Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-11, n. 201907689

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-11, n. 201907689
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201907689
Data del deposito : 11 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/11/2019

N. 07689/2019REG.PROV.COLL.

N. 08576/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8576 del 2011, proposto dalla società Soged S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F B C, A F e M T, con domicilio eletto presso lo studio Tonucci &
Partners in Roma, via Principessa Clotilde, n. 7,

contro

il Comune di Prato, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati E B e M C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M C in Roma, viale Liegi, n. 32,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 00641/2011, resa tra le parti, concernente diniego di sanatoria edilizia e ingiunzione di demolizione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Comune di Prato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2019, il Cons. Carla Ciuffetti e uditi per le parti gli avvocati Mario Ettore Verino su delega dell’avv. F B C, e Chiara Carli su delega dell’avv. M C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T per la Toscana ha respinto il ricorso presentato in via principale dalla società odierna appellante avverso l’atto in data 28 febbraio 2007, prot. n. 18608/BC, con cui l’Amministrazione del Comune di Prato aveva respinto l’istanza di sanatoria edilizia, presentata in data 9 dicembre 2004, ai sensi della l.r. n. 53/2004, dalla medesima società, nonché i motivi aggiunti presentati nel corso del giudizio avverso l’ingiunzione di demolizione adottata dal Comune di Prato in data 19 febbraio 2010.

L’istanza di sanatoria riguardava una parte di un annesso agricolo, indicato dalla società come preesistente all’anno 1967, su cui erano state effettuate nel 1984 opere edilizie, tra cui il frazionamento in due parti costituenti distinte unità immobiliari destinate a deposito. La società aveva presentato analoga istanza per l’altra parte dello stesso annesso agricolo, anch’essa respinta dal Comune di Prato e oggetto di distinta impugnazione davanti al giudice amministrativo da parte della società.

L’atto impugnato in via principale davanti al T per la Toscana, era motivato dal contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a ), della citata l.r. n. 53/2004, per il superamento dei limiti di cubatura entro i quali la medesima legge consentiva la sanatoria e per la “ mancanza di atti abilitativi precedenti alla data (1985) di ultimazione delle opere ”.

In precedenza, il manufatto era stato già oggetto di diniego di condono edilizio, chiesto in data 29 dicembre 1986 anche per cambio di destinazione d’uso, nonché di ingiunzione di demolizione in data 22 gennaio 1996, n. 4251. Quest’ultimo atto, in cui l’annesso agricolo era definito come rudere, era stato impugnato dalla società dante causa dell’odierno appellante con ricorso al giudice amministrativo, che ne aveva poi dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della società ricorrente (T Toscana, 14 settembre 2010, n. 5934).

2. Con il presente appello, la società in epigrafe deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto:

a ) non provata la preesistenza all’anno 1967 del manufatto;
tale preesistenza sarebbe stata invece dimostrata da un atto di compravendita in data 30 dicembre 1966 e dalla relativa planimetria, nonché dalla documentazione fotografica e da perizia di professionista di fiducia in atti, elementi tutti che sarebbero stati trascurati dalla sentenza impugnata nel respingere il primo motivo del ricorso di primo grado;

b ) sufficientemente motivato l’atto impugnato in via principale, nonostante che in tale atto non fossero state tenute in debito conto le osservazioni presentate ai sensi dell’art. 10- bis della l. n. 241/1990, con le quali la società aveva anche inteso di rettificare la destinazione d’uso dell’unità immobiliare da deposito ad uso residenziale a deposito ad uso agricolo;

c ) inammissibile per difetto di interesse la doglianza in merito all’avere l’Amministrazione trascurato la rettifica della destinazione del manufatto, ad uso deposito agricolo, anziché abitativo, in quanto la sanatoria prevista dalla l.r. n. 53/2004 sarebbe stata destinata solo agli ampliamenti degli immobili esistenti e non alle nuove costruzioni, come erroneamente ritenuto il manufatto controverso;
invece, ad avviso dell’appellante, la destinazione a “ deposito di attrezzi e beni strumentali ” era stata debitamente dimostrata e l’atto impugnato avrebbe dovuto ritenersi viziato da violazione dell’art. 3, della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto dei presupposti, per motivazione carente ed illogica e per difetto di istruttoria;

d ) che il Comune avesse preso in considerazione “ l’ipotesi più favorevole per la ricorrente, salvo constatare l’eccedenza rispetto alla volumetria di 100 mc ammessa ” e che, quindi, “ non si rendeva necessaria una nuova istruttoria o particolare motivazione sulla rettifica ”: invece, secondo l’appellante, una volta presentata la rettifica della destinazione d’uso, con il supporto di idonea documentazione, il Comune avrebbe dovuto svolgere un’ulteriore istruttoria che avrebbe consentito di evidenziare l’inconferenza del limite volumetrico di 100 mc, in quanto per fabbricati di uso non residenziale tale limite sarebbe pari a 300 mc., ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. c ), l. r. n. 53/2004;

e ) non dovuta l’acquisizione del parere della commissione edilizia comunale, essendo inammissibile la domanda di sanatoria: secondo l’appellante, poiché la domanda era stata respinta per il motivo di merito del superamento del limite di cubatura, tale parere doveva invece ritenersi obbligatorio posto che l’art. 5, co. 4, l.r. n. 53/2004 prevede che “ il responsabile del procedimento acquisisce tutti i necessari pareri di competenza comunale ”;

f ) che il manufatto fosse “ in sé suscettibile di svolgere funzione anche autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente necessità di titolo concessorio ”, in quanto, ad avviso dell’appellante, tale statuizione si porrebbe in contraddizione con la definizione dello stesso manufatto come opera pertinenziale e con il riconoscimento del collegamento con le abitazioni, contenuti nell’atto impugnato in via principale;
il che avrebbe dovuto portare a sottoporre a sanzione pecuniaria e non demolitoria gli interventi di ristrutturazione effettuati sine titulo ;

g ) insussistente il denunciato vizio di difetto di motivazione dell’ingiunzione di demolizione sotto il profilo della preesistenza del manufatto all’anno 1967: invece – sostiene l’appellante - la costruzione era legittima ab origine , debitamente condonata ad uso deposito, e l’atto impugnato con motivi aggiunti era viziato per omessa e/o falsa applicazione dell’art. 3, della l. n. 241/1990, dell’ art. 134 l.r. n. 1/2005, da “ eccesso di potere per carente ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti ”;

h ) sufficientemente motivata l’ingiunzione di demolizione, nonostante fossero trascorsi circa quattordici anni dall’adozione dell’ingiunzione n. 4251/1996, circostanza che avrebbe richiesto “ una congrua ed adeguata motivazione della persistenza dell’interesse pubblico ” alla sanzione demolitoria.

3. Il Comune di Prato ha chiesto il rigetto dell’appello.

4. L’appello è infondato e va respinto.

4.1. Il Collegio condivide il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, a partire dalla considerazione che non poteva considerarsi “ comprovato il presupposto fattuale della preesistenza sin dal 1967 di un manufatto di superficie e volumetria quantomeno ben identificabili, ossia di un manufatto del quale siano riconoscibili i connotati essenziali, onde possa parlarsi di sua ristrutturazione – mediante demolizione e fedele ricostruzione – e non della realizzazione di una entità edilizia non riferibile a una conforme preesistenza, da considerare costruzione ex novo ”. Se i rilievi aerofotogrammetrici effettuati nel 1954 e nel 1965, depositati agli atti del procedimento dalla società ricorrente, evidenziano un manufatto, tuttavia questa evidenza pare tale da poter ritenere che non vi sia alcun margine di erroneità nella considerazione del T per cui essa non consentiva “ di formulare neppure ipotesi sulla relativa sagoma e volumetria ”. Non è quindi tanto questione della prova della preesistenza del manufatto all’anno 1967, quanto della mancanza di evidenze in merito alla struttura del manufatto, sì da poter valutare la natura degli interventi edilizi e la loro riconducibilità alla ristrutturazione edilizia, ai cui fini l’art. 3, comma 1, lett. d ), d.P.R. n. 380/2001, nel testo vigente all’epoca dei fatti richiedeva che permanessero inalterate la volumetria e la sagoma dell’edificio.

In merito il Collegio rileva che il Comune di Prato nelle sue difese fa presente che “ in base agli atti di cui l’amministrazione possedeva l’edificio preesistente non solo non costituiva volume (si trattava infatti di una capanna diruta aperta su tre lati e retta da pilastri) ma aveva anche una destinazione, una tipologia costruttiva e una sagoma del tutto diversa rispetto all’edificio ricostruito ”.

4.2. Dunque, risultano in atti evidenze del fatto che, in epoca antecedente all’asserita ristrutturazione effettuata tra il 1984 e il 1985, preesistesse un mero rudere, come attestato dal rapporto della vigilanza municipale in data 31 maggio 1995, n. 282. Il che non può supportare la tesi della società appellante per cui l’intervento edilizio cui si riferiva l’istanza di sanatoria costituisse mera ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione di un manufatto preesistente, poiché di tale manufatto non erano note la volumetria e la sagoma;
tesi che, peraltro, come sottolinea il Comune di Prato nelle sue difese, pare costituire un argomento speso solo in sede di osservazioni al preavviso di rigetto dell’istanza di sanatoria, al fine di replicare alle ragioni ostative opposte dall’Amministrazione, mentre nella domanda di sanatoria gli interventi edilizi venivano definiti come nuova costruzione (tipologia 1, “ opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ” e non tipologia 6 “ opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume ” dell’allegato n. 1 del d.l. n. 269/2003) e in relazione a tale definizione la società aveva provveduto all’autoliquidazione dell’oblazione.

Poste tali evidenze, il Collegio non intende discostarsi dal consolidato orientamento di questo Consiglio, per cui gli interventi di ricostruzione effettuati su ruderi costituiscono nuova opera (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7476, 15 settembre 2006, n. 5375;
sez. V, 15 aprile 2004, n. 2142), che richiede idoneo titolo edilizio. La circostanza che l’edificio in questione risultasse essere un mero rudere prima degli interventi edilizi controversi emerge dal provvedimento impugnato che, come correttamente ritenuto dal T, pare sufficientemente motivato, anche in relazione alle osservazioni presentate dalla società nell’ambito del procedimento amministrativo.

4.3. Non osta alla considerazione dell’unità immobiliare in questione come nuova opera il fatto che l’atto impugnato vi facesse riferimento come opera pertinenziale rispetto all’unità residenziale;
tanto più che la possibilità di uso autonomo viene implicitamente corroborata dal deposito in atti, da parte della stessa società appellante, di un contratto di comodato del manufatto, concluso, fra l’altro, in data successiva a quella di effettuazione degli interventi edilizi in questione.

In proposito, giova ricordare la giurisprudenza di questo Consiglio per cui “ va escluso che possa costituire pertinenza un locale adibito a deposito, il quale consta di volumetria aggiuntiva. Infatti, il vincolo pertinenziale che lega il manufatto accessorio a quello principale dev'essere tale in senso oggettivo, cosicché il primo non risulti suscettibile di alcuna diversa utilizzazione economica ” e “ la natura pertinenziale spetta soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici ‘et similia’, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa ” (Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3677).

4.4. Una volta accertato che gli interventi edilizi oggetto della domanda di sanatoria avevano messo capo ad una nuova opera, l’asserita destinazione a deposito agricolo dell’unità immobiliare oggetto dell’istanza di sanatoria non avrebbe potuto comunque giovare alla società ricorrente, come correttamente ritenuto dal T, in quanto le disposizioni dell’art. 2, comma 2, lett. c ), e comma 3, della l.r. n. 53/2004 ammettono alla sanatoria gli interventi di ampliamento e non di nuova costruzione nel caso di immobili a destinazione agricola. Quanto alla destinazione per l’uso residenziale, il citato art. 2 prevede un limite di cubatura che, nella fattispecie, era risultato superato, sia considerando la singola unità immobiliare cui si riferiva l’atto impugnato in primo grado in via principale, sia considerando anche l’altra unità immobiliare, nonostante l’artificioso frazionamento della pratica di sanatoria in due distinte domande riferite alle due porzioni dello stesso fabbricato. Correttamente quindi, il primo giudice ha dichiarato inammissibili per difetto di interesse i motivi del ricorso principale diretti a contestare l’applicazione da parte dell’Amministrazione dei limiti di volumetria previsti per la sanatoria degli edifici residenziali in luogo di quelli previsti per gli edifici di uso non residenziale.

4.5. Il Collegio condivide la tesi del T per cui il difetto di acquisizione del parere della commissione edilizia comunale non avesse viziato l’atto impugnato in via principale, in quanto, in mancanza dei requisiti di legge per la concessione della sanatoria, non vi era alcun impatto urbanistico edilizio ambientale da valutare da parte della stessa commissione.

4.6. Per quanto sopra considerato, correttamente il primo giudice ha ritenuto insussistente la pretesa illegittimità dell’ingiunzione di demolizione derivata dal provvedimento impugnato in via principale. Inoltre, è irrilevante il decorso del tempo, nella specie di un intervallo di quattordici anni, tra l’ingiunzione di demolizione n. 4250/1996 e l’ingiunzione impugnata con motivi aggiunti. Ciò sia sotto il profilo di un eventuale affidamento sulla stabilità dell’opera, sia sotto il profilo dell’asserito onere motivazionale rafforzato dell’ingiunzione di demolizione impugnata in primo grado con motivi aggiunti: il decorso del tempo non è infatti idoneo “ a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo ” e “ deve conseguentemente essere escluso che l’ingiunzione di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. ” (Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 9). Infatti “ il mero decorso del tempo non è sufficiente a far insorgere un affidamento sulla legittimità dell’opera o comunque sul consolidamento dell’interesse del privato alla sua conservazione, né, per conseguenza, a imporre la necessità di una specifica motivazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico prevalente ” ( e plurimis Cons. Stato, sez. VI, 19 novembre 2018 n. 6493;
id. 6 settembre 2017, n. 4243;
28 luglio 2017, n. 3789;
2 febbraio 2015, n. 466).

L’ingiunzione di demolizione, come correttamente rilevato dal T, si riferisce agli artt. 132, comma 9, e 134 della l.r. n. 1/2005, nel testo vigente all’epoca dei fatti, che non prevedeva l’acquisizione dell’area al patrimonio comunale, ma la demolizione a cura del Comune e a spese dei responsabili.

5. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito da giurisprudenza costante, e plurimis , Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Il regolamento processuale delle spese del giudizio di secondo grado, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

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