TAR Venezia, sez. II, sentenza 2015-06-03, n. 201500615

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2015-06-03, n. 201500615
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201500615
Data del deposito : 3 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00103/2013 REG.RIC.

N. 00615/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00103/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 103 del 2013, proposto da:
E S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti D T e S C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. E G in Venezia, San Marco, 5134;

contro

Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti E Z e C L, con domicilio eletto in Venezia, Cannaregio, 23;
Comune di Isola della Scala, Provincia di Verona, Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, Enel Distribuzione Spa Infrastrutture e Reti, Dipartimento Provinciale Arpav di Verona, non costituitisi in giudizio;

per l'annullamento

per l'annullamento

- della deliberazione della Giunta regionale n. 1987 del 2 ottobre 2012;

- del parere reso dalla Commissione tecnica regionale sezione ambiente n. 3798 del 24 maggio 2012;

- della nota di trasmissione del verbale della conferenza di servizi prot. n. 334108 del 19 luglio 2012;

- del verbale della conferenza di servizi del 29 giugno 2012, nonché per l’accertamento del momento in cui avrebbe dovuto essere concluso il procedimento e il risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2015 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente il 30 luglio 2010 ha presentato alla Regione Veneto, insieme ad altre cinque imprese, una domanda di autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 del Dlgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per la realizzazione con costruzione e messa in esercizio di un impianto di cogenerazione di energia elettrica e termica presso l’Azienda Agricola Rosario sita nel territorio del Comune di Isola della Scala alimentato da olio vegetale.

Ciascuno dei sei impianti prevedeva la potenza di 420 kWe di produzione di energia elettrica da cedere alla rete nazionale e 400 kW di energia termica recuperata sotto forma di acqua calda da utilizzare per il riscaldamento delle serre dell’Azienda agricola.

L’art. 12, comma 4, del Dlgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 5, comma 2, del Dlgs. 3 marzo 2011, n. 28, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), prevede che il termine massimo per la conclusione del procedimento non possa essere superiore a centottanta giorni, e il paragrafo 14.16 del D.M. 10 settembre 2010, recante “linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, precisa che detto termine deve computarsi tenendo conto anche delle eventuali sospensioni del procedimento, e che le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine.

Il termine per la conclusione del procedimento nel caso all’esame sarebbe scaduto il 28 gennaio 2011.

La prima conferenza di servizi istruttoria si è svolta il 17 novembre 2010.

Nel frattempo è sopravvenuto l’art. 4 della legge regionale 18 marzo 2011, n. 7, che ha disposto la sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni alla realizzazione e all’esercizio di impianti di energia elettrica alimentati da bioliquidi di potenza elettrica superiore a 500 kWe fino alla data del 31 dicembre 2011.

Pertanto, dovendosi valutare cumulativamente gli impianti da realizzare sul fondo in quanto aventi un’unica connessione, la procedura amministrativa è stata sospesa per quattro degli impianti interessati, tra i quali quello della ricorrente, mentre due impianti (che isolatamente considerati erano sotto la soglia di potenza contemplata dalla legge regionale), quello presentato da RH Energia Srl e Ovarius Srl, sono stati autorizzati con deliberazioni della Giunta regionale n. 3726 e n. 3727 del 26 maggio 2011.

La Corte costituzionale con sentenza 12 aprile 2012, n. 85, intervenuta successivamente alla scadenza del termine di sospensione imposto dalla citata legge regionale, ha dichiarato la sua illegittimità costituzionale.

Il 29 giugno 2012 si è svolta la conferenza di servizi decisoria.

Con deliberazione della Giunta regionale n. 1987 del 2 ottobre 2012, pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione n. 87 del 23 ottobre 2012, l’installazione e l’esercizio dell’impianto è stato autorizzato.

La ricorrente tuttavia non lo ha realizzato.

La ricorrente deduce infatti che, nelle more dell’approvazione, il Ministero dello sviluppo economico con DM 6 luglio 2012, ha modificato le modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili diverse da quella solare fotovoltaica aventi potenza inferiore a 1 kW, che entrano in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2012, passando da un’incentivazione di 280 € /MWh (per quindici anni utili) ad un’incentivazione di 121 €/MWh (per venti anni utili), e che, poiché il tempo minimo per la messa in esercizio di un cogeneratore ad olio vegetale è di sei mesi, avendo ottenuto l’autorizzazione solo in data 23 ottobre 2012, non ha potuto usufruire degli incentivi nella misura più vantaggiosa.

La ricorrente espone altresì di non aver potuto nemmeno usufruire degli incentivi previsti in via transitoria dall’art. 30, comma 1, lett. b), del citato DM 6 luglio 2012, per gli impianti che entrano in esercizio entro il 30 aprile 2013, perché il comma 2 del medesimo articolo dispone che gli impianti per poter beneficiare di tali incentivi “devono essere dotati di titolo autorizzativo antecedente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012, mentre l’autorizzazione è stata rilasciata con deliberazione della Giunta regionale n. 1987 del 2 ottobre 2012, pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione n. 87 del 23 ottobre 2012).

La Società ricorrente lamenta quindi che, per effetto del colpevole ritardo dell’Amministrazione che ha concluso il procedimento oltre al termine di legge scaduto il 28 gennaio 2011, data antecedente all’entrata in vigore della legge regionale che ha disposto la temporanea sospensione dei procedimenti autorizzativi (è la legge regionale 18 marzo 2011, n. 7), e per effetto dell’ulteriore ritardo accumulato dopo la data del 31 dicembre 2011, data di scadenza del termine di sospensione dei procedimenti disposto dalla predetta legge regionale, ha perduto la possibilità di usufruire degli incentivi nella misura più favorevole, con la conseguenza che un’iniziativa economica remunerativa se approvata tempestivamente, è stata abbandonata perché finanziariamente ed economicamente non più sostenibile.

Su tale premessa la ricorrente impugna la deliberazione della Giunta regionale n. 1987 del 2 ottobre 2012, il parere reso dalla Commissione tecnica regionale sezione ambiente n. 3796 del 24 maggio 2012, la nota di trasmissione del verbale della conferenza di servizi prot. n. 33401 del 19 luglio 2012, il verbale della conferenza di servizi del 29 giugno 2012, per le censure di violazione dell’art. 12 del Dlgs. 29 dicembre 2003, n. 287, dell’art. 14 del DM 10 settembre 2010, in relazione alla violazione del termine di conclusione del procedimento.

Con ulteriori domande la ricorrente chiede l’accertamento della mancata conclusione del procedimento alla data del 28 gennaio 2011, con determinazione del danno da tale data o, in via gradata, la determinazione del danno alla data del 28 luglio 2011, data in cui l’impianto avrebbe potuto essere messo in funzione tenendo conto dei sei mesi occorrenti per la costruzione del medesimo, disponendo il risarcimento dei danni patiti coincidenti con il mancato guadagno risultante dai dati indicati in un’apposita relazione tecnica allegata al ricorso quale doc. 12, in cui è riportata l’analitica rappresentazione dei costi, degli ammortamenti e dei ricavi di esercizio aggregati per i quindici anni di vita dell’impianto, dai quali emerge un danno complessivo a titolo di lucro cessante, a causa della sopravvenuta irrealizzabilità dell’iniziativa, di € 740.300,92.

Si è costituita in giudizio la Regione Veneto eccependo l’infondatezza del ricorso sotto il profilo impugnatorio perché il superamento dei termini del procedimento non è idoneo a determinare l’illegittimità del provvedimento tardivo, e sotto il profilo risarcitorio per difetto di prova del danno, dei requisiti soggettivi e del nesso di causalità, dato che la scelta di non realizzare l’impianto è imputabile in via esclusiva alla ricorrente.

In particolare secondo la Regione non è configurabile l’elemento della colpa perché l’istruttoria è stata resa complessa dalla contemporanea presentazione di più progetti che dovevano essere valutati unitariamente, e ciò esclude la configurabilità in capo all’Amministrazione una condotta dilatoria, ed inoltre perché è comunque configurabile la scusabilità dell’errore, in quanto è stata data applicazione ad una norma di legge che ha disposto la sospensione del procedimento e che solo successivamente è stata dichiarata incostituzionale.

Nell’argomentare la tesi secondo la quale la scelta di non realizzare l’impianto è imputabile in via esclusiva alla ricorrente, la Regione eccepisce che le due ditte RH Energia Srl e Ovarius che hanno ottenuto il titolo autorizzatorio in tempo utile per usufruire degli incentivi (con deliberazioni della Giunta regionale nn. 1341 e 1340 del 3 agosto 2011) non hanno realizzato gli impianti, che da documentazione acquisita dalla Regione risulta che il contratto di comodato sottoscritto con il proprietario dei terreni sui quali realizzare gli impianti è divenuto inefficace alla data del 31 gennaio 2011, perché non rinnovato, e che tali elementi concomitanti o sopravvenuti si pongono come cause distinte, autonome ed indipendenti dalla condotta dell’Amministrazione da sole sufficienti a provocare l’evento dannoso costituito dalla mancata fruizione del regime incentivante vigente prima del 1 gennaio 2013.

Alla pubblica udienza del 7 maggio 2015, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Le censure con le quali la ricorrente lamenta l’illegittimità degli atti impugnati perché adottati oltre il termine di conclusione del procedimento previsto dall’art. 12 del Dlgs. 29 dicembre 2003, n. 387, sono infondate e devono essere respinte.

Infatti, come è noto, in difetto di una specifica disposizione che preveda il termine di conclusione del procedimento come comportante una decadenza dall’esercizio del relativo potere, il medesimo deve ritenersi di natura ordinatoria, con la conseguenza che il provvedimento può essere adottato anche successivamente, senza che il superamento del termine produca l'illegittimità dell'atto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 14 aprile 2015, n. 1872;
Consiglio di Stato, sez. V, 15 novembre 2012, n. 5773;
Corte Costituzionale, 17 luglio 2002 n. 355) e, come è stato osservato sul punto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1913), “lo stesso art. 2 bis legge sul procedimento, come introdotto dalla l. n. 69 del 2009, correla alla inosservanza del termine finale conseguenze significative sul piano della responsabilità civile dell'amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti alla stessa legittimità dell'atto tardivamente adottato. Il ritardo non è quindi un vizio in sé dell'atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria dell'amministrazione”.

I motivi con i quali la Società ricorrente chiede l’annullamento degli atti impugnati devono pertanto essere respinti.

2. La domanda risarcitoria deve invece essere accolta nei limiti di seguito specificati.

Nel caso di specie ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguiti dal ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato tardivamente rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.

Infatti l’istanza è stata presentata il 30 luglio 2010, il termine di centottanta giorni per la conclusione del procedimento è scaduto il 28 gennaio 2011, mentre l’autorizzazione è stata rilasciata con deliberazione della Giunta regionale n. 1987 del 2 ottobre 2012, divenuta efficace a seguito della pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione n. 87 del 23 ottobre 2012, con un ritardo complessivo, tra il termine di conclusione del procedimento e la data di efficacia dell’autorizzazione, di 633 giorni.

Gli elementi addotti dalla Regione al fine di escludere la sussistenza del requisito della colpa nel ritardo non persuadono.

Infatti il termine di cui all’art. 12 del Dlgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per il paragrafo 14.16 del D.M. 10 settembre 2010, e come chiarito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, deve essere considerato come termine massimo del procedimento comprensivo anche delle richieste istruttorie, in quanto costituisce principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e risulta ispirato "alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5413;
Corte Costituzionale, 6 novembre 2009, n. 282;
Corte Costituzionale 9 novembre 2006, n. 364).

Anche la prima conferenza di servizi istruttoria è stata convocata in ritardo rispetto al termine procedimentale di trenta giorni prescritto dal DM 10 settembre 2010, e il termine di conclusione del procedimento è scaduto prima che intervenisse la legge regionale che ha disposto la sospensione temporanea dei procedimenti pendenti, e nuovamente il termine di 180 giorni è decorso un'altra volta inutilmente dopo la scadenza del termine di sospensione previsto dalla legge regionale, scaduto il 31 dicembre 2011.

In un tale contesto la Regione non comprova l’esistenza di elementi idonei a giustificare la propria condotta inerte e ad escludere l’elemento della colpa con riguardo all’esistenza di particolari complessità della fattispecie o alla necessità di particolari approfondimenti istruttori.

Solo per l’intervallo di tempo nel corso del quale la norma regionale ha disposto la sospensione dei procedimenti pendenti può fondatamente essere invocata un’esimente soggettiva, perché entro tale periodo non avrebbe potuto essere rilasciata l’autorizzazione, e l’illegittimità della condotta dell’Amministrazione derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata, costituisce uno dei casi tipici individuati dalla giurisprudenza come idonei ad escludere l’imputabilità del danno per mancanza dell’elemento soggettivo della colpa, non essendo addebitabile in questo caso all’Amministrazione una negligenza, una violazione delle regole della correttezza o l’esistenza di disfunzioni organizzative (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5458;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).

Per la restante parte, ne discende la configurabilità di un ritardo colpevole che almeno in parte ha indubbiamente influito nell’impossibilità di conseguire l’autorizzazione e a mettere in esercizio l’impianto in tempo utile per poter beneficiare degli incentivi, e deve ritenersi pertanto provato, a maggior ragione in un caso come quello di specie nel quale l’Amministrazione ha riconosciuto la spettanza del “bene della vita” mediante il tardivo rilascio dell’autorizzazione, un danno che deve essere risarcito.

Infatti, come è stato affermato “anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739;
id. 28 febbraio 2011, n. 1271).

2.1 Tuttavia le pretesa della Società ricorrente volta ad ottenere a titolo di risarcimento tutti gli utili di esercizio che avrebbe conseguito nei quindici anni di vita dell’impianto e non ricavati a seguito della sua mancata realizzazione, è infondata e deve essere respinta.

Infatti dalla successione cronologica dei fatti che risulta dalla documentazione versata in atti, emerge che la determinazione finale di non realizzare l’impianto non può essere definita come una conseguenza immediata e diretta del solo ritardo con il quale l’Amministrazione regionale ha concluso il procedimento di autorizzazione.

Nella fattispecie all’esame il ritardo della Regione può essere visto solo come una delle concause che hanno determinato la decisione di non avviare l’attività alla quale hanno contribuito anche, quali autonomi e concorrenti fattori causali concomitanti o sopravvenuti non imputabili direttamente all’Amministrazione regionale, la legge regionale che ha introdotto la sospensione dei procedimenti di autorizzazione degli impianti e che ha temporaneamente impedito all’Amministrazione di proseguire nell’iter di esame dell’istanza, il nuovo regime degli incentivi introdotto dalla normativa statale meno favorevole per gli operatori, le carenze del progetto industriale che si è rivelato inidoneo a sostenere economicamente l’iniziativa alla luce dei nuovi incentivi e l’esistenza di un elemento di incertezza circa la perdurante disponibilità delle aree sulle quali realizzare gli impianti.

Rispetto a quest’ultimo aspetto, infatti, vi è da osservare che è vero quanto afferma la Regione circa l’esistenza di una clausola nel contratto di comodato per l’uso delle aree secondo la quale per essere efficace i lavori avrebbero dovuto essere iniziati entro il 31 gennaio 2011, salvo un suo rinnovo che non è stato stipulato (il dato emerge dalla nota del Sig. G O del 5 giugno 2013, depositata in giudizio quale doc. 6 in data 16 aprile 2015 dal difensore della Regione che l’ha acquisita dopo la scadenza del termine di cui all’art. 73 cod. proc. amm., alla cui produzione non si è opposta la parte ricorrente, e che il Collegio ritiene di ammettere ai sensi dell’art. 54, comma 1, cod. proc. amm.), tuttavia ciò non prova con certezza la mancanza della disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto, perché da tale dichiarazione non risultano elementi per affermare l’esistenza di un’indisponibilità del proprietario ad un eventuale rinnovo del contratto di comodato.

In un tale contesto la Regione deve pertanto essere chiamata a risarcire solo i danni cagionati a causa del suo ritardo colpevole, perché questo benché non possa essere qualificato come unica causa che ha determinato la decisione di non avviare l’attività, è certamente uno dei fattori che, insieme ad altri concomitanti o sopravvenuti non imputabili alla Regione, quali i sopra menzionati interventi del legislatore statale e regionale e la condotta della stessa parte ricorrente, hanno concorso a determinare il mancato avvio dell’iniziativa, e costituisce un indizio significativo anche se non decisivo circa l’esistenza di tali fattori autonomi ed indipendenti dalla condotta della Regione, la circostanza che anche le due ditte RH Energia Srl e Ovarius che hanno ottenuto il titolo autorizzatorio in tempo utile per usufruire degli incentivi, non hanno realizzato gli impianti.

L’Amministrazione regionale può pertanto essere chiamata a rispondere solo dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta del proprio ritardo secondo il principio per il quale è risarcibile non qualsiasi evento dannoso, ma solo quello che rientri tra le conseguenze normali o almeno probabili dell'azione, dovendo escludersi le conseguenze dannose determinate da circostanze concomitanti e sopravvenute non imputabili all’Amministrazione che abbiano inciso autonomamente ed indipendentemente quali concause nella determinazione del danno.

In altre parole, la Regione può essere chiamata a risarcire i soli danni ascrivibili alla propria condotta, nella quota in cui il proprio ritardo colpevole ha condizionato negativamente la convenienza economica dell’iniziativa.

Poiché non è possibile provare nella fattispecie all’esame nel suo preciso ammontare la quota di danno che è conseguenza immediata e diretta del solo ritardo colpevole della Regione, il Collegio, ai sensi dell’art. 1226 c.c., ritiene di dover ricorrere a criteri equitativi, prendendo come elemento di riferimento gli utili che, secondo la relazione prodotta dalla parte ricorrente, avrebbe generato l’impianto - ove tempestivamente autorizzato e tenendo conto degli utili conseguibili nel primo anno di esercizio (cfr. doc. 12 allegato al ricorso) - nel periodo che va dal 28 gennaio 2011, data entro la quale avrebbe dovuto per legge concludersi il procedimento, e la data in cui è divenuta efficace la deliberazione della Giunta regionale con la quale è stato autorizzato l’impianto, pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione del 23 ottobre 2012, detraendo da tale periodo l’intervallo di sospensione del procedimento imposto dall’art. 4 della legge regionale 18 marzo 2011, n. 7 (entrata in vigore il 23 marzo 2011 – perché pubblicata nel bollettino ufficiale della Regione n. 23 del 22 marzo 2011, ed entrata in vigore dal giorno successivo in ragione della dichiarazione d’urgenza di cui all’art. 19 – e scaduta il 31 dicembre 2011) e quindi per un periodo (dal 28 gennaio al 22 marzo 2011, e dal 1 gennaio 2012 al 23 ottobre 2012) di 349 giorni, che corrisponde al danno che si è prodotto a causa del colpevole ritardo dell’Amministrazione regionale, a cui aggiungere la somma corrispondente alle spese amministrative sopportate per l’ottenimento dell’autorizzazione unica.

L’utile annuale per il primo anno è indicato dalla parte ricorrente nella somma di € 30.673,50, che corrisponde all’’importo di € 84,03 giornaliere;
tale somma moltiplicata per i 349 giorni di ritardo dà l’importo di € 29.326,47, somma alla quale devono essere aggiunti € 17.500,00 allegati a titolo di spese amministrative, per un ammontare complessivo di € 46.826,47.

La somma così ottenuta a giudizio del Collegio deve però essere ridotta della metà, perché nel caso di specie non risulta che la ricorrente abbia mai attivato alcun rimedio giudiziale (ex art. 117 cod. proc. amm.) o anche stragiudiziale per reagire all’inerzia dell’Amministrazione rappresentando l’urgenza dell’autorizzazione in modo da evitare il prodursi del danno dedotto o quantomeno al fine di mitigarlo e, come è noto, l’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., con una norma che alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede costituisce un’esplicitazione del principio sancito dall’art. 1227 c.c., stabilisce che nel determinare il risarcimento il giudice debba valutare tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e comunque escludere il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3408;
Tar Lazio, Roma, Sez. III, 9 luglio 2013, n. 6795;
Tar Campania, Napoli, Sez. III, 14 maggio 2013, n. 2505;
Consiglio di Stato, Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3;
Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 12 gennaio 2011, n. 35;
Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 18 ottobre 2010, n. 6989).

In definitiva devono essere respinte le censure con le quali la parte ricorrente afferma l’illegittimità degli atti impugnati, mentre deve essere riconosciuto il risarcimento del danno equitativamente liquidato in misura corrispondente al danno imputabile al ritardo colpevole della Regione per una somma di € 23.413,23.

Su quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, costituente debito di valore, spettano la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dalla data di rilascio dell’autorizzazione ad oggi e gli interessi calcolati nella misura legale separatamente sul capitale via via rivalutato dalle singole scadenze mensili fino al soddisfo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739).

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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