Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-12-07, n. 201505555
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N. 05555/2015REG.PROV.COLL.
N. 05409/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5409 del 2014, proposto da:
Utim-Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva, rappresentata e difesa dagli avv. M M e L S, con domicilio eletto presso l’avvocato A D A in Roma, Via Portuense, n. 104;
contro
Consorzio Socio Assistenziale Alba-Langhe-Roero;
nei confronti di
Comune di Alba;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE II n. 01334/2013, resa tra le parti, concernente inserimenti e compartecipazione al servizio di pasto e trasporto per persone disabili;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il Cons. A P e uditi per le parti gli avvocati Annamaria Torrani Cerenzia su delega di M M e L S;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - UTIM - Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte il regolamento adottato con deliberazione n. 19 del 18.06.2013 dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio Socio Assistenziale Alba Langhe-Roero in materia di “c ompartecipazione dei soggetti disabili al costo delle prestazioni strumentali alla frequenza ai centri semiresidenziali e alle attività diurne (laboratori aperti) riguardanti la mensa e il trasporto ” con riferimento alle norme che prevedono una compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni riguardanti la mensa ed il trasporto “ con una quota individuata tenendo conto della capacità individuale del beneficiario ”conteggiando anche gli assegni di invalidità , le indennità di accompagnamento e le indennità specifiche per ciechi e sordomuti.
2. - Il TAR ha respinto il ricorso con la sentenza n. 1334/2013 con la medesima motivazione già adottata dallo stesso TAR con la precedente sentenza n. 695 del 2013, concernente un caso del tutto analogo. Nel caso in esame - come in quello precedente - l’oggetto del contendere riguarda prestazioni di carattere strumentale (quelle del trasporto degli utenti e di mensa) che hanno natura solo accessoria rispetto alle prestazioni sociali agevolate di cui al d.lgs. n. 109 del 1998 e non costituiscono livelli essenziali di assistenza, di cui al d.P.C.M. 29 novembre 2001, Allegato 1.C. Pertanto, secondo quanto deciso dal TAR, devono essere respinti tutti i motivi di ricorso che hanno come presupposto la riconducibilità dei servizi di mensa e trasporto a tali prestazioni sociali. E’ inoltre considerata generica dal giudice di primo grado la doglianza relativa alla mancata individuazione di un “minimo vitale” come criterio per la compartecipazione, essa è manifestamente inammissibile perché generica, non essendo stata indicata la norma legislativa che avrebbe stabilito l’esenzione.
3. - L’Associazione appellante osserva che la sentenza impugnata ha praticamente ignorato i motivi del ricorso di primo grado che assumevano la illegittimità dell’art. 4 del regolamento impugnato e che vengono pertanto integralmente riproposti.
L’Associazione appellante sostiene che la sentenza non dice nulla in merito al principale motivo di illegittimità del regolamento impugnato, che viola in modo evidente le norme vigenti relative al calcolo da adottarsi per stabilire il reddito individuale del disabile avente diritto ai servizi e, conseguentemente, per definire le soglie nell’ambito delle quali richiedere la contribuzione alle spese. Il TAR si limita a richiamare la motivazione già adottata nella precedente sentenza dello stesso TAR n. 695/2013.
Nel giudizio di primo grado l’odierna appellante ha individuato e contestato, nel comportamento degli enti resistenti, la violazione di legge in relazione all’art. 1, legge 11.02.1980 n. 18, che prevede la concessione dell’indennità di accompagnamento indipendentemente dalle risorse economiche a mutilati e invalidi totalmente inabili alla deambulazione, nonchè la violazione dell’art. 25 della legge 8.11.2000, n. 328, e la violazione ed errata interpretazione dell’art. 3 del d.lgs. 31.03 1998 n. 109, così come modificato dal d.lgs 3.05.2000 n. 130, nonché il vizio di eccesso di potere per manifesta ingiustizia. L’UTIM ha rilevato, in particolare, l’illegittimità dell’art. 4 del regolamento, allegato alla Determinazione direttoriale impugnata, recante “ criteri per la determinazione della contribuzione a carico degli utenti per le prestazioni strumentali mensa e trasporto ”. Tale disposizione, dopo aver ribadito il consolidato principio secondo il quale per la definizione dell’entità della compartecipazione al costo delle prestazioni poste a carico dell’assistito disabile si valuta esclusivamente la situazione economica individuale del solo beneficiario, ha adottato criteri non conformi al dettato normativo ed in particolare all’art. 2, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 109/1998, che prevede che tale situazione economica è costituita dalla somma dei redditi soggetti a IRPEF e dal reddito delle attività finanziarie. Nella sentenza impugnata, come nella precedente sentenza n. 695, il TAR non ha minimamente considerato tali dati normativi, che vietano la considerazione degli assegni di invalidità, delle indennità di accompagnamento e delle indennità specifiche per ciechi e sordomuti, che non sono soggette a IRPEF. L’illegittimità di tale disposizione appare ancora più evidente se si considera la peculiare natura e funzione dell’indennità di accompagnamento e delle altre indennità in questione. Tali indennità sono sussidi corrisposti dallo Stato, o da altri enti pubblici, a titolo di compensazione per le gravi minorità che devono sopportare per i costi cui vanno incontro(in attuazione dell’art. 3, comma 2, della Costituzione), in quanto tali, esenti IRPEF. Su tale punto, tuttavia, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte ha del tutto omesso di pronunciarsi nella sentenza impugnata che risulta dunque viziata da difetto assoluto di motivazione.
Il TAR Piemonte non ha tenuto neppure in considerazione le uniche indicazioni regionali in materia che escludono che la indennità di accompagnamento possa essere tenuta in considerazione ai fini della contribuzione degli utenti disabili al costo dei servizi per la frequenza ai centri diurni (nota dell’Assessore della Regione Piemonte, prot. n. 11752/539 del 23.12.1994 e del 24.03.1999). Non sono applicabili al caso di specie le delibere regionali DGR 37-6500 del 23.07.2007, DGR 39-11190 del 6.04.2009 e DGR 56-13332 del 15.02.2010, che non riguardano le prestazioni semiresidenziali, ma si riferiscono invece agli anziani ricoverati in strutture residenziali ovvero al contributo economico a sostegno della domiciliarità per la lungo-assistenza di anziani non autosufficienti e persone con disabilità con età inferiore ai 65 anni. Entrambe le delibere regionali appena richiamate fanno poi riferimento alla DGR 37-6500 del 23.07.2007 la quale, nell’allegato A, al punto 3, esclude che le indennità concesse a titolo di minorazione dall’INPS possono esser calcolate ai fini della valutazione del reddito. La estensione della disciplina prevista per il ricovero in strutture residenziali alle strutture semiresidenziali è del tutto arbitraria e irragionevole. In tal caso l'indennità di accompagnamento non può essere calcolata fra le risorse del soggetto con handicap grave, in quanto l'importo di detta indennità copre gli oneri relativi alle spese aggiuntive che detto soggetto deve sostenere per il tempo di permanenza presso il suo domicilio ed è dunque diretta a favorire la permanenza dello stesso presso il nucleo familiare come richiesto dalla legge. Non si tiene infatti conto del fatto che il disabile grave vive nella struttura semiresidenziale diurna solo 2000 ore l’anno su 8760 e deve vivere con risorse del tutto insufficienti, oltre a provvedere a tutte le necessità derivanti dall’handicap.
Vengono inoltre violate le norme dell’art. 3, comma 1, del d.lgs n. 109/1998 (che consente agli enti erogatori di individuare criteri aggiuntivi all’ISEE per la selezione dei destinatari). La giurisprudenza ha chiarito che i criteri di cui al citato comma 1 riguardano altri parametri e prescindono dalla valutazione di aspetti economici già considerato dall’ISEE (come disciplinato dall’art. 2, comma 4, dello stesso decreto legislativo). Inoltre non rientra nel potere regolamentare degli enti locali la limitazione dei livelli essenziali delle prestazioni, né la imposizione di nuove prestazioni patrimoniali rispetto a quelle previste con legge dello Stato ai sensi dell’art. 23 della Costituzione.
La appellante ritiene poi che risulti del tutto fuorviante ed inconferente, la questione, sulla quale si diffonde il TAR Piemonte anche in questa sentenza (riprendendo le considerazioni svolte nella sentenza dello stesso TAR n. 695/2013), circa la natura delle prestazioni sociali (mensa e trasporto) oggetto del regolamento impugnato, che non è mai stata sollevata dalla Associazione ricorrente. L'UTIM contesta unicamente i criteri adottati per quantificare gli importi richiesti per i suddetti servizi, poiché in violazione delle norme di legge vigenti, non mettendo in discussione la compartecipazione ai costi dei servizi in oggetto, a condizione, tuttavia, che siano correttamente individuati i criteri sulla base dei quali richiedere tale contributo ai disabili interessati.
Per quanto concerne, infine, la questione del c.d. minimo vitale, dichiarata inammissibile per genericità dovuta alla mancata indicazione della fonte normativa, l’Associazione appellante censura, ancora una volta, la sentenza ritenendola viziata da difetto di motivazione ove asserisce che non è stato indicato il parametro normativo di riferimento. Risulta invece che tra la normativa invocata a sostegno della domanda promossa con il ricorso impugnato, la stessa odierna appellante ha comunque richiamato anche la DGR n. 39-11190/2009, la quale, all'allegato C, sin dal 2009, ha individuato un criterio di calcolo per determinare la soglia di povertà (o minimo vitale al di sotto del quale un cittadino non è in grado di vivere quotidianamente in modo dignitoso per un essere umano). La disposizione in oggetto aveva fissato tale soglia per il 2008 in Euro 591,81 mensili, prevedendo che tale importo dovesse essere aggiornato annualmente assumendo come parametro di riferimento la maggiorazione sociale delle pensioni a favore di soggetti disagiati. Utilizzando tale criterio si arriverebbe a individuare la soglia di povertà per l'anno 2013 in un importo superiore ad Euro 600,00, ovvero più del doppio di quanto viene indicato come soglia minima per il disabile dal Consorzio resistente. Il minino vitale del cittadino disabile sarebbe quindi più basso di quello previsto dalla legge per il cittadino normodotato.
4. – Il Consorzio Socio Assistenziale di Alba Langhe Roero, quale amministrazione appellata, non si è costituito nel giudizio di appello.
5. – Con successiva memoria depositata in data 8 giugno 2015 l’Associazione appellante UTIM fa presente che è nel frattempo sopravvenuta la sentenza n. 02458/2015 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, a seguito del già richiamato ricorso da essa stessa presentato per l’annullamento del D.P.C.M. 5.12.2013, n. 159, concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.01.2014, n. 19, con particolare riferimento proprio alla violazione, errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 5 del decreto legge n. 201/2011 convertito con la legge n. 214/2011 [ posto alla base - da altra successiva sentenza dello stesso TAR - della motivazione di rigetto di un ricorso analogo a quello che ha attivato il presente giudizio in primo grado, il cui appello viene da questo Collegio deciso parallelamente nella stessa udienza (Cfr. sentenza del TAR Piemonte n. 195/2014]. Il TAR del Lazio, con la sentenza n. 02458/2015 sopra richiamata, ha accolto il motivo di ricorso limitatamente alla illegittimità dell’art. 4, comma 2, lett. f), del citato D.P.C.M. n. 159, che include nel computo dell’ISEE i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari, inclusa anche l’indennità di accompagnamento di cui al citato art. 1 della legge n. 18/1980, concesse a persone che hanno subito gravi patologie invalidanti per le continue attività di assistenza di cui i predetti soggetti hanno bisogno, non certamente per incrementare il loro reddito personale. Il TAR del Lazio ribadisce quindi, nel solco di una diffusa giurisprudenza del Giudice amministrativo, l’impossibilità di ricomprendere nella nozione di reddito una serie di prestazioni economiche elargite dalla Comunità ai soggetti più svantaggiati. Lo stesso TAR del Lazio conclude quindi affermando che “… un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. [d.l. n. 201/2011] rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost .,” impedisce di includere nella definizione di reddito disponibile, tra le somme, esenti da imposizione fiscale, “ gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore di situazioni di ‘disabilità’, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex leggi nn. 210/92 e 229/05. Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire ‘reddito’ in senso lato né possono essere comprensive della nozione di ‘reddito disponibile’ di cui all’art. 5 del decreto legge d.l. citato, che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della ‘disabilità’, è stato adottato…”.
6. – La causa è stata discussa ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 9 luglio 2015.
7. – L’appello non è fondato.
7.1.– Per impostare correttamente la decisione, il Collegio deve preliminarmente, da un lato, delimitare le questioni oggetto della presente controversia rispetto a questioni ulteriori sollevate in appello dall’appellante anche in relazione alla più ampia motivazione della sentenza del TAR;dall’altro, definire esattamente l’oggetto dell’appello in rapporto alla domanda proposta dal ricorso di primo grado, che, secondo l’Associazione appellante, non è stata esattamente interpretata dallo stesso TAR.
Sotto il primo aspetto, il Collegio ritiene di prescindere dalle questioni sollevate nell’ultima memoria depositata dalla Associazione appellante con riferimento alla richiamata sentenza del TAR Lazio n. 2458/2015, per la quale è in corso l’appello proposto dall’Amministrazione presso il Consiglio di Stato. E’ vero che tali questioni, oltre ad essere state chiamate in causa dalla sentenza impugnata, riguardano lo stesso oggetto, ma lo considerano in rapporto ad un parametro normativo da considerare estraneo alla presente vicenda, quale la nuova disciplina generale dell’ISEE introdotta dal DPCM n. 159/2013, attuativo dell’art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011.
Sotto il secondo aspetto, questo Collegio condivide le considerazioni svolte nella sentenza del TAR in questa sede impugnata in ordine alla rilevanza della distinzione tra le prestazioni di carattere strumentale (quelle del trasporto degli utenti e di mensa) che hanno natura solo accessoria rispetto alle prestazioni sociali agevolate di cui al d.lgs. n. 109 del 1998 e non costituiscono livelli essenziali di assistenza, di cui al d.P.C.M. 29 novembre 2001, Allegato 1. Ma al tempo stesso si deve certamente tener conto della precisazione della Associazione appellante, che ha affermato nell’atto di appello di non aver sollevato in primo grado la questione della legittimità del principio di compartecipazione ai costi dei servizi di trasporto e mensa, ma di aver contestato unicamente i criteri adottati per quantificare gli importi richiesti per la suddetta compartecipazione. Tale affermazione è confermata dagli atti di primo grado, nei quali fondamentalmente si contesta la violazione delle norme di legge vigenti con riferimento alla mancata esclusione dal computo dei redditi esenti da IRPEF. Su questa base l’appellante richiede in appello l’esame dei motivi del ricorso di primo grado, a cui sostiene che il TAR non ha dato risposta.
7.2. – Così delimitata la materia del contendere nel giudizio di appello, questo Collegio intende attenersi all’indirizzo giurisprudenziale da tempo delineato dal Consiglio di Stato sulle specifiche questioni oggetto del presente giudizio, richiamando ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a., le sentenze: Consiglio di Stato - sezione V - 16/03/2011 n. 1607, Consiglio di Stato - sezione III - 28/09/2012 n.5154;21/12/2012 n. 6647;21/03/2013 n.1631;14 gennaio 2014 n. 99.
7.3. – Tale giurisprudenza si basa sulla normativa del decreto legislativo n. 109/1998, a cui le stesse norme impugnate fanno riferimento in modo implicito e indiretto attraverso l’esplicito riferimento - all’art. 4 del regolamento impugnato - alle delibere regionali in materia (n. 37 del 23 luglio 2007, -6500, n. 39 del 6 aprile 2009 -11190 e 15 febbraio 2010 n. 56 – 13332), che a loro volta citano la suddetta normativa legislativa;la stessa normativa legislativa che, d’altro canto, l’appellante considera tra le disposizioni di cui lamenta la violazione o la errata interpretazione e falsa applicazione.
Vanno esaminate pertanto, in primo luogo, le norme dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 109/1998, come modificato dall’art. 3 del d.lgs. n. 130/2000, che consente agli enti erogatori di “ prevedere, ai sensi dell'articolo 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, accanto all'indicatore della situazione economica equivalente, come calcolato ai sensi dell'articolo 2 del presente decreto, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari ”. L’art. 3 resta in vigore fino al 24 gennaio 2014, data di entrata in vigore del DPCM che approva il nuovo modello di dichiarazione sostitutiva ai fini della determinazione dell’ISEE. Anche dopo tale data, la normativa in oggetto non viene affatto meno: essa è infatti integralmente confermata dal successivo regolamento che disciplina la stessa materia di cui al d.lgs. n. 109, adottato con DPCM n. 159/2013 (in parti che non sono oggetto dell’appello presso il Consiglio di Stato ricordato al precedente punto 7.1.). Infatti l’art. 2, comma 1, terzo periodo del DPCM n. 159/2013, appena citato, prevede: “ In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all'ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari .”
7.4. – L’Associazione appellante nei motivi del ricorso in primo grado riproposti in appello contesta il significato attribuito dall’Amministrazione resistente in primo grado e attuale appellata all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 109/1998, sostenendo l’argomento testuale, secondo il quale i criteri ulteriori di selezione previsti dall’art. 3, comma 1, non possono riferirsi al reddito, dal momento che il reddito è disciplinato dall’ISEE e dunque si riferiscono ad altri parametri di identificazione dei destinatari di prestazioni sociali. A parte che l’argomento contraddice l’altra tesi, del pari sostenuta dall’Associazione appellante, secondo la quale in nessun caso le somme percepite a titolo di indennità assistenziale costituiscono reddito, è decisiva in senso contrario la considerazione che la norma dell’art. 3, comma 1, citato prevede criteri aggiuntivi rispetto all’ISEE che devono quindi essere connessi ed omogenei alla stessa materia a cui l’ISEE si riferisce e quindi alla situazione economica.
Inoltre l’Associazione appellante contesta all’Amministrazione di non aver attribuito il giusto peso alle disposizioni dell’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 109/1998. In senso contrario si osserva che questa norma collega la compartecipazione alla spesa per le prestazioni assistenziali alla situazione economica dell’assistito, ma non fa alcun richiamo alle modalità di computo previste per l’ISEE dalle disposizioni dell’art. 2, comma 4, come avrebbe dovuto certamente fare se avesse inteso adottare gli stessi criteri per valutare la situazione economica dell’assistito stesso. La situazione economica dell’assistito è infatti un concetto connesso, ma distinto rispetto a quello dell’ISEE, che si riferisce al nucleo familiare. Invece il senso della norma di cui al comma 2-ter è proprio quello di distinguere la situazione economica dell’assistito da quella del nucleo familiare a cui appartiene. Pertanto le modalità per determinare la situazione economica dell’assistito non sono precisate dall’art. 3, comma 2-ter, e sono da esso rinviate al DPCM ivi previsto e in mancanza alle norme regionali e in loro mancanza anche a quelle emanate dagli enti erogatori, come ha puntualmente chiarito la sentenza della Corte costituzionale n. 296/2012 e la giurisprudenza del Consiglio di Stato richiamata al punto 8.2. e al punto 8.6., che evidentemente supera anche le sentenze del TAR Lombardia ricordate dall’appellante.
7.5. - Dall’attento esame delle norme dell’art. 3 del d.lgs. n. 109/1998, a cui le norme impugnate fanno riferimento (mentre la appellante ne lamenta la errata interpretazione e falsa applicazione), può quindi escludersi che in esse possano rinvenirsi espliciti o impliciti impedimenti a considerare le indennità di accompagnamento e le altre indennità assistenziali tra le voci computabili al fine di determinare la quota di compartecipazione per interventi assistenziali aventi analoghe finalità. Non può tuttavia affermarsi che tali norme prevedano direttamente un principio normativo in questo senso. Entrambe le norme esaminate concorrono a fornire una chiara base normativa ad una autonoma capacità regolativa degli enti erogatori in questa materia nel rispetto della normativa regionale e dei principi fissati in ambito statale (v. anche successivi punti 7.6., 7.7., 7.8. e 7.9). Ne deriva la legittimità per i profili fin qui esaminati della fonte della disciplina normativa in questa sede impugnata che è appunto un regolamento adottato dall’ente erogatore.
7.6. – La interpretazione fin qui esposta non è smentita, ma semmai ulteriormente valorizzata dalla sentenza della Corte Costituzionale 19 dicembre 2012, n. 296, che è intervenuta proprio sulle disposizioni di cui al soprarichiamato art. 3 comma 2-ter, del citato d.lgs. n. 109, per chiarire che esso non costituisce un livello essenziale (come invece ritenuto da alcune precedenti sentenze del Consiglio di Stato a partire dalla sentenza 16/03/2011 n. 1607, già richiamata al punto 7.2. ad altri fini;ma al riguardo si vedano anche le sentenze Consiglio di Stato - III Sezione - 3 luglio 2013, n. 3574;8 novembre 2013, n.5355;14 gennaio 2014, n. 99;che hanno adeguato per questo limitato aspetto la giurisprudenza del Consiglio di Stato alla giurisprudenza sopravvenuta della Corte costituzionale, per il resto confermativa di indirizzi già assunti). La Corte costituzionale ha quindi confermato la esistenza di una competenza legislativa regionale in materia, che risulta esercitata nel caso di specie con la legge regionale Piemonte n. 1 del 2004 ed in particolare con l’art. 40, comma 1: " La compartecipazione degli utenti ai costi si applica ai servizi ed alle prestazioni sociali richieste prevedendo la valutazione della situazione economica del richiedente, con riferimento al suo nucleo familiare, attraverso il calcolo degli indicatori della situazione economica equivalente o attraverso altri strumenti individuati dalla Regione ". Tale norma risulta applicata – precisando i previsti strumenti aggiuntivi rispetto all’utilizzo dell’ISEE - dalle delibere regionali DGR 37-6500 del 23.07.2007, DGR 39-11190 del 6.04.2009 e alla DGR 41-13332 del 14.10.2010, nonché dalle regolazioni degli enti locali nel rispetto della normativa regionale (v. punto 7.8.).
7.7. - La sentenza della Corte Costituzionale n. 296/2012 esclude anche la natura fiscale o patrimoniale della imposizione di cui si discute in causa. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto da parte appellante, non si tratta della imposizione di una prestazione patrimoniale che richiederebbe una norma legislativa ai sensi dell'art. 23 Cost., ma della distribuzione di un costo per servizi erogati, che rientra nella competenza regolatoria dell'ente erogatore.
7.8. – Non risulta violata neppure la normativa regionale di cui al riportato art. 40, comma 1, della legge regionale Piemonte n. 1 del 2004, come specificato dalle delibere regionali di cui alla DGR 37-6500 del 23.07.2007, DGR 39-11190 del 6.04.2009 e alla DGR 41-13332 del 14.10.2010. La DGR 37-6500 del 23.07.2007 enuncia il principio generale per tutte le prestazioni sociali, pur prevedendola solo per i ricoveri in strutture residenziali. Le delibere DGR 39-11190 del 6.04.2009 e alla DGR 41-13332 del 14.10.2010 ribadiscono il principio della estensione alle indennità assistenziali della compartecipazione alle spese (componente sociale), precisandolo con riferimento agli anziani ricoverati in strutture residenziali e al contributo economico a sostegno della domiciliarità per la lungo-assistenza di anziani non autosufficienti e persone con disabilità con età inferiore ai 65 anni. E’ evidente che, applicandosi sia alle prestazioni residenziali che a quelle domiciliari in lungo assistenza, la regola assume il valore di un indirizzo generale adottato dalla Regione che si applica proporzionalmente anche alle prestazioni in strutture semiresidenziali (non avendo evidentemente senso a tali fini la esclusione di una prestazione intermedia).
7.9. - Come già ricordato al punto 7.2., l’Associazione appellante nell’atto di appello ha precisato di non aver mai contestato il principio di compartecipazione alle spese per i servizi di mensa e trasporto, ma esclusivamente i criteri adottati per quantificare tale compartecipazione, con particolare riferimento alla considerazione a tali fini delle indennità di accompagnamento e di invalidità. In ogni caso deve essere per completezza precisato che, nelle norme del regolamento impugnate nel presente giudizio, non sono rinvenibili violazioni della normativa nazionale che regola il principio di compartecipazione alla spesa alle prestazioni socio-sanitarie, quale parte del livello essenziale in materia. È improntato al principio della necessaria compartecipazione alla spesa il sistema di finanziamento delle prestazioni socio-assistenziali, che comprende quelle a rilevanza sanitaria «… che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilita o di emarginazione condizionanti lo stato di salute… », secondo l’art.