Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-07-30, n. 201804657

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-07-30, n. 201804657
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201804657
Data del deposito : 30 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/07/2018

N. 04657/2018REG.PROV.COLL.

N. 05218/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5218 del 2016, proposto da:
ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione e Ministero delle infrastrutture e trasporti - Provveditorato interregionale per le opere pubbliche Campania-Molise, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12.

contro

Consorzio CMG - Consorzio Manutenzioni Generali, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato L T, domiciliato ex art. 25 Cod. proc. amm. presso segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

nei confronti

Comune di San Giuseppe Vesuviano, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZ. III, n. 3848/2016, resa tra le parti, concernente provvedimento di irrogazione sanzione pecuniaria, iscrizione nel casellario informatico e sospensione per cinque mesi dalle procedure di affidamento pubblici appalti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consorzio CMG - Consorzio Manutenzioni Generali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il Cons. G L B e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Giammario Rocchitta e l’avvocato L T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione III, ha accolto il ricorso proposto dal Consorzio CMG, Consorzio Manutenzioni Generali, per l’annullamento del provvedimento n. 63 del 23 dicembre 2014, con il quale il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione aveva irrogato a suo danno la sanzione pecuniaria di € 7.500,00, la sanzione interdittiva della sospensione per cinque mesi dalle procedure di affidamento di pubblici appalti, con contestuale iscrizione nel casellario informatico tenuto dall’Autorità, ai sensi dell’art. 6, comma 11, e 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, per aver prodotto documentazione artefatta ai fini della comprova del possesso dei requisiti di ordine speciale.

1.1. Proposti dal Consorzio ricorrente due motivi articolati in più censure, cui ha resistito l’ANAC, sono state accolte le censure, a portata assorbente e tra loro connesse, con cui erano state denunziate la violazione del termine procedimentale di centottanta giorni per la conclusione del procedimento sanzionatorio, fissato nel Regolamento delle sanzioni adottato dall’Autorità, e la violazione del principio di tempestività di cui all’art. 8 d.lgs. n. 163 del 2006.

1.2. La sentenza -dato atto dell’inizio del procedimento in data 21 maggio 2014 e dei periodi di sospensione, nonché dell’adozione della delibera impugnata in data 22 dicembre 2014 e della sua comunicazione al Consorzio in data 16 febbraio 2015- ha rilevato che la questione dirimente era costituita dal computo, o meno, nel termine di centottanta giorni, di durata massima del procedimento sanzionatorio, del lasso temporale intercorrente tra l’adozione della deliberazione sanzionatoria e la sua comunicazione. Ha quindi ritenuto che il detto termine, così come fissato nel Regolamento delle sanzioni, pubblicato in data 8 aprile 2014 (applicabile ratione temporis ), ha natura perentoria “ in quanto risulterebbe contraddittorio stabilire un termine di conclusione del procedimento sanzionatorio e, poi, non rispettare un auto vincolo posto dalla stessa Autorità procedente ” e che si tratta di termine posto anche a garanzia dell’incolpato, in ragione della natura afflittiva della procedura. Tanto premesso, ha concluso che la necessità di ricondurre nel computo del termine anche il periodo per la notificazione della sanzione “ è funzionale proprio a questa imprescindibile garanzia ”, rinvenendo il fondamento normativo di siffatta conclusione nell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006.

1.3. Il ricorso è stato accolto, con annullamento dell’atto impugnato e compensazione delle spese processuali.

2. Per la riforma della sentenza hanno avanzato appello, con unico articolato motivo, l’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Il Consorzio CMG, Consorzio Manutenzioni Generali, ha resistito, costituendosi in giudizio e depositando memoria.

Alla pubblica udienza del 5 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Con l’unico motivo ( violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 3, 7, 10 L. n. 241/1990, art. 6 e ss. D.Lgs. n. 163/2006;
artt. 7 e 8 DPR n. 207/2010;
art. 6 e 9 del Regolamento n. 1/2008 dell’AVCP, del regolamento unico ANAC in materia di esercizio del potere sanzionatorio, emanato in data 8.04.2014- vizio di motivazione
), l’appellante, ricostruito l’ iter della vicenda (in termini di fatto sostanzialmente coincidenti con quelli presupposti dalla sentenza, salvo che per una divergenza sulla durata dei periodi di sospensione, indicata complessivamente in sessantasei giorni, in luogo dei cinquantanove considerati dalla sentenza, comunque insignificante al fine della soluzione della quaestio iuris ), critica la decisione concernente la ricomprensione nel termine massimo di durata dei tempi necessari per la comunicazione del provvedimento sanzionatorio, osservando che: non vi è alcuna ragione per discostarsi dal dato normativo di cui alla legge n. 241 del 1990, per il quale il termine finale del procedimento si determina sulla base dell’assunzione del provvedimento, e non anche della sua comunicazione/notificazione, dalla quale eventualmente vanno fatte decorrere le tutele di tipo amministrativo e/o giurisdizionale, che non sono in discussione nel caso in esame;
il Consorzio sanzionato sarebbe carente di interesse “ con riferimento al motivo de quo , giacché dalla tardiva comunicazione del provvedimento non può essere derivato alcun pregiudizio al ricorrente, odierno appellato ”, in quanto l’annotazione viene inserita nel casellario a seguito dell’avvenuta comunicazione;
soltanto da questa data decorrono gli effetti interdittivi e sorge l’obbligazione di adempiere alla sanzione pecuniaria;
l’interesse principale sarebbe quello di garantire che l’Amministrazione operi in maniera trasparente e secondo criteri di efficienza;
le conclusioni raggiunte dal Tar sarebbero in contrasto con “ la prevalente giurisprudenza del Supremo Consesso Amministrativo ”, espressosi in senso contrario in un caso analogo a quello in esame (riferito a provvedimenti sanzionatori di altra Autorità amministrativa indipendente), nel precedente di cui a Cons. Stato, VI, 6 agosto 2013, n. 4113.

3.1. La difesa erariale contesta la decisione anche quanto alla natura perentoria del termine ed agli effetti del suo superamento, in mancanza di espressa previsione in tale senso nel Regolamento delle sanzioni adottato dall’ANAC, che invece qualifica espressamente come perentori soltanto i termini di avvio del procedimento;
con la conseguenza che tutti gli altri termini, compreso quello di conclusione del procedimento, sarebbero meramente ordinatori/acceleratori ed il loro superamento non potrebbe comportare l’illegittimità del provvedimento, come da giurisprudenza amministrativa richiamata (Cons. Stato, 2 febbraio 2015, n. 468;
id., 27 febbraio 2012, n. 1084).

4. Il motivo è infondato.

E’ bene prendere le mosse dall’argomento erariale che si basa sulla giurisprudenza per la quale il carattere della perentorietà del termine può essere attribuito ad una scadenza temporale solo da una espressa norma di legge: e difatti, nello Stato di diritto, solo la legge può collegare in via generale al decorso del tempo il mutamento di una situazione giuridica, sia esso un potere dell’amministrazione (perenzione), sia esso un diritto o una facoltà del privato (decadenza). Pertanto, in assenza di specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio , comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine va inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio, sicché il suo superamento non determina, perciò, l’illegittimità dell’atto.

4.1. L’assunto va confermato, essendo incontestato che il potere amministrativo di provvedere non viene meno per il mero fatto della scadenza del termine fissato per il suo esercizio, solo restando salve le conseguenze di tipo disciplinare o risarcitorio per danno da ritardo (così, tra le tante, Cons. Stato, VI, 29 luglio 2009, n. 4708).

4.2. Sebbene lo stesso principio sia stato affermato anche in riferimento ai procedimenti sanzionatori (Cons. Stato, VI, 27 febbraio 2012, n. 1084, in materia di procedimento sanzionatorio dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, citato nell’atto di appello), e richiamato anche per il procedimento sanzionatorio di competenza dell’allora Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr. Cons. Stato, VI, 2 febbraio 2015, n. 468), va tenuta in considerazione la particolarità del procedimento sanzionatorio rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo, per la natura particolare del primo e il suo generale riferimento ai principi della legge 24 novembre 1981, n. 689, oltre che alle norme di settore, dunque non alla legge sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cass., S.U., 27 aprile 2006, n. 9591, secondo la quale “ La disposizione di cui all'art. 2, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, tanto nella sua originaria formulazione, applicabile "ratione temporis", secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla modificazione apportata dall'art. 36-bis del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui detto termine è di novanta giorni, nonostante la generalità del testo legislativo in cui è inserita, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell'interesse dell'incolpato, il rispetto di un termine così breve ”).

4.3. In considerazione della peculiarità del procedimento sanzionatorio, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha perciò ritenuto che sia “[…] proprio la natura del provvedimento sanzionatorio a suggerire la soluzione nel senso della necessaria perentorietà del termine per provvedere, attesa la stretta correlazione sussistente tra il rispetto di quel termine e l’effettività del diritto di difesa, avente come è noto protezione costituzionale (nel combinato disposto degli articoli 24 e 97 Cost.). Non par dubbio, infatti, che consentire l’adozione del provvedimento finale entro il lungo termine prescrizionale (cinque anni, in base all’art. 28 della legge 689/81), anziché nel rispetto del termine specificamente fissato per l’adozione dell’atto, equivarrebbe ad esporre l’incolpato ad un potere sanzionatorio di fronte al cui tardivo esercizio potrebbe essergli difficoltoso approntare in concreto adeguati strumenti di difesa ” (così testualmente, Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 542, seguita da Cons. Stato, VI, 6 agosto 2013, n. 4113, entrambe in tema di procedimento sanzionatorio di competenza della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 145 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e del relativo regolamento adottato il 25 giugno 2008;
ma cfr., proprio in riferimento all’art. 8 d.lgs. n. 163 del 2006 e al Regolamento sanzioni ANAC, Cons. Stato, VI, ord. 19 febbraio 2016, n. 544).

4.4. Si ritiene che vada confermato il principio espresso dai precedenti da ultimo citati: sia pure con la precisazione che, pur non essendo necessaria un’espressa previsione di perentorietà del termine per provvedere, resta nondimeno necessario che la normativa che regola lo specifico procedimento sanzionatorio contenga una norma primaria che, prevedendo termini per l’avvio e la conduzione del procedimento, e per la sua conclusione in deroga alle previsioni generali della legge n. 689 del 1981, consenta la qualificazione dei termini come termini perentori .

Si deve trattare di una norma primaria, essendo prevalente l’orientamento per cui un regolamento interno è inidoneo a modificare le disposizioni sul procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative dettate dalla legge n. 689 del 1981 (cfr., nel senso che, in mancanza di diverse disposizioni di rango primario, il regime decadenziale e prescrizionale applicabile può essere desunto solo dalla legge n. 689 del 1981: da ultimo, Cass., 18 aprile 2018, n. 9517, che cita precedenti conformi).

5. Nel caso di specie, come ben sottolinea la sentenza appellata, la norma primaria di riferimento è data dall’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis ), secondo cui: « Il regolamento dell'Autorità disciplina l'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'Autorità nel rispetto dei principi della tempestiva comunicazione dell'apertura dell'istruttoria, della contestazione degli addebiti, del termine a difesa, del contraddittorio, della motivazione, proporzionalità e adeguatezza della sanzione, della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento, del rispetto degli obblighi di riservatezza previsti dalle norme vigenti ».

Il regolamento applicabile è il “ Regolamento unico in materia di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all’art. 8, comma 4, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ”, adottato con delibera del 26 febbraio 2014, che, ai sensi dell’art. 49, con la sua entrata in vigore, a seguito della pubblicazione nella G.U. – Serie Generale, 8 aprile 2014, n. 82, ha abrogato tutti i regolamenti anteriori.

Il procedimento sanzionatorio in materia di comprova, da parte degli operatori economici, del possesso dei requisiti generali o speciali di qualificazione (art. 38, comma 1- ter ;
art. 48, commi 1 e 2, del Codice ) è regolato nel titolo I della parte III, artt. 28 e seg. del Regolamento.

L’art. 29 stabilisce che nella comunicazione di avvio, che segna l’inizio del procedimento sanzionatorio, sia indicato, tra l’altro, «il termine, non superiore a 180 giorni, per la conclusione del procedimento, decorrente dalla ricezione della comunicazione di avvio, fermi restando i casi di sospensione disciplinati nel presente regolamento »;
l’ultimo comma stabilisce, a sua volta, che « il termine per la conclusione del procedimento è sospeso in tutti i casi in cui il Regolamento prevede l'assegnazione di un termine alle parti o a terzi per le produzioni istruttorie sino alla scadenza del termine stesso e per il periodo necessario allo svolgimento dell’audizione ai sensi del successivo art. 30» ;
quest’ultimo è, appunto, relativo all’audizione delle parti in fase istruttoria.

L’art. 31 regola la « conclusione della fase istruttoria» e l’art. 32 la « fase decisoria» (nella quale possono aversi altre ipotesi di sospensione del « termine per la conclusione del procedimento», per ragioni di contraddittorio). I commi 4 e 5 dell’art. 32 disciplinano rispettivamente il contenuto e la notificazione del « provvedimento finale» .

L’art. 48 del Regolamento stabilisce, infine: « Per il computo dei termini previsti dal presente Regolamento si applica l’articolo 155 del codice di procedura civile. I termini di avvio del procedimento indicati nel presente Regolamento sono perentori» .

5.1. Malgrado l’art. 48 qualifichi espressamente come “perentorio” soltanto il termine di avvio del procedimento, non convince l’argomento della difesa erariale per cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit . Infatti, l’introduzione della norma regolamentare non necessita dell’argomento a contrario per essere giustificata. Piuttosto, il significato della sua previsione si spiega considerando che, poiché le norme sui singoli procedimenti sanzionatori disciplinati nel Regolamento fissano un termine massimo di durata del procedimento, che decorre dalla comunicazione di avvio, e nel quale perciò non avrebbe potuto essere computato il periodo precedente, per quest’ultimo s’imponeva la precisazione della natura perentoria , in mancanza della quale si sarebbe potuto argomentare nel senso della natura ordinatoria perché termine riferito ad una fase pre-procedimentale (o “ pre-istruttoria ”, come definita dall’art. 28 del Regolamento).

5.2. Piuttosto, merita di essere valorizzata la portata dell’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 che, nel rinviare al Regolamento per la disciplina di dettaglio, impone che questa -per quanto qui rileva- sia predisposta nel rispetto dei principi, non solo della tempestiva comunicazione dell'apertura dell'istruttoria e della contestazione degli addebiti (rispetto ai quali anche la legge n. 689 del 1981 impone termini a pena di decadenza), ma anche del termine a difesa e del contraddittorio, nonché della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento.

5.3. L’Autorità qui appellante, quando nel febbraio 2014 ha adottato il nuovo Regolamento che ha disciplinato il procedimento di cui all’art. 38, comma 1- ter e 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha richiamato nelle premesse l’art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006, con la conseguenza che anche la fissazione del termine di durata del procedimento è in attuazione di tale disposizione normativa e la relativa durata, fissata in centottanta giorni, vincola la stessa Autorità che l’ha prevista.

Sebbene quindi non vi sia un’espressa previsione di perentorietà , l’impianto normativo di riferimento porta a ritenere che il provvedimento sanzionatorio impugnato sia stato adottato in violazione di quanto prescritto dalla normativa primaria (cfr. art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006), che afferma espressamente l’obbligo di osservare il principio di tempestività sia nella fase di avvio, che in quella di conclusione del procedimento sanzionatorio.

5.5. La ratio della fissazione dei termini relativi non va rinvenuta, come assume la difesa erariale, (soltanto) nell’esigenza di garanzia dell’efficienza dell’azione amministrativa, bensì in quella di evitare che i tempi dilatati del procedimento sanzionatorio siano penalizzanti per gli interessi degli operatori economici coinvolti, non solo nella fase iniziale (quando la vicinanza della contestazione al momento di commissione del fatto addebitato è indispensabile per consentire di apprestare al meglio la difesa), ma anche in riferimento alla durata complessiva del procedimento, nonché dello stato di incertezza in ordine all’esito del medesimo (tanto è vero che -come detto- la norma di legge impone la “comunicazione tempestiva” del provvedimento, in tanto utile a tutelare tale ultimo interesse in quanto sia preceduta da adozione “tempestiva” del relativo provvedimento, fatti salvi i tempi strettamente necessari alla difesa ed al contraddittorio).

Peraltro il principio di certezza della sanzione e di affidamento è particolarmente pregnante in un ambito come quello in cui opera l’impresa sanzionata, ed in riferimento alle conseguenze cui è esposta a seguito del procedimento espletato dall’Autorità di vigilanza. Questo, infatti, non comporta soltanto l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, ma, a determinate condizioni, anche l’adozione di misure interdittive (a carattere preventivo, settoriale e generale de futuro : cfr. Cons. Stato,V 23 luglio 2018, n. 4427) che impediscono di competere efficacemente nel settore economico di appartenenza.

Si tratta di considerazione che induce ad inquadrare il procedimento sanzionatorio affidato all’ANAC, quanto meno in riferimento alla specifica ipotesi dell’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella categoria dei procedimenti autoritativi (piuttosto che di quelli meramente esecutivi, quale è il procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie nel quale il tratto autoritativo concerne esclusivamente la formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale -secondo il regime della c.d. "autotutela esecutiva"- con il conseguente effetto di assoggettamento dell'ingiunto ad esecuzione forzata: cfr. Cass., sez. lav., 8 maggio 2006, n. 10452 ed altre successive).

Va perciò affermata la natura perentoria del termine massimo di durata del procedimento, come risultante dalla combinazione dell’art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 e Regolamento delle sanzioni pubblicato l’8 aprile 2014.

6. Da quanto fin qui detto va tratto il corollario che in detto termine debba essere computato anche il periodo necessario alla comunicazione del provvedimento all’interessato, sebbene si sia diversamente deciso in riferimento al procedimento sanzionatorio di competenza di altra Autorità (nel precedente di questo Consiglio di Stato, VI, n. 4113/2013 cit., che, pur definendo perentorio il termine di conclusione del procedimento fissato nel regolamento del 2008 della Banca d’Italia, ha ritenuto che << corrisponderebbe ad eccessiva dilatazione delle garanzie accordate ai destinatari di tale provvedimento (a scapito dell’interesse pubblico, cui lo stesso corrisponde) la ricomprensione nel termine anzidetto dei tempi –non integralmente controllabili dall’Amministrazione- per la comunicazione dell’atto conclusivo del procedimento >>).

6.1. Al riguardo, non appaiono appropriati gli argomenti che la difesa erariale fonda sulla legge n. 241 del 1990 e sull’interpretazione per la quale il termine finale del procedimento si determina in base al momento di adozione, e non di comunicazione o notificazione, del provvedimento, costituente soltanto requisito di efficacia (dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati), ai sensi dell’art. 21- bis , inserito dall’art. 14 della legge n. 15 del 2005.

Si è già detto che la legge n. 241 del 1990 non è applicabile al procedimento sanzionatorio, regolato dalla disciplina generale della legge n. 689 del 1981, nonché, nel caso di specie, dalla disciplina di settore risultante dall’art. 8 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dal Regolamento adottato dall’Autorità.

6.2. Quest’ultimo, peraltro, regola dettagliatamente numerose ipotesi di sospensione e di interruzione dei termini procedimentali.

Pertanto, per un verso, non appare pienamente coerente con tali istituti prefigurare il termine finale come termine soltanto ordinatorio, mentre invece il suo rispetto si pone in stretta connessione con una adeguata ed effettiva tutela del diritto di difesa del destinatario del provvedimento, che non sarebbe pienamente assicurata se si consentisse all’Amministrazione di ritardare indebitamente la comunicazione all’interessato dell’esito del procedimento.

Per altro verso, l’assunto che i tempi di comunicazione del provvedimento potrebbero non essere controllabili da parte dell’Amministrazione avrebbe giustificato, tutt’al più, in un contesto regolamentare dettagliato come sopra, la previsione di un’ulteriore ipotesi di sospensione, invece insussistente;
ove, poi, il ritardo fosse dovuto ad una condotta ostruzionistica o dilatoria dello stesso destinatario, o ad una situazione di irreperibilità (evenienza, esclusa nel caso di specie), soccorrono le norme sulle notificazioni predisposte allo scopo.

7. In conclusione, l’appello va respinto.

I contrasti giurisprudenziali evidenziati sulla questione di diritto posta dal gravame consentono di compensare le spese processuali.

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