Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-14, n. 201800964

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-14, n. 201800964
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800964
Data del deposito : 14 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/02/2018

N. 00964/2018REG.PROV.COLL.

N. 04537/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4537 del 2017, proposto da:
Azienda Sanitaria Locale di Bari / Asl-Ba, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati A M, A F, con domicilio eletto presso lo studio S.r.l. Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini 30;

contro

L N, rappresentato e difeso dall'avvocato D P, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Panariti in Roma, via Celimontata 38;

per l'ottemperanza

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 00487/2017, resa tra le parti, concernente reclamo avverso la delibera del Commissario ad acta n. 1 del 4.1.2017, avente ad oggetto “Sentenza TAR Puglia 2^ Sezione 916/16 – ricorso r.r. 158/16 Napoletano Leonardoc/ ASL BA – Esecuzione definitiva” di ogni altro atto connesso antecedente o conseguente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di L N;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati A M e D P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame l’appellante Azienda sanitaria locale chiede l’annullamento della sentenza con cui il Tar ha respinto il suo reclamo diretto avverso la delibera del commissario ad acta -- nominato al medesimo Tar con sentenza n. 916/2016 -- concernente l’esecuzione della sentenza del Tribunale di Trani, sezione lavoro con la quale:

-- era stato riconosciuto il risarcimento dei danni subiti per aver contratto in servizio un’infezione epatica durante l’espletamento della sua attività lavorativa di infermiere;

-- era stata pronunciata la condanna dell’azienda sanitaria “ al pagamento della somma di € 280.000 oltre agli interessi dell’1,5% dall’11 gennaio 2007 detraendo dalla somma ottenuta sia quanto dal ricorrente riscosso fino ad oggi ai sensi della legge 210/1992 e sia quanto avrebbe riscosso dall’Inail secondo le tabelle di legge (sulla base di un danno biologico del 45% in tenuto conto degli accessori di legge nella misura indicata in parte emotiva) con condanna alle spese ”.

L’Azienda sanitaria ricorrente, con un’unica rubrica di gravame, deduce l’illegittimità del provvedimento del commissario ad acta assumendo che l’interessato non avrebbe potuto produrre domanda di danno biologico per un evento lesivo risalente al 1979 dato che il D.lgs. n. 38/2000 decorreva solo dal 2000.

Si è costituito in giudizio il controinteressato che, con memoria, in data 22 novembre 2017, ha contestato le tesi dell’appellante concludendo per il rigetto.

Con memoria di replica per la discussione, l’Asl ha insistito nelle proprie tesi e conclusioni.

Alla camera di consiglio, uditi i difensori delle parti, l’appello è stato ritenuto in decisione dal Collegio.

L’appello va respinto.

L’appello è affidato alla denuncia di un’unica rubrica di gravame con cui si lamenta che il giudice dell’esecuzione avrebbe ben compreso che il lavoratore non poteva aver ricevuto alcuna indennità per danno biologico ai sensi della legge n. 38/2000 come dimostrerebbe il condizionale utilizzato. Pertanto una volta che il Tribunale ordinario aveva ordinato la decurtazione dal risarcimento dovuto dalla Asl del danno patrimoniale liquidato dall’INAIL, il commissario ad acta non avrebbe potuto sottrarsi a tale statuizione.

L’articolo 15, comma 3 bis, del d.l. 22 ottobre 2016 n. 193 (convertito in L. n. 225/2016) al fine di assicurare la piena tutela e di giudicare il contenzioso ha stabilito che l’assicurazione contro gli infortuni del lavoro ha natura risarcitoria del danno subito dall’assicurato a causa dell’evento invalidante. La prescrizione era quindi diretta ad evitare duplicazioni delle poste risarcitorie per evitare che il risarcimento si trasformi in un indebito guadagno per il danneggiato.

Ciò posto sarebbe erroneo l’assunto del Tar per cui “ sostenere l’assimilabilità della rendita riconosciuta al ricorrente a quella “non patrimoniale” successivamente introdotta ex lege, invocando a sostegno dell’assunto norme sopravvenute e con finalità diverse (art. 15, comma 3 bis, allegato alla legge 1.12.2016 di conversione del decreto fiscale n. 193/16) nonché recente giurisprudenza non dirimente ”.

Per questo la sentenza da eseguire sarebbe stata molto chiara:

Il comportamento del ricorrente sarebbe stato singolare avendo questi notificato la sentenza omettendone alcune parti.

Il complessivo motivo va respinto.

Si deve ricordare che, quanto al rapporto tra rendita vitalizia erogata dall'Inail e risarcimento dei danni non patrimoniali (ivi compresi quello alla salute o biologico e quello morale) conseguenti ad infortunio sul lavoro, che la Corte costituzionale n. 87, 356 e 485 del 1991 -- in relazione all'estraneità di tali profili di danno alla copertura dell'assicurazione obbligatoria di cui al d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 -- ha affermato che le limitazioni all'azione risarcitoria del lavoratore infortunato, poste dall'art. 10, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 nei confronti del datore di lavoro, sia in punto di an (responsabilità penale), sia in punto di quantum (danno differenziale), riguardano solo il danno patrimoniale collegato alla generica capacità lavorativa.

Esse non si applicano ai danni di natura non patrimoniale, quali il danno alla salute, il danno biologico ed i danni morali ex art. 2059 c.c., in quanto questi esulano dalla copertura assicurativa obbligatoria. Tuttavia, proprio perché la disciplina introdotta dall'art. 13, d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 ha successivamente esteso tale danno alla generale copertura assicurativa, in presenza dei presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni verificatisi in precedenza, il lavoratore ha diritto al completo risarcimento dei danni di natura non patrimoniale.

Dunque, nelle ipotesi precedenti al 2000, il risarcimento integrale di queste voci di danno costituisce un diritto del lavoratore infortunato da far valere autonomamente nei casi di infortunio o malattia professionale addebitabili ad una colpa, non di rilievo penale, del datore di lavoro o di un qualsiasi suo sottoposto di cui egli debba rispondere civilmente, con la sola esclusione - secondo le regole generali - dei casi in cui l'evento lesivo sia riconducibile a caso fortuito, a forza maggiore, o a colpa esclusiva dello stesso lavoratore (Cfr. Consiglio di Stato sez. VI 19 gennaio 2011 n. 365).

Con riferimento al secondo profilo è chiaro invece che, si vera sunt alligata , il riferimento del Giudice dell’esecuzione per cui si doveva detrarre dalla somma ottenuta sia quanto riscosso dal ricorrente ai sensi della legge 210/1992 e sia quanto avrebbe riscosso dall’Inail, non costituiva un accertamento ma -- come emerge proprio dal condizionale “ avrebbe” -- faceva riferimento, in via del tutto eventuale, ad una mera possibile circostanza, da verificare in concreto al prosieguo.

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.

In relazione alle predette considerazioni appare del tutto inconferente sostanzialmente infine il terzo profilo.

Le spese tuttavia, in ragione della peculiarità della fattispecie, possono essere integralmente compensate tra le parti.

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