Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-11-03, n. 201505010

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-11-03, n. 201505010
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201505010
Data del deposito : 3 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09509/2014 REG.RIC.

N. 05010/2015REG.PROV.COLL.

N. 09509/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9509 del 2014, proposto da:
Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

contro

P C, L L, rappresentati e difesi dagli avv. M D L, A M, con domicilio eletto presso A M in Roma, Via Sabotino 46;
Emilio D'Arco, E P, Mattia Vitolo;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA- SEZIONE III n. 06242/2014, resa tra le parti, concernente ricostruzione giuridica ed economica di carriera del personale militare;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di P C e di L L;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2015 il Consigliere F T e uditi per le parti gli Avvocati Stigliano Messuti, per l'Avvocatura Generale dello Stato, e Romano, per delega di Di Lotti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio– Sede di Roma – ha scrutinato il ricorso corredato da motivi aggiunti, con il quale l’odierna parte appellata aveva gravato gli atti posti in essere dall’amministrazione odierna appellante e consistenti nell’annullamento in autotutela degli inquadramenti del personale operati con la precedente Ordinanza Commissariale n. 470\2003, e nell’avvio delle procedure di recupero delle somme indebitamente corrisposte erogate negli anni in forza dell’inquadramento operato con l’Ordinanza Commissariale n. 470\2003.

Il Tar ha in primo luogo scrutinato i motivi di censura contenuti nell’atto introduttivo del giudizio avversanti la statuizione di annullamento in autotutela dell’inquadramento, e li ha respinti in quanto infondati. Ripercorso –anche sotto il profilo cronologico - il succedersi di provvedimenti ed iniziative che avevano condotta alla statuizione in autotutela, ha sostenuto che detta iniziativa –ed il conseguente reinquadramento - si presentasse come un atto dovuto

Ha poi preso in esame il mezzo per motivi aggiunti, volto a contestare l’iniziativa tesa alla ripetizione delle somme indebitamente erogate negli anni in virtù dell’atto di inquadramento annullato.

Di tale mezzo, ha affermato la fondatezza, con specifico riferimento alla articolata eccezione di prescrizione delle somme (seppur indebitamente) erogate.

Ha in proposito sostenuto la doverosità della iniziativa tesa a ripetere l’indebito oggettivo costituito dalle differenze retributive non spettanti ai dipendenti interessati da tali avanzamenti.

Schè, ha rilevato che la CRI aveva per la prima volta provveduto a ripetere l’indebito oggettivo con atti risalenti al 2013.

Le somme (differenze retributive) indebitamente erogate, erano stati versate a parte appellata dal 1994 al 2002.

Ne discendeva che il credito per indebito azionato dall’Amministrazione risultava, al momento della ripetizione, interamente prescritto, posto che l'azione di recupero di somme indebitamente corrisposte dal pubblico dipendente da parte della P. A. doveva ritenersi soggetta all'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c.

La originaria parte resistente rimasta parzialmente soccombente, ha impugnato la detta decisione criticando il capo accoglitivo del ricorso per motivi aggiunti di primo grado con il quale era stata affermata la irripetibilità delle somme erogate in virtù della maturata prescrizione.

Ripercorso l’iter del contenzioso, anche infraprocedimentale, intercorso ha rammentato il pacifico indirizzo giurisprudenziale per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della p.a., a norma dell’art. 2946 c.c., è soggetto a prescrizione ordinaria decennale, il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 aprile 1993, nr. 294;
Corte Conti, sez. giur. Veneto, 19 novembre 2009, nr. 782).

Contrariamente a quanto affermato dal Tar non era intervenuta alcuna prescrizione stante che l’esborso di somme indebitamente erogate (per effetto dell’O.C. n. 470 del 17/03/2003 e a seguito dell’O.C. n. 1383 del 17/07/2003) era avvenuto solo a partire dal luglio 2003: pertanto, l’Amministrazione era ampiamente legittimata e nei termini di legge (10 anni) per procedere al recupero in questione.

Parte appellata - già ricorrente di primo grado parzialmente vincitrice - della causa, ha depositato una memoria contenente un articolato appello incidentale.

Ha in primo luogo chiesto la reiezione dell’appello proposto dalla CRI in quanto infondato: sarebbe spettato alla odierna parte appellante, infatti, provare la sussistenza di eventuali atti interruttivi della prescrizione, ma ciò non era mai accaduto.

Gli emolumenti erano stati corrisposti in virtù di appositi atti transattivi, con i quali gli originarii ricorrenti avevano rinunciato ai ricorsi proposti: l’Amministrazione non avrebbe comunque potuto procedere al recupero.

Parte appellata aveva dimostrato la propria bona fides percipiendi (argomento, questo, dirimente e non valorizzato dal Tar)

L’appello principale, pertanto, doveva essere disatteso.

Ha poi incidentalmente impugnato i capi di sentenza che avevano respinto la domanda di annullamento della ordinanza commissariale n. 394/2012 con cui era stato disposto l’annullamento in autotutela degli inquadramenti del personale operati con la precedente Ordinanza Commissariale n. 470\2003.

Il Tar non si era assolutamente soffermato sulla predetta problematica già devoluta in primo grado: detta ordinanza n. 470\2003 in ultimo annullata era perfettamente legittima in quanto resa in conformità agli artt. 88 ed 89 del RD n. 484/1936 (corpus normativo, questo, che fino al 9.10.2010 , data di entrata in vigore del d.Lvo n. 66/2010 disciplinava lo status giuridico dei militari della CRI).

La ordinanza commissariale n. 394/2012 era invece illegittima, obliando il disposto dell’ art. 88 surrichiamato, che prevedeva che “gli idonei..sono promossi”.

La detta ordinanza n. 470\2003 aveva unicamente preso atto di tale norma, e, con notevole ritardo rispetto agli anni 1994 e 1995 aveva disposto l’avanzamento di tutti (445) gli idonei.

In ogni caso la ordinanza commissariale n. 394/2012 interveniva a revocare la ordinanza n. 470\2003 a distanza di un enorme lasso di tempo, immotivatamente, e senza alcuna ponderazione (obbligatoria, ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990).

Non era possibile retroattivamente incidere su atti di inquadramento di personale militare –od equiparato- a sì rilevante distanza di tempo.

Neppure (difetto di istruttoria) era stato accertata la situazione delle vacanze nel ruolo di maresciallo nel periodo 1994/2000, finendo con l’addossare in capo a parte appellata il ritardo dell’Amministrazione ad aprire il quadro di avanzamento.

In ogni caso non si sarebbe potuto –mercè atto di autotutela- incidere sui precedenti atti transattivi con cui erano state erogate le somme.

All’adunanza camerale del 17.3.2015 fissata per la delibazione del petitum cautelare il Collegio ha sospeso l’esecutività della gravata decisione alla stregua della considerazione per cui “rilevato che l’appello cautelare appare provvisto del prescritto, decisivo, fumus, come peraltro a più riprese affermato dalla Sezione, sia in sede cautelare che, ancora di recente, con la sentenza n. 750/2015;
”.

Alla odierna pubblica udienza del 22 settembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO


1. L’appello è fondato e va accolto, seppure con le precisazioni rese nella parte motiva relative alla quantificazione del recupero. L’appello incidentale non è fondato, nei termini illustrati nella motivazione che segue.

1.1. Per mera comodità espositiva il Collegio ritiene di esaminare per primo l’appello principale (e ciò sebbene l’appello incidentale, in quanto incidente su atti che si pongono “a monte “dell’azione amministrativa di recupero spiegata dalla odierna parte appellante, possieda una portata “paralizzante” che secondo i canoni a più riprese ribaditi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ne imporrebbe l’esame prioritario).

2. La questione posta dalla parte appellante principale –come peraltro già evidenziato in sede cautelare è già stata affrontata dalla Sezione, tra l’altro, con la sentenza di merito n. 750/2015.

Da tale condivisibile approdo raggiunto dalla Sezione, il Collegio non intende discostarsi: si vaglieranno pertanto le tematiche poste dalle parti, di pari passo con quanto affermato nella citata decisione, al precipuo scopo di valutare se siano stati prospettati argomenti in grado di incidere sull’iter motivazionale ivi contenuto.

2.1. Ad avviso di parte appellante principale il Tar avrebbe errato in quanto avrebbe ritenuto sussistente la prescrizione riferendola all’epoca di maturazione dei compensi e non invece all’epoca di materiale erogazione.

2.2. La censura è pienamente fondata.

2.2.1. Essa si fonda sul principio -consolidato in giurisprudenza - per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della p.a., a norma dell’art. 2946 cod. civ., è soggetto a prescrizione ordinaria decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 aprile 1993, nr. 294;
Corte Conti, sez. giur. Veneto, 19 novembre 2009, nr. 782).

Più specificamente, l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, a seguito ad esempio di annullamento.

Come osservato nella richiamata decisione n. 750/2015, ciò è quanto avvenuto nella fattispecie de qua: l’erogazione delle somme è avvenuta in esecuzione dell’ordinanza nr. 470/2003, con la quale era stato disposto l’inquadramento nelle rispettive posizioni superiori, ai fini sia giuridici che economici, di militari che all’esito delle procedure di avanzamento a suo tempo espletate erano risultati semplicemente idonei ma non promossi;
pertanto, a nulla vale il richiamo dell’appellante incidentale al periodo di servizio anteriore cui vanno formalmente imputati gli emolumenti indebitamente corrisposti, dovendosi avere riguardo unicamente al momento della loro materiale erogazione, verificatasi nel 2003, poiché è solo da tale momento che il diritto dell’Amministrazione alla restituzione avrebbe potuto essere fatto valere.

L’ordinanza che ha annullato l’erogazione delle somme è stata emanata nel 2012, e pertanto l’attività di ripetizione è certamente tempestiva rispetto al termine decennale (la tesi della prescrizione quinquennale è, all’evidenza, del tutto destituita di fondamento)prevista dall’art. 2946 cod. civ.

Da quanto sopra discende la riforma in parte qua della sentenza impugnata, con la conseguente reiezione della pretesa azionata in primo grado.

2.2.2. Parte appellata nel primo motivo della propria memoria contesta tale ricostruzione sulla base di affermazioni, in parte apodittiche ed in parte platealmente infondate.

La tesi sottesa a tali argomenti riposa nella asserita carenza di prova fornita da parte odierna appellante in ordine alla data di materiale corresponsione degli emolumenti.

2.2.3. Schè – osserva il Collegio - contrariamente a quanto sostenuto da parte appellata risulta dagli atti che:

a) il fatto “genetico” che ha determinato l’erogazione delle somme riposa nell’ordinanza nr. 470/2003 (tale dato è incontestato);

b)per logica, è evidente che materialmente l’erogazione abbia dovuto seguire, e non già precedere, detta ordinanza;

c)se l’erogazione, quindi, non può non essere avvenuta che nel 2003 (e segnatamente dopo l’ordinanza del 17 luglio 2003), la prescrizione decennale (art. 2946 cod. civ.)alla data del 2012 di emissione della avversata ordinanza commissariale nr. 394 del 2012 (momento “genetico” dell’azione di ripetizione) non si era compiuta ed il termine di prescrizione –quindi- non era ancora decorso;

d)sulla circostanza che il termine di prescrizione non possa essere quinquennale, ma si estenda per dieci anni, il Collegio non ha dubbi. In armonia con la consolidata giurisprudenza, si evidenzia che nel caso in esame si verte sulla ripetizione, ex art. 2033 c.c., di somme indebitamente percepite alle quali è applicabile l'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c. (cfr. fra le altre Con. Stato Sez. II 18.12.1996 n. 2612 Sez. IV n.2150/2006, Sez. VI n. 6599/2002), per cui la pretesa recuperatoria può spingersi sino al decennio precedente l'atto interruttivo. A fronte di tale sequenza sarebbe spettato a parte appellata provare che, materialmente, l’erogazione sarebbe avvenuta in precedenza rispetto al 2003 (e, francamente, non si vede neppure come ciò sarebbe potuto avvenire).

Ma parte appellata non ha assolto a questo onere, limitandosi a contestare la omessa produzione dei cedolini stipendiali da parte della difesa erariale, a contestare che tale produzione potesse avvenire in appello, etc.

Essa oblia, in tal modo, il consolidato orientamento secondo il quale (ex aliis Cassazione civile sez. I 05/04/2013 n. 8426) se la allegazione e prova del fatto estintivo incombe sulla parte che eccepisca la prescrizione, spetta al creditore, invece, provare la circostanza eccezionale che impedisca il prodursi degli effetti del predetto fatto estintivo.

Il Collegio, peraltro, non ritiene neppure che detta documentazione (cedolini, etc) vada acquisita ex officio;
provato il fatto genetico della erogazione, l’appellante aveva assolto al suo onere: spettava a parte appellata provare in via di eccezione che la prescrizione era già maturata e che, eccezionalmente, la erogazione di somme asseritamente non dovute era avvenuta materialmente in via anticipata rispetto al fatto che vi diede causa: essa non ha assolto a tale onere.

L’appello va pertanto accolto, e la sentenza va riformata.

3.Ciò non esaurisce il compito del Collegio, perché vanno vagliate le censure proposte con l’appello incidentale.

3.1. Innanzitutto va rilevato che, in seno al predetto appello incidentale parte appellata non ha prospettato (come invece avvenuto in seno alla causa n. 9508/2014, chiamata in decisione del pari alla odierna udienza pubblica del 22 settembre 2015, ma anche nell’ambito del processo dal quale è scaturita la sentenza di merito n. 00750/2015 a più riprese in precedenza richiamata, e che costituisce il leading case in materia) l’illegittimità del recupero delle somme disposto al lordo e non al netto delle ritenute fiscali.

Ritiene tuttavia il Collegio,sia per ragioni di complessiva equità sostanziale rispetto alle altre equiordinate posizioni, che in considerazione della circostanza che il recupero delle somme disposto al netto delle ritenute fiscali, costituisce la maniera “ordinaria” di procedere al recupero, di rilevare quanto segue.

Costituisce jus receptum che l’Amministrazione, nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve eseguire detto recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali;
non può invece pretendere di ripetere le somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 4 luglio 2011, nr. 3984;
id., sez. VI, 2 marzo 2009 nr. 1164).

Nella fattispecie, come risulta dalle diffide di pagamento, la C.R.I. ha chiesto la restituzione delle somme al lordo, disattendendo il principio sopra richiamato: ne consegue che dovrà essere emesso apposito provvedimento che tenga conto di quanto sopra e contenga in tali termini l’importo da recuperare.

4. Premesso quanto sopra, sono certamente infondate le censure incidentali, volte ad attingere a monte l’”an” della iniziativa recuperatoria.

4.1. Non persuade il motivo col quale si contesta la mancata osservanza della relazione istruttoria nr. prot. 47863 del 18 agosto 2012.

In effetti, in tale relazione si rappresentava l’inopportunità di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate, evidenziando i possibili rischi di contenzioso: ma l’opposta risoluzione dell’Amministrazione è seguita a una valutazione di merito, rispetto alla quale sarebbe inammissibile qualsiasi sindacato giurisdizionale.

Il passaggio “istruttorio” integra un apporto - ovviamente non vincolante- dal quale l’Amministrazione può legittimamente discostarsi (come nel caso di specie avvenuto) e, trattandosi del recupero di somme, non era in proposito necessaria alcuna penetrante motivazione.

Al di là di ciò, non si ravvisano significativi profili di illegittimità, non potendo accordarsi alcuna rilevanza all’osservazione per cui non esisterebbe alcuna norma idonea a consentire la revoca di gradi già attribuiti ai militari: infatti, l’iter procedimentale seguito dall’Amministrazione si è svolto in applicazione delle regole generali in tema di autotutela, e segnatamente in applicazione dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, essendosi accertato in sede ispettiva che il conferimento dei gradi superiori era avvenuto in violazione della norma regolamentare di cui al già citato art. 89 del r.d. nr. 484 del 1936.

Di tanto, peraltro, appaiono consapevoli gli stessi ricorrenti in primo grado, i quali con distinte censure hanno lamentato proprio la violazione delle regole e dei principi in materia di autotutela.

4.2. Del pari vanno respinti il quarto e il quinto mezzo, con i quali gli originari ricorrenti lamentano – appunto - la violazione del precitato art. 21-nonies, nonché di direttive preordinate a disciplinare l’esercizio della potestà di autotutela, per non essere stato valutato l’interesse dei destinatari e il loro affidamento sulla validità degli atti pregressi.

Al riguardo, è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che considera quale atto dovuto l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale;
in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione: infatti, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale;
il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, nr. 2902;
id., 28 ottobre 2013, nr. 5173).

Si aggiunge anche che l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero: l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2013, nr. 4519;
id., sez. V, 30 settembre 2013, nr. 4849).

Ne discende, ancora, che è destinato a essere recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell’affidamento maturato in capo agli interessati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, nr. 4429;
id., 31 maggio 2013, nr. 2986;
id., 10 dicembre 2012, nr. 11548).

4.3 Anche l’ultima censura ( riguardante l’asserita incompetenza del funzionario istruttore) risulta destituita di fondatezza.

In particolare, parte istante evidenzia come in una nota riservata fosse stata evidenziata una possibile incompatibilità del titolare dell’ufficio incaricato di istruire il procedimento, Col. D L, per avere egli aderito a un ricorso giurisdizionale analogo a quello che qui occupa.

Tuttavia, deve ritenersi difettare in capo a parte odierna appellata qualsivoglia effettivo interesse a una doglianza di questo tipo – che integra tutt’al più una questione di conflitto di interesse, più che di difetto di competenza – , sia perché, a quanto emerge dagli atti, il ricorso in questione aveva oggetto analogo a quello proposto nel presente giudizio (e dunque, a tutto voler concedere, un’ipotetica prevenzione dell’interessato avrebbe potuto essere in senso favorevole alle posizioni degli odierni istanti, e non in senso avverso), sia perché verosimilmente il detto giudizio si era già definito in epoca ben anteriore all’adozione degli atti qui censurati.

4.4. In ultimo, il richiamo all’art. 860 del d.Lgs n. 66/2010 risulta del tutto distonico rispetto alla materia del contendere: se anche si volesse mai convenire con la tesi prospettata da parte appellata relativa alla intangibilità degli avvenuti inquadramenti, comunque, l’attività di recupero delle somme è atto dovuto che da tali circostanze prescinde del tutto.

In particolare, deve evidenziarsi che non potrebbe ostare al detto recupero la circostanza che il grado illegittimamente conseguito non fosse “revocabile”: l’esborso patrimoniale sine causa va obbligatoriamente recuperato, quale che sia la situazione sostanziale “formale” allo stesso sottesa e la eventuale (eccezionale) stabilità della medesima seppure conclamatamente illegittima.

Il sistema del c.d. “pubblico impiego” non consente l’attribuzione de facto di mansioni superiori: tale precetto ne costituisce pietra angolare;
una eventuale (ed eccezionale) disposizione preclusiva al ripristino dello status quo ante violato, comunque non potrebbe impedire l’iniziativa patrimoniale recuperatoria tesa ad elidere le conseguenze della indebita attribuzione di mansioni superiori.

5. L’accoglimento del motivo dell’appello principale implica, infine, la reiezione del primo motivo dell’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti, con il quale si chiedeva la condanna dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 26, comma 2, cod. proc. amm.: è evidente infatti che, in considerazione dell’accoglimento dell’appello proposto dalla C.R.I. nessuna condanna alle spese può essere pronunciata nei confronti della stessa.

Al contrario, in considerazione della particolare natura della causa sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio

6. In conclusione, l’appello principale è fondato e va accolto, con conseguente riforma della sentenza gravata, e reiezione del mezzo di primo grado, nei limiti e con le precisazioni rese nella parte motiva con riguardo alla quantificazione del recupero,mentre l’appello incidentale va disatteso: la natura e la particolarità della controversia legittimano la totale compensazione delle spese del doppio grado.

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