Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-28, n. 201801223

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-28, n. 201801223
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801223
Data del deposito : 28 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2018

N. 01223/2018REG.PROV.COLL.

N. 08318/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8318 del 2017, proposto da:
Ireca s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato S D P, con domicilio eletto presso lo studio Business Centres Italia Di Pardo Presso Regus in Roma, Piazza del Popolo, n.18;

contro

Comune di San Massimo (Cb), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato V C, con domicilio eletto presso lo studio Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, n. 7;

per la riforma della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Molise- Campobasso, Sezione I, n. 00410/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Massimo (Cb);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 il Cons. A R e uditi per le parti gli avvocati Giuliano Di Pardo, in dichiarata delega dell'avvocato S D P, e Massimo Di Nezza, in dichiarata delega dell'avvocato V C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.La società Ireca s.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza segnata in epigrafe, con cui il giudice amministrativo ha declinato la propria giurisdizione.

2. L’appellante ha premesso, in fatto, di gestire, sin dal dicembre 2008, la struttura turistico - recettiva denominata “La Pinetina”, con annesso bar-ristorante, sita in agro del Comune di San Massimo e precisamente nella località sciistica di Campitello Matese.

Ha, altresì, evidenziato che il servizio di somministrazione e distribuzione dell’acqua potabile nell’agro di San Massimo è gestito, in via diretta ed esclusiva, dall’amministrazione comunale.

Con delibera n. 23 del 31 luglio 2017 il Consiglio Comunale del Comune di San Massimo ha apportato alcune modifiche al “Regolamento comunale per la distribuzione di acqua potabile”, approvato con delibera di C.C. n. 21 del 4 settembre 2014, “al fine di garantire all’Ente il recupero dei crediti derivanti dal consumo idrico, in particolari situazioni che potrebbero compromettere la riscossione dello stesso”. La suddetta delibera, modificando le norme del Regolamento (in particolare gli articoli 5 e 8), ha posto a carico dell’utenza talune condizioni per la fruizione del servizio di fornitura dell’acqua potabile e per la sottoscrizione del relativo contratto, quali in particolare: l’obbligo dell’utente di sottoscrivere l’impegno alla corresponsione del corrispettivo annuo per la fornitura idrica;
l’obbligo per le persone giuridiche di versare, prima della stipula del contratto di fornitura idrica, una cauzione o prestare una fideiussione bancaria a garanzia del versamento annuale dei canoni idrici;
l’obbligo per le società già intestatarie del contratto di utenza idrica di sottoscriverne uno nuovo, con accettazione delle su indicate condizioni, entro il termine assegnato dal responsabile del Servizio Tributi, pena la decadenza automatica del contratto in essere alla scadenza del termine stesso;
l’obbligo, in caso di subentro, di accollo e preliminare pagamento del debito residuo del precedente intestatario insolvente.

In data 27 settembre 2017 il Comune di San Massimo, vista la mancata accettazione di tali condizioni, ha sospeso l’erogazione dell’acqua potabile nei confronti di essa ricorrente, che conseguentemente ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Molise l’annullamento degli atti meglio indicati nel ricorso introduttivo del giudizio, ivi compresi in particolare la delibera di C.C. 23/2017 recante le modifiche, asseritamente illegittime, al Regolamento Comunale, nonché il relativo Regolamento approvato con C.C. 21 del 2014 in parte qua ;
la delibera di G.C. n. 81 del 30.8.2017 di approvazione dello schema del contratto di fornitura idrica, nonché la nota per la comunicazione del servizio di fornitura idrica e tutti gli atti presupposti e conseguenziali, con istanza di sospensione.

Nel ricorso è stato evidenziato che la mancata accettazione delle prestazioni patrimoniali imposte (peraltro con un atto avente natura regolamentare e, dunque, in violazione del principio di legalità e riserva di legge ex art. 23 Cost.) aveva determinato la sospensione del servizio, con gravi disagi per gli ospiti delle strutture, pregiudizi economici e danni all’immagine.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione Comunale per resistere al ricorso.

3. Con la ricordata sentenza in epigrafe segnata il T.A.R. ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario.

4. Avverso tale sentenza Ireca s.r.l. propone appello, assumendo che la pronunzia sia inficiata da plurimi errori e, pertanto, meritevole di riforma e/o annullamento per: error in procedendo ed error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli articoli 9, 74 e 133 Cod. proc. amm.;
violazione e falsa applicazione degli articoli 24, 103 e 111 Cost.;
erroneità dei presupposti;
contraddittorietà e violazione dell’art. 5 della L.20 marzo 1865, n. 2248, all. E;
difetto di motivazione.

L’appellante, sul presupposto dell’appartenenza della controversia de qua al giudice amministrativo, ha anche riproposto i seguenti motivi di doglianza sollevati in primo grado: violazione e falsa applicazione dei principi di legalità, imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa;
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione;
violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2 e seguenti della legge 241 del 1990;
eccesso di potere sotto diversi profili;
illogicità, irragionevolezza, omessa comparazione degli interessi, ingiustizia manifesta, sviamento di potere.

Si è costituito in giudizio il Comune di San Massimo e ha depositato memorie, domandando la reiezione dell’appello perché infondato e rilevando, in particolare, la correttezza della sentenza impugnata quanto alla declinatoria di giurisdizione ed eccependo l’infondatezza delle censure dell’appellante in relazione all’addotta violazione o falsa applicazione di norme di legge e di principi generali dell’azione amministrativa, nonché con riguardo ai vizi di eccesso di potere, illogicità e irragionevolezza, asseritamente inficianti i provvedimenti impugnati.

Con ordinanza n. 5321 del 6.12.2017 la Sezione, ritenuta ad una sommaria delibazione la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla controversia oggetto di giudizio, ha accolto la domanda cautelare ed ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata con particolare riguardo alla sussistenza del periculum in mora .

5. All’udienza del 25 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Ai fini della corretta individuazione della questione sottoposta alla Sezione si osserva quanto segue.

6.1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Molise ha declinato la propria giurisdizione sulla cognizione degli atti impugnati con il ricorso di primo grado e ha indicato nel giudice ordinario “l’autorità giurisdizionale competente a decidere sulla domanda relativa alla contestata risoluzione contrattuale” : ciò in quanto, a suo avviso, benché il servizio idrico comunale vada ricompreso nell’ambito dei pubblici servizi, ricadente nella giurisdizione del giudice amministrativo, nel caso di specie la controversia concernerebbe il rapporto individuale di utenza, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, il quale avrebbe comunque potuto disapplicare il regolamento di cui parte ricorrente deduceva l’illegittimità.

Secondo tale prospettazione difetterebbe nella fattispecie in esame “l’inerenza della controversia ad una situazione di potere autoritativo pubblico” dell’Amministrazione. Il T.A.R. ha sul punto rammentato come, in base a pacifici principi giurisprudenziali, il criterio di riparto della giurisdizione in materia di servizi pubblici locali vada individuato nelle pretese, contrattuali o meno, fatte valere;
sicché se la controversia oggetto di giudizio verte, come nel caso di specie, esclusivamente sul terreno contrattuale o del rapporto individuale di utenza, nel cui ambito l’Amministrazione non è coinvolta come autorità, deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario;
la giurisdizione del giudice amministrativo non sarebbe, infatti, configurabile per il solo fatto che la controversia investa un atto amministrativo generale o un regolamento per il quale sono determinate le condizioni generali o le tariffe per i vari tipi di utenze, venendo in rilievo, in tal caso, il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, ai sensi dell’articolo 5 delle legge 20 marzo 1865, 2248, all. E.

Secondo la ricostruzione del primo giudice oggetto della controversia sarebbe, dunque, il rapporto individuale di utenza, mentre le disposizioni regolamentari impugnate, unilateralmente imposte dal Comune e statuenti obblighi a carico delle persone giuridiche utenti del servizio idrico, opererebbero come condizioni generali di contratto, con natura di clausole negoziali finalizzate ad ottenere una regolamentazione uniforme del rapporto contrattuale e sottoposte alla disciplina di cui all’articolo 1341 c.c.

6.2. L’appellante deduce l’erroneità delle conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, osservando per contro che la controversia non atterrebbe affatto a profili contrattuali inerenti al rapporto individuale di utenza e all’esercizio di poteri negoziali della pubblica amministrazione, né concernerebbe il pagamento di indennità, canoni e altri corrispettivi, in quanto il suo oggetto sarebbe costituito dalle disposizioni del Regolamento Comunale per la fornitura di acqua potabile, quale atto normativo generale e/o regolamentare, connotato da generalità e astrattezza, e dalle modifiche ad esso apportate con le delibere di C.C. n. 23 del 2017 e di G.C. n. 81 del 2017.

Con tali atti il Comune, agendo nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali, avrebbe stabilito le condizioni per l’accesso al servizio pubblico e i criteri per la determinazione del corrispettivo in base alle tariffe;
avrebbe altresì imposto unilateralmente alle persone giuridiche prestazioni patrimoniali ulteriori rispetto al corrispettivo normalmente versato al fine di ottenere l’erogazione del servizio pubblico essenziale di somministrazione dell’acqua potabile.

Tali modifiche regolamentari sarebbero illegittime e viziate da eccesso o sviamento di potere perché non volte a rendere più efficiente il servizio idrico, ma a ripianare la situazione debitoria del Comune determinata dall’omessa regolare lettura dei consumi idrici;
sicché il Comune, che non avrebbe correttamente e regolarmente i canoni dovuti dagli effettivi obbligati, anziché agire contro i medesimi, si sarebbe avvalso del suo potere regolamentare e autoritativo per porre detti oneri a carico di altri utenti, prescrivendone l’adempimento quale condizione essenziale per l’accesso al servizio idrico e ponendo i privati nell’alternativa secca di accettare le prestazioni autoritativamente imposte o subire la sospensione di un servizio pubblico essenziale.

7. L’appello è fondato.

7.1. Occorre rilevare come nel caso in esame il giudizio ha come oggetto principale l’accertamento dell’illegittimità ed il conseguente annullamento delle delibere con cui il Comune di San Massimo, nell’esercizio della sua discrezionalità amministrativa, ha modificato il Regolamento Comunale per la somministrazione dell’acqua potabile, al di fuori di qualunque rapporto paritetico, peraltro, come ammesso dalla stessa difesa comunale, non sussistente nel caso di specie in assenza della sottoscrizione del contratto tra le parti.

E’ decisivo al riguardo sottolineare che il ricorso di primo grado contestava la legittimità delle modifiche apportate al regolamento comunale e dello schema del contratto-tipo approvato con la delibera di giunta comunale, nella parte in cui gli atti impugnati - e dei quali si chiedeva l’annullamento - hanno imposto prestazioni ulteriori, oltre al pagamento del canone quale corrispettivo del servizio, esorbitando dal mero rapporto sinallagmatico di somministrazione (quali, in particolare, l’accollo dei debiti del precedente intestatario irreperibile - peraltro soltanto per le utenze riconducibili alle persone giuridiche, con una prescrizione del tutto irragionevole-, la prestazione di fideiussione bancaria o il versamento di cauzione a garanzia, il pagamento anticipato del canone annuo sulla base dei consumi presunti) e hanno prescritto l’adempimento di tali prestazioni quale condizione essenziale e imprescindibile per sottoscrivere il contratto e poter accedere al servizio idrico, gestito dal Comune in modo diretto ed esclusivo.

7.2. La controversia non concerne quindi il pagamento di indennità, canoni o altri corrispettivi, ma investe il corretto esercizio del potere discrezionale del Comune di organizzazione del servizio pubblico di somministrazione dell’acqua potabile, determinando in particolare le condizione per la sua fruizione.

Del resto, anche ove la controversia avesse avuto ad oggetto il servizio pubblico di somministrazione dell’acqua potabile, troverebbero applicazione le regole generali in tema di riparto di giurisdizione, come più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio Stato, secondo cui ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario solo quelle controversie in ordine alla spettanza e alla misura del canone ed aventi un contenuto meramente patrimoniale, derivante dall’attuazione del rapporto instauratosi tra il privato e la Pubblica Amministrazione e nelle quali quest’ultima non esercita alcun potere autoritativo a tutela di interessi generali;
qualora, invece, la controversia coinvolga l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi, che incidono sulla determinazione del canone o sull’istituzione o modifica delle tariffe e, in generale, sull’economia dell’intero rapporto sottostante, e non riguardano il mero accertamento tecnico di presupposti fattuali, i relativi provvedimenti hanno natura regolamentare e, nel caso di loro impugnazione, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo (in termini, v. Consiglio di Stato, IV, 6 maggio 2013, n. 2434).

7.3. Nel caso di specie, nel quale – si ribadisce - oggetto della domanda formulata dall’odierna appellante è l’annullamento della delibera modificativa del Regolamento comunale, nonché di quest’ultimo in parte qua , atti aventi contenuto normativo e recanti previsioni generali e astratte, e non già di atti applicativi del Regolamento, privi di valore provvedimentale, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, venendo in rilievo situazioni giuridiche soggettive (quelle degli utenti del servizio idrico pubblico) aventi la consistenza di interessi legittimi al corretto uso dei poteri autoritativi da parte dell’amministrazione che agisce quale autorità.

Né può assumere rilievo, per pervenire a differente conclusione in punto di giurisdizione, la circostanza che il regolamento o le modifiche dello stesso (inerenti canoni, corrispettivi, indennità o tariffe) incidano, a valle, su eventuali rapporti di utenza di tipo paritetico, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sugli atti applicativi del Regolamento impugnato: ciò anche tenuto conto dell’ulteriore argomento, bene dedotto dall’appellante, in base al quale un simile assunto porterebbe all’inaccettabile risultato di escludere l’azione di annullamento di un regolamento o della sua delibera modificativa, con una soluzione che, oltre ad essere irragionevole, presenterebbe profili di contrasto con i principi costituzionali in materia di effettività della tutela giurisdizionale avverso gli atti della Pubblica Amministrazione, che non può essere esclusa né limitata “per determinate categorie di atti” , come statuito dall’art. 113, comma 2, Cost.

Tale opzione ermeneutica è stata, invero, condivisa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 18623 del 10.9.2004, puntualmente richiamata da parte appellante a sostegno della sua tesi), secondo cui “per costante giurisprudenza, la giurisdizione si determina sulla base dell'oggetto della domanda (art. 386 c.p.c.) e, in particolare, in base al cosiddetto petitum sostanziale il quale s'identifica non soltanto avuto riguardo alla concreta statuizione chiesta al giudice ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dei fatti allegati a fondamento della pretesa fatta valere con l'atto introduttivo del giudizio (ex multis e tra le più recenti: Cass.,Sezioni Unite, 27 giugno 2003, n. 10243;
15 maggio 2003, n. 7507;
7 marzo 2003, n.3508).… La controversia introdotta da un utente del servizio pubblico di acquedotto, il quale non deduca in giudizio il suo rapporto di utenza con il Comune ma contesti l'organizzazione del servizio sotto vari profili, sostenga che il servizio "non si presenta pienamente fruibile per il consumatore" e censuri l'aumento tariffario stabilito nella delibera comunale, definendolo "ingiustificato ed illegittimo", e chieda che l'aumento tariffario sia dichiarato inefficace, con riduzione del canone dell'acqua, va riservata al giudice amministrativo. Infatti, una tale domanda non censura "incidenter tantum" il provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ai fini della tutela del diritto soggettivo al pagamento di un canone contrattualmente stabilito ma investe invia principale le scelte discrezionali dell'ente, in ordine alla determinazione del canone, e contesta l'organizzazione del servizio, facendo valere una situazione giuridica qualificabile come interesse legittimo correlato ad un atto adottato dall'ente territoriale come autorità nell'esercizio di una potestà amministrativa, al di fuori di un rapporto negoziale di tipo paritetico”.

8. Per tali ragioni, l’appello va accolto e va dichiarata la giurisdizione nella fattispecie in esame del giudice amministrativo, con conseguenziale annullamento della sentenza impugnata e rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art.105 Cod. proc. amm., cui solo spetta l’esame delle censure sollevate con il ricorso introduttivo del giudizio e riproposte con l’atto di appello.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese della presente fase di giudizio.

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