Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201502412

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201502412
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502412
Data del deposito : 14 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08862/2010 REG.RIC.

N. 02412/2015REG.PROV.COLL.

N. 08862/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8862 del 2010, proposto da:
A P R, rappresentato e difeso dagli avv. A G e A M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A M in Roma, Piazzale Clodio, n. 61;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore,
Questura di Aosta, in persona del Questore pro-tempore,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;
Consiglio Provinciale di Disciplina c/o La Questura di Aosta, Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VALLE D'AOSTA - AOSTA n. 00096/2009, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Aosta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2015 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Mattioli e dello Stato M. La Greca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - Il ricorrente, assistente della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di Aosta, ha impugnato il decreto con cui il Direttore Generale della Pubblica Sicurezza gli ha inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di quattro mesi.

Esponeva che a causa di un fibroma osseo ad un ginocchio, ottenne il trasferimento dalla sede di Roma a quella di Aosta, ma fu costretto a numerose assenze per malattia anche nella nuova sede, circostanza che avrebbe comportato un clima di ostilità nei suoi confronti, soprattutto da parte del diretto superiore, Commissario Capo Alessandro Carmeli, il quale non avrebbe perso occasione per denigrare l'assistente dal punto di vista sia professionale, sia personale, definendolo apertamente come "lavativo".

Indicava, nei particolari, una serie di episodi in cui sarebbe stato bersaglio di offese ripetute e pesanti alla propria dignità personale e lavorativa.

Il 25 febbraio 2008 - durante il turno di servizio 13,00-19,00 – a seguito del dissenso manifestato nei confronti del Capo equipaggio De Benedittis in merito ad una operazione di posto di controllo in prossimità di un distributore di benzina, che il ricorrente riteneva invece pericolosa, circostanza che ha portato il ricorrente, in un impeto di rabbia, a rispondere irrispettosamente al superiore, è stato avviato il procedimento disciplinare sfociato nella sanzione della sospensione dal servizio per un mese, che veniva impugnata dall'interessato in data 24 ottobre 2008, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Altra sanzione disciplinare veniva irrogata in relazione ad un comportamento gravemente irrispettoso che il ricorrente avrebbe tenuto nei confronti di una impiegata civile (denunciata per diffamazione dal R);
anche questa sanzione - in data 21 maggio 2009 - veniva impugnata con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (oltre che con ricorso gerarchico).

In data 10 giugno 2008, il ricorrente - che sarebbe dovuto rientrare in servizio il giorno successivo (avendo ottenuto 4 giorni di congedo ordinario, oltre al recupero di un giorno di riposo) - veniva avvertito che avrebbe dovuto essere in servizio quella sera stessa: al rientro ad Aosta, il R constatava che la sua domanda di ferie era stata alterata manualmente in modo da far risultare 3, anziché 4, i giorni di congedo effettivamente concessi.

Nel giugno del 2008, tenuto conto dell'atteggiamento di avversità dei propri superiori, il ricorrente inoltrava direttamente al Direttore del Dipartimento della Pubblica Sicurezza una lettera in cui elencava i diversi atti vessatori subiti sul luogo di lavoro ad opera del Commissario C C, evidenziando di non averne potuto riferire al Questore "per l'atteggiamento di ermetica chiusura" che questi, fin dall'inizio, aveva mostrato sulla vicenda.

In data 8 luglio 2008, l'Assistente R veniva convocato dal Questore che lo rimproverava per atteggiamenti che - a suo dire - sarebbero stati indice di insubordinazione (la sparizione di una pagina del brogliaccio del corpo di guardia concernente fatti oggetto di contestazione;
annotazioni effettuate dal ricorrente sul medesimo brogliaccio in merito agli orari di entrata e di uscita dei funzionari, con le quali si sarebbe posta in essere una vera e propria attività di 'dossieraggio').

In data 30 ottobre 2008, il Questore di Aosta dava avvio ad un nuovo procedimento disciplinare a carico del signor R e in data 13 novembre 2008 veniva notificata al ricorrente la contestazione degli addebiti cui ha fatto seguito l’adozione del provvedimento sanzionatorio qui impugnato.

Si contestava, tra l’altro, come, a seguito di una verifica interna, disposta dal Questore ed effettuata proprio dal Commissario Carmeli, in ordine alla regolare tenuta del registro del Corpo di Guardia della Questura, sarebbero emerse le annotazioni fatte dal R "senza un valido motivo, (di) fatti privi di rilievo in merito allo specifico servizio, in particolare gli orari di entrata e di uscita del Questore, dei funzionari della Questura e di alcuni appartenenti al ruolo degli Ispettori. Nella circostanza è stato anche accertato che ignoti hanno strappato un foglio del citato registro ove erano riportate anche le Sue annotazioni relative ad un turno da Ella svolto al Corpo di guardia nel corso del quale si è verificato un episodio che ha originato un procedimento penale nei Suoi confronti per atti di scorrettezza in danno di un'impiegata civile";
con lo stesso atto si rilevava inoltre che il ricorrente - in contrasto con quanto previsto dall'art. 9 del D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782 - aveva inviato la propria nota al Direttore del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, senza seguire le vie gerarchiche.

In data 30 dicembre 2008, il Vice Questore A - in esito all'attività istruttoria - consegnava la relazione al Consiglio Provinciale di Disciplina.

In data 24 gennaio 2009, il Consiglio Provinciale di Disciplina riteneva il ricorrente responsabile di tre violazioni disciplinari e proponeva l'irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio per la durata di quattro mesi con la seguente motivazione: <<omettendo di rispettare la via gerarchica e proprio mentre sapeva di trovarsi all'esame del Capo della Polizia la definizione di un procedimento disciplinare promosso a suo carico davanti al Consiglio Provinciale di disciplina di Aosta, ha inoltrato alla predetta Autorità uno scritto, con il quale ha attribuito al proprio diretto superiore commissario capo dott. C. A. comportamenti vessatori e persecutori nei suoi confronti, rivelatisi inattendibili, ed ha avanzato l'ipotesi, del tutto infondata, che il Questore di Aosta ne fosse a conoscenza. Successivamente, ha richiesto alla Procura della Repubblica di Aosta il sequestro di un atto presso l'ufficio del Questore di Aosta "a mezzo di personale direttamente dipendente che non provenga dai ruoli della Polizia di Stato", avanzando in tal modo davanti all'Autorità Giudiziaria pesanti insinuazioni sulla correttezza dell'operato dell'Amministrazione della P.S. nel suo insieme>>.

In data 14 aprile 2009, veniva notificato al ricorrente il decreto prot. 6 aprile 2009, n. 333-D/36019, con cui il Capo della Polizia Direttore-Generale della Pubblica Sicurezza disponeva la sospensione dal servizio per la durata di quattro mesi (con i conseguenti effetti 'ex lege': privazione di parte della retribuzione mensile;
deduzione dal computo della anzianità di un periodo pari a quello della sospensione;
ritardo di due anni per una eventuale promozione o per l'aumento periodico o continuato di stipendio).

Il decreto con cui è stata inflitta al ricorrente la sanzione della sospensione è stato impugnato insieme a tutti gli atti del procedimento, deducendosi violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

2. - Con la sentenza in epigrafe il ricorso è stato rigettato.

3. - L’appello in esame analizza dettagliatamente la motivazione della sentenza e ne contesta la correttezza.

4. - Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, sostenendo la legittimità del provvedimento.

5. - All’udienza del 19 febbraio 2015, l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è infondato.

2. - Con il primo motivo si lamenta l’errata interpretazione dell'articolo 12 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737.

Secondo l’appellante, l'infrazione su cui si fonda il procedimento disciplinare deve esser rilevata solo dal Dirigente dell’Ufficio ove lo stesso dipendente presti servizio;
nella specie, invece, l’azione disciplinare è stata assunta dal Questore di Aosta.

Erroneamente il TAR avrebbe ritenuto che il Questore di Aosta – anche se non è il diretto superiore del ricorrente – sia legittimo titolare del potere di rilevare l’infrazione.

Quanto alla mancata redazione del rapporto, secondo il TAR le relazioni richiamate nella motivazione del decreto di avvio del procedimento disciplinare sarebbero ampiamente esaustive ai fini dell’indicazione di "tutti gli elementi utili a configurare l'infrazione".

Secondo l’appellante, invece, l’interpretazione seguita dal TAR si porrebbe in violazione del principio di separazione del potere di iniziativa e del potere decidente in materia disciplinare.

Osserva il Collegio che l’art. 12 del DPR 737/1981 dispone che “ogni superiore è competente a rilevare le infrazioni” e l’art. 13 dello stesso D.P.R. attribuisce la competenza a valutare e proporre la sanzione della sospensione dal servizio al Consiglio provinciale di disciplina.

Dunque, l’art. 12 cit. non attribuisce solo al diretto superiore gerarchico la competenza a rilevare l’infrazione, ma ad ogni superiore;
inoltre, non vi è stata violazione della ripartizione di competenze previste dal citato D.P.R. 737/1981, poichè il provvedimento sanzionatorio è stato adottato, a seguito di azione disciplinare promossa dal Questore di Aosta, dal Capo della Polizia –Direttore generale della Pubblica Sicurezza, sulla base della proposta della Commissione provinciale di Disciplina, organo diverso rispetto al Questore, come previsto dal citato art. 13.

3. - L’appellante contesta la decisione nella parte in cui ritiene che non siano state violate le garanzie procedimentali a tutela dell’incolpato, nonostante che la decisione di avviare il procedimento disciplinare si fondi sui medesimi fatti oggetto degli esposti presentati dallo stesso ricorrente.

A suo avviso, viceversa, sarebbe stato violato il diritto di difesa.

Il Collegio osserva che i fatti contestati muovono necessariamente dalla nota indirizzata dal ricorrente al Direttore del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, che ipotizza presunte vessazioni e reiterati atteggiamenti persecutori posti in essere da parte del Commissario capo dott. C A nei suoi confronti (nota da cui hanno preso le mosse le complesse indagini sulla pluralità di fatti e episodi denunciati, nonché sui collegamenti tra la tenuta del registro in uso al corpo dei guardia della Questura e altro episodio disciplinare pendente per atti di scorrettezza commessi nei confronti di altra dipendente della Questura).

Essendo stata contestata al ricorrente, nel procedimento disciplinare sfociato nel provvedimento qui impugnato, la mancata osservanza del criterio gerarchico nella presentazione degli esposti, in violazione dell’art. 6, comma 3, n. 3 e n. 6 del DPR 737/1981, è naturale che sia stato preso in considerazione il precitato esposto del ricorrente.

4. - La sentenza avrebbe erroneamente affermato che non è stato violato il principio della immediatezza della contestazione degli addebiti, ex art. 103 comma 2, T.U..

La contestazione degli addebiti, ad avviso dell’appellante, è stata ricevuta 5 mesi dopo che l’amministrazione era venuta a conoscenza delle presunte mancanze;
il Questore di Aosta ha potuto visionare per la prima volta nel giugno 2008 la lettera che il R avrebbe inoltrato senza l’osservanza del criterio gerarchico. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, non potrebbe ritenersi ragionevole il decorso di un termine così lungo.

Ad avviso del Collegio, l’immediatezza della contestazione degli addebiti è concetto che delinea la necessaria tempestività del promovimento dell’azione disciplinare e che va interpretato secondo il criterio di ragionevolezza.

Di conseguenza, l’immediatezza della contestazione degli addebiti, anche se risponde ad un'esigenza di ragionevole sollecitudine, non è ancorata ad alcun termine di carattere perentorio (cfr. Cons. Stato, VI, 18-3-1994, n. 372;
29-5-1987, n. 334).

La norma vuole salvaguardare la certezza del rapporto tra l'impiegato e l'Amministrazione, onde evitare che il dipendente resti esposto "sine die" per ingiustificata inerzia dell'Amministrazione alla possibile attribuzione di rilevanza disciplinare a determinati suoi comportamenti risalenti nel tempo. La valutazione in ordine a tale ragionevolezza dipende, caso per caso, dall'effettivo svolgimento dell'iter procedurale.

Nel caso in esame, se si tiene conto della sequenza dei fatti, non sembra irragionevolmente lungo il tempo trascorso tra la conoscenza dei fatti addebitati al ricorrente ed il momento della contestazione degli addebiti.

Vero è che la contestazione degli addebiti è stata notificata il 13 novembre 2008 e la lettera di esposto del ricorrente, inviata alla Direzione centrale del Dipartimento per la pubblica sicurezza, è stata inoltrata alla Questura di Aosta il 19 giugno 2009, perché venissero fornite informazioni sul suo contenuto.

Tuttavia, solo a seguito di altro esposto inviato dall’appellante al Questore di Aosta e per conoscenza alla Procura della Repubblica di Aosta, in data 6 ottobre 2008 (citato nelle premesse dell’atto di promovimento dell’inchiesta disciplinare), con cui si chiedeva all’A.G. di sequestrare a fini probatori un atto rilevante in altra vicenda, da cui aveva avuto origine altro procedimento disciplinare a suo carico, tramite personale della Polizia Giudiziaria estraneo ai ruoli della Polizia di Stato (esprimendosi così lo stato di disagio nei confronti dell’operato dei colleghi e superiori gerarchici), il Questore ha decretato l’avvio dell’inchiesta disciplinare, nominando il funzionario istruttore, con provvedimento del 30 ottobre 2008, n. 988.

Così ricostruiti i fatti, deve escludersi la violazione della regola dell’immediatezza della contestazione degli addebiti, dovendosi far risalire all’ottobre 2008 la conoscenza di quell’ulteriore atto del ricorrente che ha determinato la scelta di promuovere l’azione disciplinare.

5. - Viene criticata la motivazione della sentenza impugnata per aver rigettato il motivo con cui si deduceva l’incompatibilità del Questore ad esercitare il potere disciplinare, visto il suo diretto coinvolgimento nei fatti;
da qui l’impossibilità di esercitare in modo imparziale le proprie funzioni.

Il TAR ha escluso il vizio osservando che il Questore si è limitato a dare avvio al procedimento disciplinare senza prendere parte alla fase istruttoria e a quella decisoria.

Il Collegio ritiene corretta la decisione.

L’art. 19, comma 2, del DPR 737/1981 attribuisce al Questore il potere di disporre l’inchiesta affidandola ad un funzionario istruttore, conosciuto il fatto e valutatane la rilevanza ai fini disciplinari.

Peraltro, si contesta al Questore di Aosta il compimento di atti che rappresentano attività ordinaria dei superiori gerarchici, che non comportano conclusioni e proposte in ordine alla sanzione da irrogare.

Né l’appellante indica, d’altra parte, elementi indiziari sufficienti per ritenere che l’avvio del procedimento da parte del Questore, o la mera trasmissione dell’incartamento al Consiglio di disciplina, abbiano influenzato l’istruttore o il Consiglio nelle loro considerazioni e conclusioni.

La garanzia di imparzialità non può dirsi, dunque, compromessa.

6. - Infondato è l’ulteriore motivo con cui si critica la sentenza per aver ritenuto che non sia stato violato il principio di assoluta neutralità nell’esposizione dei fatti che grava sul funzionario istruttore.

L’appellante ribadisce che l’istruttore ha preso posizione su alcuni dei fatti contestati, talvolta esprimendo giudizi e opinioni personali, e non condivide il richiamo da parte del TAR all'orientamento espresso sul punto dalla giurisprudenza, che ha messo in rilievo come il principio di neutralità nell'esposizione dei fatti - stabilito dall'articolo 12 del d.p.r. n. 737 del 1981 - opera solo nei confronti del superiore gerarchico competente a rilevare gli estremi del comportamento che possa configurare illecito disciplinare, ma non si riflette nelle successive fasi istruttorie del procedimento disciplinare (Cons. St., Sez. VI, 11 settembre 2006, n. 5249).

Il Collegio osserva che il valore dell'imparzialità dell'organo inquirente è elemento che può essere ancorato alla sussistenza di indici oggettivi, che, secondo l'"id quod plerumque accidit", portano a ritenere che il giudizio espresso non possa essere stato sereno, in quanto influenzato da condizioni psicologiche e circostanze estrinseche, che però l’appellante non deduce in modo specifico.

L’estrapolazione di alcune espressioni dal contesto complessivo della relazione istruttoria del 30.12.2008 non è sufficiente a dimostrare la parzialità dell’istruttore, il quale si è limitato a ricostruire i fatti ed a considerarne la riconducibilità ipotetica alle norme regolamentari che tipizzano i comportamenti sanzionabili, e non sembra, nel suo complesso, eccedere i limiti propri dell’attività istruttoria.

Difatti, non può ipotizzarsi che l’attività ricognitiva del funzionario istruttore possa essere meramente asettica, comportando, in una sia pur limitata misura, un’attività valutativa del materiale probatorio da acquisire sotto il profilo della sua idoneità a ricostruire i fatti oggetto del procedimento disciplinare, nonché della sua rilevanza.

7. - Con il quinto motivo di impugnativa si sostiene che la sanzione disciplinare inflitta al ricorrente sia il risultato di una <<azione di mobbing e/o di bossing posta in essere dai superiori del ricorrente nei confronti dello stesso>>.

La sentenza impugnata ha ritenuto che tra i comportamenti elencati nella censura ed attribuiti soprattutto al Commissario Capo (giudizi negativi espressi in merito alla professionalità del ricorrente;
rimproveri per assenze invece giustificate da malattia;
ripetuto affidamento di incarichi e mansioni non gradite;
precedenti sanzioni disciplinari irrogate per un "banale alterco" con un collega e per frasi confermate da un solo testimone) non è ravvisabile quell'indissolubile nesso causale e quella particolare finalizzazione che costituiscono gli elementi essenziali per dimostrare l'esistenza di un disegno unitario volto alla vessazione della figura professionale della vittima, secondo la definizione di “mobbing” adottata dalla giurisprudenza.

Il Collegio ribadisce che per l’esistenza di mobbing va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell'elemento soggettivo e, cioè, dell'intento persecutorio. La sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing ( C.d.S., Sez. III, 04/02/2015

n. 549).

Nella specie, manca la prova dell’elemento soggettivo nei riferiti comportamenti vessatori dei superiori gerarchici, mentre la circostanza che siano state irrogate più sanzioni disciplinari per episodi poco rilevanti non assume una valenza decisiva, specie se si tiene conto del particolare rigore che caratterizza lo svolgimento del rapporto di impiego in ambiente militare.

8. - L’appellante, ancora, lamenta la contraddittorietà e illogicità della decisione impugnata per non aver rilevato come l’Amministrazione, in relazione alle denunce formulate dal ricorrente, abbia sostanzialmente attuato un’inversione dell’onere della prova, ponendo a suo carico la presunzione di colpevolezza in ordine all’azione di denigrazione dei superiori e richiedendogli di dimostrare la veridicità delle proprie affermazioni.

Il Consiglio di disciplina non avrebbe, invece, acquisito i testi indicati dall’appellante, né ha attribuito il dovuto peso al coinvolgimento del Questore di Aosta nella vicenda.

Il Collegio condivide le considerazioni svolte dal TAR sul punto.

La motivazione della sanzione rivela, prima di tutto, come dagli esposti presentati dal ricorrente emerga, attraverso una serie di accuse di comportamenti vessatori, la “denigrazione” quantomeno indiretta sia nei confronti del Questore, sia nei confronti del diretto superiore, il Commissario C C.

Non appare illogica, e nemmeno priva di motivazione, la deliberazione del Consiglio di Disciplina nella parte in cui ritiene che le accuse rivolte dal ricorrente al Questore e al Commissario Capo - in quanto non sostenute da alcun elemento di prova - si siano tradotte in atti di <<denigrazione >>.

9. – L’appellante lamenta l'illogicità della sanzione inflitta dal Consiglio di Disciplina in relazione al terzo comportamento addebitatogli e consistente nell'istanza di sequestro di un documento presente nell'Ufficio del Questore di Aosta da affidare a personale esterno al corpo della Polizia di Stato.

Secondo il ricorrente tale condotta non può essere considerata "denigrazione", a meno di non svolgere <<un vero e proprio processo alle intenzioni>>.

Il motivo è stato ritenuto infondato, perchè il contenuto dell’atto con cui si chiedeva di affidare il sequestro a personale estraneo al corpo della Polizia di Stato <<costituisce inequivocabilmente accusa indiretta quanto meno di inaffidabilità, se non addirittura di slealtà, rivolta all'Istituzione Polizia di Stato>>.

La doglianza dell’appellante non appare convincente: lo svolgimento dei fatti e la complessiva valutazione del suo comportamento non evidenziano la manifesta illogicità delle conclusioni cui è giunto il Consiglio di Disciplina, essendo evidente la conflittualità latente che anima i comportamenti sanzionati e la cosciente riprovazione dei comportamenti dei suoi superiori da parte del ricorrente, suscettibile di quell’apprezzamento negativo che ne ha fatto il Consiglio di disciplina.

10. - Con l'ultimo motivo di appello si critica la sentenza per aver rigettato la censura riguardante la sanzione del secondo comportamento addebitato al ricorrente, consistente nella sostanziale “insubordinazione” per aver trasmesso il proprio esposto direttamente al Dipartimento della Polizia di Stato, senza seguire la via gerarchica.

L’Amministrazione non avrebbe tenuto conto della circostanza attenuante rappresentata dal trovarsi il ricorrente in situazione di “incomunicabilità” con i superiori.

Denuncia la sostanziale sproporzione della sanzione adottata in relazione al comportamento contestato.

Il motivo non è fondato.

Il TAR ha richiamato l'ampio margine di discrezionalità attribuito all'Amministrazione dell'Interno nella scelta delle sanzioni da applicare alle mancanze disciplinari degli appartenenti alla Polizia di Stato (Cons. St., Sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7584), ed ha rilevato che, ai sensi dell'articolo 9 del Regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, approvato con d.p.r. 28 ottobre 1985, n. 782, il <<rispetto della via gerarchica>>
costituisce l'unica modalità con cui il personale della Polizia di Stato può rivolgersi agli organi superiori.

Anche tale censura appare destituita di fondamento.

La circostanza che gli scritti possano essere consegnati in pieghi suggellati al diretto superiore che ne rilascia ricevuta e li inoltra immediatamente all'organo superiore cui sono diretti (comma 2) esclude la fondatezza della giustificazione che l’appellante adduce a fondamento della propria scelta di rivolgersi direttamente al Dipartimento centrale, in violazione della regola della “via gerarchica”, ovvero il rischio di vedere ignorate le proprie lamentele.

Viceversa, ben avrebbe potuto e dovuto seguire l’ordinaria via gerarchica, che lo garantiva, attraverso le richiamate modalità di segretezza, da disapprovazioni o discriminazioni ingiustificate.

11. - In conclusione, l’appello va respinto.

12. - Le spese si compensano tra le parti, attesa la peculiarità della vicenda.

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