TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2013-07-09, n. 201306795

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2013-07-09, n. 201306795
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201306795
Data del deposito : 9 luglio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00085/2001 REG.RIC.

N. 06795/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00085/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 85 del 2001, proposto da:
Falqui Prodotti Farmaceutici S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti P V e D V, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, Lungotevere Marzio, 3;

contro

Ministero della Sanita', in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per ottenere

il risarcimento del danno derivato dal ritardo nell'emanazione del decreto di autorizzazione all'immissione in commercio n. 475/97 in data 14 novembre 1997 della specialita' medicinale Confetto Falqui C.M.;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Sanita';

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore designato per l'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2013 il cons. D L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente notificato al Ministero della Sanità in data 27.12.2000 e depositato il successivo 4 gennaio 2001, insta davanti a questo TAR la Falqui Prodotti Farmaceutici S.p.a., per il risarcimento dei danni che le sarebbero derivati dal ritardo nell’emanazione, da parte dell’intimato Ministero, del decreto di autorizzazione all’immissione in commercio (n. 475/97 in data 14 novembre 1997) della specialità medicinale Confetto Falqui C.M.. Precisa in ricorso: a) che la domanda di rilascio dell’A.I.C. era stata presentata il 30.7.1996;
b) che ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 178 del 29.5.1991 il Ministero avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda stessa entro il termine di 120 giorni;
c) che invece il decreto di A.I.C. -dopo una diffida a provvedere entro 30 gg., ex art. 25 del T.U. n. 3/1957, notificata al Ministero il 18.6.1997 e (persistendo il silenzio) dopo un successivo ricorso, notificato il 21.7.1997, avverso il silenzio stesso- veniva emesso soltanto il 14.11.1997 (e pubblicato sulla G.U. del 27.11.1997), a seguito di ordinanza di accoglimento della domanda cautelare n. 2356 del 24.9.1997, con la quale il Tar del Lazio aveva ordinato al Ministero predetto di pronunciarsi entro 90 gg.;
d) che a seguito della pubblicazione del decreto di A.I.C. la società iniziava a commercializzare il suo prodotto e il TAR, con sentenza n. 3977 in data 23.12.1999 (rectius: 2000), dichiarava cessata la materia del contendere sul ricorso contro il silenzio rifiuto;
e) che dal ritardo nella commercializzazione a seguito dell’inerzia della P.A. sono conseguiti danni gravissimi, per i quali propone azione risarcitoria davanti a questo Tar ritenuto giudice competente ai sensi dell’art. 7 comma 3 della L. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 7 della L. n. 205/2000 (“Il tribunale amministrativo regionale, nell'àmbito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.”).

Al riguardo, assume l’esistenza dell’evento dannoso (ritardo di commercializzazione), del danno ingiusto (lesione dell’interesse procedimentale e del bene della vita correlato ad interesse legittimo pretensivo, non essendovi dubbio che l’azienda abbia diritto a commercializzare il suo prodotto), del profilo causale (risultante dal mancato rispetto del termine procedimentale), dell’imputabilità a responsabilità per colpa dell’Amministrazione (dato che nessuna giustificazione è stata addotta né potrebbe essere riconosciuta al ritardo di esame di una domanda completa sin dalla sua presentazione). Quanto alla misura del danno, rappresenta in ricorso che il danno stesso corrisponde “al mancato guadagno sulle vendite che l’azienda avrebbe presumibilmente realizzato dalla data di scadenza del termine concesso al Ministero della sanità per il rilascio del provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio (27.11.1996) alla data di emanazione del decreto di AIC (27.11.1997)”. Soggiunge che il ritardo nella commercializzazione del prodotto “ha influito negativamente anche sul trend delle vendite effettuate che ha subito il periodo di normale avviamento in un momento successivo, circa un anno dopo, a quello ragionevolmente prevedibile ove il Ministero avesse emanato il decreto di AIC nel termine di legge”. Ritiene quindi di quantificare il danno in lire 2.100.000.000 (utili sul fatturato ricavo industria per un periodo di 12 mesi di commercializzazione del prodotto, calcolati sulla base del ricavo anno 2000), oltre rivalutazione ed interessi. Chiede, infine, in via istruttoria, CTU per il controllo dei dati esposti e la quantificazione del danno e, nel merito, la condanna del Ministero al risarcimento come quantificato dal CTU stesso o nella somma minore o maggiore determinata dal Tribunale.

L’Amministrazione, costituita in giudizio, si è opposta motivatamente all’accoglimento della domanda di parte ricorrente, dapprima con documentata relazione difensiva depositata il 15.5.2001 e da ultimo (dopo la memoria del 19.2.2013 con la quale l’istante ha insistito nella propria pretesa per un quantum in tale sede indicato come pari a lire 2.772.580.277, ovvero ad euro 1.434.500,50) con memoria depositata il 5.3.2013.

All’udienza del 27.3.2013, la causa è passata in decisione.

Tanto premesso, ritiene il Collegio di poter prescindere dall’approfondimento di ogni problematica relativa all’eventuale perenzione (non essendo stata riproposta istanza di fissazione di udienza ai sensi dell’art. 1 All. 3 del c.p.a. ed avendo peraltro il difensore della ricorrente, in assenza di decreto di perenzione, dichiarato in udienza “che la sua assistita ha ancora interesse alla decisione”), in quanto il ricorso è comunque infondato nel merito.

Il testo originario dell’art. 9 del D.Lgs. n. 178 del 29.5.1991 (riguardante “Procedura per il rilascio dell'autorizzazione”), vigente al momento della domanda di AIC, stabilisce che il “Ministero della sanità adotta le proprie determinazioni sulla domanda di autorizzazione all'immissione in commercio entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda stessa” (comma 1) e che “in casi eccezionali tale termine, previa comunicazione al richiedente, è prorogato di novanta giorni”, mentre “quando il Ministero della sanità invita il richiedente a regolarizzare la domanda o ad integrare la documentazione, il termine stesso è sospeso finché non sono forniti i dati complementari richiesti” (comma 2). Nel testo sostituito poi dall’art. 1 del D.Lgs. 18.2.1997, n. 44, pubblicato sulla G.U. del 6.3.1997, l’originario predetto termine di 120 gg. è stato portato a 210 gg..

Ciò stante, non vi è dubbio che comunque vi sia stato un ritardo, rispetto ai termini di legge per la conclusione procedimentale, nel rilascio dell’AIC richiesta da Falqui Prodotti Farmaceutici S.p.a. il 30.7.1996. Al riguardo - premesso, in prima approssimazione, che effettivamente, già sulla base dell’art. 7, comma 3, della legge n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 7, comma 4, della legge n. 205/2000, il mancato tempestivo soddisfacimento dell'obbligo della autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative, determina lesione di interessi legittimi pretensivi del privato, che ricadono, per loro intrinseca natura, nella giurisdizione del giudice amministrativo - deve tuttavia precisarsi che il risarcimento del danno da ritardo nell’adozione di un provvedimento favorevole costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità. Di conseguenza, l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi "iuris tantum", in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell'adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda. In particolare, occorre verificare la sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante): in sostanza, il mero "superamento" del termine fissato "ex lege" o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra "piena prova del danno” (v. CdS, IV, 7.3.2013, n. 1406).

Nella specie deve anzitutto rimarcarsi che alla presentazione della predetta istanza di AIC ha fatto seguito, da parte della società ricorrente, dopo la scadenza dei termini procedimentali, la notifica della diffida a provvedere (conditio sine qua non per la costituzione delle inadempienze pubblicistiche almeno fino al sopravvenire dell'art. 3 comma 6 bis del decreto legge n. 35 del 2005 convertito nella legge n. 80 del 2005, che non si applica, ratione temporis, alla presente fattispecie) soltanto in data 18.6.1997. Avendo peraltro la giurisprudenza riconosciuto la necessità della diffida per la costituzione e formalizzazione del ritardo ai fini risarcitori in vicende svoltesi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina procedimentale del 2005 (v. CdS, Ad. Pl. n. 7/2005 e CdS, IV, n. 3641/2011), certamente non sussistono, nel caso di cui trattasi, le condizioni per assentire il ristoro del danno per un ritardo asseritamente inveratosi a partire dal 27.11.1996 (essendosi invece l’inadempienza semmai ben successivamente realizzata).

D’altra parte, la giurisprudenza ha affermato, anche alla luce dei canoni di correttezza e buona fede del creditore, che il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l'amministrazione ha provveduto spetta solo ove i soggetti interessati abbiano reagito all'inerzia impugnando il silenzio-rifiuto;
e che solo in caso di persistente inerzia a seguito di questa procedura può infatti configurarsi la lesione al bene della vita, risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto qualificato e differenziato tra soggetto pubblico e privato (cfr.T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 18 ottobre 2010, n. 6989;
sez. I, 12 gennaio 2011, n. 35 ). Si tratta dell’applicazione, effettivamente, di un principio ora sostanzialmente sancito anche dall’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 30 c.p.a. (il quale dispone che “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”) e che tuttavia poteva considerarsi valido anche prima della sua positivizzazione nel predetto codice del 2010.

Sulla base degli enunciati profili, dunque, certamente non potrebbe assecondarsi, nella fattispecie, la prospettazione risarcitoria per periodi antecedenti il ricorso mosso dall’istante avverso il silenzio rifiuto. Peraltro, nel corso del relativo giudizio, il TAR, in sede cautelare, ha assegnato il termine di 90 gg. per provvedere (ordinanza del 24.9.1997) e l’Amministrazione ha rilasciato l’AIC in data 14.11.1997, ben prima quindi del decorso di tale termine. In ogni caso, anche a voler ritenere formalizzato il ritardo a partire dalla scadenza (18.7.1997) del termine di 30 giorni per provvedere assegnato all’Amministrazione con la diffida notificata dalla ricorrente il 18.6.1997, non sussistono, ugualmente, i presupposti per il riconoscimento di un danno risarcibile, avuto riguardo alle considerazioni che seguono:

1) la questione dell’AIC per i farmaci “lassativi”, in genere, è stata all’epoca oggetto di ampi dibattiti in sede di Commissione Unica del Farmaco, anche per la necessità di sostituire le denominazioni dei farmaci stessi a seguito della sostituzione della sostanza di composizione (essendo stato giudicato pericoloso il precedente principio attivo: fenolftaleina), nonché per la necessità di fissazione del regime di dispensazione da attribuire ai ripetuti farmaci. Tali questioni, anche attraverso audizioni dei rappresentanti delle Ditte titolari di specialità di automedicazione, vennero definite nelle sedute della Commissione del 7.10.1997 (in cui si decise, per i medicinali in questione, che potesse essere conservata la denominazione dei precedenti prodotti ritirati dal commercio a base di fenolftaleina a condizione che venissero aggiunte le lettere C. M. ad indicare la composizione modificata) nonché dell’11 e 12.11.1997, ove venne deciso il regime di fornitura dei lassativi;

2) l’AIC è stata poi rilasciata alla ricorrente sulla base di stampati con la denominazione decisa dalla CUF (necessari per la conclusione dell’iter autorizzatorio) redatti ex officio dall’Amministrazione, in quanto quelli fatti pervenire dalla società il 17.10.1997 non risultavano conformi alla normativa all’epoca vigente (e avrebbero quindi potuto essere restituiti alla società stessa per la regolarizzazione);
il che, rimarca l’Amministrazione, consentì il rilascio dell’AIC il 14.11.1997 a soli due giorni di distanza dalla deliberazione della Commissione Unica del Farmaco sopra citata;

3) le circostanze sopra esposte dimostrano che non vi è stata complessivamente colpa dell’Amministrazione nella vicenda in argomento per il ritardo protrattosi dopo la diffida e il ricorso avverso il silenzio, sia per la particolarità della vicenda e la laboriosità e complessità delle decisioni procedimentali (condizionanti il rilascio dell’AIC in questione) che dovevano essere assunte, in quel periodo, dall’amministrazione, sia per la disponibilità e lo spirito collaborativo da essa comunque manifestato e attuato nella fase di stesura degli stampati predetti;

4) quanto al danno concretamente fatto valere in via risarcitoria (secondo una quantificazione, nel ricorso, di Lire 2.100.000.000 e, nella memoria, di Lire 2.772.580.277, ovvero di euro 1.434.500,50), non pare al Collegio che esso possa essere riconosciuto, perché - anche a prescindere dal riscontro di validità della parametrazione del presunto mancato guadagno per il ritardo di un anno nel rilascio dell’AIC e quindi nella commercializzazione del prodotto, alla misura del 79% dell’intero fatturato realizzato nel 2000 per le vendite del Confetto Falqui C.M. - sta di fatto che comunque, dai dati esposti e dai documenti di bilancio prodotti, non risulta che la società ricorrente abbia subito, nel 1996, alcuna contrazione di vendite (avendo realizzato anzi in detto anno, rispetto a quelli, dal 1995 al 2000, portati a termine di paragone dall’istante, il picco massimo di fatturato per Confetto Falqui, ovvero L. 4.281.186.617). Ed anche nello stesso anno 1997, in cui si è svolta la vicenda e si è verificato il periodo massimo di asserito ritardo nel rilascio dell’AIC in questione, la società ricorrente ha comunque realizzato un fatturato, per vendita di scorte di Confetto Falqui, di L.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi