Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-05-21, n. 201903280
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Pubblicato il 21/05/2019
N. 03280/2019REG.PROV.COLL.
N. 06659/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6659 del 2015, proposto da
S P, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ottaviano, 32;
contro
Comune di Bianco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati L S, R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio L S in Roma, via degli Scipioni 288;
nei confronti
F S, G B non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 00358/2015, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bianco;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati F C e L S;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 358 del 2015 con cui il Tar Reggio Calabria respingeva l’originario gravame, proposto dalla stessa parte al fine di ottenere l’annullamento dell'ordinanza n.44 del 9.8.2013 con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Bianco ha ordinato la demolizione delle opere edili, riguardanti un manufatto a due piani fuori terra (in catasto al fl. di mappa 16, p.lla n.73 sub 1), eseguite in difformità alla concessione edilizia di ristrutturazione n.20 rilasciata il 15 maggio 1991.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello, contestando le argomentazioni svolte dal Tar:
- violazione della legge urbanistica n. 1150 del 1942 e dell’art. 11 preleggi, violazione del principio di irretroattività degli atti normativi in materia urbanistica, in quanto non potrebbe reputarsi violato il titolo del 1991 a fronte della legittima realizzazione dell’edificio sin dal 1940;
- violazione del principio di affidamento, eccesso di potere per difetto di motivazione sull’interesse pubblico che giustifica la demolizione;
- violazione dell’art. 34 comma 2 t.u. edilizia.
Il Comune parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 16\5\2019 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è destituito di fondamento nel merito, con conseguente irrilevanze delle eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa appellata, peraltro infondate, avendo parte appellante dedotto specifici motivi avverso l’esito negativo del giudizio di prime cure.
2. Dalla compiuta analisi degli atti di causa emerge la piena condivisibilità della ricostruzione posta a fondamento della sentenza impugnata, sia in termini di fatto che di diritto.
Se in linea di fatto appare pacifica (sulla scorta della documentazione versata in atti) la consistenza dell’opera in contestazione e la difformità rispetto al titolo pregresso, in linea di diritto i vizi di appello dedotti si scontrano con la giurisprudenza già espressa anche dalla sezione.
In relazione all’oggetto della contestazione, gli uffici comunali hanno accertato gravi difformità rispetto al progetto di opera originariamente autorizzato, con il titolo concessorio n. 20 del 1991 nei termini seguenti: la larghezza del balcone, pari a mt. 1,50 rispetto a quello indicato in progetto, pari a mt. 0,70;l’immobile è posizionato ad una distanza di metri 3,30 (anziche’ metri 4,00) dal confine del vicino;la distanza tra le pareti finestrate (nel locale disimpegno) è inferiore a quella consentita dal DM 1444/1968 (mt 1,90 anziché mt. 10,00);il terrazzo ed il locale disimpegno sono stati eseguiti in difformità delle disposizioni di cui all’art. 907 del codice civile.
3. In ordine al primo ordine di motivi, con cui si invoca la risalenza del manufatto e la conseguente rilevanza dell’originario sedime anche rispetto alle norme sulle distanze, la tesi appellante non è suscettibile accoglimento, né in linea generale, né in relazione al caso di specie.
Sul primo versante va ribadito il principio per cui le previsioni di cui all' art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 — riguardanti la distanza minima da osservarsi tra edifici — essendo funzionali a garantire non tanto la riservatezza, quanto piuttosto l'igiene e la salubrità dei luoghi e la formazione di intercapedini dannose, devono considerarsi assolutamente inderogabili da parte dei Comuni, che si devono attenere ad esse in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici;inoltre, traendo le norme del succitato d.m. n. 1444 del 1968 la propria efficacia dall' art. 41 quinquies comma 8, l.17 agosto 1942, n. 1150 — in tale parte non abrogato dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 — le relative previsioni devono considerarsi avere una efficacia immediatamente precettiva e tale da potersi sostituire alle eventuali norme di piano regolatore ad esse non conformi;pertanto, ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata (cfr. ad es.. Consiglio di Stato, sez. IV , 30/10/2017 , n. 4992).
Conseguentemente, a fronte di una difformità, dal titolo rilasciato, in violazione delle distanze, il conseguente abuso va sanzionato, senza che possa in contrario valere un eventuale accordo fra privati. Né un tiolo edilizio sopravvenuto, rispetto all’originaria prima costruzione, può tacitamente legittimare una violazione delle distanze stesse.
Sul secondo versante, nel caso di specie assume rilievo dirimente sul punto la accertata difformità dal tiolo assentito. Infatti, la necessità del rispetto della distanza di 4,30 mt dalla proprietà del controinteressato B era direttamente stabilita nel progetto di ristrutturazione approvato, con la conseguenza, preliminare ed assorbente nel caso in esame, del fatto che l’opera accertata costituisce abuso in quanto in diretto contrasto con il progetto approvato.
4. Prima facie infondato è il secondo ordine di motivi.
In proposito, infatti, costituisce jus receptum il principio a mente del quale la sanzione ripristinatoria costituisce atto vincolato, per la cui adozione non è necessaria la valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né la comparazione di questi con gli interessi privati coinvolti, né tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo in alcun modo ammissibile l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 17 luglio 2018, n. 4368).
5. Parimenti infondato è il terzo ordine di rilievi.
In linea generale deve ritenersi che anche gli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire soggiacciano alla sanzione demolitoria, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, si debba applicare la sanzione pecuniaria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 4/06/2018, n. 3371).
Nel caso di specie, gli elementi invocati al riguardo da parte appellante appaiono del tutto generici, in specie rispetto alla pluralità e gravità delle difformità contestate, in gran parte rilevanti anche rispetto ad interessi fondamentali quali quelli tutelati dalle norme sulle distanze.
Più in generale, resta salvo il principio a mente del quale, con riguardo agli interventi e alle opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dall' art. 34 invocato, deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione. In quella sede, le parti ben possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 9/7/2018, n. 4169).
6. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.