Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-01-16, n. 201300231

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-01-16, n. 201300231
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300231
Data del deposito : 16 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01477/2011 REG.RIC.

N. 00231/2013REG.PROV.COLL.

N. 01477/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1477 del 2011, proposto da:
T.M.E. S.p.A. - Termomeccanica Ecologia in proprio e quale Mandataria RTI, rappresentato e difeso dagli avv. M S E A B, con domicilio eletto presso l’avv. M S in Roma, viale Parioli, 180;
RTI - Consorzio Etruria Soc. Coop A R.L., Tev Spa - Termo Energia Versilia, rappresentati e difesi dagli avv. A B e M S, con domicilio eletto presso l’avv. M S in Roma, viale Parioli, 180;

nei confronti di

Regione Toscana, rappresentato e difeso dagli avv. Lucia Bora e Natale Giallongo, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Grez e Associati srl in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 10394/2010, resa tra le parti, concernente accertamento difetto titolarità attiva e passiva di rapporto concessorio-gestione rifiuti solidi urbani.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Toscana;

Visto l'atto di costituzione in giudizio proposto dal ricorrente incidentale Comune di Pietrasanta, Comune di Massarosa, rappresentati e difesi dagli avv. Tomaso Galletto, Federico Montaldo, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Selvaggi, per delega dell'Avvocato Bianchi, e Sino;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. I, con la sentenza n. 10394 del 18 novembre 2010 ha respinto le domande proposto dal Comune di Pietrasanta e dal Comune di Massarosa, entrambe attuali appellate, per ottenere l’accertamento nei confronti della Regione Toscana del difetto di legittimazione passiva e della titolarità rispetto alle obbligazioni ed agli oneri di cui alla convenzione stipulata in data 31 luglio 1997 tra il Commissario straordinario della Regione Toscana e il R.T.I. composto da Tm.E s.p.a. Termomeccanica Ecologia e Consorzio Etruria soc. coop. a r.l. , nonché del difetto della titolarità di T.E.V. – Termo Energia Versilia s.p.a. alla gestione del servizio pubblico avente ad oggetto la selezione, il trattamento ed il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani nel lambito del sistema integrato di cui alla convenzione 31 luglio 1997.

Il TAR ha accolto la domanda di nullità della clausola compromissoria di cui all’art. 23 della convenzione stipulata in data 31 luglio 1997 e, per l’effetto, ha dichiarato la nullità della clausola compromissoria di cui all’art. 23 della convenzione 31 luglio 1997.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che, per quanto riguarda la giurisdizione, le domande dei ricorrenti attenevano al momento genetico della concessione, essendo chiesto al giudice di accertare il difetto di titolarità attiva e passiva del rapporto concessorio, rispettivamente in capo ai ricorrenti e alla società TEV, esulandosi, quindi, dall’ambito delle indennità, canoni ed altri corrispettivi attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 204-2004 ed essendo parimenti esclusa dall’ambito delle indennità canoni e altri corrispettivi la questione della validità della clausola compromissoria che, pertanto, appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Inoltre, per il TAR, il difetto di giurisdizione sulle domande di mero accertamento, poiché innanzi al giudice amministrativo non sarebbero proponibili autonomamente azioni di mero accertamento non è stata ritenuta persuasiva.

Nel merito, per il TAR le norme regionali coinvolte nel caso in esame conferiscono alla Regione la potestà di dichiarare la cessazione della gestione commissariale e di individuare i soggetti subentranti nei rapporti attivi e passivi derivanti dalla gestione commissariale nell’ambito dei soggetti ordinariamente competenti, con la conseguenza che legittimamente la Regione ha, con i decreti DGR 29 settembre 1997, n. 1095 e

DPGR

30 settembre 1997, n. 289, individuato i Comuni ricorrenti, ordinariamente competenti in materia, quali enti subentranti alla gestione commissariale.

Per il TAR, inoltre, le questioni di costituzionalità delle leggi sono manifestamente infondate, poiché le relative eccezioni si fondano su un presupposto non condivisibile, costituito dal ritenere il commissario straordinario organo dell’ente Regione e non già dell’ente comune, quando è evidente, invece, che i compiti attribuiti ai commissari ad acta dall’art. 13 d.l. 383-1993 sono propri delle attribuzioni ordinarie dei Comuni.

Il TAR ha ancora respinto la domanda finalizzata alla declaratoria del difetto di legittimazione della società TEV, poiché i comuni ricorrenti, lungi dall’opporsi alla cessione, l’hanno accettata indirizzando alla TEV ordini di servizio, determinazioni relative all’esecuzione di lavori ulteriori e approvando e sottoscrivendo i relativi atti di sottomissione.

Il TAR, conclusivamente, ha dichiarato la nullità della clausola compromissoria prevista all’art. 23 della convenzione 31 luglio 1997, in base alla giurisprudenza della Cassazione civile , sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3518.

L’appellante Tm.E s.p.a. Termomeccanica Ecologia e T.E.V. – Termo Energia Versilia s.p.a. contestava la sentenza del TAR con particolare riferimento al capo relativo alla dichiarazione di nullità della clausola compromissoria prevista all’art. 23 della convenzione 31 luglio 1997.

Si costituivano le Amministrazione comunale intimate proponendo appello incidentale avverso tutti i capi della sentenza non oggetto dell’appello principale, riproponendo nella sostanza tutte le censure ed eccezioni già fatte valere in primo grado e contestando la mancanza di legittimazione passiva della Regione Toscana, chiedendo infine il rigetto dell’appello principale.

Si costituiva in appello anche la Regione Toscana continuando ad eccepire il suo difetto di legittimazione passiva.

All’udienza pubblica del 20 novembre 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che l’appello principale sia fondato.

Infatti, nel considerare ammissibile la domanda di mero accertamento negativo di validità di una clausola contrattuale avanzata dai Comuni, il TAR ha finito per giudicare su una questione attinente all’esistenza e validità di clausole del contratto che costituisce la fonte, ex art. 1173 c.c., di diritti soggettivi patrimoniali che sono, invece, sottratti alla cognizione giurisdizionale del giudice adito.

In primo luogo, il Collegio rileva che il processo amministrativo è pur sempre, secondo una lettura costituzionalmente orientata della giurisdizione del G.A., al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva, un processo su interessi legittimi, incentrato sull'azione di annullamento, di talché sull'azione di accertamento su un rapporto giuridico paritetico come il rapporto giuridico contrattuale, sia pur nascente da una procedura di evidenza pubblica, sussiste pacificamente la giurisdizione dell’A.G.O.

In secondo luogo, anche sotto il profilo del tipo di azione esercitata in giudizio (come detto, azione di mero accertamento), deve ritenersi che, sulla base della disciplina codicistica e dello stesso (connesso) sistema processuale amministrativo elaborato dalla giurisprudenza, tale azione sia esercitabile soltanto nei casi tipicamente definiti dal legislatore o enucleabili dal contesto della disciplina di tutela di particolari istituti. A titolo esemplificativo: azione di accertamento in materia di silenzio, in materia di nullità del provvedimento, in materia di ottemperanza e in materia di cd. SCIA, tutti riconducibili a peculiarità sostanziali che si riflettono nella “tipicità” e “specialità” della tutela giurisdizionale (azione) e processuale (rito) accordata dall’ordinamento.

In particolare, con riguardo alla SCIA, preme evidenziare come una tale azione, lungi dal

presentarsi come un rimedio generalizzato ed alternativo all’azione caducatoria, possa essere promossa dal privato soltanto nei casi in cui costituisca l’unico strumento a disposizione del ricorrente per tutelare la propria posizione soggettiva.

È quanto d’altronde affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Ad. Plen, 29 luglio 2011, n.15), chiamata recentemente a pronunciarsi sulla natura giuridica della DIA (oggi SCIA, appunto), nonché sulla tutela da assicurare al terzo, leso per effetto dell’attività avviata dal denunciante.

Il Supremo Consesso della giustizia amministrativa, operando un’innovativa lettura del dettato positivo, i cui effetti tuttavia sono stati in parte attenuati dalla successiva riforma normativa (art. 6, comma 1, D.L. n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011), ha difatti evidenziato come, a seguito della segnalazione del privato, avente ad oggetto l’avvio di un’attività assoggettata a DIA, l’Amministrazione sia tenuta ad avviare un procedimento per verificare la conformità, di quanto dichiarato dal denunciante, ai requisiti prescritti dalla disciplina di settore, onde adottare, in caso di riscontro negativo, i consequenziali provvedimenti conformativi.

Tornando al problema generale della tipicità delle azioni di accertamento nel nostro ordinamento processuale, ed in disparte l’argomento, comunque decisivo, dell’assenza di qualsivoglia base normativa per sorreggere tale tipologia di tutela, si deve osservare che le amputazioni subite dalla disciplina delle azioni in seno al Codice rispetto alla legge delega (art. 44, comma 1) fanno ormai parte della storia legislativa e se non possono certamente condizionare l’interpretazione delle disposizioni approvate, altrettanto sicuramente forniscono un criterio ermeneutico che spinge l’interprete verso tale conclusione, ovvero che l’azione di mero accertamento, nel processo amministrativo, sia un’azione tipica e non atipica.

La stessa Relazione al Codice, nel dar conto della soppressione dell’azione di accertamento, spiega che il Governo ha ritenuto “di non esercitare, allo stato, in parte qua tale facoltà concessa dalla delega, ritenendo adeguata e completa la tutela apprestata dalle azioni già previste dal Capo II”.

Peraltro, dall’art. 1 del Codice, nel richiamare l’esigenza di una tutela piena ed effettiva, in relazione a quanto disposto dall’art. 24 della Costituzione, non può certamente ricavarsi un principio di atipicità dell’azione di accertamento, poiché dovrebbe semmai preliminarmente dimostrarsi che il sistema di tutele del Codice sia, per questa parte, lacunoso e, quindi, necessariamente da integrare in via ermeneutica con il richiamo ai principi costituzionali ed europei del giusto processo;
dimostrazione che è ben lungi dall’essere un fatto certo.

Anzi, in via generale il Collegio ritiene che il nostro sistema processuale amministrativo sia caratterizzato, almeno sul piano dei rimedi astrattamene previsti, da un’accentuata protezione, in funzione garantista, rispetto alle posizioni soggettive vantate dai cittadini nei confronti dei pubblici poteri, in una logica di sistema che non ha eguali nello scenario dei Paesi evoluti ai quali possiamo confrontare il sistema processuale stesso.

Basti pensare, a titolo di esempio, ai gradi di giudizio che lo connotano che, tra fase cautelare di primo e secondo grado, merito e appello, nonché eventuale revocazione, implicano che anche ventuno giudici possano finire per occuparsi di un singolo fascicolo processuale.

Oppure basti pensare ai principi probatori estremamente semplificati e improntati alla speditezza processuale, che il giudice amministrativo ha da tempo adottato (ad es., il cd. principio di prova “attenuato”, oppure la liquidazione forfetaria ed equitativa del danno) e che sono orientati nella stessa direzione.

Pertanto, ritiene questo Collegio (ed è nozione di fatto ex art. 115, comma 2, c.p.a.) che nell’equilibrio del sistema processuale nel suo complesso, il nostro ordinamento non mostri alcuna lacuna di tutela, semmai una spinta opposta che potrebbe dirsi “sovra-tutelante”.

A nulla rileva, peraltro, che nella concreta azione dei pubblici poteri questo apparato di tutele si dimostri spesso impotente a correggere le violazioni della legalità riscontrabili nei processi operativi che coinvolgono le Amministrazioni a tutti i livelli e che di frequente, come ha messo in luce anche questo Consiglio nella nota sentenza 27 luglio 2011, n. 4502, perpetuano “il costume, improponibile prima sul piano culturale e civile che su quello giuridico, di affermare grandi e importanti principi di civiltà avanzata per poi disattenderli puntualmente in fase applicativa”.

La disattenzione per le regole della corretta e buona amministrazione, secondo una cultura di illegalità diffusa capace di compromettere anche i più avanzati ed articolati strumenti di tutela del cittadino, come quello che esprime il nostro ordinamento giuridico, non può influire sul giudizio complessivo del nostro ordinamento che non conosce(si ripete, almeno in linea teorica) vuoti di tutela.

Anche i dati normativi testuali che si pretenderebbe di leggere nella direzione del principio di atipicità, come l’art. 34, comma 1, lett. c) del Codice, che prevede l’adozione “delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”, sono manifestamente insussistenti, atteso che tale disposizione precisa i contenuti della sentenza di condanna e non quella di mero accertamento.

Per inciso il secondo correttivo al c.p.a. (d.l.gs n. 160-2012), con l’aggiunta di un secondo

comma all’art. 34, lett. c), C.P.A., ha introdotto un’ulteriore azione di condanna al rilascio del

provvedimento richiesto, recependo in sede legislativa le sollecitazioni proposte dalla decisione dell’Ad. Plen. n. 3-2011, rafforzando e potenziando ancora la tutela del cittadino, ma muovendo sempre nella logica dell’azione di condanna, per l’appunto.

Né muove nella stessa direzione la successiva lett. e) in base alla quale il giudice dispone “le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato”, inclusa la nomina, già in sede di cognizione, di un commissario ad acta con sua operatività dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza, poiché l’azione di accertamento sarebbe, semmai, l’oggetto di un giudicato e non una misura per attuarlo.

Pertanto, nel caso di specie, non trattandosi di esercizio di azione di accertamento nei casi tipicamente previsti dalla legge, il relativo ricorso, con il quale i Comuni appellati l’hanno esercitata in primo grado è da ritenersi inammissibile, come dedotto dall’appellante.

Inoltre, nel caso di specie, non si è di fronte, come erroneamente ha indicato il TAR e come già detto, ad un caso di giurisdizione esclusiva, poiché la controversia, come detto, riguarda soltanto questioni di carattere contrattuale sottratte, per tale natura, alla cognizione del Giudice Amministrativo.

Infatti, come ha di recente precisato in modo del tutto inequivoco il Giudice della giurisdizione (Cassazione civile, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804), nel quadro normativo derivante dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell'opera (o di costruzione e gestione congiunte), ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione;
ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria.

In sostanza, il Giudice della giurisdizione in questa sentenza chiarisce, dopo oscillazioni e contestazioni dottrinali di grande rilievo su tale crinale dell’ambito cognitivo delle rispettive giurisdizioni, che l’applicazione del precedente criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura concessoria del rapporto con il Comune, - che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5 alla giurisdizione esclusiva-, non è più attuale. E tale conclusione è ritratta non solo alla luce dell’attuale disciplina del Codice appalti, ma anche alla luce delle Direttive Europee nn. 17 e 18 del 2004, “cd. Direttive di codificazione”.

E queste ultime, va evidenziato, in quanto tali, e proprio nel loro impianto complessivo di principi vigenti nella materia, non hanno introdotto nessun rilevante concetto innovativo rispetto alle Direttive che hanno sostituito e omogeneizzato in funzione di chiarificazione della disciplina in materia di appalti pubblici, Direttive risalenti, per quanto riguarda i lavori, alla Direttiva n. 93/37, oggetto di trasposizione ad opera della cd. Legge Merloni quivi applicata.

Infatti, lo stesso giudice di legittimità ammette che l’orientamento giurisprudenziale precedente ha recepito principi ricavati dalla normativa nazionale piuttosto risalente e antecedenti al D. Lgs. n. 163 del 2006, suddividendo i sistemi di esecuzione delle opere pubbliche in due categorie a seconda che venissero compiute direttamente dalla P.A. o indirettamente con il ricorso al sistema della concessione;
e nell'ambito di quest'ultima, a seguito del D.L.L. n. 107 del 1919 (art. 16), poi ripristinato dal R.D.L. 1657 del 1926 e dal R.D.L. n. 1137 del 1929 (quest'ultimo modificato ed integrato dalla L. n. 34 del 1951) aveva distinto le concessioni di sola costruzione da quelle di costruzione e di gestione dell'opera.

Pertanto, è stata la ricezione acritica e tralaticia di tali norme e delle relative interpretazioni che aveva indotto le Sezioni Unite a mantenere ferma la suddetta distinzione anche ai fini del riparto delle giurisdizioni, pur dopo che le concessioni dei lavori sono stati equiparate agli appalti di opera pubblica, facendo ancora ritenere le concessioni di costruzione e di gestione dell'opera attratte al plesso della generale categoria dei provvedimenti concessori, come tali devoluti, mediante una interpretazione estensiva della formula della L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 1, alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Sennonché, come osservano anche le Sezioni Unite nella sentenza del 2011 sopraccitata, tale quadro normativo è stato modificato dalla legislazione europea, la quale da ultimo con la Direttiva 18 del 2004, nell'ambito della categoria degli appalti pubblici ha mantenuto ferma la tradizionale tripartizione tra appalti di lavori, servizi e forniture;
ma ha suddiviso le concessioni in due tipologie, la prima delle quali, denominata "concessione di lavori pubblici", è definita "un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo" (art. 1, sub 3);
mentre la seconda denominata "concessione di servizi" comprendente i contratti che "presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo" (art. 1, sub 4).

Pertanto, è stata recepita la concezione comunitaria di "concessione dei lavori", includendo nella relativa categoria ormai unitaria tutti i "contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l'esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonchè "la loro gestione funzionale ed economica", che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al presente codice".

In base a tale costruzione comunitaria dell’istituto giuridico unitario della concessione di lavori, non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell'opera (ovvero di costruzione e di gestione congiunte) nella quale prevaleva il profilo concessorio ed autoritativo, riguardante, in particolare, la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizioni.

Si deve al riguardo precisare, come già dianzi anticipato, che tale concetto comunitario dell’istituto giuridico unitario “concessione di lavori”, non nasce ex novo come si è già accennato, con le Direttive di codificazione citate del 2004, ma era già immanente nel sistema comunitario e, di conseguenza, per il principio di prevalenza o preferenza di quest’ultimo ordinamento rispetto all’ordinamento nazionale nelle materie, come quella in oggetto, (soggette appunto al diritto comunitario), è solo a tale impianto di principi e soluzioni che può farsi riferimento, con disapplicazione di qualsiasi norma di rango nazionale che detti una disciplina di tipo diverso e, segnatamente, individui profili di autoritarietà, laddove il diritto comunitario, invece, li esclude radicalmente.

In particolare, si deve ricordare che già la Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (in Gazzetta ufficiale CE n. 121 del 29 aprile 2000) citava il fatto inequivocabile che la Direttiva 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori prevede un regime specifico riguardante le concessioni di lavori, regime ove, come detto, sono assenti profili di autoritarietà del potere pubblico nella fase di gestione ed esecuzione del rapporto.

In specifico, la suddetta Comunicazione interpretativa asseriva che già la direttiva 93/37/CEE distingue la concessione di lavori da un appalto pubblico tramite la concessione al concessionario del diritto di gestire l'opera, realizzata come contropartita della costruzione effettuata: negli stessi termini, dunque, con la quale la concessione di lavori è descritta oggi dalla citate Direttive di codificazione in materia di appalti e dal Codice degli appalti nazionale e che ha indotto, come si è visto, la Corte di Cassazione civile, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804, ha mutare il suo tradizionale orientamento, recependo, alfine, tale novità a lungo esistente nel sistema comunitario e, quindi, nazionale degli appalti.

Con la conseguenza, per il nostro diritto nazionale e per le questioni di giurisdizione che sono rilevanti in questo processo, che si deve mantenere alla giurisdizione ordinaria la successiva fase relativa alla esecuzione del rapporto in cui devono, peraltro, trovare applicazione regole positive attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e le relative condotte attuative (cfr: Cass., Sez. Un., nn. 14958-2011;
19049-2010;
6068-2009;
29425-2008).

Anche in relazione agli appelli incidentali dei Comuni, il Collegio deve svolgere le medesime considerazioni che ha svolto per motivare il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di accertamento di nullità della clausola convenzionale.

Quindi, per ripetere i concetti in sintesi:

- le domande di mero accertamento negativo del difetto di legittimazione passiva e della titolarità dei Comuni di Pietrasanta e Massarosa e del difetto della titolarità di Tev s.p.a., in quanto attinenti a posizioni contrattuali, non sono in sé ammissibili, in quanto esercitate al di fuori dei casi tipicamente previsti dalla legge di azione con tale contenuto “dichiarativo”;

- esse comunque riguardano posizioni soggettive (contrattuali) che non sono e non possono essere devolute alla giurisdizione del G.A.;

- si devono ritenere attinenti a posizioni contrattuali e non a concessioni, poiché, alla luce della già esaminata sentenza della Cassazione civile, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804, sussiste, a livello comunitario, l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell'opera (o di costruzione e gestione congiunte), ove prevarrebbe il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione.

Pertanto, tale motivo dell’appello principale è da accogliere con conseguente riforma della sentenza di primo grado e dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado.

Il secondo, terzo e quarto motivo di appello principale, così come la questione della legittimazione passiva della Regione diventano, a questo punto, privi di rilievo, e perciò assorbiti dal dedotto rilievo dell’assenza di un presupposto processuale (ammissibilità dell’azione in termini di sussistenza della giurisdizione del giudice ab initio adito).

Restano, quindi, assorbite tutte le ulteriori eccezioni e deduzioni delle parti.

Pertanto, gli appelli incidentali sono da dichiararsi improcedibili.

Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza con riferimento ai Comuni appellati e possono essere compensate con riferimento alla Regione Toscana, sussistendo giusti motivi.

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