Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-02, n. 202002210
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Pubblicato il 02/04/2020
N. 02210/2020REG.PROV.COLL.
N. 00747/2016 REG.RIC.
N. 00749/2016 REG.RIC.
N. 00750/2016 REG.RIC.
N. 00751/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 747 del 2016, proposto da
E s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro
tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati S C e D T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Comune di Isola della Scala, Provincia di Verona, Enel Distribuzione s.p.a. Infrastrutture e Reti, Dipartimento Provinciale Arpav di Verona, non costituiti in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante
pro
tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex
lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante
pro
tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati C D, L L, A M ed E Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Confalonieri, 5;
sul ricorso in appello numero di registro generale 749 del 2016, proposto da
Vegen s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S C e D T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Comune di Isola della Scala, Provincia di Verona, Enel Distribuzione s.p.a. Infrastrutture e Reti, Dipartimento Provinciale Arpav di Verona, non costituiti in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C D, L L, A M ed E Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Confalonieri, 5;
sul ricorso in appello numero di registro generale 750 del 2016, proposto da
Agrien s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S C e D T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Comune di Isola della Scala, Provincia di Verona, Enel Distribuzione s.p.a. Infrastrutture e Reti, Dipartimento Provinciale Arpav di Verona, non costituiti in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C D, L L, A M ed E Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Confalonieri, 5;
sul ricorso in appello numero di registro generale 751 del 2016, proposto da
2L Energia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S C e D T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Comune di Isola della Scala, Provincia di Verona, Enel Distribuzione s.p.a. Infrastrutture e Reti, Dipartimento Provinciale Arpav di Verona, non costituiti in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C D, L L, A M ed E Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A M in Roma, via Confalonieri, 5;
per la riforma
quanto al ricorso n. 747 del 2016:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione Seconda) n. 00615/2015, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 749 del 2016:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione Seconda) n. 00613/2015, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 750 del 2016:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione Seconda) n. 00612/2015, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 751 del 2016:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione Seconda) n. 00614/2015, resa tra le parti;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio, in relazione a tutti i ricorsi, del Ministero per i beni e le attività culturali e della Regione del Veneto, nonché gli appelli incidentali proposti da quest’ultima avverso ciascuna sentenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti, in relazione a tutti i giudizi, gli avvocati Turco, Manzi, e dello Stato Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con domanda del 30 luglio 2010, le società E s.r.l., Vegen s.r.l., Agrien s.r.l. e 2L Energia s.r.l., unitamente ad altre due imprese, presentavano domanda alla Regione Veneto per il rilascio di autorizzazione unica per la realizzazione e messa in esercizio di impianti di cogenerazione di energia elettrica e termica della potenza elettrica di 420 kWe e termica nominale di 995 kW ciascuno, da insediare presso azienda agricola sita nel Comune di Isola della Scala (VR), alimentati con fonti rinnovabili ( i.e. , olio vegetale).
2. A seguito dell’avvio, il procedimento subiva un arresto, a fronte dell’ingresso in vigore delle l.r. n. 5 e n. 7 del 2011 che prevedevano, rispettivamente, la considerazione quale unico impianto - ai fini del calcolo della potenza massima - dei diversi impianti aventi unica soluzione di connessione collocati su terreni agricoli contigui (art. 1 l.r. n. 5 del 2011), e il divieto temporaneo di nuove autorizzazioni per impianti oltre una certa potenza ( i.e. , « impianti fotovoltaici a terra in area agricola di potenza di picco superiore a 200kWp, di impianti di produzione di energia alimentati da biomassa di potenza elettrica superiore a 500kWe, nonché di quelli alimentati a biogas e bioliquidi di potenza elettrica superiore a 1.000kWe» ) in attesa di adozione di apposito decreto del Ministero dello Sviluppo economico, e comunque non oltre il 31 dicembre 2011 (art. 4 l.r. n. 7 del 2011).
3. Nel corso del 2012 il procedimento autorizzatorio riprendeva - venendo peraltro dichiarata frattanto l’incostituzionalità del suddetto art. 4 l.r. n. 7 del 2011 (Corte cost., n. 85 del 2012) - concludendosi con rilascio delle autorizzazioni n. 1985, 1986, 1987 e 1989 del 2 ottobre 2012, pubblicate il 23 ottobre 2012 sul Bollettino regionale.
4. In tale contesto, nonostante il rilascio dei titoli autorizzativi le società istanti non realizzavano più gli impianti, dal momento che era stato frattanto emanato il d.m. 6 luglio del 2012, pubblicato il successivo 10 luglio, con cui il Ministero dello Sviluppo economico aveva modificato in peius il regime degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili in relazione agli impianti realizzati dopo il 31 dicembre 2012, termine entro il quale non risultava materialmente possibile per le odierne appellanti - a far data dal rilascio del titolo concesso - mettere in esercizio gli impianti autorizzati;né le interessate avrebbero potuto fruire degli incentivi previsti per il periodo transitorio dall’art. 30 del decreto, i quali presupponevano il rilascio dell’autorizzazione anteriormente all’ingresso in vigore del decreto stesso.
5. Con distinti ricorsi le società E, Vegen, Agrien e 2L Energia agivano perciò davanti al Tribunale amministrativo per il Veneto per l’annullamento delle autorizzazioni rispettivamente conseguite e il risarcimento del danno sofferto in conseguenza del ritardo maturato nel rilascio dei suddetti titoli autorizzativi.
6. Il Tribunale amministrativo adìto, con distinte sentenze emanate nella resistenza della Regione Veneto, accoglieva parzialmente i ricorsi respingendo la domanda d’annullamento e accogliendo in parte quella risarcitoria, con condanna della Regione al risarcimento del danno nella misura di € 23.413,23, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali in favore di ciascuna ricorrente.
7. Avverso le rispettive sentenze hanno proposto distinti appelli le originarie ricorrenti, formulando un unico analogo motivo di gravame con cui hanno lamentato error in iudicando , difetto e incongruità di motivazione, errore su punti decisivi della controversia, nonché riproponendo i motivi di ricorso in primo grado.
8. In tutti i giudizi si sono costituiti il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione Veneto, che ha a sua volta interposto appelli incidentali, avverso ciascuna delle sentenze, coi seguenti analoghi motivi di doglianza: I) omessa valutazione di circostanze rilevanti ai fini della decisione;motivazione erronea e incongrua;II) erronea valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione;omessa considerazione dell’art. 12, comma 4- bis , d.lgs. n. 387 del 2003;erroneità e illogicità della motivazione.
9. Sulla discussione delle parti, in relazione a ciascuno dei giudizi, all’udienza pubblica del 5 marzo 2020 come da rispettivi verbali le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Va preliminarmente disposta la riunione dei giudizi ai sensi dell’art. 70 Cod. proc. amm. per loro connessione oggettiva - riguardando la medesima complessiva vicenda amministrativa e involgendo le stesse ragioni di doglianza, sia in via principale che incidentale - e parzialmente soggettiva.
2. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalla Regione avverso gli appelli principali attesa l’infondatezza nel merito di detti appelli.
3. Con l’unico articolato motivo dei rispettivi gravami, le appellanti principali contestano la determinazione del danno operata dalla sentenza di primo grado.
In particolare, secondo le società appellanti la sentenza avrebbe errato nell’attribuire un contributo causale nella produzione del danno - così riducendo l’entità del risarcimento disposto - a fattori privi d’effettiva inferenza causale, quali l’adozione del d.m. 6 luglio 2012 ( Attuazione dell’art. 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici ) che ha modificato il regime degli incentivi, le suindicate leggi regionali che sono intervenute su alcuni profili correlati al rilascio dei titoli autorizzativi, le presunte carenze del progetto proposto dalle interessate, la pretesa indisponibilità del terreno nel periodo successivo al gennaio 2011: unica ed esclusiva causa nella produzione del suddetto danno sarebbe infatti da ricondurre, secondo le appellanti, al ritardo maturato nel rilascio dell’autorizzazione da parte della Regione.
Allo stesso modo, la sentenza avrebbe erroneamente decurtato l’entità del risarcimento in relazione al periodo di sospensione del rilascio delle autorizzazioni previsto dalla l.r. del Veneto 18 marzo 2011, n. 7 ( Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2011 ), essendo all’epoca già maturato il colpevole ritardo della Regione;così come avrebbe illegittimamente dimezzato il quantum risarcitorio in conseguenza della presunta inerzia delle stesse appellanti ai fini della sollecitazione dell’intervento regionale.
3.1. Il motivo non è condivisibile.
3.1.1. Va premesso che la sentenza, riconosciuta l’illiceità del ritardo nel provvedere da parte della Regione, ha determinato l’entità del danno muovendo dalla prospettazione di parte ricorrente - e dalla quantificazione da questa offerta, sulla base del mancato utile percepito a causa dell’omesso tempestivo rilascio dell’autorizzazione - parametrandolo al periodo ricompreso fra il termine di scadenza per la conclusione del procedimento ( i.e. , 28 gennaio 2011) e la data di effettivo rilascio del titolo autorizzativo ( i.e. , 23 ottobre 2012), con esclusione del periodo intercorso fra il 23 marzo e il 31 dicembre 2011, in cui era sospeso ex lege dall’art. 4 ( Disposizioni transitorie in materia di impianti fotovoltaici a terra e di impianti di produzione alimentati da biomassa e a biogas e bioliquidi e oneri istruttori in attuazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico d.m. 10 settembre 2010 “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” ) l.r. n. 7 del 2011 il rilascio di autorizzazioni per impianti alimentati da fonti rinnovabili quali quelli qui in rilievo;alla somma così determinata, maggiorata delle spese amministrative sostenute dalle interessate, la sentenza ha applicato poi una riduzione nella misura del 50%, ai sensi dell’art. 30, comma 3, Cod. proc. amm., a fronte dell’omessa attivazione, medio tempore , delle tutele giudiziali e stragiudiziali avverso l’inerzia amministrativa da parte delle società interessate.
Gli ulteriori danni oggetto della domanda delle ricorrenti - commisurati, complessivamente, al mancato utile per l’intero periodo di vita dell’impianto, pari a 15 anni - sono stati denegati dalla sentenza per difetto di nesso causale, dovendo essi eziologicamente ricondursi ad altri autonomi fattori, rappresentati dalla legge regionale che ha disposto la sospensione temporanea dei procedimenti di autorizzazione ( i.e. , l.r. n. 7 del 2011), dal nuovo deteriore regime sugli incentivi introdotto dal suddetto d.m. 6 luglio 2012, dalle carenze del progetto industriale proposto, nonché dall’esistenza d’un elemento di incertezza circa la perdurante disponibilità delle aree sulle quali gli impianti sarebbero stati realizzati.
Le appellanti censurano l’intero impianto motivazionale su cui la sentenza fonda la riduzione del quantum risarcitorio deducendo anzitutto che l’unico elemento causale determinante il danno invocato sarebbe costituito dal ritardo nel rilascio dell’autorizzazione, sicché la sentenza avrebbe erroneamente circoscritto l’entità del risarcimento in nome di fattori privi di reale inferenza causale nella produzione del nocumento.
3.1.2. La doglianza non è condivisibile.
Occorre muovere dall’esame della domanda formulata dalle ricorrenti, e in particolare dalla definizione del pregiudizio dalle stesse invocato.
Le società domandano un risarcimento del danno in termini di mancato utile riveniente dall’utilizzo dell’impianto di cogenerazione per il periodo di sua vita naturale, pari a quindici anni;tale danno dovrebbe causalmente imputarsi al (solo) ritardo nell’azione amministrativa, da cui sarebbe dipesa la mancata realizzazione dell’impianto a fronte della sopraggiunta normativa sugli incentivi di cui al detto d.m. 6 luglio 2012, che aveva reso di fatto sconveniente l’iniziativa imprenditoriale correlata al detto impianto. In tale prospettiva, laddove l’amministrazione avesse tempestivamente concluso il procedimento le appellanti, trovandosi nelle condizioni per poter avviare l’impianto nella vigenza del precedente regime sugli incentivi, avrebbero avuto effettiva convenienza nell’intrapresa dello stesso, e avrebbero perciò potuto ben conseguire l’utile qui invocato in termini risarcitori.
In senso contrario all’assunto delle appellanti occorre rilevare che il pregiudizio dalle stesse invocato non costituisce conseguenza immediata e diretta eziologicamente regolare dell’evento dannoso scaturito dalla condotta illecita dell’amministrazione.
3.1.3. In termini generali, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito al riguardo che l’ordinamento prevede il “ risarcimento del danno da ritardo o inerzia dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo;il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’ an che sul quantum , deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione ” ( inter multis , Cons. Stato, VI, 10 gennaio 2020, n. 235;V, 23 agosto 2019, n. 5810;15 gennaio 2019, n. 358;IV, 29 settembre 2016, n. 4028;cfr. anche CGA, 21 ottobre 2019, n. 917);a tal riguardo, l’onere di provare il rapporto di causalità tra la violazione del termine e la lesione sofferta spetta allo stesso interessato, trattandosi di un elemento integrativo della fattispecie posta a fondamento della domanda risarcitoria.
In tale contesto, secondo la tradizionale configurazione dell’illecito aquiliano, occorre distinguere l’evento dannoso (o c.d. “danno-evento” ) derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. “danno-conseguenza” ), che invera l’effettivo danno passibile di risarcimento a beneficio della vittima (su tutte, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3).
Al riguardo, nella dimensione generale della responsabilità della pubblica amministrazione, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo - c.d. “causalità materiale” - consiste nel verificare “ se l’attività illegittima dell’Amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento ”;il relativo giudizio “ attiene non ad un evento futuro, ma al nesso di causalità tra il vizio che inficia il provvedimento ed il contenuto del provvedimento stesso. Il giudizio prognostico, in altre parole, è un giudizio ipotetico volto a stabilire se il contenuto del provvedimento sarebbe stato diverso (in senso favorevole all’interessato) qualora l’Amministrazione avesse agito legittimamente. Il giudizio verte, dunque, sull’efficienza causale dello specifico vizio in relazione al pregiudizio lamentato.
In quest’ottica, il giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita […] si presenta come un’applicazione particolare dei principi generali in tema di nesso di causalità materiale: esso tende a stabilire quale sarebbe stato il corso delle cose se il fatto antigiuridico (nella specie la violazione della norma che è motivo di illegittimità dell’atto) non si fosse prodotto, vale a dire se l’Amministrazione avesse agito correttamente ” (Cons. Stato, VI, 9 giugno 2008, n. 2751;sui criteri per l’accertamento della causalità materiale, sulla base dei principi generali di cui agli artt. 40 e 41 Cod. pen. declinati secondo la regola della c.d. “causalità adeguata” e temperati in base al canone del “più probabile che non”, cfr. Cons. Stato, V, 9 luglio 2019, n. 4790;VI, 22 giugno 2018, n. 3838;cfr. anche Id., 14 novembre 2014, n. 5600;29 maggio 2014, n. 2792).
Il che si ricollega - declinando il principio nella dimensione del danno da ritardo - al giudizio sulla spettanza del bene della vita, e cioè al nesso fra l’inerzia dell’amministrazione e la frustrazione di una situazione giuridica o interesse di natura pretensiva vantato dal privato (cfr. Cons. Stato, V, 23 agosto 2019, n. 5810;19 agosto 2019, n. 5737;v. anche Id., IV, 2 dicembre 2019, n. 8235;15 luglio 2019, n. 4951;V, 18 marzo 2019, n. 1740;cfr. altresì Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5 in ordine alla possibilità di configurare un distinto danno da “mero ritardo”, purtuttavia nella diversa prospettiva della violazione dell’autodeterminazione negoziale).
In tale contesto, esaurito positivamente il vaglio sulla causalità materiale a fronte d’un evento dannoso causalmente riconducibile alla condotta illecita, a sua volta l’obbligazione risarcitoria richiede, sul piano dimostrativo, l’allegazione e la prova delle conseguenze dannose, secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr., inter multis , Cons. Stato, V, 4 agosto 2015, n. 3854;Id., n. 5810 del 2019, cit.;IV, 9 maggio 2018, n. 2778;Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3 e 4 maggio 2018, n. 5, cit.).
3.1.4. Applicando i suesposti principi al caso in esame, risulta l’insussistenza d’un adeguato nesso di causalità giuridica tra l’evento lesivo riconducibile all’inerzia dell’amministrazione e il danno - in termini di mancato utile d’esercizio - invocato dalle appellanti;tale danno, per il periodo successivo al rilascio dell’autorizzazione, è infatti mediato dall’evento dell’omessa realizzazione dell’impianto, a sua volta condizionato dalla modifica normativa sul regime degli incentivi, di cui il mancato utile costituisce effettivo conseguente causale diretto che si pone al di fuori di un regime di normalità o regolarità causale rispetto alla temporanea indisponibilità del titolo autorizzativo.
Se infatti l’inerzia dell’amministrazione risulta in specie ben idonea a determinare la violazione dell’interesse pretensivo delle appellanti al conseguimento del bene della vita, coincidente con l’autorizzazione dell’impianto (autorizzazione infine rilasciata dalla Regione, a conferma della spettanza del suddetto bene, e dunque della sussistenza del nesso di causalità materiale fra la condotta inerte e l’evento dannoso) tale lesione non può essere ritenuta a sua volta - secondo canone di normalità o regolarità eziologica - causa del danno espresso in termini di mancato utile d’esercizio da omessa realizzazione dell’impianto.
Rispetto a siffatto danno presenta infatti valore causale assorbente la sopraggiunta normativa ministeriale di cui al d.m. 6 luglio 2012 e la correlata decisione imprenditoriale di non realizzare l’impianto: ciò conduce al di fuori di un regime inferenziale normale che consenta di ravvisare nel mancato utile da omessa realizzazione dell’impianto un prevedibile sviluppo causale, secondo canoni di regolarità, della (ben distinta) temporanea indisponibilità del titolo autorizzativo alla luce del ritardo dell’amministrazione.
Tali circostanze sopraggiunte, che non possono essere in alcun modo considerate alla stregua di “effetti” del ritardo dell’amministrazione, configurano vere e proprie (autonome) cause del pregiudizio lamentato dalle appellanti, e valgono a determinare una deviazione nel decorso causale ordinario o regolare originante dal mancato tempestivo rilascio dell’autorizzazione, così da produrre a loro volta un evento ( i.e. , il mancato utile d’esercizio) non qualificabile come conseguenza « immediata a diretta » della temporanea indisponibilità dell’autorizzazione per effetto dell’inerzia della Regione.
Sulla base di un giudizio fondato su criteri di normalità e regolarità inferenziale, secondo l’ id quod plerumque accidit , non può infatti essere ritenuta conseguenza normale del (mero) ritardo a provvedere - e, dunque, della provvisoria carenza d’autorizzazione - la perdita d’utile dovuta alla (distinta) definitiva mancata realizzazione dell’impianto a fronte di una sopraggiunta normativa che ne abbia frattanto modificato il regime d’incentivazione, rendendolo irrealizzabile giacché economicamente sconveniente. L’utile non percepito a seguito della mancata realizzazione dell’impianto non può infatti essere considerato quale conseguenza immediata e diretta della temporanea indisponibilità dell’autorizzazione, risultando piuttosto mediato e causalmente determinato - al di fuori di un decorso di obiettiva prevedibile normalità - dalla (autonoma) modifica normativa intervenuta e dalla correlata decisione di non realizzare più l’originaria iniziativa imprenditoriale giacché economicamente insostenibile.
Di qui l’assenza del nesso di causalità giuridica fra l’evento lesivo e il danno invocato dalle appellanti.
Sotto una diversa e concorrente prospettiva, peraltro, non possono addossarsi in capo all’amministrazione le conseguenze d’una sopravvenienza normativa di origine ministeriale, il cui rischio (all’evidenza non prevedibile) non può essere allocato sic et simpliciter in capo alla Regione per il sol fatto di trovarsi in ritardo nell’ iter procedimentale volto al rilascio dell’autorizzazione.
Il che vale a recidere il nesso causale fra la temporanea indisponibilità dell’autorizzazione (e dunque, a monte, il ritardo dell’amministrazione) e il danno invocato dalle appellanti, sia rispetto all’utile determinato in funzione degli incentivi ai sensi dell’art. 30 d.m. 6 luglio 2012 (« Transizione dal vecchio al nuovo meccanismo di incentivazione »), che presupponevano l’intervenuto rilascio dell’autorizzazione già al tempo dell’ingresso in vigore del decreto ministeriale (art. 30, comma 2, d.m. 6 luglio 2012), sia in relazione all’utile calcolato sulla base del previgente regime incentivante, che richiedeva il completamento dell’impianto entro il 2012 (cfr. art. 7 d.m. 6 luglio 2012), per il quale sarebbe occorso - a dire delle stesse appellanti - un tempo minimo di sei mesi decorrenti dall’autorizzazione.
Per questo, all’ingresso in vigore del d.m. ( i.e. , 10 luglio 2012) il presupposto causale impeditivo della realizzazione dell’impianto e della maturazione dei corrispondenti utili risultava già integrato, ed era ascrivibile al nuovo regime incentivante introdotto e alla relativa disciplina d’ingresso in vigore e transizione, come incidenti sulle decisioni abdicative assunte dalle imprese: di qui l’assenza d’un pregiudizio patrimoniale causalmente riconducibile in via immediata e diretta, secondo giudizio di regolarità causale, al fatto lesivo di cui l’amministrazione è responsabile.
3.1.5. Per tali ragioni la doglianza formulata dalle appellanti si rivela dunque infondata, collocandosi peraltro in un contesto normativo di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili espresso in termini d’incentivazione dell’attività privata per il perseguimento di un interesse pubblico, al di fuori d’una finalità di diretto sostegno individuale delle imprese o di una causa propriamente sinallagmatica (cfr., in particolare, gli artt. 1 e 3 d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 ( Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità ), sicché lo stesso riferimento all’utile d’impresa si pone in tale contesto - si rileva per completezza - in termini non perfettamente centrati e comunque defilati a fronte dell’omessa realizzazione dell’impianto la cui attività è incentivata.
3.2. Col secondo profilo di doglianza le appellanti censurano la riduzione del quantum risarcitorio operata dalla sentenza in relazione al periodo di vigenza dell’art. 4 l.r. n. 7 del 2011, che aveva previsto la sospensione nel rilascio di autorizzazione per la realizzazione degli impianti « nelle more dell’emanazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico di cui all’articolo 8- bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208 », e comunque non oltre il 31 dicembre 2011.
Secondo le appellanti, dal momento che era già maturato il ritardo nel rilascio dell’autorizzazione al tempo d’ingresso in vigore della suddetta disposizione, anche il pregiudizio sofferto durante il periodo di vigenza della stessa dovrebbe essere imputato all’amministrazione regionale.
3.2.1. Neanche tale profilo di doglianza è condivisibile.
È assorbente rilevare, in proposito, che nel periodo interessato (ricompreso fra il 23 marzo e il 31 dicembre 2011) il perdurare del ritardo non era imputabile alla Regione, stante la vigenza all’epoca della disposizione di legge che precludeva il rilascio di autorizzazioni, sicché difetta senz’altro, rispetto al detto periodo, il fatto illecito dannoso contestato;né rileva in senso inverso la successiva declaratoria d’incostituzionalità della disposizione, con il portato retroattivo della relativa pronuncia ( i.e. , Corte cost., 12 aprile 2012, n. 85), atteso che risulta comunque eliso l’elemento soggettivo della colpevolezza in capo all’amministrazione, allineatasi a una disposizione di legge ben vigente nelle more del pronunciamento della Corte.
In senso inverso non vale invocare la circostanza che alla data d’ingresso in vigore della l.r. n. 7 del 2011 era ormai spirato il termine per la conclusione del procedimento, con conseguente imputabilità all’amministrazione dei danni correlati al mancato possesso del titolo autorizzativo per tutto il periodo successivo.
In relazione al periodo in esame non era infatti ancora entrato in vigore il d.m. 6 luglio 2012 che riduceva gli incentivi, sicché il corrispondente danno è da ricondurre alla mancata operatività ratione temporis dell’impianto - non già alla decisione di non avviarlo - in conseguenza dell’assenza dell’autorizzazione: per questo, dovendo ascriversi il perdurare dell’assenza di tale autorizzazione, nel periodo interessato, alla normativa regionale frattanto introdotta, anche la produzione del danno in parte qua non potrà essere attribuita al ritardo dell’amministrazione, la quale non avrebbe in alcun modo potuto impedire in quel periodo il maturare dell’ulteriore pregiudizio patrimoniale invocato dalle interessate.
3.3. Con distinto profilo di censura le appellanti si dolgono dell’abbattimento nella misura del 50% dell’entità del quantum risarcitorio a fronte dell’omessa attivazione di rimedi giudiziali o stragiudiziali avverso l’inerzia dell’amministrazione durante il relativo periodo.
3.3.1. Neanche tale profilo si rivela fondato.
Come correttamente rilevato dalla sentenza, atteso il lungo tempo intercorso fra la presentazione dell’istanza per l’autorizzazione ( i.e. , 30 luglio 2011) e il relativo rilascio ( i.e. , 2 ottobre 2012), anche al netto del periodo durante il quale era preclusa l’emanazione di atti autorizzativi ex art. 4 l.r. n. 7 del 2011, la appellanti - considerato che la scadenza del termine per la conclusione del procedimento era intervenuta il 28 gennaio 2011 - avrebbero potuto ben adoperarsi con iniziativa giudiziale avverso il silenzio, ovvero con sollecito stragiudiziale teso a stimolare l’azione amministrativa.
L’inerzia in tale frangente serbata dalle stesse può dunque ben essere ritenuta rilevante ai sensi degli artt. 30, comma 3, Cod. proc. amm. e 1227, secondo comma, Cod. civ., in termini di omessa diligente attivazione degli strumenti di tutela e delle iniziative previste per il diretto conseguimento del bene della vita agognato [cfr., in tal senso, la stessa disciplina sull’indennizzo da ritardo, di cui all’art. 28 ( Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento ) d.-l. 21 giugno 2013, n. 69 ( Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia , convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98), che richiede il preventivo azionamento del potere sostitutivo ex art. 2, comma 9- bis , l. n. 241 del 1990 per poter ottenere l’indennizzo previsto].
Di qui l’infondatezza anche di tale profilo di doglianza.
3.4. In ragione di quanto suesposto, gli appelli principali risultano dunque infondati e vanno respinti, pur con le suesposte integrazioni e precisazioni motivazionali;sono invece inammissibili i motivi di ricorso sic et simpliciter riproposti nella presente sede dalle appellanti in difetto di specifiche critiche alle sentenze ( inter multis , cfr. Cons. Stato, V, 11 dicembre 2019, n. 8415;16 novembre 2018, n. 6464;30 luglio 2018, n. 4655;24 maggio 2018, n. 3107;11 ottobre 2017, n. 4717;III, 11 ottobre 2017, n. 4722;IV, 10 settembre 2018, n. 5294;7 agosto 2017, n. 3958).
4. Col primo motivo di appello incidentale la Regione censura l’accoglimento in parte qua del ricorso di primo grado sostenendo che il ritardo procedimentale non le sarebbe colpevolmente imputabile stante, da un lato, la complessità dell’ iter a fronte del coinvolgimento di varie istanze e impianti, dall’altro l’intervenuta produzione di alcuni necessari documenti da parte delle interessate solo il 13 giugno 2012.
4.1. Il motivo non è condivisibile.
4.1.1. L’art. 12 ( Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative ), comma 4, d.lgs. n. 387 del 2003, nella formulazione ratione temporis applicabile alla fattispecie, prevedeva che « il termine massimo per la conclusione del procedimento […] non può comunque essere superiore a centottanta giorni ».
Il punto 14.16 delle Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili approvate con d.m. 10 settembre 2010 ( Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili ), ai sensi del medesimo art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, stabilisce al riguardo che il detto termine è « da computarsi tenuto conto delle eventuali sospensioni di cui ai punti 14.11, 14.13 e 14.17 », fra cui in particolare il punto 14.11 che regola le richieste di chiarimenti o integrazione documentale da parte dell’amministrazione, da formulare entro novanta giorni dall’avvio del procedimento, con onere di riscontro dell’interessato entro trenta giorni, prorogabili di ulteriori trenta giorni, pena l’esame del progetto « sulla base degli elementi disponibili ».
Nel caso di specie non v’è dubbio che il termine per la conclusione del procedimento sia stato disatteso dall’amministrazione, dapprima rispetto al fisiologico periodo semestrale, scadente il 28 gennaio 2011, successivamente - superata la sospensione del rilascio dei titoli stabilita dalla l.r. n. 7 del 2011 sino al 31 dicembre 2011 - per essere stato il provvedimento autorizzativo adottato solo il 2 ottobre 2012, con pubblicazione il 23 ottobre 2012.
In tale contesto, priva di rilievo risulta la trattazione congiunta di più istanze, di per sé inidonea a incidere sul regime dei termini procedimentali.
Né rileva il richiamo - al di là dei profili di eccepita novità della censura, che possono essere assorbiti per via dell’infondatezza di essa - all’attività di istruttoria e produzione di alcuni documenti richiesti alle interessate, che avrebbe inciso sulla complessiva durata del procedimento.
Va premesso anzitutto, al riguardo, che il regime delle richieste di chiarimenti o integrazione documentale risulta esso stesso specificamente regolato dal punto 14.11 delle Linee guida, che impone la formulazione di siffatte richieste entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza, ciò di cui l’amministrazione non fornisce qui evidenza (anzi, la stessa Regione afferma che l’integrazione fu richiesta alle interessate nella conferenza di servizi del 17 novembre 2010, a fronte di istanze da loro presentate il 30 luglio 2010).
In tale contesto, anche a tener conto di siffatte richieste, comunque il detto punto 14.11 impone un termine procedimentale massimo ( i.e. , maggiorato di trenta giorni rispetto a quello ordinario, salva proroga concessa per ulteriori trenta giorni - di cui non v’è qui evidenza - « a fronte di comprovate esigenze tecniche ») che egualmente nel caso di specie risulterebbe superato.
A ciò si aggiunga che alcuni dei documenti richiamati dall’appellante incidentale a giustificazione del ritardo, prodotti dalle interessate il 13 giugno 2012 (ad es., la relazione geologica), nascevano in realtà dalla richiesta formulata dalla commissione tecnica regionale giusta parere del 24 maggio 2012, sicché alcun ritardo è a tal fine imputabile alle interessate, né può trarsi in relazione a ciò una qualche giustificazione in ordine alla durata complessiva del procedimento.
In ogni caso, vale rilevare come lo stesso punto 14.11 preveda che, in caso d’inutile superamento del termine stabilito per le integrazioni documentali, l’amministrazione sia comunque chiamata a provvedere, in specie « procede [ndo] all’esame del progetto sulla base degli elementi disponibili ».
Per tali ragioni, in alcun modo il ritardo nell’adozione del provvedimento autorizzativo può ritenersi giustificato nei termini invocati dalla Regione.
In tale prospettiva, non rileva neanche la circostanza che il procedimento fu trattato congiuntamente con quello di cui all’art. 269 ( Autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti ) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ( Norme in materia ambientale ) relativo alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti, atteso che ciò non incide di per sé sui termini procedimentali prescritti dal d.lgs. n. 387 del 2003 e relative Linee guida.
Per tali ragioni, il motivo di gravame si rivela infondato.
5. Con distinto motivo d’appello la Regione censura l’accoglimento in parte qua del ricorso deducendo l’assorbente indisponibilità, per le interessate, del terreno presso il quale l’impianto avrebbe dovuto essere insediato, ciò che risulterebbe da dichiarazione del comodante che confermava il venir meno del contratto di comodato a far data dal 31 gennaio 2011;il che, per l’appellante incidentale, escluderebbe senz’altro il nesso causale fra la propria condotta e il danno riconosciuto dalla sentenza, attesa l’assorbente carenza d’un presupposto indefettibile ( i.e. , la disponibilità del terreno) per potere ottenere l’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto, e stante dunque la non spettanza dello stesso bene della vita posto a fondamento della pretesa risarcitoria formulata dalle interessate.
5.1. Il motivo non è condivisibile.
5.1.1. L’art. 12, comma 4- bis , d.lgs. n. 387 del 2003 prevede che, ai fini della realizzazione dell’impianto, il proponente debba « dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto ».
Coerentemente con tale previsione, il punto 14.14 delle Linee guida dispone che « entro la data in cui è prevista la riunione conclusiva della conferenza dei servizi, il proponente, pena la conclusione del procedimento con esito negativo, fornisce la documentazione atta a dimostrare la disponibilità del suolo su cui è ubicato l’impianto […]».
Si ricava da tali disposizioni come il requisito invocato dalla Regione si inserisca in realtà nella fase relativa al rilascio dell’autorizzazione, risultando funzionale a quest’ultima.
Per questo, l’eventuale carenza di siffatto requisito non assume alcun rilievo nella fattispecie in esame, atteso che l’autorizzazione è stata qui effettivamente (già) rilasciata alle società interessate, né essa risulta essere stata annullata per effetto dell’indisponibilità del suolo;di qui l’irrilevanza - una volta rilasciato il titolo autorizzativo - del richiamo a un presupposto prodromico alla sua adozione, privo ormai d’inferenza causale rispetto alla vicenda, essendo stato già riconosciuto dall’amministrazione il bene della vita che il richiamo all’indisponibilità del suolo vorrebbe valere a denegare.
In tale contesto, risulta peraltro in sé privo di rilievo il richiamo alla mancata realizzazione dell’impianto da parte delle altre società che, avendone fatto richiesta, avevano ricevuto tempestivamente l’autorizzazione, atteso che si tratta di vicende distinte ed autonome da quella qui in rilievo, inidonee a incidere di per sé sull’apprezzamento delle fattispecie in esame.
Di qui l’infondatezza del motivo di doglianza.
6. In conclusione, alla luce di quanto suesposto, previa riunione dei giudizi, vanno respinti tanto gli appelli principali quanto gli appelli incidentali.
6.1. Attesa la reciproca soccombenza fra le appellanti principali e l’appellante incidentale, nonché l’assenza di difese - al di là della costituzione in giudizio e della partecipazione all’udienza - da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, le spese di lite vanno integralmente compensate fra le parti.