della legge n. 89 del 2001, è stata formulata nel 2007.
Il Ministero della giustizia si è costituito in giudizio ed ha chiesto che l’appello vada respinto.
4. Ritiene la Sezione che l’appello risulta infondato e va respinto.
Risultano innanzitutto infondate le deduzioni sulla applicabilità nel presente giudizio dell’art. 115 del codice del processo amministrativo.
Il comma 3 dell’art. 115, per il quale ‘ai fini del giudizio d’ottemperanza di cui al presente titolo non è necessaria l’apposizione della formula esecutiva’, va letto congiuntamente ai precedenti due commi del medesimo articolo, che hanno entrambi fatto riferimento alle ‘pronunce’ ed ai ‘provvedimenti emessi’ dal ‘giudice amministrativo’.
La mancata necessità di far apporre la formula esecutiva è stata prevista dalla Commissione incaricata di redigere il testo unico, ed è stata poi prevista dall’articolato finale, in considerazione delle peculiarità della normativa sul processo amministrativo informatico, la quale consente di verificare con immediatezza la specifica portata delle pronunce dei giudici amministrativi: con l’accesso alla banca pubblica dei dati, le parti, le Amministrazioni ed i giudici amministrativi ben possono accertare quale sia il contenuto delle pronunce, sicché l’art. 115 ha ritenuto di evitare alle parti di porre in essere formalità sostanzialmente ultronee, perché di facile e immediato accertamento.
Neppure risultano condivisibili le argomentazioni dell’appellante, sulla dedotta equipollenza tra le formalità previste dall’art. 14, comma 1, bis, del decreto legge n. 669 del 1996, come convertito dalla legge n. 30 del 1997, e l’avvenuta conoscenza del decreto della Corte d’appello, a seguito della proposizione del ricorso per Cassazione.
Il medesimo comma 1 bis – come ha correttamente evidenziato la sentenza impugnata - ha previsto formalità che non ammettono equipollenti ed ha fissato un termine dilatorio per la proposizione dell’azione esecutiva, il cui decorso è subordinato proprio al rispetto di tali formalità.
Una tale equipollenza non si può neanche ravvisare col richiamo alla normativa riguardante la notifica degli atti giudiziari presso l’Avvocatura dello Stato, di cui al regio decreto n. 1611 del 1933.
L’art. 14 del citato decreto legge n. 669 del 1996 ha previsto che la notifica del titolo debba avvenire presso la sede dell’Amministrazione, con una regola speciale volta a rendere più razionale la complessiva attività di pagamento degli importi dovuti, in un settore nel quale risultano numerose le pronunce giudiziali da eseguire.
Contrariamente a quanto ha inoltre dedotto l’appellante, quando innanzi al giudice amministrativo sia proposto un ricorso per l’esecuzione di una pronuncia del giudice civile di condanna al pagamento di una somma di denaro, si deve ritenere una vera e propria ‘azione esecutiva’, per la quale, di conseguenza, si applicano tutte le disposizioni sostanziali e processuali concernenti i limiti di proposizione delle azioni esecutive.
Tale principio è stato enunciato dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio, con la sentenza n. 4 del 1998 resa in tema di dissesto degli enti locali, la quale ha dato luogo ad una costante giurisprudenza (cfr. le sentenze di questa Sezione, 8 luglio 2019, nn. 4737-4741)
Vanno infine respinte le deduzioni con cui sono stati richiamati alcuni orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Tali deduzioni hanno rilevato come le Amministrazioni statali debbano dare rapida esecuzione alle pronunce sulle quali si sia formato il giudicato ed hanno indicato alcuni casi nei quali lo Stato italiano sia stato condannato dalla Corte, ma non sono idonee ad infirmare il complessivo sistema introdotto dall’art. 14 del decreto legge n. 669 del 1996.
Tale legislazione statale mira a consentire la liquidazione degli importi dovuti sulla base di regole improntate alla trasparenza dell’azione amministrativa ed alla razionalizzazione dei relativi procedimenti, in un sistema in cui vi è la deroga alle ordinarie disposizioni sulla esecuzione dei titoli esecutivi aventi per oggetto somme di denaro.
5. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.