Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-12, n. 201702855

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-12, n. 201702855
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702855
Data del deposito : 12 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/06/2017

N. 02855/2017REG.PROV.COLL.

N. 03837/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3837 del 2007, proposto dal signor V C, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio eletto presso l’avvocato C D Curtis in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 142;

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati A A e F M F, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez &
associati s.r.l. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sezione IV, 8 marzo 2006, n. 2724, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Udito per il Comune di Napoli l’avvocato Chierroni su delega dell’avvocato Andreattola;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’architetto V C, progettista e direttore dei lavori relativi a un’unità immobiliare sita nel Palazzo Carafa della Spina a Napoli, ha impugnato con otto motivi di ricorso la disposizione n. 5640 del 14 giugno 1999, con la quale il dirigente del settore competente - ritenuti alcuni interventi eseguiti in assenza di autorizzazione edilizia e in parziale difformità rispetto ai pareri espressi dalla Soprintendenza ai B.A.A. - ha imposto a lui e al signor Nicola Pinzero, amministratore dello stabile, il ripristino dello stato dei luoghi secondo i criteri indicati dalla Soprintendenza medesima e il pagamento della sanzione pecuniaria di 20 milioni di lire.

2. Con sentenza 8 marzo 2006, n. 2724, il T.A.R. per la Campania, sez. IV, ha esaminato le singole censure e respinto il ricorso, compensando le spese di giudizio.

3. L’architetto C ha interposto appello avverso la sentenza riproponendo alcuni dei motivi del ricorso introduttivo di primo grado e in particolare deducendo:

a) violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per la mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento. La garanzia procedimentale avrebbe carattere generale e inderogabile, varrebbe anche rispetto all’ingiunzione di demolizione di opere abusive e non sarebbe esclusa dal carattere vincolato del provvedimento, in particolare quando - come nel caso di specie - ne siano contestati i presupposti e la loro valutazione;

b) violazione dell’art. 10 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, perché la Soprintendenza avrebbe emesso pareri favorevoli all’esecuzione di lavori di restauro del palazzo, l’architetto C avrebbe inoltrato al Comune due D.I.A., altri proprietari avrebbero eseguito lavori nelle proprie unità immobiliari (che avrebbero prodotto le incongruenze nei grafici dei prospetti segnalate dalla Soprintendenza, ma non addebitabili all’appellante), secondo la normativa di settore la D.I.A., accompagnata dal nulla osta monumentale della Soprintendenza competente, sarebbe valida ed efficace quanto meno a partire dall’entrata in vigore dell’art. 2, comma 62, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

c) ancora violazione della legge n. 47/1985, in quanto l’impugnata ordinanza n. 5640/1999 denuncerebbe generiche “incongruenze fra gli elaborati grafici ed i lavori eseguiti e in corso di esecuzione” senza chiarirne la reale portata e confonderebbe i lavori riconducibili al condominio, e ai nulla osta monumentali rilasciati, con quelli eseguiti dai singoli proprietari;

d) ancora violazione della legge n. 47/1985, a seguito della duplicazione delle sanzioni (a carico del condominio, del direttore dei lavori e dei singoli condomini) e del difetto di motivazione sulla quantificazione della sanzione nella misura massima prevista inflitta assieme all’ordine di ripristino dello status quo .

4. Il Comune di Napoli si è costituito in giudizio per resistere all’appello, senza svolgere difese.

5. Con ordinanza 11 dicembre 2007, n. 6466, la Sezione ha respinto la domanda cautelare formulata dall’appellante.

6. Con memoria depositata il 5 maggio scorso, il Comune ha ricordato che la disposizione n. 5640/1999 sarebbe stata impugnata anche dall’altro destinatario (l’amministratore del condominio) con ricorso respinto dal medesimo T.A.R. (salvo che per un marginale profilo di difetto di legittimazione passiva) con sentenza n. 7561/2006;
il successivo appello, dopo la reiezione della domanda cautelare proposta dall’appellante, si sarebbe concluso con un decreto di perenzione non opposto. Nel merito, il Comune ha quindi sviluppato le proprie argomentazioni.

7. All’udienza pubblica dell’8 giugno 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

8. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

9. Il primo motivo dell’appello è infondato.

9.1. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato si è stabilizzata nell’affermare che le garanzie procedimentali sono poste a tutela di concreti interessi e non devono risolversi in inutili aggravi procedimentali. Poiché dunque l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non deve essere inteso in senso formalistico, ma risponde all'esigenza di provocare l'apporto collaborativo da parte dell'interessato, esso viene meno qualora nessuna effettiva influenza avrebbe potuto avere la partecipazione del privato rispetto alla portata non discrezionale del provvedimento finale, come del resto prevede l'art. 21 octies , comma 2, della stessa legge n. 241/1990 (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4694;
sez. III, 23 febbraio 2015, n. 896;
sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2127;
sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2509).

9.2. Nel caso di specie, l’appellante, oltre alla generica doglianza sopra riferita, non allega in alcun modo elementi che, se considerati, avrebbero potuto portare all’adozione di un provvedimento dal tenore diverso di quello impugnato. E non può nemmeno dolersi che l’ordinanza contestata sia stata una “sorpresa” posto che - come illustra il Comune, non contraddetto, nella sua memoria difensiva (pag. 3) - egli ha partecipato all’istruttoria condotta dalla Soprintendenza e ha avuto notizia dell’accertamento delle irregolarità riscontrate come pure delle iniziative assunte al riguardo dalla Soprintendenza medesima.

10. Con il secondo motivo dell’appello, l’architetto C contesta i presupposti di applicabilità dell’art. 10 della legge n. 47/1985 perché, a suo dire, le D.I.A., presentate dopo avere acquisito il nulla osta della Soprintendenza, costituirebbero idonei titoli abilitativi. Egli avrebbe depositato due D.I.A. (in data 29 gennaio 1996 e in data 12 settembre 1996) e la Soprintendenza avrebbe rilasciato il nulla osta di propria competenza.

10.1. Il fondamento normativo di questa ricostruzione sarebbe nella disposizione dell’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

10.2. Il comma 60 citato sostituisce l’art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1996, n. 493.

10.3. Senonché, in contrario, è dato osservare che:

- la legge n. 662/1996 è entrata in vigore il 1° gennaio 1997 (art. 3, comma 217), sicché non potrebbe comunque applicarsi alle D.I.A. ricordate, che risalgono all’anno precedente, e renderle produttive di effetti con una sorta di riqualificazione retroattiva della fattispecie che l’appellante sembra ipotizzare (pag. 8 del ricorso in appello), ma che non avrebbe alcuna giustificazione e comunque non farebbe venir meno - come subito si dirà - la inidoneità della D.I.A. per il carattere vincolato dell’edificio;

- la normativa richiamata, nel subordinare a D.I.A. una serie di interventi edilizi (art. 4, comma 7, del decreto-legge), condiziona infatti l’operatività del meccanismo semplificatorio alla circostanza che “gli immobili interessati non siano assoggettati alle disposizioni di cui alle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497 e 6 dicembre 1991, n. 394, ovvero a disposizioni immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all'art. 1 bis del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, o della legge 18 maggio 1989, n. 183, non siano compresi nelle zone omogenee A di cui all'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, non siano comunque assoggettati dagli strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico-artistiche, storico-architettoniche e storico-testimoniali” [comma 8, lett. a), dell’art. 4 del decreto-legge]:

- per quanto qui interessa, sostanzialmente analogo era il contenuto dell’art. 4 del decreto-legge n. 398/1993 nel testo in precedenza introdotto dall’art. 9, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 1996, n. 30, applicabile invece ratione temporis (il decreto non è stato convertito in legge ma l’art. 2, comma 61, della legge n. 662/1996 ne ha fatto salvi gli effetti prodotti pro tempore ), secondo cui la facoltà di presentare una D.I.A. in luogo della richiesta di rilascio del permesso di costruire tale facoltà “non è ammessa per gli immobili soggetti a vincolo conservativo dalle norme urbanistiche vigenti”;

- nello stesso modo deve essere letto l’art. 2 della legge della Regione Campania 28 novembre 2001, n. 19, che pure l’appellante cita sia pure alquanto incidentalmente, pena altrimenti la sua illegittimità costituzionale, poiché, in tema di competenza concorrente del governo del territorio, alla legislazione regionale non è consentito disporre in deroga ai principi fondamentali, regolatori della materia, posti dalla legge dello Stato, fra i quali rientra la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi (cfr. da ultimo Corte cost., 3 novembre 2016, n. 231;
26 maggio 2017, n. 125);

- inoltre la sussistenza del nulla osta della Soprintendenza, affermata dall’appellante, è espressamente contestata dal Comune. L’ente ricorda la nota n. 42536 del 23 dicembre 1998, con cui la Soprintendenza ha denunciato “lavori eseguiti senza il preventivo parere di questo Ufficio” facendone una descrizione dettagliata;

- in definitiva, l’Amministrazione comunale ha correttamente applicato l’art. 10, comma 3, della legge n. 47/1985, secondo cui l’esecuzione non autorizzata di opere su immobili vincolati comporta l’obbligo della rimessione in pristino e il pagamento della sanzione pecuniaria sino a venti milioni di lire.

11. Il terzo motivo dell’appello censura l’asserita indeterminatezza, genericità e perplessità dell’ordinanza impugnata.

11.1. Neppure tale doglianza ha pregio.

11.2. Da un lato, infatti, tutti i lavori, eseguiti in mancanza dei necessari titoli edilizi, erano abusivi e andavano perciò repressi.

11.3. Dall’altro, come ha osservato correttamente il primo giudice, le difformità fra i pareri espressi dalla Soprintendenza e i lavori eseguiti sono elencati dettagliatamente nella “scheda informativa per istruttoria tecnica” (26 maggio 1999) e nella ricordata nota della Soprintendenza n. 42536/1998, richiamata a sua volta nell’ordinanza impugnata.

12. Neppure ha pregio il quarto motivo.

12.1. L’appellante accenna ma non sembra coltivare il primo profilo (duplicazione della sanzione) a fronte del rilievo, mosso dal T.A.R., che l’art. 6 della legge n. 47/1985 prevede espressamente, in caso di abuso edilizio, la responsabilità del direttore dei lavori, assieme al titolare della concessione, al committente e al costruttore, per il pagamento delle sanzioni pecuniarie e, in solido, per le spese per l’esecuzione in danno.

12.2. Quanto alla misura di tale sanzione pecuniaria (secondo profilo), l’ordinanza impugnata la giustifica ampiamente con riguardo alla gravità dell’abuso, all’estensione dell’intervento, al notevole interesse storico e artistico che riveste l’edificio oggetto dei lavori.

13. Dalle considerazioni che precedono discende che, come anticipato, l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.

14. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

15. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

16. Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate in dispositivo.

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